Capitolo I - IL FUTURO E IL NULLA
Ogni uomo sperimenta la necessità di vivere, di gioire, di amare, di essere felice. Provate a dire a uno, che sappia di essere sul punto di morire, che vivrà ancora, che la sua ora non è ancora scoccata; ma ditegli, soprattutto, ch'egli sarà più felice di quanto sia mai stato, e il suo cuore allora palpiterà di gioia.
Ma a che servirebbero queste aspirazioni di felicità se un soffio potrebbe farle svanire?
C'è forse qualcosa di più desolante di questo pensiero della distruzione assoluta? Affetti cari, intelligenza, progresso, scienza laboriosamente acquisita, tutto sarebbe annientato, tutto andrebbe perduto! Quale necessità ci sarebbe di sforzarci a divenire migliori, quale necessità ci costringerebbe a reprimere le nostre passioni, ad affaticarci, per elevare il nostro spirito, se non dobbiamo raccoglierne alcun frutto, soprattutto con questo pensiero per cui domani, forse, ciò non servirà più a niente? Se così fosse, la sorte dell'uomo sarebbe cento volte peggiore di quella del bruto, perché il bruto vive completamente nel presente, nella soddisfazione dei suoi appetiti materiali, senza alcuna aspirazione per il futuro. Una segreta intuizione ci dice però che ciò non è possibile.
Se il rispetto umano ne trattiene alcuni, quale freno possono avere coloro che non temono nulla? Costoro dichiarano che le leggi umane non riguardano che gli inetti; è per questo che impiegano tutto il loro ingegno nel mezzo migliore per eluderle. Se c'è una dottrina insana e antisociale, di sicuro è quella del nichilismo, perché rompe i veri legami della solidarietà e della fraternità, su cui si fondano i rapporti sociali.
Si impegnerà per il suo miglioramento, per la sua istruzione? Si affaticherà per vivere? Rispetterà i diritti, i beni, la vita dei suoi simili? Si sottometterà alle leggi, a un'autorità, qual si voglia, anche la più legittima, cioè all'autorità paterna? Ci sarà per lui un qualsiasi dovere? Certamente no.
Ebbene, ciò che non accade in massa, viene realizzato dalla dottrina del nichilismo, ogni giorno, isolatamente, individualmente. E se le conseguenze non sono poi così disastrose come potrebbero esserlo, è in primo luogo perché, nella maggior parte dei non credenti, c'è più millanteria che vera e propria miscredenza, più dubbio che convinzione; e perché essi hanno paura del niente più di quanto non vogliano far sembrare: l'appellativo di spirito forte lusinga il loro amor proprio; in secondo luogo, perché i non credenti assoluti sono in grandissima minoranza; essi subiscono, loro malgrado, l'influenza dell'opinione contraria e sono sostenuti da una forza materiale. Ma qualora la miscredenza assoluta diventasse un giorno l'opinione della maggioranza, la società entrerebbe in dissoluzione. È a questo che tende la diffusione della dottrina del nichilismo. [1]
Quali che siano le conseguenze, qualora il nichilismo s'imponesse come una verità, bisognerebbe accettarlo. E né i sistemi contrari né il pensiero del male che ne conseguirebbe potrebbero ostacolarne l'esistenza. Ora, non bisogna nasconderci che lo scetticismo, il dubbio e l'indifferenza guadagnano terreno ogni giorno, nonostante gli sforzi della religione; ma questo è positivo. Se la religione si dimostra impotente nei confronti della miscredenza, è perché le manca qualcosa per combatterla, dimodoché se essa si condannasse all'immobilità, in un determinato momento si troverebbe infallibilmente sopraffatta. Ciò che le manca in questo secolo di positivismo, in cui si cerca di comprendere prima di credere, è senza dubbio la convalida delle sue dottrine attraverso fatti positivi; e così pure la concordanza di certe dottrine con i dati positivi della Scienza. Se essa dice bianco e se i fatti dicono nero, bisogna optare tra l'evidenza e la fede cieca.
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[1] Un giovane di diciotto anni era affetto da una malattia cardiaca dichiarata incurabile. La Scienza aveva così sentenziato: "Egli potrebbe morire entro otto giorni, come entro due anni, ma non andrà oltre". Il giovane venne a conoscenza di ciò. Subito abbandona gli studi e si dà a eccessi d'ogni genere. Allorché gli si fa presente come una vita di disordini sia pericolosa nelle sue condizioni, egli risponde: "Che m'importa, dal momento che non ho che due anni da vivere? A che mi servirebbe affaticare l'animo con le rinunce? Godo del poco tempo che mi resta e cerco di divertirmi fino all'ultimo". Ecco la conseguenza del nichilismo.
Se questo giovane fosse stato spiritista, avrebbe detto: "La morte distruggerà solo il mio corpo, che io lascerò come un abito usato, ma il mio Spirito vivrà sempre. Io sarò, nella mia vita futura, ciò che avrei fatto di me stesso in questa vita. Niente di quello che in essa potrei acquisire riguardo a qualità morali e intellettuali andrà perduto, perché ciò sarà tanto di guadagnato per il mio avanzamento; ogni imperfezione di cui mi libererò sarà un passo in più verso la felicità. La mia felicità o infelici a venire dipendono dall'utilità o dall'inutilità della mia presente esistenza. È dunque mio interesse mettere a profitto il poco tempo che mi resta ed evitare tutto ciò che potrebbe diminuire le mie forze".
Quale di queste due dottrine è preferibile?
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4. È in queste circostanze che lo Spiritismo viene a opporre una diga alla diffusione della miscredenza, non solo attraverso la razionalità, non solo attraverso la prospettiva dei pericoli ch'essa comporta, ma attraverso i fatti materiali, rendendo visibili e tangibili l'anima e la vita futura.
Ognuno è senza dubbio libero nella scelta delle sue credenze, libero di credere in qualcosa o di non credere in nulla. Ma coloro che cercano di far prevalere nello spirito delle masse, della gioventù soprattutto, la negazione del futuro, ricorrendo all'autorità del loro sapere e all'influenza della loro posizione, seminano nella società germi di perturbazione e di dissoluzione, incorrendo in una grande responsabilità.
Questa dottrina è senza dubbio un passo avanti sul materialismo puro, poiché qualcosa ammette, mentre l'altra non ammette nulla. Ma le conseguenze sono esattamente le stesse. Che l'uomo sia immerso nel nulla o nel serbatoio comune, è per lui la medesima cosa; se nel primo caso egli è annichilito, nel secondo egli perde la sua individualità; è, perciò, come se non esistesse; non per questo i rapporti sociali cessano di rompersi, e per sempre.
L'essenziale, per lui, è la conservazione del suo io; senza ciò, che gli importa di essere o non essere? Il futuro gli si presenta sempre nullo; è la vita presente la sola cosa che gli interessi e lo preoccupi. Dal punto di vista delle conseguenze morali, poi, questa dottrina è così insensata, così disperante che istiga all'egoismo tanto quanto il materialismo propriamente detto.
L'educazione, senza alcun dubbio, modifica le qualità intellettuali e morali dell'anima; ma qui si presenta un'altra difficoltà. Chi dà all'anima l'educazione per farla progredire? Altre anime che, per la loro comune origine, non devono più essere migliorate. Oltre a ciò l'anima, rientrando nel Tutto Universale da cui era sortita, dopo aver progredito durante la vita, vi apporta un elemento più perfetto. Da ciò consegue che questo Tutto deve, a lungo andare, trovarsi profondamente modificato e migliorato. Come accade allora che da questo Tutto escano incessantemente delle anime ignoranti e perverse?
Se la logica ci conduce all'individualità dell'anima, essa ci conduce anche a quest'altra conseguenza: che la sorte di ogni anima, cioè, deve dipendere dalle sue qualità personali. Sarebbe infatti irrazionale ammettere che l'anima sottosviluppata del selvaggio o quella dell'uomo perverso fossero al medesimo livello di quella del saggio o dell'uomo dabbene. Secondo i principi della giustizia, le anime devono avere la responsabilità dei loro atti; ma, perché esse siano responsabili, è necessario che siano libere di scegliere trai l bene e il male. Sanza libero arbitrio, ci sarebbe fatalità, e con la fatalità non potrebbe esserci la responsabilità.
L'uomo vuole sapere da dove viene e dove va. Se gli si indica un fine che non risponde né alle sue aspirazioni né all'idea ch'egli si è fatta di Dio, né ai dati positivi che gli fornisce la Scienza; se, inoltre, gli si impongono, per raggiungere quel fine, delle condizioni di cui la sua ragione non gli mostra l'utilità, egli allora respinge tutto. Il materialismo e il panteismo gli sembrano più razionali, perché qui si discute e si ragiona; si ragiona falsamente, è vero, ma egli preferisce ragionare falsamente piuttosto che non ragionare affatto.
Ma qualora gli si indichi un futuro dalle condizioni logiche, del tutto degno della grandezza, della giustizia e dell'infinita bontà di Dio, allora egli abbandonerà il materialismo e il panteismo, di cui avverte il vuoto nel proprio intimo e che aveva accettato solo in mancanza di una migliore credenza. Lo Spiritismo dà qualcosa di meglio, ed è per questo che è accolto con sollecitudine da tutti coloro che sono tormentati dall'incertezza bruciante del dubbio, e che non trovano né nelle credenze né nelle filosofie ordinarie ciò che cercano. Lo Spiritismo ha per l'uomo la logica del ragionamento e la conferma dei fatti. È per questo che lo si è inutilmente combattuto.