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IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO
IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO
IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO
SPIEGAZIONE DELLE MASSIME MORAL! DI CRISTO
LA LORO CONCORDANZA CON LO SPIRITISMO
E LA LORO APPLICAZIONE ALLE DIVERSE SITUAZIONI
DELLA VITA
DI
ALLAN KARDEC
AUTORE DE IL LIBRO DEGLI SPIRITI
Non esiste fede incrollabile se non quella che puõ guardare la ragione faccia a faccia, in tutte le epoche dell'Umanità.
Prefazione
Gli Spiriti del Signore, che sono le virtù dei Cieli, come un immenso esercito, che si muove appena riceve l'ordine supremo, si diffondono su tutta la superficie della Terra. Simili a stelle cadenti, essi vengono a far luce sul cammino e ad aprire gli occhi a coloro che non vedono.
In verità vi dico che sono arrivati i tempi in cui tutto deve essere riportato al suo vero senso per dissipare le tenebre, abbassare la baldanza degli orgogliosi e glorificare i giusti.
Le grandi voci del Cielo risuonano come squilli di tromba, e si uniscono a esse i cori degli angeli. Uomini, vi invitiamo al divino concerto: che le vostre mani afferrino la lira, che le vostre voci si uniscano e in un inno sacro si diffondano e vibrino all'unisono da un capo all'altro dell'universo.
Uomini, fratelli amati, vi siamo vicini. Amatevi gli uni con gli altri e dite dal profondo del vostro cuore, facendo la volontà del Padre che è nei Cieli: «,Signore! Signore!» e potrete entrare nel regno dei Cieli. [1]
In verità vi dico che sono arrivati i tempi in cui tutto deve essere riportato al suo vero senso per dissipare le tenebre, abbassare la baldanza degli orgogliosi e glorificare i giusti.
Le grandi voci del Cielo risuonano come squilli di tromba, e si uniscono a esse i cori degli angeli. Uomini, vi invitiamo al divino concerto: che le vostre mani afferrino la lira, che le vostre voci si uniscano e in un inno sacro si diffondano e vibrino all'unisono da un capo all'altro dell'universo.
Uomini, fratelli amati, vi siamo vicini. Amatevi gli uni con gli altri e dite dal profondo del vostro cuore, facendo la volontà del Padre che è nei Cieli: «,Signore! Signore!» e potrete entrare nel regno dei Cieli. [1]
Lo Spirito della Verità
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[1] L'istruzione sopra riportata, trasmessa per via medianica, riassume il vero carattere dello Spiritismo e, allo stesso tempo, lo scopo di quest'opera. È per questa ragione che è stata qui collocata come prefazione.
INTRODUZIONE
1. Scopo dell'opera
La materia contenuta nei Vangeli si può dividere in cinque parti: le
azioni comuni della vita di Gesù; i miracoli; le predizioni; le parole
usate per l'istituzione dei dogmi della Chiesa; l'insegnamento morale. Se
le prime quattro parti sono state oggetto di controversie, l'ultima è
rimasta inattaccabile. Di fronte al codice divino la stessa incredulità
s'inchina. È il terreno dove tutti i culti si incontrano, il vessillo
sotto il quale tutti possono trovare rifugio, indipendentemente dal
credo professato, perché non è mai stato oggetto di dispute religiose,
sempre e dappertutto sollevate da questioni di dogma. D'altra parte,
discutendone, le sette vi hanno trovato la loro stessa condanna in
quanto la maggior parte delle dispute riguarda più la parte mistica che
la parte morale, che esige il miglioramento di se stessi. Per gli
uomini, la morale è soprattutto una regola di condotta che abbraccia
tutte le circostanze della vita pubblica e privata, è il principio di
tutti i rapporti sociali fondati sulla giustizia più rigorosa. È,
infine, e soprattutto, la via infallibile della felicità a venire, un
angolo di velo sollevato sulla vita futura. È questa la parte che
costituisce l'oggetto esclusivo di questa opera.
Tutti tengono in massimo conto la morale evangelica; ognuno ne proclama la magnificenza e la necessità, ma molti lo fanno confidando su ciò che hanno sentito dire, o in fede a qualche massima biblica divenuta proverbiale; pochi però la conoscono a fondo, e sono ancor meno quelli che la comprendono e sanno dedurne le conseguenze. La ragione di ciò sta in gran parte nella difficoltà che la lettura del Vangelo presenta, inintelligibile per i più. La forma allegorica e il misticismo intenzionale del linguaggio fanno sì che i più lo leggano per mettersi a posto la coscienza nonché per dovere, come pure leggono le preghiere senza comprenderle, ossia in modo infruttuoso. I precetti morali, sparsi qua e là e confusi fra tante altre cose, passano inavvertiti; diventa allora impossibile afferrarli nella loro complessità, farne l'oggetto di una lettura e di una meditazione separate.
Sono stati scritti, è vero, dei trattati di morale evangelica, ma la loro stesura in uno stile letterario moderno ha privato il Vangelo della primitiva semplicità che costituisce il suo fascino e al tempo stesso la sua autenticità. La medesima cosa succede per le massime estrapolate, ridotte a semplici espressioni proverbiali. Esse diventano pertanto dei semplici aforismi che perdono parte del loro valore e del loro interesse, isolati dagli elementi complementari e privati delle circostanze in cui erano stati formulati.
Per ovviare a questi inconvenienti, abbiamo riunito in quest'opera gli articoli che possono costituire, per così dire, un codice di etica universale, senza distinzione di culto. Nelle citazioni abbiamo conservato tutto ciò che è utile allo sviluppo del pensiero, eliminando solo quanto è estraneo all'argomento.
Abbiamo inoltre rispettato scrupolosamente la traduzione originale di Sacy, e la sua divisione in versetti. Ma anziché attenerci a un ordine cronologico, impossibile e senza vantaggio reale in tale trattazione, abbiamo raggruppato e classificato le massime metodicamente, secondo la loro natura, in modo che esse si deducessero, per quanto possibile, le une dalle altre.
Il riferimento alla numerazione dei capitoli e dei versetti permette di ricorrere alla consultazione corrente, se lo si ritiene opportuno.
È solo un accorgimento pratico che, di per sé, avrebbe semplicemente un'utilità secondaria. L'essenziale era mettere queste massime alla portata di tutti con la spiegazione dei passaggi poco chiari e dello sviluppo di tutte le conseguenze da esse derivanti, in considerazione dell'applicazione alle varie situazioni della vita. È ciò che abbiamo cercato di fare con l'aiuto dei buoni Spiriti che ci assistono.
Molti punti del Vangelo, della Bibbia e dei testi sacri in generale non sono intelligibili, molti sembrano addirittura irrazionali in mancanza di una chiave per comprenderne il vero significato. Ora, questa chiave si trova tutta nello Spiritismo, come hanno già potuto comprendere coloro che lo hanno studiato seriamente, e come si constaterà in seguito.
Lo Spiritismo è presente ovunque, sia nell'antichità sia in tutte le altre epoche dell'umanità. Ovunque di esso si trovano tracce: negli scritti, nei credo religiosi e nei monumenti. È per questo che esso apre non solo orizzonti nuovi per il futuro, ma getta anche una luce non meno viva sui misteri del passato.
A complemento di ogni precetto, abbiamo aggiunto alcune istruzioni scelte fra quelle dettate dagli Spiriti nei vari paesi per il tramite di vari medium. Se queste istruzioni fossero uscite da un'unica fonte, avrebbero potuto risentire dell'influenza personale o dell'ambiente, mentre la molteplicità delle origini prova che gli Spiriti offrono il loro insegnamento ovunque e che, sotto questo aspetto, non c'è nessuno che sia privilegiato.[1]
Quest'opera è al servizio di tutti; ognuno può trovarvi il modo di conformarsi alla morale di Cristo. Gli spiritisti vi troveranno inoltre le applicazioni che più li riguardano personalmente.
Grazie alle comunicazioni stabilite ormai in modo permanente fra gli uomini e il mondo invisibile, la legge evangelica, insegnata in tutto il mondo dagli stessi Spiriti, non sarà più lettera morta perché ognuno la comprenderà e sarà costantemente sollecitato a metterla in pratica dai consigli delle guide spirituali.
Le istruzioni degli Spiriti sono veramente le voci del Cielo che vengono a illuminare gli uomini e a spronarli alla pratica del Vangelo.
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Tutti tengono in massimo conto la morale evangelica; ognuno ne proclama la magnificenza e la necessità, ma molti lo fanno confidando su ciò che hanno sentito dire, o in fede a qualche massima biblica divenuta proverbiale; pochi però la conoscono a fondo, e sono ancor meno quelli che la comprendono e sanno dedurne le conseguenze. La ragione di ciò sta in gran parte nella difficoltà che la lettura del Vangelo presenta, inintelligibile per i più. La forma allegorica e il misticismo intenzionale del linguaggio fanno sì che i più lo leggano per mettersi a posto la coscienza nonché per dovere, come pure leggono le preghiere senza comprenderle, ossia in modo infruttuoso. I precetti morali, sparsi qua e là e confusi fra tante altre cose, passano inavvertiti; diventa allora impossibile afferrarli nella loro complessità, farne l'oggetto di una lettura e di una meditazione separate.
Sono stati scritti, è vero, dei trattati di morale evangelica, ma la loro stesura in uno stile letterario moderno ha privato il Vangelo della primitiva semplicità che costituisce il suo fascino e al tempo stesso la sua autenticità. La medesima cosa succede per le massime estrapolate, ridotte a semplici espressioni proverbiali. Esse diventano pertanto dei semplici aforismi che perdono parte del loro valore e del loro interesse, isolati dagli elementi complementari e privati delle circostanze in cui erano stati formulati.
Per ovviare a questi inconvenienti, abbiamo riunito in quest'opera gli articoli che possono costituire, per così dire, un codice di etica universale, senza distinzione di culto. Nelle citazioni abbiamo conservato tutto ciò che è utile allo sviluppo del pensiero, eliminando solo quanto è estraneo all'argomento.
Abbiamo inoltre rispettato scrupolosamente la traduzione originale di Sacy, e la sua divisione in versetti. Ma anziché attenerci a un ordine cronologico, impossibile e senza vantaggio reale in tale trattazione, abbiamo raggruppato e classificato le massime metodicamente, secondo la loro natura, in modo che esse si deducessero, per quanto possibile, le une dalle altre.
Il riferimento alla numerazione dei capitoli e dei versetti permette di ricorrere alla consultazione corrente, se lo si ritiene opportuno.
È solo un accorgimento pratico che, di per sé, avrebbe semplicemente un'utilità secondaria. L'essenziale era mettere queste massime alla portata di tutti con la spiegazione dei passaggi poco chiari e dello sviluppo di tutte le conseguenze da esse derivanti, in considerazione dell'applicazione alle varie situazioni della vita. È ciò che abbiamo cercato di fare con l'aiuto dei buoni Spiriti che ci assistono.
Molti punti del Vangelo, della Bibbia e dei testi sacri in generale non sono intelligibili, molti sembrano addirittura irrazionali in mancanza di una chiave per comprenderne il vero significato. Ora, questa chiave si trova tutta nello Spiritismo, come hanno già potuto comprendere coloro che lo hanno studiato seriamente, e come si constaterà in seguito.
Lo Spiritismo è presente ovunque, sia nell'antichità sia in tutte le altre epoche dell'umanità. Ovunque di esso si trovano tracce: negli scritti, nei credo religiosi e nei monumenti. È per questo che esso apre non solo orizzonti nuovi per il futuro, ma getta anche una luce non meno viva sui misteri del passato.
A complemento di ogni precetto, abbiamo aggiunto alcune istruzioni scelte fra quelle dettate dagli Spiriti nei vari paesi per il tramite di vari medium. Se queste istruzioni fossero uscite da un'unica fonte, avrebbero potuto risentire dell'influenza personale o dell'ambiente, mentre la molteplicità delle origini prova che gli Spiriti offrono il loro insegnamento ovunque e che, sotto questo aspetto, non c'è nessuno che sia privilegiato.[1]
Quest'opera è al servizio di tutti; ognuno può trovarvi il modo di conformarsi alla morale di Cristo. Gli spiritisti vi troveranno inoltre le applicazioni che più li riguardano personalmente.
Grazie alle comunicazioni stabilite ormai in modo permanente fra gli uomini e il mondo invisibile, la legge evangelica, insegnata in tutto il mondo dagli stessi Spiriti, non sarà più lettera morta perché ognuno la comprenderà e sarà costantemente sollecitato a metterla in pratica dai consigli delle guide spirituali.
Le istruzioni degli Spiriti sono veramente le voci del Cielo che vengono a illuminare gli uomini e a spronarli alla pratica del Vangelo.
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[1]
Avremmo certamente potuto fornire per ogni argomento un numero ben più
grande di comunicazioni ottenute in moltissimi e diversi luoghi e in
centri spiritisti oltre a quelli citati; ma abbiamo dovuto,
innanzitutto, evitare la monotonia delle ripetizioni non necessarie e
limitare pertanto la nostra scelta a quelle comunicazioni che, per
contenuto e forma, rientrassero più specificamente nel quadro di
quest'opera, riservando a future pubblicazioni quelle che non hanno
trovato posto qui.
Quanto ai medium, ci siamo astenuti dal menzionarli, per lo più dietro loro richiesta, e di conseguenza non abbiamo ritenuto opportuno fare delle eccezioni. D'altra parte il nome dei medium non avrebbe aggiunto alcun valore all'opera degli Spiriti; si sarebbe dunque trattato solo di una questione di amor proprio a cui i medium veramente seri non tengono affatto. Essi comprendono che, essendo il loro ruolo puramente passivo, il valore delle comunicazioni non va assolutamente attribuito al loro merito personale e che sarebbe puerile gloriarsi di un lavoro intelligente al quale contribuiscono solo meccanicamente.
Quanto ai medium, ci siamo astenuti dal menzionarli, per lo più dietro loro richiesta, e di conseguenza non abbiamo ritenuto opportuno fare delle eccezioni. D'altra parte il nome dei medium non avrebbe aggiunto alcun valore all'opera degli Spiriti; si sarebbe dunque trattato solo di una questione di amor proprio a cui i medium veramente seri non tengono affatto. Essi comprendono che, essendo il loro ruolo puramente passivo, il valore delle comunicazioni non va assolutamente attribuito al loro merito personale e che sarebbe puerile gloriarsi di un lavoro intelligente al quale contribuiscono solo meccanicamente.
2. Autorevolezza della Dottrina Spiritista
Controllo universale dell'insegnamento degli Spiriti
Se la Dottrina Spiritista fosse una concezione puramente umana, avrebbe per garanti solo i lumi di colui che l'avesse concepita. Ora, nessuno su questa Terra può avere la fondata pretesa di possedere, lui solo, la verità assoluta. Se gli Spiriti, che l'hanno rivelata, si fossero manifestati a un solo uomo, niente ne garantirebbe la fonte, perché bisognerebbe credere sulla parola di colui che sostenesse di aver ricevuto il loro insegnamento. Pur ammettendo, da parte sua, la più completa buona fede, tutt'al più potrebbe coinvolgere le persone della cerchia delle sue conoscenze. Potrebbe avere dei seguaci di parte, ma non arriverebbe mai a ottenere il consenso di tutti.
Dio ha voluto che la nuova rivelazione arrivasse agli uomini per vie più rapide e più autentiche. È per questo che ha incaricato gli Spiriti di portarla da un capo all'altro della Terra, manifestandosi ovunque, senza dare a nessuno il privilegio esclusivo di ascoltare la loro parola. Un uomo può essere ingannato, può ingannarsi da se stesso, ma ciò non potrebbe accadere allorché milioni di persone vedono e intendono la stessa cosa: questa è una garanzia per ognuno di noi e per tutti. D'altra parte si può far tacere un uomo, ma non una moltitudine. Si possono bruciare i libri, ma non si possono bruciare gli Spiriti. Ora, anche bruciando tutti i libri, la fonte della dottrina non verrebbe assolutamente estinta per la semplice ragione che non si trova sulla Terra, ma sorge ovunque e tutti possono attingerla.
In mancanza di uomini per diffondere questa dottrina, ci saranno sempre gli Spiriti che raggiungeranno tutti né vi sarà alcuno che non potrà essere raggiunto.
In realtà sono dunque gli Spiriti che diffondono questa dottrina, con l'aiuto di moltissimi medium che essi destano ovunque. Se essi avessero avuto un unico interprete, per privilegiato che fosse, lo Spiritismo sarebbe a malapena conosciuto. Questo stesso interprete, a qualsiasi classe appartenesse, sarebbe lui stesso oggetto di pregiudizio da parte di molti, e non in tutte le parti del mondo sarebbe ben accetto, mentre gli Spiriti, comunicando ovunque, a tutti e a qualsiasi credo ognuno appartenga, sono accettati universalmente.
Lo Spiritismo non ha nazionalità, è al di fuori di qualsiasi culto particolare, non viene imposto da nessuna classe sociale, in quanto chiunque può ricevere istruzioni dai propri parenti e amici d'oltretomba. Ed è così che dev'essere per poter chiamare tutti gli uomini alla fraternità: se non si fosse posto in terreno neutro, avrebbe mantenuto i dissensi anziché dirimerli.
È l'universalità nell'insegnamento degli Spiriti che fa la forza dello Spiritismo; essa è anche la ragione della sua così rapida diffusione. Mentre la voce di un solo uomo, sia pure con l'appoggio della stampa, avrebbe impiegato anni e anni prima di giungere all'orecchio di tutti, ecco che migliaia di voci si fanno sentire simultaneamente in tutti i punti della Terra, per proclamare gli stessi principi comunicandoli tanto ai più sapienti quanto ai più ignoranti affinché nessuno ne sia privato. È un vantaggio di cui nessuna dottrina ha fruito fino a oggi. Dunque se lo Spiritismo è una verità, non teme né il malvolere degli uomini né le rivoluzioni morali né gli sconvolgimenti fisici del globo, perché niente di tutto ciò può sfiorare gli Spiriti.
Ma non è questo il solo vantaggio di una situazione tanto eccezionale. Lo Spiritismo ne ricava una garanzia potentissima contro gli scismi che potrebbero essere dovuti sia all'ambizione di alcuni, sia alle contraddizioni di certi Spiriti. Queste contraddizioni sono sicuramente un ostacolo, ma un ostacolo che porta in sé il rimedio insieme al male.
Si sa che gli Spiriti, a causa delle loro differenti capacità, sono lontani dal possedere singolarmente tutta la verità. Non è dato a tutti penetrare certi misteri. Il loro sapere è proporzionale al loro grado di avanzamento. Gli Spiriti inferiori non ne sanno più degli uomini e, semmai, meno di taluni uomini. Ci sono fra di loro, come fra gli uomini, dei presuntuosi e dei falsi sapienti che credono di sapere ciò che non sanno, dei sistematici che prendono le loro idee per verità. Infine ci sono gli Spiriti dell'ordine più elevato, quelli completamente smaterializzati, i soli che si sono spogliati delle idee e dei pregiudizi terreni. Ma si sa pure che gli Spiriti ingannatori non si fanno scrupolo di nascondersi sotto nomi fittizi per fare accettare le loro utopie. Ne consegue che, riguardo a tutto ciò che si trova al di fuori dell'insegnamento esclusivamente morale, le rivelazioni che ognuno può ottenere hanno un carattere individuale senza garanzia di autenticità, si sa che esse devono venire considerate come opinioni personali del tale o talaltro Spirito e che sarebbe imprudente accettarle e diffonderle alla leggera come verità assolute.
La prima verifica alla quale si deve sottoporre, senza eccezione, tutto ciò che viene dagli Spiriti è indubbiamente quella della ragione. Qualsiasi teoria in manifesta contraddizione con il buon senso, con una logica rigorosa e con i dati obbiettivi già in nostro possesso, da qualsiasi insigne firma sia sottoscritta, non dev'essere accettata di primo acchito. Ma nella maggior parte dei casi una verifica non è sufficiente, a causa dei limiti delle conoscenze di alcuni e per la tendenza di molti a ritenere il proprio giudizio come unico arbitro della verità. In casi simili, come si regolano quelli che non hanno una fiducia assoluta in se stessi? Si attengono all'opinione della maggioranza adottandola come guida. Così ci si deve comportare riguardo all'insegnamento degli Spiriti che, d'altronde, ce ne forniscono essi stessi i mezzi.
La concordanza degli insegnamenti degli Spiriti è dunque la migliore verifica. Ma non basta: bisogna anche che essa si verifichi in determinate condizioni.
La meno valida di tutte le condizioni è quando un medium interroga lui stesso più Spiriti su una questione dubbiosa. È quanto mai evidente che, se il medesimo si trova sotto il dominio di un'ossessione, o se ha a che fare con uno Spirito ingannatore, questo Spirito gli può dire la stessa cosa sotto nomi diversi. E così non c'è garanzia sufficiente, nemmeno se c'è concordanza fra gli insegnamenti ricevuti da medium di uno solo centro, perché possono subire la stessa influenza.
La sola garanzia seria dell'insegnamento degli Spiriti sta nella concordanza .fra rivelazioni fatte spontaneamente tramite numerosi medium estranei gli uni agli altri e in luoghi diversi.
Si comprende che qui non si tratta assolutamente di comunicazioni che riguardano secondi scopi, ma dei principi stessi della dottrina.
L'esperienza dimostra che, quando un nuovo principio non è ancora ben definito, viene insegnato spontaneamente in luoghi diversi, nello stesso tempo e in modo identico, se non nella forma, quanto meno nella sostanza. Dunque, se a uno Spirito piace formulare un sistema eccentrico, basato sulle sue sole idee ed estraneo alla verità, si può essere certi che questo sistema resterà circoscritto e cadrà di fronte all'unanimità delle istruzioni date altrove, come già si è potuto constatare da vari esempi. È questa unanimità che ha fatto decadere tutti i sistemi parziali sorti all'origine dello Spiritismo, quando ognuno spiegava i fenomeni a modo suo e prima ancora che si conoscessero le leggi che reggono i rapporti fra il mondo visibile e quello invisibile.
Tale è la base sulla quale ci fondiamo quando formuliamo un principio della ,dottrina. Non è che le diamo per vere perché sono idee nostre. Noi non ci poniamo assolutamente come arbitri supremi della verità e non diciamo a nessuno: «Credete la tal cosa perché ve la diciamo noi». La nostra stessa opinione, ai nostri occhi, è solo la nostra opinione personale che può essere giusta o errata, perché noi non siamo meno infallibili degli altri. Per noi un principio non è verità unicamente perché ci viene insegnato, ma perché ha ricevuto la sanzione della concordanza fra molteplici comunicazioni. Nella nostra situazione, avendo ricevuto le comunicazioni di circa mille centri spiritisti, disseminati nei diversi punti del globo, siamo in grado di osservare i principi sui quali si fonda questa concordanza. È questa possibilità di osservazione che ci ha guidati fino a oggi ed è sempre questa che ci guiderà nei nuovi campi che lo Spiritismo è chiamato a esplorare. E così, studiando attentamente le comunicazioni che giungono da varie parti, non solo dalla Francia, noi riconosciamo, in virtù della natura tutta particolare delle rivelazioni, che c'è un orientamento a entrare in un nuovo corso e che è venuto il momento di fare un passo avanti. Queste rivelazioni, a volte sottintese, sono sovente passate inavvertite da parte di molti che le hanno ricevute, mentre altri hanno creduto di essere stati i soli ad averle ricevute. Prese isolatamente, sarebbero senza valore per noi: solo la coincidenza fra le varie comunicazioni conferisce loro un peso. Quindi, quando il momento sarà venuto per affidarle apertamente alla grande divulgazione, allora ognuno di noi si ricorderà di aver ricevuto delle istruzioni in questo senso. È questo movimento generale che noi osserviamo, che studiamo con l'assistenza delle nostre guide spirituali e che ci aiuta a giudicare l'opportunità di fare una cosa o di astenerci dal farla.
Questa messa a confronto universale è una garanzia per la futura unità dello Spiritismo e annullerà tutte le teorie contraddittorie. È là che in futuro si cercherà il criterio della verità. Ciò che ha determinato il successo della dottrina formulata ne Il libro degli Spiriti e ne Il libro dei Medium, è stato il fatto che ovunque si è potuto ricevere direttamente dagli Spiriti la conferma di ciò che questi libri contengono. Se da tutte le parti fossero giunti degli Spiriti a contraddirli, questi libri avrebbero da tempo subito la sorte di quelli che trattano teorie puramente fantasiose. Lo stesso supporto della stampa non avrebbe potuto salvarli dal naufragio, mentre essi, ancorché privi di questo supporto, hanno fatto lo stesso un rapido cammino perché hanno avuto l'aiuto degli Spiriti, la cui buona volontà ha inoltre compensato ampiamente il cattivo volere degli uomini. Così sarà di tutte le idee emanate sia dagli Spiriti sia da quegli uomini che non riuscissero a sostenere la prova di questa verifica, la cui potenza nessuno può contestare.
Supponiamo allora che a certi Spiriti piaccia dettare, a qualsiasi titolo, un libro in senso contrario; supponiamo pure che la malevolenza, ostile e intenzionale nel voler gettare discredito sulla dottrina, arrivi a suscitare delle comunicazioni apocrife. Quale influenza potrebbero avere questi scritti, se poi venissero smentiti ovunque dagli Spiriti? È dell'adesione di questi ultimi che bisognerebbe assicurarsi, prima di diffondere un sistema in loro nome. Fra il sistema di uno solo e quello di tutti, la distanza è uguale a quella esistente fra l'unità e l'infinito. Che possono, infine, tutti gli argomenti dei detrattori sull'opinione delle masse, quando milioni di voci amiche, partite dallo spazio e provenienti da tutti gli angoli dell'universo, in seno a ogni famiglia, li sconfiggono risolutamente? L'esperienza, sotto questo punto di vista, non ne ha già dato conferma? Dove sono finite tutte quelle pubblicazioni che, stando a quanto dicevano, avrebbero dovuto, per così dire, annientare lo Spiritismo? Qual è quella che ne ha rallentato il cammino? Fino a oggi non è mai stata considerata la questione sotto questo punto di vista, una delle più gravi, senza tema di smentita. Ognuno ha tenuto conto di sé, senza tener conto degli Spiriti.
Il principio della concordanza è una garanzia in più contro le deviazioni che certe sette potrebbero far subire allo Spiritismo, volendone trarre dei vantaggi adattandolo a loro misura. Chiunque volesse sviarlo dal suo fine provvidenziale fallirebbe per la semplicissima ragione che gli Spiriti, in virtù dell'universalità del loro insegnamento, farebbero cadere qualsiasi modifica che si discostasse dalla verità.
Da tutto ciò deriva una verità capitale: che chiunque, cioè, volesse intralciare o sanzionare l'essenza delle idee prestabilite potrebbe anche causare una perturbazione momentanea e circoscritta localmente, ma non potrebbe mai dominare il tutto, né attualmente e ancor meno in futuro.
Emerge ancor più evidente che le istruzioni date dagli Spiriti, sui punti della dottrina non ancora chiariti, non riuscirebbero a dettar legge finché dovessero restare isolate. Pertanto esse devono, di conseguenza, essere accettate solo con riserva e a titolo informativo.
Da qui il dovere di usare la massima prudenza quando si pubblica e, nel caso in cui le istruzioni venissero reputate degne di pubblicazione, esse dovrebbero essere presentate solo come frutto di opinioni personali, più o meno attendibili, ma aventi, in ogni caso, necessità di conferma. È tale conferma che bisogna attendere prima di presentare un principio come verità assoluta, se non si vuole essere accusati di leggerezza o di credulità avventata.
Gli Spiriti superiori procedono, nelle loro rivelazioni, con estrema saggezza. Essi affrontano le grandi problematiche della dottrina solo gradualmente, nella misura in cui la capacità di intendere risulta atta a comprendere verità di ordine superiore, e man mano che le circostanze si presentano propizie alla diffusione di idee nuove. È per questo che all'inizio gli Spiriti non hanno potuto dire tutto, e non l'hanno a tutt'oggi ancora detto, non cedendo alla pressione di persone troppo impazienti, che vogliono raccogliere i frutti prima che siano maturi. Sarebbe dunque superfluo voler anticipare il tempo assegnato a ogni cosa dalla Provvidenza, in quanto gli Spiriti vera mente seri rifiuterebbero il loro appoggio. Ma gli Spiriti leggeri, poco preoccupati della verità, sono sempre disposti a rispondere a tutto. Per questa ragione, su tutte le questioni premature, si hanno sempre delle risposte contraddittorie.
I principi qui enunciati non provengono affatto da teorie personali, ma sono la logica e obbligata conseguenza delle condizioni nelle quali gli Spiriti si manifestano. È ben evidente che, se uno Spirito dice una cosa da un lato, mentre milioni di Spiriti dicono il contrario dall'altro, presumibilmente la verità non sta dalla parte di chi è il solo, o quasi, a essere di un certo avviso. Ora, pretendere di essere l'unico ad avere ragione contro tutti sarebbe illogico da parte degli Spiriti tanto quanto lo è da parte degli uomini. Gli Spiriti veramente saggi, se non si sentono sufficientemente illuminati su una questione, non la pongono mai in modo assoluto; ma dichiarano di trattarla solodal loro punto di vista, e sono loro stessi che consigliano di attenderne la conferma.
Per quanto grande, bella e giusta possa essere un'idea, è impossibile che essa ottenga, fin dall'inizio, il consenso generale. I conflitti di opinione che ne derivano sono la conseguenza inevitabile dell'animazione che suscita. Questi conflitti sono persino necessari per far emergere meglio la verità, ed è utile che essi abbiano luogo fin dall'inizio affinché le idee false vengano più prontamente tolte di mezzo. Gli Spiritisti che dovessero avere delle remore, devono venire pienamente rassicurati. Tutte le pretese isolate cadranno, per la forza stessa delle cose, di fronte al grande e possente criterio del controllo universale.
Non sarà dall'opinione di un uomo che si avrà l'unione, ma dalla voce unanime degli Spiriti. Non sarà un uomo, men che meno noi o qualunque altro, che fonderà l'ortodossia spiritista; neppure sarà uno Spirito a imporsi su tutti: è l'universalità degli Spiriti che comunicano su tutta la Terra per volere di Dio. In ciò consiste il carattere essenziale della Dottrina Spiritista; lì sta la sua forza, la sua autorevolezza. Dio ha voluto che la sua legge poggiasse su una base inamovibile. È per questo che non l'ha riposta nella fragile mente di uno solo.
Di fronte a questo potente areopago, che non conosce né consorterie né gelose rivalità né settarismi né confini politici, andranno a infrangersi tutte le opposizioni, tutte le ambizioni, qualsiasi pretesa di supremazia individuale. Perché noi stessi ci distruggeremmo se volessimo sostituire le nostre idee con questi decreti sovrani. È solo questo areopago che dirimerà tutte le questioni discordi, che farà tacere i dissensi e darà torto o ragione secondo giustizia. Di fronte a questo imponente accordo di tutte le voci del Cielo, che cosa possono le opinioni di un uomo o di uno Spirito? Meno di una goccia d'acqua nell'oceano, meno della voce di un fanciullo soffocata dalla tempesta.
L'opinione universale, ecco il giudice supremo, ecco chi decide in ultima istanza. Essa è formata da tutte le opinioni individuali: se una di esse è vera, ha solo un peso relativo sulla bilancia; se è falsa non può prevalere su tutte le altre. In questo immenso complesso, le individualità si cancellano. Ecco un altro motivo di insuccesso per l'orgoglio del genere umano.
Questo insieme armonioso già si delinea. Ora, questo secolo non passerà prima di risplendere in tutto il suo fulgore, così da dare stabilità a tutte le incertezze. Infatti, quando il campo sarà sufficientemente arato, voci possenti avranno ricevuto la missione di farsi intendere per riunire gli uomini sotto una stessa bandiera. In attesa, coloro i quali oscilleranno fra i due opposti sistemi potranno vedere in quale direzione si orienterà l'opinione generale: è l'indicazione sicura del senso in cui si pronuncia la maggioranza degli Spiriti sui diversi punti su cui s'incontrano. È un segno non meno certo che indica quale dei due sistemi è quello giusto.
3. Cenni storici
SAMARITANI.
Dopo lo scisma delle dieci tribù, Samaria divenne la capitale del regno
dissidente di Israele. Distrutta e ricostruita in più riprese, essa fu,
sotto i Romani, il capoluogo della Samaria, una delle quattro province
in cui venne divisa la Palestina. Erode, detto il Grande, l'abbellì con
sontuosi monumenti e, per accattivarsi Augusto, le diede il nome di Augusta, in greco Sebaste.
I Samaritani furono quasi sempre in guerra con i re di Giuda. Un'avversione profonda, risalente alla separazione, si perpetuò costantemente fra i due popoli che evitavano qualsiasi relazione reciproca. I Samaritani, per rendere la scissione ancora più profonda e non doversi recare a Gerusalemme per le celebrazioni delle feste religiose, costruirono un loro tempio e adottarono delle riforme: ammettevano solo il Pentateuco contenente le leggi di Mosè, rifiutando tutti gli altri libri annessi in seguito. I loro libri sacri erano scritti con i più antichi caratteri ebraici. Agli occhi degli Ebrei ortodossi, essi erano degli eretici e pertanto disprezzati, colpiti da anatemi e perseguitati. L'antagonismo fra le due fazioni si fondava dunque unicamente su divergenze di opinioni religiose, benché le loro credenze avessero la stessa origine. Erano i Protestanti di quei tempi.
Ancor oggi si trovano dei Samaritani in qualche contrada del Levante, particolarmente a Naplosa e a Giaffa. Essi osservano la legge di Mosè con maggiore rigore degli altri Ebrei e contraggono matrimonio solo fra di loro.
I Samaritani furono quasi sempre in guerra con i re di Giuda. Un'avversione profonda, risalente alla separazione, si perpetuò costantemente fra i due popoli che evitavano qualsiasi relazione reciproca. I Samaritani, per rendere la scissione ancora più profonda e non doversi recare a Gerusalemme per le celebrazioni delle feste religiose, costruirono un loro tempio e adottarono delle riforme: ammettevano solo il Pentateuco contenente le leggi di Mosè, rifiutando tutti gli altri libri annessi in seguito. I loro libri sacri erano scritti con i più antichi caratteri ebraici. Agli occhi degli Ebrei ortodossi, essi erano degli eretici e pertanto disprezzati, colpiti da anatemi e perseguitati. L'antagonismo fra le due fazioni si fondava dunque unicamente su divergenze di opinioni religiose, benché le loro credenze avessero la stessa origine. Erano i Protestanti di quei tempi.
Ancor oggi si trovano dei Samaritani in qualche contrada del Levante, particolarmente a Naplosa e a Giaffa. Essi osservano la legge di Mosè con maggiore rigore degli altri Ebrei e contraggono matrimonio solo fra di loro.
NAZARENI. Nome dato,
nell'antica legge, agli Ebrei che facevano voto, per la vita o per un
determinato tempo, di osservare un'esistenza perfettamente pura: si
impegnavano alla castità, all'astinenza dagli alcolici e a conservare la
chioma. Sansone, Samuele e Giovanni Battista erano Nazareni.
Più tardi gli Ebrei diedero questo nome ai primi cristiani in riferimento a Gesù di Nazareth.
È stato anche il nome di una setta eretica dei primi secoli dell'era cristiana la quale, come gli Ebioniti che ne adottarono alcuni principi, univa le pratiche mosaiche ai dogmi cristiani. Questa setta scompare nel quarto secolo.
Più tardi gli Ebrei diedero questo nome ai primi cristiani in riferimento a Gesù di Nazareth.
È stato anche il nome di una setta eretica dei primi secoli dell'era cristiana la quale, come gli Ebioniti che ne adottarono alcuni principi, univa le pratiche mosaiche ai dogmi cristiani. Questa setta scompare nel quarto secolo.
PUBBLICANI. Si chiamavano
così, nell'antica Roma, gli appaltatori di tasse pubbliche, incaricati
dell'esazione delle imposte e del reclutamento delle entrate di
qualsiasi natura, sia a Roma sia nelle altre parti dell'impero. Erano il
corrispettivo degli appaltatori generali, degli esattori dell'ancien régime in
Francia e di quelli che ancora esistono in alcuni paesi. I rischi che
correvano facevano chiudere un occhio sulle ricchezze che sovente
accumulavano e che, per molti, erano il prodotto di esazioni e di
profitti scandalosi. Il nome di pubblicano si estese più tardi a tutti
coloro che maneggiavano denaro pubblico e ai loro subalterni. Oggi
questo termine si usa in senso spregiativo per designare finanzieri e
faccendieri di pochi scrupoli. A volte si dice: «Avido come un
pubblicano; ricco come un pubblicano» riguardo a qualcuno che ha
accumulato una fortuna di origine sospetta.
Durante il dominio romano, le imposte furono la cosa che gli Ebrei accettarono con maggiore difficoltà e che causò il maggiore malcontento. Ne seguirono numerose rivolte, poiché gli Ebrei ne fecero una questione religiosa considerandole contrarie alla legge. Si formò anche un potente partito alla testa del quale c'era un certo Giuda, detto il Galonita, che aveva stabilito il principio del rifiuto delle imposte. I Giudei avevano dunque in orrore le imposte e, di conseguenza, tutti quelli che erano incaricati a riscuoterle. Da ciò derivò una forte avversione per i pubblicani, a qualsiasi rango essi appartenessero. Fra di loro potevano anche trovarsi individui stimabilissimi, ma, a causa del loro incarico, erano guardati con disprezzo. E anche quelli che li frequentavano venivano accomunati nella stessa riprovazione. Gli Ebrei di rango avrebbero temuto di compromettersi stabilendo con loro stretti rapporti personali.
Durante il dominio romano, le imposte furono la cosa che gli Ebrei accettarono con maggiore difficoltà e che causò il maggiore malcontento. Ne seguirono numerose rivolte, poiché gli Ebrei ne fecero una questione religiosa considerandole contrarie alla legge. Si formò anche un potente partito alla testa del quale c'era un certo Giuda, detto il Galonita, che aveva stabilito il principio del rifiuto delle imposte. I Giudei avevano dunque in orrore le imposte e, di conseguenza, tutti quelli che erano incaricati a riscuoterle. Da ciò derivò una forte avversione per i pubblicani, a qualsiasi rango essi appartenessero. Fra di loro potevano anche trovarsi individui stimabilissimi, ma, a causa del loro incarico, erano guardati con disprezzo. E anche quelli che li frequentavano venivano accomunati nella stessa riprovazione. Gli Ebrei di rango avrebbero temuto di compromettersi stabilendo con loro stretti rapporti personali.
GABELLIERI. Erano esattori
di modesto livello, incaricati principalmente di esigere il balzello per
il diritto di ingresso nelle città. La loro funzione corrispondeva,
grosso modo, a quella dei doganieri e degli esattori del dazio. In
generale, essi condividevano la riprovazione dei pubblicani. È per
questa ragione che nel Vangelo si trova sovente il nome pubblicano riferito a persona di malaffare. Questa
qualifica non implicava minimamente quella di corrotto e di persona
senza scrupoli. Era un termine spregiativo sinonimo di cattiva compagnia, indegna di essere frequentata dalle persone perbene.
FARISEI (dall'ebraico Parasch: divisione,
separazione). La tradizione costituiva una parte importante della
teologia giudaica. Consisteva nella raccolta delle interpretazioni che
in progressione di tempo venivano date al significato delle Scritture e
che erano diventate articoli di dogma. Fra i dottori, la tradizione era
oggetto di interminabili discussioni, la maggior parte delle volte su
una semplice questione di interpretazione di parole o di forma, sul
genere delle dispute teologiche o delle sottigliezze della scolastica
medioevale. Da questi contrasti nacquero varie sette che pretendevano di
avere ognuna il monopolio della verità e, come quasi sempre succede, si
detestavano cordialmente l’un l’altra.
Fra queste sette la più importante era quella dei Farisei, che ebbero come capo Hillel, dottore ebreo nato a Babilonia, fondatore di una celebre scuola, in cui si insegnava che la fede era data solo dalle Scritture. La sua origine si fa risalire al periodo che va dal 200 al 180 a.C. I Farisei furono perseguitati in diverse epoche, particolarmente sotto Hircano, sommo pontefice e re degli Ebrei, sotto Aristobalo e sotto Alessandro, re di Siria. Tuttavia, avendo quest'ultimo restituito loro beni e onori, essi riaffermarono la loro potenza, che conservarono fino alla caduta di Gerusalemme, avvenuta nell'anno 70 dell'era cristiana, epoca in cui il loro nome scomparve a seguito dell'esodo degli Ebrei.
I Farisei prendevano parte attiva alle controversie religiose. Servili osservanti delle pratiche esteriori del culto e del cerimoniale, pieni di ardente zelo di proselitismo, nemici degli innovatori, essi facevano mostra di una grande severità di principi. Ma, sotto le apparenze di una devozione scrupolosa, nascondevano costumi dissoluti, molto orgoglio e soprattutto un eccessivo amore per il potere. La religione era per loro un mezzo per imporsi piuttosto che l'oggetto di una fede sincera. Essi mostravano solo la facciata e l'ostentazione della virtù e riuscivano a esercitare una grande influenza sul popolo, ai cui occhi apparivano dei santi. Per questo erano molto potenti a Gerusalemme.
Essi credevano, o per lo meno facevano professione di credere, alla Provvidenza, all'immortalità dell'anima, alle pene eterne e alla resurrezione dei morti (vedere cap. IV, n. 4 di questa opera). Gesù, che apprezzava soprattutto la semplicità e le qualità del cuore, che della legge preferiva lo spirito che vivifica alla lettera che uccide, si impegnò, durante tutta la Sua missione, a smascherare la loro ipocrisia e, di conseguenza, se ne fece dei nemici accaniti. È per questo che essi si allearono ai principi dei sacerdoti per sobillare il popolo contro di Lui e farlo condannare.
Fra queste sette la più importante era quella dei Farisei, che ebbero come capo Hillel, dottore ebreo nato a Babilonia, fondatore di una celebre scuola, in cui si insegnava che la fede era data solo dalle Scritture. La sua origine si fa risalire al periodo che va dal 200 al 180 a.C. I Farisei furono perseguitati in diverse epoche, particolarmente sotto Hircano, sommo pontefice e re degli Ebrei, sotto Aristobalo e sotto Alessandro, re di Siria. Tuttavia, avendo quest'ultimo restituito loro beni e onori, essi riaffermarono la loro potenza, che conservarono fino alla caduta di Gerusalemme, avvenuta nell'anno 70 dell'era cristiana, epoca in cui il loro nome scomparve a seguito dell'esodo degli Ebrei.
I Farisei prendevano parte attiva alle controversie religiose. Servili osservanti delle pratiche esteriori del culto e del cerimoniale, pieni di ardente zelo di proselitismo, nemici degli innovatori, essi facevano mostra di una grande severità di principi. Ma, sotto le apparenze di una devozione scrupolosa, nascondevano costumi dissoluti, molto orgoglio e soprattutto un eccessivo amore per il potere. La religione era per loro un mezzo per imporsi piuttosto che l'oggetto di una fede sincera. Essi mostravano solo la facciata e l'ostentazione della virtù e riuscivano a esercitare una grande influenza sul popolo, ai cui occhi apparivano dei santi. Per questo erano molto potenti a Gerusalemme.
Essi credevano, o per lo meno facevano professione di credere, alla Provvidenza, all'immortalità dell'anima, alle pene eterne e alla resurrezione dei morti (vedere cap. IV, n. 4 di questa opera). Gesù, che apprezzava soprattutto la semplicità e le qualità del cuore, che della legge preferiva lo spirito che vivifica alla lettera che uccide, si impegnò, durante tutta la Sua missione, a smascherare la loro ipocrisia e, di conseguenza, se ne fece dei nemici accaniti. È per questo che essi si allearono ai principi dei sacerdoti per sobillare il popolo contro di Lui e farlo condannare.
SCRIBI.
Nome dato in principio ai segretari dei re di Giudea e a certi
intendenti dell'esercito ebraico. Più tardi questa denominazione venne
applicata soprattutto ai dottori che insegnavano la legge di Mosè e la
interpretavano per il popolo. Essi facevano causa comune con i Farisei,
di cui condividevano i principi e l'avversione per gli innovatori. È per
questo che Gesù li accomunava nella stessa riprovazione.
SINAGOGA (dal greco synagōghē, assemblea,
congregazione). In Giudea c'era un solo tempio, quello di Salomone a
Gerusalemme, dove si celebravano le grandi solennità del culto. Gli
Ebrei, tutti gli anni, vi si recavano in pellegrinaggio per le feste
principali, come la Pasqua, la Dedicazione e i Tabernacoli. È in queste
occasioni che Gesù fece numerosi viaggi. Le altre città non avevano
templi, ma sinagoghe, edifici dove gli Ebrei si riunivano nei giorni di
sabato per le preghiere pubbliche, sotto la guida degli Anziani, degli
Scribi o dei Dottori della Legge. Vi si facevano anche le letture tratte
dai libri sacri, che venivano spiegate e commentate, e tutti potevano
prendervi parte. Per questo Gesù, senza essere un sacerdote, insegnava
nelle sinagoghe nei giorni di sabato.
Dopo la caduta di Gerusalemme e l'esodo degli Ebrei, le sinagoghe, nelle città in cui si trovavano, servirono da templi per la celebrazione del culto.
Dopo la caduta di Gerusalemme e l'esodo degli Ebrei, le sinagoghe, nelle città in cui si trovavano, servirono da templi per la celebrazione del culto.
SADDUCEI. Setta ebraica formatasi verso il 248 a.C., detta così da Sadoc, suo
fondatore. I Sadducei non credevano all'immortalità dell'anima né alla
resurrezione e neppure agli angeli, buoni e cattivi. Benché credessero
in Dio, non si aspettavano niente dopo la morte e Lo servivano solo in
vista di ricompense temporali perché, secondo loro, solo a questo si
limitava la Sua Provvidenza. Così la soddisfazione dei sensi era, ai
loro occhi, lo scopo essenziale della vita. Quanto alle Scritture, si
attenevano al testo dell'antica legge, non ammettevano né la tradizione
né alcuna interpretazione. Essi collocavano le buone opere e
l'osservanza pura e semplice della legge al di sopra della pratica
esteriore del culto. Erano, come si può notare, i materialisti, i teisti
e i sensualisti dell'epoca. Questa setta era poco numerosa, ma contava
personaggi importanti e divenne un partito politico costantemente
avverso ai Farisei.
ESSENI.
Setta ebraica formatasi verso il 150 a.C., ai tempi dei Maccabei, i cui
membri, che abitavano in specie di monasteri, formavano fra loro una
sorta di associazione morale e religiosa. Si distinguevano per la
dolcezza dei costumi e l'austerità della morale, insegnavano l'amore di
Dio e del prossimo, l'immortalità dell'anima e credevano nella
resurrezione. Osservavano il celibato, condannavano la schiavitù e la
guerra, mettevano i loro beni in comune e si dedicavano all'agricoltura.
In antitesi ai sensuali Sadducei, che negavano l’immortalità, e ai
Farisei rigorosi riguardo le pratiche esteriori e la virtù solo
apparente, non presero mai parte alle dispute che dividevano queste due
sette. Il loro genere di vita si avvicinava a quello dei primi
Cristiani, e i principi della morale che professavano spingono alcuni a
pensare che Gesù vi abbia fatto parte prima di iniziare la Sua missione
pubblica. Certo è che deve averli conosciuti, ma niente prova che ne sia
stato un affiliato, e tutto ciò che è stato scritto a questo proposito è
ipotetico.[2]
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[2] La Morte di Gesù, opera attribuita a un fratello esseno, è un libro completamente apocrifo, scritto allo scopo di avallare una certa opinione, e contiene la prova della sua origine moderna.
TERAPEUTI (dal greco therapeutai, derivato da therapéuein, servire
e curare, ossia servitori di Dio e guaritori). Settari ebraici
contemporanei di Cristo, stabilitisi principalmente ad Alessandria
d'Egitto, erano in stretto rapporto con gli Esseni, di cui professavano i
principi, e come loro si erano consacrati alla pratica di tutte le
virtù. Si nutrivano in modo estremamente frugale. Votati al celibato,
alla contemplazione e alla vita solitaria, formavano un vero e proprio
ordine religioso. Filone, filosofo platonico, ebreo di Alessandria, è
stato il primo a parlare dei Terapeuti. Egli li considera una setta del
giudaismo. Eusebio, san Girolamo e altri Padri della Chiesa pensavano
che fossero Cristiani. Comunque, sia che fossero giudei o cristiani, è
evidente che, come gli Esseni, essi costituivano il tratto d'unione fra
il giudaismo e il cristianesimo.
4. Socrate e Platone precursori dell'idea Cristiana e dello Spiritismo
Stando al fatto che Gesù ha dovuto conoscere la setta degli Esseni, sarebbe errato dedurre che vi abbia attinto la sua dottrina e che, se fosse vissuto in un altro contesto storico, avrebbe professato altri principi. Le grandi idee non emergono mai tutt'a un tratto. Quelle che si basano sulla verità hanno sempre dei precursori che ne aprono parzialmente il cammino. Poi, quando giunge il tempo, Dio invia un uomo con la missione di riassumere, coordinare e completare questi elementi sparsi e di formarne un corpo unico. Perciò l'idea, non arrivando bruscamente, trova al suo apparire degli spiriti completamente disposti ad accettarla. Così è stato dell'idea cristiana, presentita parecchi secoli prima di Cristo e degli Esseni, e di cui Socrate e Platone sono stati i principali precursori.
Socrate, come Cristo, non ha scritto nulla o, per lo meno, non ha lasciato niente di scritto. Come Cristo, è morto di morte violenta, vittima del fanatismo per aver attaccato le credenze correnti e posto la virtù reale al di sopra dell'ipocrisia e del simulacro della forma, in una parola, per aver combattuto i pregiudizi religiosi. Come Gesù fu accusato dai Farisei di corrompere il popolo con i suoi insegnamenti, così anche Socrate fu accusato dai Farisei del suo tempo — giacché ogni epoca ha avuto i suoi Farisei — di corrompere la gioventù proclamando il dogma dell'unità di Dio, dell'immortalità dell'anima e della vita futura. Inoltre noi conosciamo la dottrina di Gesù solo attraverso gli scritti dei Suoi discepoli, così come conosciamo quella di Socrate attraverso gli scritti del suo discepolo Platone. Noi riteniamo utile riassumere qui i punti salienti per mostrare le concordanze con i principi del cristianesimo.
A coloro i quali considerassero questo parallelo una profanazione e pretendessero che non ci possa essere equivalente fra la dottrina di un pagano e quella di Cristo, noi risponderemo che la dottrina di Socrate non è pagana, poiché ebbe lo scopo di combattere il paganesimo; che la dottrina di Gesù, più completa e più pura di quella di Socrate, non ha niente da perdere dal confronto; che la grandezza della missione divina di Cristo non ne viene sminuita; che, d'altra parte, non si può soffocare la Storia. L'uomo è arrivato a un tale livello che la luce traspare da se stessa da sotto il moggio, ed è maturo per guardarla in faccia. Peggio per coloro che non vogliono aprire gli occhi. È venuto il tempo di considerare le cose a Vasto raggio e dall'alto, non più dal punto di vista meschino e ristretto degli interessi settari e di casta.
Queste citazioni dimostreranno inoltre che, se Socrate e Platone hanno presentito le idee cristiane, nella loro dottrina si trovano pure i principi fondamentali dello Spiritismo.
Compendio della dottrina di Socrate e di Platone
I. L'uomo è un'anima incarnata. Prima
della sua incarnazione essa esisteva già, unita ai tipi primordiali e
alle idee del vero, del bene e del bello. Se ne è separata incarnandosi
e, ricordandosi il suo passato, è più o meno tormentata dal desiderio di ritornarvi.
Questo enunciato spiega nel modo più chiaro possibile la distinzione e l'indipendenza del principio intelligente e del principio materiale. Esiste inoltre la dottrina della preesistenza dell'anima, della vaga intuizione che essa conserva di un altro mondo al quale aspira, della sua sopravvivenza al corpo, della sua uscita dal mondo spirituale per incarnarsi, e del rientro in questo stesso mondo dopo la morte. È infine, in germe, la dottrina della caduta degli Angeli.
Questo enunciato spiega nel modo più chiaro possibile la distinzione e l'indipendenza del principio intelligente e del principio materiale. Esiste inoltre la dottrina della preesistenza dell'anima, della vaga intuizione che essa conserva di un altro mondo al quale aspira, della sua sopravvivenza al corpo, della sua uscita dal mondo spirituale per incarnarsi, e del rientro in questo stesso mondo dopo la morte. È infine, in germe, la dottrina della caduta degli Angeli.
II. L'anima
si smarrisce e si confonde quando si serve del colpo per considerare
qualcosa, ha delle vertigini come se fosse ebbra perché si aggrappa a
cose che sono, per loro natura, soggette a mutamenti. Invece, quando
contempla la sua stessa essenza, si rapporta a ciò che è puro, eterno e
immortale, ed essendo della stessa natura, vi permane estasiata il
maggior tempo possibile. Allora i suoi turbamenti cessano, perché essa è
unita a ciò che è immutabile, ed è questo stato dell'anima che noi
chiamiamo saggezza.
Pertanto l'uomo che considera le cose dal basso, terra terra, dal
punto di vista materiale, si fa delle illusioni. Per apprezzarle equamente, bisogna vederle dall'alto, cioè da un punto di vista spirituale. Il vero saggio deve dunque in qualche modo isolare l'anima dal corpo, per vedere con gli occhi dello spirito. Ed è ciò che insegna lo Spiritismo (vedere cap. II, n. 5 di questa opera).
Pertanto l'uomo che considera le cose dal basso, terra terra, dal
punto di vista materiale, si fa delle illusioni. Per apprezzarle equamente, bisogna vederle dall'alto, cioè da un punto di vista spirituale. Il vero saggio deve dunque in qualche modo isolare l'anima dal corpo, per vedere con gli occhi dello spirito. Ed è ciò che insegna lo Spiritismo (vedere cap. II, n. 5 di questa opera).
III. Fintanto
che noi avremo il nostro corpo, e l'anima si troverà immersa in questa
corruzione, non saremo mai in possesso dell'oggetto dei nostri desideri:
la verità. Infatti, il corpo ci oppone moltissimi ostacoli per il fatto
di dover prendercene cura. Inoltre, ci riempie di desideri, di
appetiti, di timori, di mille chimere e di mille sciocchezze, cosicché
con il corpo è impossibile essere saggi anche solo per un istante. Ma se
è impossibile la conoscenza pura mentre l'anima convive con il corpo,
delle due l'una: o non conoscere mai la verità o conoscerla dopo la
morte. Affrancati dalla follia del corpo, converseremo allora, è
ragionevole pensarlo, con uomini ugualmente liberi e conosceremo da noi
stessi l'essenza delle cose.
È per questo che i veri filosofi si preparano a morire, e la morte non sembra loro per niente temibile. (Allan Kardec, Il Cielo e l'Inferno, 1a parte, cap. II; 2a parte, cap. I)
Qui sta il principio delle facoltà dell'anima offuscate dalle interferenze degli organi fisici, e dell'espandersi di queste facoltà dopo la morte. Ma qui si tratta solo delle anime elette; non è lo stesso per le anime impure.
È per questo che i veri filosofi si preparano a morire, e la morte non sembra loro per niente temibile. (Allan Kardec, Il Cielo e l'Inferno, 1a parte, cap. II; 2a parte, cap. I)
Qui sta il principio delle facoltà dell'anima offuscate dalle interferenze degli organi fisici, e dell'espandersi di queste facoltà dopo la morte. Ma qui si tratta solo delle anime elette; non è lo stesso per le anime impure.
IV.
L'anima allo stato impuro è appesantita e viene trascinata di nuovo
verso il mondo visibile dall'orrore dell'invisibile e dell'immateriale.
Essa allora erra, dicono, intorno a monumenti e tombe, dove si sono
visti a volte dei fantasmi tenebrosi, come devono essere le immagini
delle anime che hanno lasciato il corpo senza essere completamente pure e
che trattengono ancora qualcosa di materiale, cosa che permette
all'occhio di percepirle. Queste non sono le anime dei buoni, bensì dei
cattivi, obbligate a errare in questi luoghi dove portano le pene della
loro vita precedente e dove continuano a errare finché il loro
attaccamento alla materia le riconduce in un corpo. E allora esse
riprendono sicuramente le stesse abitudini che, durante la vita
precedente, avevano costituito le loro preferenze.
Non solamente il principio della reincarnazione è qui chiaramente espresso. Ma anche lo stato delle anime, che sono ancora sotto il dominio della materia, è descritto esattamente così come lo Spiritismo lo mostra nelle evocazioni. Questo principio dice inoltre che la reincarnazione è una conseguenza dell'impurità dell'anima, mentre l'anima purificata ne è libera. Lo Spiritismo non dice diversamente. Aggiunge solo che l'anima, che errando ha preso buone soluzioni e che ha conoscenze acquisite, rinascendo porta con sé meno difetti, più virtù e più idee intuitive di quante non ne avesse avute nella precedente esistenza. E così ogni esistenza rappresenta un progresso morale e intellettuale. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte: "Esempi")
Non solamente il principio della reincarnazione è qui chiaramente espresso. Ma anche lo stato delle anime, che sono ancora sotto il dominio della materia, è descritto esattamente così come lo Spiritismo lo mostra nelle evocazioni. Questo principio dice inoltre che la reincarnazione è una conseguenza dell'impurità dell'anima, mentre l'anima purificata ne è libera. Lo Spiritismo non dice diversamente. Aggiunge solo che l'anima, che errando ha preso buone soluzioni e che ha conoscenze acquisite, rinascendo porta con sé meno difetti, più virtù e più idee intuitive di quante non ne avesse avute nella precedente esistenza. E così ogni esistenza rappresenta un progresso morale e intellettuale. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte: "Esempi")
V. Dopo la nostra morte, l'angelo (daimon, demone)
che ci era stato assegnato durante la nostra vita, ci porta in un luogo
dove si riuniscono tutti coloro che devono essere condotti nell'Ade per
esservi giudicati. Le anime, dopo aver soggiornato nell'Ade il tempo
necessario, vengono ricondotte in questa vita per numerosi e prolungati periodi.
È la dottrina degli Angeli Custodi, o Spiriti protettori, e delle reincarnazioni successive dopo intervalli più o meno lunghi in cui errano.
È la dottrina degli Angeli Custodi, o Spiriti protettori, e delle reincarnazioni successive dopo intervalli più o meno lunghi in cui errano.
VI.
I demoni colmano l'intervallo che intercorre fra Cielo e Terra; sono il
legame che unisce il Grande Tutto a se stesso, La divinità non entra
mai in contatto diretto con l'uomo, ma è attraverso la mediazione dei
demoni che gli dei trattano e si intrattengono con lui, sia durante la
veglia sia durante il sonno.
La parola daimon, da cui deriva demone, non veniva considerata in senso negativo come succede oggi; non ci si riferiva assolutamente a esseri cattivi, bensì a tutti gli Spiriti in generale, fra i quali si distinguevano gli Spiriti superiori chiamati gli dei, e gli Spiriti meno elevati, o demoni propriamente detti, che comunicavano direttamente con gli uomini. Lo Spiritismo dice inoltre che gli Spiriti popolano lo spazio; che Dio comunica con gli uomini solamente attraverso Spiriti puri incaricati di trasmettere la Sua volontà; che gli Spiriti comunicano con gli uomini durante la veglia e il sonno. Sostituite la parola demone con la parola Spirito e avrete la Dottrina Spiritista; sostituitela con la parola angelo e avrete la Dottrina Cristiana.
La parola daimon, da cui deriva demone, non veniva considerata in senso negativo come succede oggi; non ci si riferiva assolutamente a esseri cattivi, bensì a tutti gli Spiriti in generale, fra i quali si distinguevano gli Spiriti superiori chiamati gli dei, e gli Spiriti meno elevati, o demoni propriamente detti, che comunicavano direttamente con gli uomini. Lo Spiritismo dice inoltre che gli Spiriti popolano lo spazio; che Dio comunica con gli uomini solamente attraverso Spiriti puri incaricati di trasmettere la Sua volontà; che gli Spiriti comunicano con gli uomini durante la veglia e il sonno. Sostituite la parola demone con la parola Spirito e avrete la Dottrina Spiritista; sostituitela con la parola angelo e avrete la Dottrina Cristiana.
VII. La preoccupazione costante del filosofo (nel senso in cui veniva inteso da Socrate e Platone) è di
farsi carico della massima cura dell'anima, non tanto per questa vita,
che rappresenta solo un istante, quanto in vista dell'eternità. Se
l'anima è immortale, non è forse saggio vivere in funzione
dell'eternità?
Il Cristianesimo e lo Spiritismo insegnano la stessa cosa.
Il Cristianesimo e lo Spiritismo insegnano la stessa cosa.
VIII.
Se l'anima è immateriale, dovrà andare, dopo questa vita, in un mondo
ugualmente invisibile e immateriale, così come il corpo decomponendosi
ritorna alla materia. Però, bisogna distinguere bene l'anima pura,
veramente immateriale che si nutre, come Dio, di sapere e di pensiero,
dall'anima più o meno contaminata da impurità materiali, che le
impediscono di elevarsi verso il divino, e la trattengono nei luoghi del
suo passaggio terreno.
Socrate e Platone, come si vede, comprendevano perfettamente i differenti gradi di smaterializzazione dell'anima. Essi insistono sulla differenza di situazioni, derivante dal più o meno elevato livello di purezza dell'anima stessa. Ciò che essi dicevano per intuizione, lo Spiritismo lo dimostra con i numerosi esempi che ci mette sotto gli occhi. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte)
Socrate e Platone, come si vede, comprendevano perfettamente i differenti gradi di smaterializzazione dell'anima. Essi insistono sulla differenza di situazioni, derivante dal più o meno elevato livello di purezza dell'anima stessa. Ciò che essi dicevano per intuizione, lo Spiritismo lo dimostra con i numerosi esempi che ci mette sotto gli occhi. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte)
IX.
Se la morte fosse la dissoluzione completa dell'uomo, sarebbe un grande
vantaggio per i cattivi liberarsi simultaneamente, dopo la morte, di
corpo, anima e vizi. Chi ha ornato la propria anima, non con ornamenti
estranei, ma idonei, solo questi potrà attendere serenamente l'ora della
sua dipartita per l'Aldilà.
In altri termini, sarebbe come sostenere che il materialismo, che proclama il niente dopo la morte, ossia l'annullamento di qualsiasi ulteriore responsabilità morale, è di conseguenza un incitamento al male; che il cattivo ha tutto da guadagnarci dal male; che solo l'uomo, che si è spogliato dei suoi vizi e si è arricchito di virtù, può tranquillamente attendere il risveglio nell'altra vita. Lo Spiritismo ci mostra, con gli esempi che ci mette giornalmente sotto gli occhi, com'è penoso per il malvagio il passaggio da una vita all'altra e l'ingresso nella vita futura. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte, cap. I)
In altri termini, sarebbe come sostenere che il materialismo, che proclama il niente dopo la morte, ossia l'annullamento di qualsiasi ulteriore responsabilità morale, è di conseguenza un incitamento al male; che il cattivo ha tutto da guadagnarci dal male; che solo l'uomo, che si è spogliato dei suoi vizi e si è arricchito di virtù, può tranquillamente attendere il risveglio nell'altra vita. Lo Spiritismo ci mostra, con gli esempi che ci mette giornalmente sotto gli occhi, com'è penoso per il malvagio il passaggio da una vita all'altra e l'ingresso nella vita futura. (Il Cielo e l'Inferno, 2a parte, cap. I)
X. Il
colpo conserva segni ben evidenti delle cure che gli sono state
prestate o degli infortuni in cui è incorso. Lo stesso è dell'anima.
Quando è spogliata del corpo, essa porta le tracce evidenti del suo
carattere, dei suoi affetti e delle impronte che ogni atto della vita le
ha lasciato. Così la più grande disgrazia che possa accadere a un uomo è
quella di andare nell'Aldilà con l'anima carica di colpe. Tu vedi,
Calliclate, come né tu né Polo né Gorgia sapreste provare che dobbiamo
condurre altra vita se non quella utile per quando saremo là. Fra tante
opinioni diverse, l'unica che resta incrollabile è quella secondo cui è meglio ricevere che commettere un'ingiustizia, e ci si deve innanzi tutto impegnare non ad apparire un uomo dabbene, ma a esserlo. (Dialoghi di Socrate dal carcere ai suoi discepoli)
Qui si ritrova un altro punto capitale, confermato oggi dall'esperienza, secondo il quale l'anima non purificata conserva le idee, le tendenze, il carattere e le passioni che aveva sulla Terra. La massima: meglio ricevere che commettere un'ingiustizia, non è forse perfettamente cristiana? È lo stesso pensiero che Gesù esprime con questa figura retorica: «Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra» (vedere cap. XII, nn. 7 e 8 di questa opera).
Qui si ritrova un altro punto capitale, confermato oggi dall'esperienza, secondo il quale l'anima non purificata conserva le idee, le tendenze, il carattere e le passioni che aveva sulla Terra. La massima: meglio ricevere che commettere un'ingiustizia, non è forse perfettamente cristiana? È lo stesso pensiero che Gesù esprime con questa figura retorica: «Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra» (vedere cap. XII, nn. 7 e 8 di questa opera).
XI. Delle
due l'una: o la morte è la fine di tutto oppure è il passaggio
dell'anima in un altro luogo. Se tutto deve finire, la morte è come una
di quelle rare notti che passiamo senza sognare e senza coscienza di noi
stessi. Ma se la morte è solo un cambiamento di dimora, il passaggio in
un altro luogo dove i trapassati devono riunirsi, che felicità sarà
incontrare quelli che si sono conosciuti! Il mio più grande piacere
sarebbe esaminare da vicino gli abitanti di questo luogo e di
distinguervi, come qui, i saggi da quelli che credono di esserlo e non
lo sono. Ma è tempo di lasciarci, io per morire e voi per vivere. (Socrate ai suoi giudici)
Secondo Socrate, gli uomini vissuti sulla Terra si ritrovano dopo la morte e si riconoscono. Lo Spiritismo ce li mostra che continuano ad avere i rapporti che ebbero, di modo che la morte non è né un'interruzione né la cessazione della vita, ma una trasformazione.
Se Socrate e Platone avessero conosciuto gli insegnamenti che Gesù diede cinquecento anni dopo, e che gli Spiriti danno oggi, non avrebbero parlato diversamente. In ciò non vi è nulla che possa sorprendere, se si considera che le grandi verità sono eterne e che gli Spiriti progrediti hanno dovuto conoscerle prima di venire sulla Terra, dove le hanno diffuse; che Socrate, Platone e i grandi filosofi dei loro tempi hanno potuto far parte, più tardi, del novero di coloro che hanno assecondato Gesù nella Sua divina missione; che sono stati scelti esattamente per essere più di altri in grado di comprenderne i divini insegnamenti; e che infine possono attualmente far parte della pleiade degli Spiriti incaricati di venire a insegnare agli uomini le stesse verità.
Secondo Socrate, gli uomini vissuti sulla Terra si ritrovano dopo la morte e si riconoscono. Lo Spiritismo ce li mostra che continuano ad avere i rapporti che ebbero, di modo che la morte non è né un'interruzione né la cessazione della vita, ma una trasformazione.
Se Socrate e Platone avessero conosciuto gli insegnamenti che Gesù diede cinquecento anni dopo, e che gli Spiriti danno oggi, non avrebbero parlato diversamente. In ciò non vi è nulla che possa sorprendere, se si considera che le grandi verità sono eterne e che gli Spiriti progrediti hanno dovuto conoscerle prima di venire sulla Terra, dove le hanno diffuse; che Socrate, Platone e i grandi filosofi dei loro tempi hanno potuto far parte, più tardi, del novero di coloro che hanno assecondato Gesù nella Sua divina missione; che sono stati scelti esattamente per essere più di altri in grado di comprenderne i divini insegnamenti; e che infine possono attualmente far parte della pleiade degli Spiriti incaricati di venire a insegnare agli uomini le stesse verità.
XII.
Non si deve mai rendere ingiustizia per ingiustizia né fare del male a
chicchessia per quanto male ci abbia fatto. Ciononostante, poche persone
accettano questo principio, e quelli che non sono d'accordo non possono
che disprezzarsi reciprocamente.
Non è questo forse il principio della carità, che ci insegna a non rendere mai male per male e a perdonare i nostri nemici?
Non è questo forse il principio della carità, che ci insegna a non rendere mai male per male e a perdonare i nostri nemici?
XIII.
È dai frutti che si riconosce l'albero. Bisogna giudicare ogni azione
per quel che produce: chiamarla malvagia quando ne proviene del male,
buona quando ne nasce del bene.
Questa massima: «È dai frutti che si riconosce l'albero» si trova ripetuta più volte nel Vangelo.
Questa massima: «È dai frutti che si riconosce l'albero» si trova ripetuta più volte nel Vangelo.
XIV.
La ricchezza è un grande pericolo. Qualsiasi uomo che ami la ricchezza
non ama se stesso né ciò che possiede, ma qualcosa che gli è ancora più
estraneo di ciò che gli appartiene (vedere cap. XVI di quest'opera).
XV.
Le più belle preghiere e i più bei sacrifici piacciono alla Divinità
meno di un'anima virtuosa che si sforzi di assomigliarle. Sarebbe grave
se gli dei dessero più importanza alle nostre offerte che alla nostra
anima. Se così fosse, i più colpevoli potrebbero propiziarseli. Ma non
esistono altri veramente giusti e saggi se non quelli che, con le loro
parole e i loro atti, adempiono il loro compito riguardo a ciò che
devono agli dei e agli uomini (vedere cap. X, nn. 7 e 8 di quest'opera).
XVI.
Io chiamo uomo vizioso colui che ama più il corpo dell'anima. L'amore,
che è ovunque nella natura e che ci invita a esercitare la nostra
intelligenza, lo si trova persino nel moto degli astri. È l'amore che
addobba la natura con i suoi ricchi tappeti, la abbellisce e fissa la
sua dimora là dove si trovano fiori e profumi. È ancora l'amore che dà
la pace agli uomini, la calma ai mari, il silenzio ai venti e la tregua
al dolore.
L'amore che deve unire gli uomini con un legame fraterno è in accordo con questa teoria di Platone sull'amore universale come legge della natura. Socrate, avendo detto che l'amore non è né un dio né un mortale, ma un grande demone», ossia un grande Spirito che presiede l'amore universale, fu per questo imputato di empietà.
L'amore che deve unire gli uomini con un legame fraterno è in accordo con questa teoria di Platone sull'amore universale come legge della natura. Socrate, avendo detto che l'amore non è né un dio né un mortale, ma un grande demone», ossia un grande Spirito che presiede l'amore universale, fu per questo imputato di empietà.
XVII. La virtù non può essere insegnata; chi la possiede l'ha ricevuta da Dio come un dono.
È più o meno la dottrina cristiana della grazia. Ma se la virtù è un dono di Dio, è un favore, allora ci si può chiedere perché non venga concessa a tutti. D'altro canto, se è un dono, chi la possiede non ne ha alcun merito. Lo Spiritismo è più esplicito. Dice che colui che la possiede l'ha acquisita con fatica nelle esistenze che si sono precedentemente succedute, spogliandolo man mano delle sue imperfezioni. La grazia è la forza con cui Dio favorisce tutti gli uomini di buona volontà, affinché si spoglino del male e facciano il bene.
È più o meno la dottrina cristiana della grazia. Ma se la virtù è un dono di Dio, è un favore, allora ci si può chiedere perché non venga concessa a tutti. D'altro canto, se è un dono, chi la possiede non ne ha alcun merito. Lo Spiritismo è più esplicito. Dice che colui che la possiede l'ha acquisita con fatica nelle esistenze che si sono precedentemente succedute, spogliandolo man mano delle sue imperfezioni. La grazia è la forza con cui Dio favorisce tutti gli uomini di buona volontà, affinché si spoglino del male e facciano il bene.
XVIII. È una naturale predisposizione di tutti accorgersi più dei difetti degli altri che dei propri.
Il Vangelo dice «Perchéguardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?» (Vedere cap. X, nn. 9 e 10 di quest'opera).
Il Vangelo dice «Perchéguardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?» (Vedere cap. X, nn. 9 e 10 di quest'opera).
XIX. Se,
nella maggior parte dei casi, i medici non ottengono buoni risultati, è
perché curano il corpo senza preoccuparsi dell'anima. Infatti, se il
tutto non è in buone condizioni, è impossibile che la parte stia bene.
Lo Spiritismo offre la chiave dei rapporti esistenti fra anima e corpo e dimostra che c'è una reazione costante dell'una sull'altro. Apre così una nuova via alla scienza e, mostrandole la vera causa di certe affezioni, le fornisce i mezzi per combatterle. Quando la scienza terrà conto dell'influenza della componente spirituale nell'economia organica, essa scienza registrerà un minor numero di insuccessi.
Lo Spiritismo offre la chiave dei rapporti esistenti fra anima e corpo e dimostra che c'è una reazione costante dell'una sull'altro. Apre così una nuova via alla scienza e, mostrandole la vera causa di certe affezioni, le fornisce i mezzi per combatterle. Quando la scienza terrà conto dell'influenza della componente spirituale nell'economia organica, essa scienza registrerà un minor numero di insuccessi.
XX. Tutti gli uomini, fin dall'infanzia, praticano più il male che il bene.
Queste parole di Socrate toccano la grave questione della predominanza del male sulla Terra, questione insolubile senza la conoscenza della pluralità dei mondi e del destino della Terra, dove abita soltanto una piccola parte dell'umanità. Solo lo Spiritismo ne dà la soluzione, che è stata sviluppata qui di seguito, nei capitoli II, III e V.
Queste parole di Socrate toccano la grave questione della predominanza del male sulla Terra, questione insolubile senza la conoscenza della pluralità dei mondi e del destino della Terra, dove abita soltanto una piccola parte dell'umanità. Solo lo Spiritismo ne dà la soluzione, che è stata sviluppata qui di seguito, nei capitoli II, III e V.
XXI. C'è della saggezza nel non credere di sapere quanto tu non sai.
Questa massima è rivolta a coloro che criticano ciò di cui sovente non conoscono una parola. Platone completa questo pensiero di Socrate dicendo: «Cerchiamo innanzi tutto, se possibile, di renderli più onesti nelle parole. Altrimenti non preoccupiamoci di loro e cerchiamo solamente la verità. Facciamo in modo di istruirci, ma non pronunciamo ingiurie,. È così che devono agire gli Spiritisti riguardo a coloro che li contraddicono, siano essi in buona o cattiva fede. Se Platone fosse in vita oggi, troverebbe le cose più o meno come ai suoi tempi e potrebbe usare lo stesso linguaggio. Anche Socrate troverebbe delle persone pronte a schernire chi crede negli Spiriti e a trattarlo come un pazzo, cosa che farebbero anche con il suo discepolo Platone.
È per aver professato questi principi che Socrate venne prima beffeggiato, poi accusato di empietà e condannato infine a bere la cicuta. Infatti le nuove grandi verità, andando a urtare interessi e pregiudizi, non possono imporsi senza lotta e senza fare dei martiri.
Questa massima è rivolta a coloro che criticano ciò di cui sovente non conoscono una parola. Platone completa questo pensiero di Socrate dicendo: «Cerchiamo innanzi tutto, se possibile, di renderli più onesti nelle parole. Altrimenti non preoccupiamoci di loro e cerchiamo solamente la verità. Facciamo in modo di istruirci, ma non pronunciamo ingiurie,. È così che devono agire gli Spiritisti riguardo a coloro che li contraddicono, siano essi in buona o cattiva fede. Se Platone fosse in vita oggi, troverebbe le cose più o meno come ai suoi tempi e potrebbe usare lo stesso linguaggio. Anche Socrate troverebbe delle persone pronte a schernire chi crede negli Spiriti e a trattarlo come un pazzo, cosa che farebbero anche con il suo discepolo Platone.
È per aver professato questi principi che Socrate venne prima beffeggiato, poi accusato di empietà e condannato infine a bere la cicuta. Infatti le nuove grandi verità, andando a urtare interessi e pregiudizi, non possono imporsi senza lotta e senza fare dei martiri.
Capitolo I - NON SONO VENUTO PER ABOLIRE LA LEGGE
1. Non
pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono
venuto non per abolire ma per portare a compimento. Poiché in verità vi
dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o
un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto. (Matteo 5:17-18)
Mosè
2. Ci sono due parti
distinte nella legge mosaica: la legge di Dio promulgata sul monte Sinai
e la legge civile o disciplinare stabilita da Mosè. La prima è
immutabile; la seconda, adeguata ai costumi e al carattere del popolo,
si modifica con i tempi.
La legge di Dio è formulata nei seguenti dieci comandamenti:
I — Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. Non farti scultura né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire.
II — Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano.
III — Ricordati del giorno del riposo per santificarlo.
IV — Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.
V — Non uccidere.
VI — Non commettere adulterio.
VII — Non rubare.
VIII — Non attestare il falso contro il tuo prossimo.
IX — Non desiderare la moglie del tuo prossimo.
X — Non desiderare la casa del tuo prossimo né il suo servo né la sua serva né il suo bue né il suo asino né cosa alcuna del tuo prossimo. (Esodo 20)
Questa legge è di tutti i tempi e di tutti i paesi, e ha, proprio per questo, carattere divino. Tutte le altre sono le leggi stabilite da Mosè, obbligato a tenere in soggezione un popolo per sua natura turbolento e indisciplinato, di cui doveva combattere abusi radicati e pregiudizi mutuati durante la schiavitù in Egitto. Per dare autorevolezza alla sua legge, ha dovuto conferirle un'origine divina, come hanno fatto tutti i legislatori di popoli primitivi. L'autorità dell'uomo doveva poggiare sull'autorità di Dio. Infatti soltanto l'idea di un Dio terribile poteva impressionare degli uomini ignoranti, presso i quali il senso morale e il sentimento di una giustizia, a loro estranei, erano ancora poco sviluppati, perché da poco acquisiti. È evidente che uno che aveva posto nei suoi comandamenti: ,Non uccidere» e «Non fare del male al tuo prossimo» non poteva contraddirsi facendo dello sterminio un dovere. Le leggi mosaiche, propriamente dette, avevano dunque un carattere essenzialmente transitorio.
La legge di Dio è formulata nei seguenti dieci comandamenti:
I — Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. Non farti scultura né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire.
II — Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano.
III — Ricordati del giorno del riposo per santificarlo.
IV — Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.
V — Non uccidere.
VI — Non commettere adulterio.
VII — Non rubare.
VIII — Non attestare il falso contro il tuo prossimo.
IX — Non desiderare la moglie del tuo prossimo.
X — Non desiderare la casa del tuo prossimo né il suo servo né la sua serva né il suo bue né il suo asino né cosa alcuna del tuo prossimo. (Esodo 20)
Questa legge è di tutti i tempi e di tutti i paesi, e ha, proprio per questo, carattere divino. Tutte le altre sono le leggi stabilite da Mosè, obbligato a tenere in soggezione un popolo per sua natura turbolento e indisciplinato, di cui doveva combattere abusi radicati e pregiudizi mutuati durante la schiavitù in Egitto. Per dare autorevolezza alla sua legge, ha dovuto conferirle un'origine divina, come hanno fatto tutti i legislatori di popoli primitivi. L'autorità dell'uomo doveva poggiare sull'autorità di Dio. Infatti soltanto l'idea di un Dio terribile poteva impressionare degli uomini ignoranti, presso i quali il senso morale e il sentimento di una giustizia, a loro estranei, erano ancora poco sviluppati, perché da poco acquisiti. È evidente che uno che aveva posto nei suoi comandamenti: ,Non uccidere» e «Non fare del male al tuo prossimo» non poteva contraddirsi facendo dello sterminio un dovere. Le leggi mosaiche, propriamente dette, avevano dunque un carattere essenzialmente transitorio.
Cristo
3. Cristo non è venuto
assolutamente per abolire la legge, ovvero la legge di Dio. È venuto per
adempierla, ossia per svilupparla, darle il suo vero senso e adattarla
al grado di evoluzione degli uomini. Perciò in questa legge si trova il
principio dei doveri verso Dio e verso il prossimo, che costituisce la
base della Sua dottrina. Quanto alle leggi di Mosè propriamente dette,
Egli le ha, al contrario, profondamente modificate sia nella sostanza
sia nella forma. Ha costantemente combattuto l'abuso delle pratiche
esteriori e le false interpretazioni né avrebbe potuto far loro subire
una riforma più radicale di quella contenuta in queste parole: «Amate
Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come voi stessi», intendendo: In ciò consiste tutta la legge e la parola dei profeti.
Con le parole: «Finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto», Gesù ha voluto dire che era necessario che la legge di Dio avesse il suo compimento, ovvero che venisse osservata su tutta la Terra, in tutta la sua purezza, con tutto il suo sviluppo e tutte le sue conseguenze. Infatti, a che cosa sarebbe servito emanarla se essa fosse dovuta rimanere privilegio di alcuni uomini o addirittura di un solo popolo? Essendo tutti gli uomini figli di Dio, essi sono, senza distinzione, oggetto della stessa sollecitudine.
Con le parole: «Finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto», Gesù ha voluto dire che era necessario che la legge di Dio avesse il suo compimento, ovvero che venisse osservata su tutta la Terra, in tutta la sua purezza, con tutto il suo sviluppo e tutte le sue conseguenze. Infatti, a che cosa sarebbe servito emanarla se essa fosse dovuta rimanere privilegio di alcuni uomini o addirittura di un solo popolo? Essendo tutti gli uomini figli di Dio, essi sono, senza distinzione, oggetto della stessa sollecitudine.
4. Ma il ruolo di Gesù non è
stato semplicemente quello del legislatore moralista, senza altra
autorevolezza che non fosse la sua parola. Egli è venuto a compiere le
profezie che avevano annunciato la sua venuta. Egli ha tratto la Sua
autorevolezza dalla natura eccezionale del Suo Spirito e della Sua
missione divina. È venuto a insegnare agli uomini che la vera vita non è
su questa Terra, ma nel Regno dei Cieli; a indicare loro la via che lì
conduce e i mezzi per riconciliarsi con Dio; ad annunciare loro il
cammino delle cose a venire per il compimento degli umani destini.
Ciononostante Egli non ha detto tutto e su molti punti si è limitato a
depositare il germe di quelle verità che Egli stesso dichiara che non
possono essere ancora comprese. Ha parlato di tutto, ma in termini più o
meno espliciti. Per afferrare il senso nascosto di certe Sue parole,
sarebbe stato necessario che nuove idee e nuove conoscenze fossero
venute a fornirne la chiave. Ma queste idee non sarebbero potute sorgere
prima che un certo grado di maturità dello spirito umano non fosse
stato raggiunto. La scienza doveva potentemente contribuire allo
schiudersi e allo sviluppo di certe idee. Era necessario dunque dare
alla scienza il tempo di progredire.
Lo Spiritismo
5. Lo Spiritismo è
la nuova verità che viene a rivelare agli uomini, con prove
inconfutabili, l'esistenza e la natura del mondo spirituale e il suo
rapporto con il mondo fisico. E ci mostra il mondo spirituale non più
come qualcosa di soprannaturale ma, al contrario, come una delle forze
vive e incessantemente attive della natura, come la sorgente di
un'infinità di fenomeni finora incompresi e relegati, per questa
ragione, nel campo del fantastico e del meraviglioso. A ciò Cristo si
riferisce in numerose circostanze, e perciò molte delle cose che ha
detto sono risultate incomprensibili o sono state erroneamente
interpretate. Lo Spiritismo è la chiave attraverso cui tutto si spiega
con facilità.
6. La legge dell'Antico
Testamento si identifica nella persona di Mosè; quella del Nuovo
Testamento nella figura del Cristo. Lo Spiritismo è la terza rivelazione
della legge di Dio, ma non è personificato da nessun individuo, in
quanto è il prodotto dell'insegnamento dato non da un uomo, ma dagli
Spiriti che sono le voci del Cielo, ovunque
sulla Terra, e da una moltitudine infinita di intermediari. È in un
certo senso un essere collettivo comprendente l'insieme degli esseri del
mondo spirituale, venendo ognuno a portare agli uomini il contributo
delle proprie conoscenze per far loro conoscere quel mondo e il destino
che lì li attende.
7. Come Cristo ha detto:
«Nonpensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono
venuto non per abolire ma per portare a compimento», così lo Spiritismo
dice: «Non vengo assolutamente ad abolire la legge cristiana, ma a
completarla». Lo Spiritismo non insegna niente che sia contrario a ciò
che insegna Cristo, ma sviluppa, completa e spiega, in termini
accessibili a tutti, ciò che è stato detto in forma allegorica. Viene a
compiere, nei tempi predetti, ciò che Cristo aveva preannunciato, e a
preparare la realizzazione delle cose future. È dunque l'opera di Cristo
che esso stesso presiede, esattamente come l'aveva annunciata, ai fini
della rigenerazione che avviene e prepara il Regno di Dio sulla Terra.
Alleanza della scienza con la religione
8. La scienza e la religione
sono le due leve dell'intelligenza umana. La prima rivela le leggi del
mondo materiale e l'altra le leggi del mondo morale. Ma avendo l'una e l'altra lo stesso principio, che è Dio, non
possono contraddirsi. Se esse fossero la negazione l'una dell'altra,
una ha necessariamente torto e l'altra ragione, perché Dio non può voler
distruggere la sua stessa opera. L'incompatibilità, che si è creduto di
ravvisare fra questi due ordini di idee, è riferibile alla mancanza di
osservazione e a un eccesso di esclusivismo da parte dell'una e
dall'altra. Da qui il conflitto da cui sono nate diffidenza e
intolleranza.
Giunto è il tempo in cui gli insegnamenti del Cristo devono ricevere la loro realizzazione; in cui il velo posto di proposito su alcune parti di questi insegnamenti deve essere sollevato; in cui la scienza, cessando di essere esclusivamente materialista, deve tenere conto dell'elemento spirituale, e in cui la religione deve cessare di misconoscere le leggi organiche e immutabili della materia. Queste due forze, appoggiandosi l'una all'altra e marciando di concerto, si presteranno mutuo appoggio. Allora la religione, non ricevendo più smentite dalla scienza, acquisterà una potenza incrollabile, perché sarà in accordo con la ragione e non le si potrà più contrapporre l'inesorabile logica dei fatti.
Scienza e religione non hanno fino a oggi potuto intendersi perché, considerando ognuna le cose dal proprio esclusivo punto di vista, si respingevano reciprocamente. Ci voleva qualcosa per colmare il vuoto che le separava, un trait d'union che le avvicinasse. Questo tratto d'unione sta nella conoscenza delle leggi che reggono il mondo spirituale e i suoi rapporti con il mondo fisico, leggi immutabili come quelle che regolano il movimento degli astri e l'esistenza degli esseri. Questi rapporti, una volta constatati con l'esperienza, accendono una nuova luce: la fede si è rivolta alla ragione, la ragione non ha trovato nulla di illogico nella fede, e il materialismo è stato vinto.
Ma in ciò, come in tutte le cose, c'è chi resta indietro, finché non viene trascinato da un movimento d'opinione generale che lo esclude se vuole opporre resistenza anziché abbandonarvisi. Si tratta di una rivoluzione morale che si sta attuando in questo momento e agita gli spiriti. Dopo essere stata elaborata per più di diciotto secoli, essa arriva al suo compimento e sta segnando una nuova era nell'Umanità. Le conseguenze di questa rivoluzione sono facili da prevedere: essa dovrà apportare, nei rapporti sociali, inevitabili modificazioni, alle quali nessuno ha il potere di opporsi, perché esse sono nei disegni di Dio e sorgono dalla legge del progresso, che è una legge di Dio.
Giunto è il tempo in cui gli insegnamenti del Cristo devono ricevere la loro realizzazione; in cui il velo posto di proposito su alcune parti di questi insegnamenti deve essere sollevato; in cui la scienza, cessando di essere esclusivamente materialista, deve tenere conto dell'elemento spirituale, e in cui la religione deve cessare di misconoscere le leggi organiche e immutabili della materia. Queste due forze, appoggiandosi l'una all'altra e marciando di concerto, si presteranno mutuo appoggio. Allora la religione, non ricevendo più smentite dalla scienza, acquisterà una potenza incrollabile, perché sarà in accordo con la ragione e non le si potrà più contrapporre l'inesorabile logica dei fatti.
Scienza e religione non hanno fino a oggi potuto intendersi perché, considerando ognuna le cose dal proprio esclusivo punto di vista, si respingevano reciprocamente. Ci voleva qualcosa per colmare il vuoto che le separava, un trait d'union che le avvicinasse. Questo tratto d'unione sta nella conoscenza delle leggi che reggono il mondo spirituale e i suoi rapporti con il mondo fisico, leggi immutabili come quelle che regolano il movimento degli astri e l'esistenza degli esseri. Questi rapporti, una volta constatati con l'esperienza, accendono una nuova luce: la fede si è rivolta alla ragione, la ragione non ha trovato nulla di illogico nella fede, e il materialismo è stato vinto.
Ma in ciò, come in tutte le cose, c'è chi resta indietro, finché non viene trascinato da un movimento d'opinione generale che lo esclude se vuole opporre resistenza anziché abbandonarvisi. Si tratta di una rivoluzione morale che si sta attuando in questo momento e agita gli spiriti. Dopo essere stata elaborata per più di diciotto secoli, essa arriva al suo compimento e sta segnando una nuova era nell'Umanità. Le conseguenze di questa rivoluzione sono facili da prevedere: essa dovrà apportare, nei rapporti sociali, inevitabili modificazioni, alle quali nessuno ha il potere di opporsi, perché esse sono nei disegni di Dio e sorgono dalla legge del progresso, che è una legge di Dio.
ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI - L'Era Nuova
9. Dio
è uno solo, e Mosè è lo Spirito che Dio ha inviato in missioneperché
fosse conosciuto, non solamente dagli Ebrei, ma anche dai popoli pagani.
Il popolo ebraico è stato lo strumento di cui Dio si è servito per fare
la sua rivelazione attraverso Mosè e i profeti. Le vicissitudini di
questo popolo avevano lo scopo di attirare l'attenzione e far cadere il
velo che nascondeva agli uomini la divinità.
I comandamenti di Dio, dati da Mosè, portano il germe della più ampia morale cristiana. I commentari della Bibbia ne circoscrivevano il senso perché, applicata in tutta la sua purezza, a quei tempi non sarebbe stata compresa. Ma i dieci comandamenti di Dio sono rimasti nondimeno come il frontespizio luminoso, come il faro che doveva far luce a tutta l'umanità nel cammino che essa doveva intraprendere.
La morale insegnata da Mosè era consona al livello di avanzamento nel quale si trovavano i popoli che egli era stato chiamato a rigenerare. E questi popoli, quasi primitivi in quanto a perfezionamento della loro anima, non avrebbero capito né che si poteva adorare Dio diversamente che con olocausti né che si doveva perdonare a un nemico. La loro intelligenza, notevole sotto il punto di vista pratico e anche sotto quello delle arti e delle scienze, era ancora molto arretrata in fatto di moralità ed essi non si sarebbero convertiti dietro sollecitazione di una religione completamente spirituale. Avevano bisogno di una rappresentazione quasi materiale, come quella offerta loro dalla religione ebraica. Così gli olocausti parlavano ai loro sensi, mentre l'idea di Dio parlava al loro spirito.
Cristo è stato l'iniziatore della morale più pura, più sublime: della morale evangelica cristiana che deve rinnovare il mondo, avvicinare gli uomini e renderli fratelli; che deve fare scaturire da tutti i cuori umani la carità e l'amore per il prossimo e creare fra tutti gli uomini una solidarietà comune. Una morale che deve trasformare la Terra e farne un luogo per Spiriti superiori a quelli che oggi la abitano. È la legge del progresso alla quale la natura è sottoposta che si compie. E lo Spiritismo è la leva di cui Dio si serve per fare progredire l'umanità.
Giunto è il tempo in cui le idee morali devono svilupparsi per compiere quei progressi che sono nei disegni di Dio. Esse devono percorrere la stessa rotta che le idee di libertà hanno percorso, e che ne erano l'avamposto. Ma non bisogna credere che questo sviluppo si compirà senza lotte. No, per arrivare alla maturità, c'è bisogno di scosse e discussioni, al fine di attirare l'attenzione delle masse. Una volta risvegliata l'attenzione, bellezza e santità della morale colpiranno gli Spiriti ed essi saranno legati a una scienza che darà loro la chiave della vita futura e aprirà loro le porte della felicità eterna. È Mosè che ha aperto la via; Gesù ha continuato l'opera; lo Spiritismo la porterà a termine.
I comandamenti di Dio, dati da Mosè, portano il germe della più ampia morale cristiana. I commentari della Bibbia ne circoscrivevano il senso perché, applicata in tutta la sua purezza, a quei tempi non sarebbe stata compresa. Ma i dieci comandamenti di Dio sono rimasti nondimeno come il frontespizio luminoso, come il faro che doveva far luce a tutta l'umanità nel cammino che essa doveva intraprendere.
La morale insegnata da Mosè era consona al livello di avanzamento nel quale si trovavano i popoli che egli era stato chiamato a rigenerare. E questi popoli, quasi primitivi in quanto a perfezionamento della loro anima, non avrebbero capito né che si poteva adorare Dio diversamente che con olocausti né che si doveva perdonare a un nemico. La loro intelligenza, notevole sotto il punto di vista pratico e anche sotto quello delle arti e delle scienze, era ancora molto arretrata in fatto di moralità ed essi non si sarebbero convertiti dietro sollecitazione di una religione completamente spirituale. Avevano bisogno di una rappresentazione quasi materiale, come quella offerta loro dalla religione ebraica. Così gli olocausti parlavano ai loro sensi, mentre l'idea di Dio parlava al loro spirito.
Cristo è stato l'iniziatore della morale più pura, più sublime: della morale evangelica cristiana che deve rinnovare il mondo, avvicinare gli uomini e renderli fratelli; che deve fare scaturire da tutti i cuori umani la carità e l'amore per il prossimo e creare fra tutti gli uomini una solidarietà comune. Una morale che deve trasformare la Terra e farne un luogo per Spiriti superiori a quelli che oggi la abitano. È la legge del progresso alla quale la natura è sottoposta che si compie. E lo Spiritismo è la leva di cui Dio si serve per fare progredire l'umanità.
Giunto è il tempo in cui le idee morali devono svilupparsi per compiere quei progressi che sono nei disegni di Dio. Esse devono percorrere la stessa rotta che le idee di libertà hanno percorso, e che ne erano l'avamposto. Ma non bisogna credere che questo sviluppo si compirà senza lotte. No, per arrivare alla maturità, c'è bisogno di scosse e discussioni, al fine di attirare l'attenzione delle masse. Una volta risvegliata l'attenzione, bellezza e santità della morale colpiranno gli Spiriti ed essi saranno legati a una scienza che darà loro la chiave della vita futura e aprirà loro le porte della felicità eterna. È Mosè che ha aperto la via; Gesù ha continuato l'opera; lo Spiritismo la porterà a termine.
(Uno Spirito Israelita, Mulhouse, 1861)
10.
Un giorno Dio, nella sua carità infinita, permise all'uomo di scorgere
la verità che si apriva un varco fra le tenebre. Quel giorno era
l'avvento del Cristo. Dopo la luce viva, le tenebre sono tornate. Il
mondo, dopo un'alternanza di verità e di oscurità, si è di nuovo perso.
Allora, come i profeti dell'Antico Testamento, gli Spiriti si mettono a
parlare e ad avvertirvi. Il mondo è scosso dalle fondamenta. Rimbomberà
il tuono. Siate saldi!
Lo Spiritismo è di ordine divino, perché poggia sulle leggi stesse della natura, e state pur certi che tutto ciò che è di ordine divino ha uno scopo grande e utile. Il vostro mondo si stava perdendo. La scienza, sviluppata a spese dell'ordine morale per portarvi ai beni materiali, tornava a profitto dello Spirito delle tenebre. Voi lo sapete, Cristiani, il cuore e l'amore devono camminare unitamente alla scienza. Ahimè! Il Regno di Cristo, dopo più di diciotto secoli, e malgrado il sangue di tanti martiri, non è ancora venuto. Cristiani, ritornate al Maestro che vuole salvarvi. Tutto è facile per chi crede e ama: l'amore colma di una gioia ineffabile. Sì, figli miei, il mondo è scosso. I buoni Spiriti ve lo dicono a sufficienza. Piegatevi al soffio del vento, foriero delle tempeste, per non esserne del tutto travolti. Ossia preparatevi, non siate simili alle vergini folli, che furono prese alla sprovvista dall'arrivo dei loro sposi.
La rivoluzione che si avvicina è più morale che materiale. I grandi Spiriti, messaggeri divini, vi ispirano la fede affinché voi tutti, operai illuminati e ardenti, facciate sentire la vostra umile voce. Perché voi siete il granello di sabbia, ma senza granelli di sabbia non ci sarebbero le montagne. Così, dunque, le parole "noi siamo piccoli" non hanno più senso per voi. A ognuno la propria missione. La formica non costruisce forse l'edificio della sua repubblica? E animaletti impercettibili non creano forse dei continenti? La nuova crociata è cominciata. Apostoli non di una guerra ma di una pace universale, moderni santi Bernardo, guardate avanti e avanti marciate. La legge dei mondi è la legge del progresso.
Lo Spiritismo è di ordine divino, perché poggia sulle leggi stesse della natura, e state pur certi che tutto ciò che è di ordine divino ha uno scopo grande e utile. Il vostro mondo si stava perdendo. La scienza, sviluppata a spese dell'ordine morale per portarvi ai beni materiali, tornava a profitto dello Spirito delle tenebre. Voi lo sapete, Cristiani, il cuore e l'amore devono camminare unitamente alla scienza. Ahimè! Il Regno di Cristo, dopo più di diciotto secoli, e malgrado il sangue di tanti martiri, non è ancora venuto. Cristiani, ritornate al Maestro che vuole salvarvi. Tutto è facile per chi crede e ama: l'amore colma di una gioia ineffabile. Sì, figli miei, il mondo è scosso. I buoni Spiriti ve lo dicono a sufficienza. Piegatevi al soffio del vento, foriero delle tempeste, per non esserne del tutto travolti. Ossia preparatevi, non siate simili alle vergini folli, che furono prese alla sprovvista dall'arrivo dei loro sposi.
La rivoluzione che si avvicina è più morale che materiale. I grandi Spiriti, messaggeri divini, vi ispirano la fede affinché voi tutti, operai illuminati e ardenti, facciate sentire la vostra umile voce. Perché voi siete il granello di sabbia, ma senza granelli di sabbia non ci sarebbero le montagne. Così, dunque, le parole "noi siamo piccoli" non hanno più senso per voi. A ognuno la propria missione. La formica non costruisce forse l'edificio della sua repubblica? E animaletti impercettibili non creano forse dei continenti? La nuova crociata è cominciata. Apostoli non di una guerra ma di una pace universale, moderni santi Bernardo, guardate avanti e avanti marciate. La legge dei mondi è la legge del progresso.
(Fénelon, Poitiers, 1861)
11.
Sant'Agostino, manifestandosi quasi ovunque, è uno dei più grandi
divulgatori dello Spiritismo. Ne troviamo la ragione nella vita di
questo grande filosofo cristiano. Egli appartiene a quella vigorosa
falange dei Padri della Chiesa ai quali la Cristianità deve le sue più
solide basi. Come molti, fu sradicato dal paganesimo o, meglio, dalla
miscredenza più profonda per mezzo della luce della verità. Quando, in
mezzo ai suoi eccessi, sentì nella sua anima una strana vibrazione che
lo richiamava a se stesso, facendogli capire che la felicità non stava
nei piaceri estenuanti e fuggevoli, ma altrove. Quando infine, sulla via
di Damasco, anch'egli sentì la voce santa che gridava: «Saul, Saul,
perché mi perseguiti?», egli gridò: «Mio Dio! Mio Dio, perdonami! Io
credo, io sono Cristiano!» E da allora divenne uno dei più fermi
sostenitori del Vangelo. Possiamo leggere, scelte dalle celebri Confessioni che
questo eminente Spirito ci ha lasciato, le parole originali e allo
stesso tempo profetiche, che egli pronunciò dopo aver perso santa
Monica: «Sono convinto che mia madre tornerà a trovarmi e a darmi dei consigli, rivelandomi ciò che ci attende nella vita futura" Quale
insegnamento in queste parole, e quale previsione luminosa per la
futura dottrina! È per questo che oggi, vedendo giunta l'ora della
divulgazione della verità, ch'egli aveva allora presentito, ne è
diventato l'ardente propagatore e si moltiplica, per così dire, per
rispondere a tutti quelli che lo interpellano.
(Éraste, discepolo di san Paolo, Parigi, 1863)
Nota.
Sant'Agostino viene dunque a rovesciare ciò che aveva costruito?
Certamente no, ma, come tanti altri, vede con gli occhi dello spirito
ciò che non vedeva come uomo. La sua anima, libera, intravede nuove luci
e comprende ciò che non aveva compreso prima. Nuove idee gli hanno
rivelato il vero senso di certe parole. Sulla Terra giudicava le cose
secondo le conoscenze di cui era in possesso, però, quando una nuova
luce lo ha illuminato, ha potuto giudicarle più correttamente. È così
che è dovuto ritornare sulla sua credenza riguardo gli Spiriti
oppressori e succubi e sull'anatema che aveva lanciato contro la teoria
degli antipodi. Ora che il Cristianesimo gli appare in tutta la sua
purezza, egli può, su certi punti, pensare in modo diverso da quando era
vivo, senza cessare di essere un apostolo cristiano. Egli può, senza
rinnegare la sua fede, farsi divulgatore dello Spiritismo, perché vede
in esso l'avverarsi delle predizioni. E nel proclamarlo oggi, non fa che
ricondurci a una interpretazione più corretta e più logica dei testi.
Accade così anche ad altri Spiriti che si trovino in una situazione
analoga.
Capitolo II - IL MIO REGNO NON È DI QUESTO MONDO
1. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei? (..) Gesù rispose: 4-1 mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui».Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». (Giovanni 18:33, 36-37)
La vita futura
2. Con queste parole, Gesù designa chiaramente la vita futura, che
Egli presenta in tutte le circostanze come il termine cui aspira
l'umanità, e insegna come farne l'oggetto delle principali
preoccupazioni dell'uomo sulla Terra. Tutte le Sue massime si
riferiscono a questo grande principio. Senza la vita futura, in effetti,
la maggior parte dei Suoi precetti sulla morale non avrebbe nessuna
ragione d'essere, ed è per questo che quanti non credono nella vita
futura si fanno l'idea che Egli parli solo di precetti della vita
presente, non li comprendono o li trovano puerili.
Questo principio può dunque essere considerato come il cardine dell'insegnamento di Cristo. Per questo è stato messo fra i primi all'inizio di quest'opera: perché dev'essere visto come il punto di riferimento per tutti gli uomini; il solo che possa giustificare le anomalie della vita terrena e accordarsi con la giustizia divina.
Questo principio può dunque essere considerato come il cardine dell'insegnamento di Cristo. Per questo è stato messo fra i primi all'inizio di quest'opera: perché dev'essere visto come il punto di riferimento per tutti gli uomini; il solo che possa giustificare le anomalie della vita terrena e accordarsi con la giustizia divina.
3. I Giudei avevano solo
idee molto vaghe riguardo alla vita futura. Credevano agli angeli, che
consideravano degli esseri privilegiati della creazione, ma non sapevano
che gli uomini potevano anch'essi diventare un giorno degli angeli e
condividerne la felicità. Secondo loro, l'osservanza delle leggi di Dio
veniva ricompensata con i beni terreni, la supremazia della loro
nazione, la vittoria sui nemici; mentre le calamità pubbliche e le
sconfitte erano il castigo per la loro disobbedienza. Mosè non poteva
dire di più a un popolo di rozzi pastori, gente che andava innanzitutto
impressionata sul piano delle cose materiali. Più tardi venne Gesù a
rivelare che c'è un altro mondo dove la giustizia di Dio segue il suo
corso. È questo mondo che Egli promette a coloro che osservano i
comandamenti di Dio, e dove i buoni troveranno la loro ricompensa.
Questo mondo è il Suo Regno: è là ch'Egli si trova in tutta la Sua
gloria e dove ritornerà lasciando la Terra.
Nonostante ciò Gesù, conformando il Suo insegnamento allo stato degli uomini della Sua epoca, non ha creduto opportuno di far loro luce completa, cosa che li avrebbe abbagliati senza illuminarli, perché non avrebbero compreso. Egli si è limitato a porre in qualche modo la vita futura come principio, come una legge della natura alla quale non ci si può sottrarre. Ogni cristiano crede dunque necessariamente alla vita futura, ma l'idea che molti se ne fanno è vaga, incompleta e pertanto errata in molti punti. Per molti non è che una credenza senza certezze assolute. Da qui il dubbio e l'incredulità.
Lo Spiritismo è venuto a chiarire questi punti, completando l'insegnamento del Cristo, ora che gli uomini sono maturi per comprendere la verità. Con lo Spiritismo la vita futura non è più semplicemente un articolo della fede, un'ipotesi. È una realtà tangibile dimostrata dai fatti, perché ci sono testimoni oculari che vengono a descriverla in tutte le sue fasi e peripezie. Cosicché non solo il dubbio non è più possibile, ma anche la mente più semplice può configurarsi questa realtà nel suo vero aspetto, così come ci si fa un'idea di un paese sconosciuto leggendone una descrizione dettagliata. Ora, questa descrizione della vita futura è talmente circostanziata, le condizioni di esistenza felice o infelice di coloro che vi si trovano sono così razionali, che si finisce col concordare che non può essere altrimenti, e che proprio qui è la vera giustizia di Dio.
Nonostante ciò Gesù, conformando il Suo insegnamento allo stato degli uomini della Sua epoca, non ha creduto opportuno di far loro luce completa, cosa che li avrebbe abbagliati senza illuminarli, perché non avrebbero compreso. Egli si è limitato a porre in qualche modo la vita futura come principio, come una legge della natura alla quale non ci si può sottrarre. Ogni cristiano crede dunque necessariamente alla vita futura, ma l'idea che molti se ne fanno è vaga, incompleta e pertanto errata in molti punti. Per molti non è che una credenza senza certezze assolute. Da qui il dubbio e l'incredulità.
Lo Spiritismo è venuto a chiarire questi punti, completando l'insegnamento del Cristo, ora che gli uomini sono maturi per comprendere la verità. Con lo Spiritismo la vita futura non è più semplicemente un articolo della fede, un'ipotesi. È una realtà tangibile dimostrata dai fatti, perché ci sono testimoni oculari che vengono a descriverla in tutte le sue fasi e peripezie. Cosicché non solo il dubbio non è più possibile, ma anche la mente più semplice può configurarsi questa realtà nel suo vero aspetto, così come ci si fa un'idea di un paese sconosciuto leggendone una descrizione dettagliata. Ora, questa descrizione della vita futura è talmente circostanziata, le condizioni di esistenza felice o infelice di coloro che vi si trovano sono così razionali, che si finisce col concordare che non può essere altrimenti, e che proprio qui è la vera giustizia di Dio.
La sovranità di Gesù
4. Il regno di Gesù non è di
questo mondo, ed è cosa che tutti comprendono. Ma non avrà Egli una
sovranità anche sulla Terra? Il titolo di re non sempre implica
l'esercizio del potere temporale. Questo titolo viene dato per consenso
unanime a colui che per il suo genio merita il primo posto in un ordine
qualsiasi di idee, a colui che domina il secolo e influisce sul
progresso dell'umanità. È in questo senso che si dice: il re, o il
principe, dei filosofi, degli artisti, dei poeti, degli scrittori ecc.
Questa sovranità, nata dal merito personale e consacrata dalla
posterità, non ha forse un'importanza maggiore di quella della corona?
Essa è eterna, mentre l'altra è soggetta a varie vicissitudini. È sempre
benedetta dalle generazioni a venire, mentre l'altra viene a volte
maledetta. La sovranità terrena finisce con la vita, la sovranità morale
continua ancora a governare, soprattutto dopo la morte. A questo titolo
Gesù non è il re più potente dei più potenti? È dunque con ragione che
diceva a Pilato: «Io sono re, ma il mio regno non è di questo mondo».
II punto di vista
5. L'idea netta e precisa
che ci si fa della vita futura dà una fede incrollabile nell'avvenire, e
questa fede ha delle enormi conseguenze sulla moralizzazione degli
uomini, cambiando loro completamente il punto di vista sotto il quale essi considerano la vita terrena. Per
colui che si pone, col pensiero, nella vita spirituale che è infinita,
la vita fisica è solo un passaggio, una breve sosta in un paese ingrato.
Le vicissitudini e le tribolazioni della vita non sono niente di più
che degli incidenti che egli accetta con rassegnazione, perché sa che
sono solo di breve durata e che verranno seguiti da uno stato più
felice. La morte non ha niente di impressionante, non è più la porta del
nulla, ma quella della liberazione che apre all'esule l'ingresso a un
luogo di felicità e di pace. Sapendo di trovarsi in un luogo temporaneo,
affronta i dispiaceri della vita con minore angoscia e raggiunge una
calma che addolcisce la sua amarezza.
Se l'uomo ha anche un semplice dubbio sulla vita futura, accade che concentri tutti i suoi pensieri sulla vita terrena e che, incerto dell'avvenire, dia tutto al presente. Non intravedendo beni più preziosi di quelli terreni, è come il bambino che non vede niente al di là dei suoi giocattoli e, per procurarseli, niente gli è di ostacolo, e la minima perdita di essi è un dispiacere cocente. La minima disillusione, una speranza delusa, un'aspirazione frustrata, un'ingiustizia di cui sia vittima, l'orgoglio o la vanità ferita sono altrettanti tormenti, che fanno della sua vita una continua angoscia, procurandosi così volontariamente una vera tortura in ogni istante.
Tenendo come punto di vista la vita terrena, al centro della quale egli si colloca, tutto intorno a lui assume proporzioni enormi. Il male che lo colpisca, come il bene che tocchi ad altri, tutto assume ai suoi occhi una grandissima importanza. Proprio come a chi sta in una città tutto sembra grande: gli uomini ai vertici della gerarchia sociale, così come i monumenti. Ma a chi sale su una montagna uomini e cose parranno molto piccoli.
Così succede a chi considera la vita terrena dal punto di vista della vita futura: l'umanità, come le stelle del firmamento, si perde nell'immensità. Si accorge allora che grandi e piccoli sono confusi come le formiche su una zolla di Terra; che i proletari e i potenti hanno la stessa statura, e compiange le effimere creature che si danno tanta pena per conquistare una postazione che li innalza così poco e che devono conservare per così poco tempo. È così che l'importanza assegnata ai beni terreni è sempre inversamente proporzionale alla fede nella vita futura.
Se l'uomo ha anche un semplice dubbio sulla vita futura, accade che concentri tutti i suoi pensieri sulla vita terrena e che, incerto dell'avvenire, dia tutto al presente. Non intravedendo beni più preziosi di quelli terreni, è come il bambino che non vede niente al di là dei suoi giocattoli e, per procurarseli, niente gli è di ostacolo, e la minima perdita di essi è un dispiacere cocente. La minima disillusione, una speranza delusa, un'aspirazione frustrata, un'ingiustizia di cui sia vittima, l'orgoglio o la vanità ferita sono altrettanti tormenti, che fanno della sua vita una continua angoscia, procurandosi così volontariamente una vera tortura in ogni istante.
Tenendo come punto di vista la vita terrena, al centro della quale egli si colloca, tutto intorno a lui assume proporzioni enormi. Il male che lo colpisca, come il bene che tocchi ad altri, tutto assume ai suoi occhi una grandissima importanza. Proprio come a chi sta in una città tutto sembra grande: gli uomini ai vertici della gerarchia sociale, così come i monumenti. Ma a chi sale su una montagna uomini e cose parranno molto piccoli.
Così succede a chi considera la vita terrena dal punto di vista della vita futura: l'umanità, come le stelle del firmamento, si perde nell'immensità. Si accorge allora che grandi e piccoli sono confusi come le formiche su una zolla di Terra; che i proletari e i potenti hanno la stessa statura, e compiange le effimere creature che si danno tanta pena per conquistare una postazione che li innalza così poco e che devono conservare per così poco tempo. È così che l'importanza assegnata ai beni terreni è sempre inversamente proporzionale alla fede nella vita futura.
6. Se tutti la pensassero in
questo modo, si dirà, e nessuno si occupasse più delle cose terrene,
tutto andrebbe a rotoli. Non è così. L'uomo cerca per istinto il suo
benessere e, pur con la certezza di trovarsi per poco in un luogo, lo
stesso vuole starci il meglio o il meno peggio possibile. Non c'è
nessuno che, avendo una spina nella mano, non voglia toglierla per non
sentire dolore. Ora, la ricerca del benessere spinge l'uomo a migliorare
tutte le cose, indotto com'è dall'istinto di progresso e di
conservazione, che è nelle leggi di natura. Egli lavora per necessità,
per piacere e per dovere, e con ciò realizza le intenzioni della
Provvidenza che l'ha posto su questa Terra per questo fine. Solo colui
che tiene conto dell'avvenire non dà al presente che un'importanza
relativa e si consola senza difficoltà degli insuccessi, pensando al
destino che l'attende.
Dunque, Dio non condanna assolutamente i piaceri terreni, ma l'abuso di questi piaceri, in quanto essi pregiudicano gli interessi dell'anima. È contro questo abuso che si premuniscono quanti si attengono a queste parole di Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo».
Chi si identifica con la vita futura è simile all'uomo ricco che perde una piccola somma senza turbarsi; chi concentra i suoi pensieri sulla vita terrena è simile a un povero che perde tutto ciò che possiede e si dispera.
Dunque, Dio non condanna assolutamente i piaceri terreni, ma l'abuso di questi piaceri, in quanto essi pregiudicano gli interessi dell'anima. È contro questo abuso che si premuniscono quanti si attengono a queste parole di Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo».
Chi si identifica con la vita futura è simile all'uomo ricco che perde una piccola somma senza turbarsi; chi concentra i suoi pensieri sulla vita terrena è simile a un povero che perde tutto ciò che possiede e si dispera.
7. Lo Spiritismo amplia il
pensiero dell'uomo e gli apre nuovi orizzonti. Al posto di un modo di
vedere ristretto e meschino, concentrato sulla vita presente, che fa
dell'istante che si passa sulla Terra l'unico e fragile punto su cui
poggiare l'avvenire eterno, esso pone questa vita come anello
dell'insieme armonioso e grandioso dell'opera del Creatore. Dimostra i
legami che uniscono tutte le esistenze di uno stesso essere, di tutti
gli esseri di uno stesso mondo e degli esseri di tutti i mondi. Dà così
una base e una ragion d'essere alla fraternità universale, mentre la
dottrina della creazione dell'anima al momento della nascita di ogni
corpo rende tutti gli esseri estranei gli uni agli altri. Questa
solidarietà delle parti di uno stesso tutto spiega ciò che è
inesplicabile se si considera un solo punto di vista. È questa
complessità che, ai tempi di Cristo, gli uomini non avrebbero potuto
comprendere, ed è per questo ch'Egli ne ha riservata la conoscenza ad
altri tempi.
ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI
8.
Chi meglio di me può comprendere la verità di queste parole di Nostro
Signore: Il mio regno non è di questo mondo»? L'orgoglio mi ha perduta
sulla Terra. Chi dunque potrebbe comprendere il nulla dei regni di
questo mondo, se non lo comprendessi io? Che cosa ho portato con me
della mia sovranità terrena? Niente, assolutamente niente. E per rendere
la lezione ancora più terribile, la regalità non mi ha seguita nella
tomba! Regina ero fra gli uomini e regina io credevo di entrare nel
Regno dei Cieli. Che delusione! Che umiliazione quando, invece di essere
ricevuta come una sovrana, ho visto al di sopra di me, ma molto al di
sopra, uomini che credevo molto piccoli e che io disprezzavo, perché non
erano di alto lignaggio, perché non erano di sangue blu! Oh! Allora sì,
ho compreso la sterilità degli onori e delle grandezze che si cercano
con tanta avidità sulla Terra! Per prepararsi un posto in questo Regno,
ci vuole abnegazione, umiltà, carità in tutta la sua pratica celestiale e
benevolenza per tutti. Non vi si domanda qui chi siete stati, a quale
rango siete appartenuti, ma il bene che avete fatto, le lacrime che
avete asciugato.
Oh! Gesù, Tu l'hai detto, il Tuo Regno non è di questo mondo, perché bisogna soffrire per arrivare al Cielo, e gli alti gradini del trono non ci avvicinano a esso. Sono i sentieri più penosi della vita che conducono là. Cercatene dunque la strada fra i rovi e le spine e non tra i fiori.
Gli uomini rincorrono i beni terreni come se li dovessero conservare per sempre. Ma qui non ci sono più illusioni. Essi si accorgono presto che hanno preso solo ombre e che hanno trascurato gli unici beni solidi e durevoli, gli unici che servano per la permanenza in Cielo, i soli che possano aprirne l'ingresso.
Abbiate pietà di coloro che non hanno guadagnato il Regno dei Cieli. Aiutateli con le vostre preghiere, perché la preghiera avvicina l'uomo all'Altissimo, è il tratto d'unione fra Cielo e Terra. Non dimenticatelo.
Oh! Gesù, Tu l'hai detto, il Tuo Regno non è di questo mondo, perché bisogna soffrire per arrivare al Cielo, e gli alti gradini del trono non ci avvicinano a esso. Sono i sentieri più penosi della vita che conducono là. Cercatene dunque la strada fra i rovi e le spine e non tra i fiori.
Gli uomini rincorrono i beni terreni come se li dovessero conservare per sempre. Ma qui non ci sono più illusioni. Essi si accorgono presto che hanno preso solo ombre e che hanno trascurato gli unici beni solidi e durevoli, gli unici che servano per la permanenza in Cielo, i soli che possano aprirne l'ingresso.
Abbiate pietà di coloro che non hanno guadagnato il Regno dei Cieli. Aiutateli con le vostre preghiere, perché la preghiera avvicina l'uomo all'Altissimo, è il tratto d'unione fra Cielo e Terra. Non dimenticatelo.
(Una Regina di Francia, Le Havre, 1863)
Capitolo III - CI SONO MOLTE DIMORE NELLA CASA DEL PADRE MIO
1.
Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede
anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi
avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e
vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me,
affinché dove sono io siate anche voi. (Giovanni 14:1-3)
Differenti condizioni dell'anima nell'errare
2. La casa del Padre è
l'Universo. Le differenti dimore sono i mondi che gravitano nello spazio
infinito e offrono agli Spiriti disincarnati delle permanenze
appropriate al loro avanzamento.
Indipendentemente dalla diversità dei mondi, queste parole possono anche intendersi come lo stato felice o infelice dello Spirito nell'errare. A seconda di quanto lo Spirito è più o meno purificato e libero da vincoli materiali, l'ambiente, l'aspetto delle cose, le sensazioni che prova e le percezioni che esso ha variano all'infinito. Mentre alcuni non riescono ad allontanarsi dalla sfera in cui sono vissuti, altri si elevano e percorrono lo spazio e i mondi. Mentre certi Spiriti colpevoli errano nelle tenebre, quelli felici godono di una luce risplendente e del sublime spettacolo dell'infinito. Infine, mentre il malvagio, tormentato dai rimorsi e dal rimpianto, sovente solo, senza consolazione, separato dai suoi affetti, geme sotto la morsa delle sofferenze morali, il giusto, ricongiunto a coloro che ama, gode della dolcezza di un'indicibile felicità. Dunque là ci sono molte dimore, comunque né circoscritte né localizzate.
Indipendentemente dalla diversità dei mondi, queste parole possono anche intendersi come lo stato felice o infelice dello Spirito nell'errare. A seconda di quanto lo Spirito è più o meno purificato e libero da vincoli materiali, l'ambiente, l'aspetto delle cose, le sensazioni che prova e le percezioni che esso ha variano all'infinito. Mentre alcuni non riescono ad allontanarsi dalla sfera in cui sono vissuti, altri si elevano e percorrono lo spazio e i mondi. Mentre certi Spiriti colpevoli errano nelle tenebre, quelli felici godono di una luce risplendente e del sublime spettacolo dell'infinito. Infine, mentre il malvagio, tormentato dai rimorsi e dal rimpianto, sovente solo, senza consolazione, separato dai suoi affetti, geme sotto la morsa delle sofferenze morali, il giusto, ricongiunto a coloro che ama, gode della dolcezza di un'indicibile felicità. Dunque là ci sono molte dimore, comunque né circoscritte né localizzate.
Differenti categorie di mondi abitati
3. Dall'insegnamento
impartito dagli Spiriti risulta che i diversi mondidifferiscono molto
per condizione gli uni dagli altri, secondo il grado di avanzamento o di
inferiorità dei loro abitanti. Tra questi ultimi, ce ne sono di quelli
che sono, fisicamente e moralmente, persino inferiori a quelli della
Terra. Altri sono dello stesso livello e altri ancora sono più o meno
superiori sotto ogni aspetto. Nei mondi inferiori l'esistenza è
completamente materiale, le passioni regnano sovrane, la vita morale è
pressoché nulla. Man mano che questa si sviluppa, l'influenza della
materia diminuisce in modo tale che nei mondi più avanzati la vita è,
per così dire, tutta spirituale.
4. Nei mondi intermedi c'è
una mescolanza di bene e di male, con predominanza dell'uno o
dell'altro, secondo il grado di avanzamento. Per quanto una
classificazione dei vari mondi non possa essere precisa, si può
tuttavia, in ragione del loro stato e della loro destinazione e
basandosi sui particolari più salienti, dividerli in modo generale come
segue: mondi primitivi, destinati alle prime incarnazioni dell'anima
umana; mondi d'espiazione e di prova, dove il male domina; mondi di
rigenerazione dove le anime che devono ancora espiare attingono nuove
forze, trovando però tregua alle fatiche della lotta; i mondi felici
dove il bene ha il sopravvento sul male; i mondi celesti o divini, dove
dimorano gli Spiriti purificati, dove il bene regna senza distinzione.
La Terra appartiene alla categoria dei mondi delle espiazioni e delle
prove, ed è per questo che l'uomo è qui esposto a tante miserie.
5. Gli Spiriti incarnati in
uno di questi mondi non sono legati a esso all'infinito e non vi
compiono tutte le fasi progressive che devono percorrere per giungere
alla perfezione. Quando in un determinato mondo hanno raggiunto il grado
di avanzamento che esso comporta, passano in un altro più avanzato, e
così via fino ad arrivare allo stato di puri Spiriti. Si tratta di
altrettante stazioni, in ognuna delle quali essi trovano gli elementi di
progresso proporzionati al loro avanzamento. È per loro una ricompensa
passare in un mondo più elevato, come è un castigo prolungare la loro
permanenza in un mondo infelice, o venire relegati in un mondo ancora
più infelice di quello che sono obbligati a lasciare, quando si ostinano
a fare il male.
Destinazione della Terra. Cause delle miserie umane
6. Si rimane sconcertati nel
constatare sulla Terra tante malvagità e cattive passioni, tante
miserie e infermità di tutti i generi, e si conclude che la specie umana
è davvero una triste cosa. Questo giudizio deriva dal punto di vista
limitato in cui ci si pone, e da qui nasce una falsa idea dell'insieme.
Bisogna considerare che sulla Terra non si può vedere tutta l'umanità,
ma soltanto una piccolissima parte di essa. In effetti, alla specie
umana appartengono tutti gli esseri dotati di ragione che popolano gli
innumerevoli mondi dell'universo. Che cos'è la popolazione della Terra
in confronto alla popolazione totale di questi mondi? Molto meno di un
paesello rispetto a un grande impero. La condizione materiale e morale
dell'umanità terrena non ha più niente di sorprendente, se ci si rende
conto della destinazione della Terra e della natura di coloro che la
abitano.
7. Ci si farebbe un'idea del
tutto errata degli abitanti di una città se li si giudicasse in base
alla popolazione dei quartieri più degradati. In un ospizio si
incontrano solo malati e storpi; in un bagno penale, si trovano tutte le
turpitudini, tutti i vizi riuniti; nelle contrade insalubri, la maggior
parte degli abitanti è gracile e malaticcia. Ebbene, immaginiamo che la
Terra sia un quartiere periferico, un ospizio, un penitenziario, una
regione malsana — perché essa è allo stesso tempo tutto ciò — e si
comprenderà perché le afflizioni hanno il sopravvento sulle gioie. Non
si manda infatti all'ospedale chi sta bene o al riformatorio chi non ha
fatto del male, poiché né gli ospizi né i riformatori sono luoghi di
delizia.
Ora, come in una città non tutta la popolazione è negli ospizi o in prigione, così non tutta l'umanità è sulla Terra. Come si esce dall'ospizio quando si è guariti, e dalla prigione quando si è scontata la pena, così l'uomo lascia la Terra per dei mondi più felici appena è guarito dalle sue infermità morali.
Ora, come in una città non tutta la popolazione è negli ospizi o in prigione, così non tutta l'umanità è sulla Terra. Come si esce dall'ospizio quando si è guariti, e dalla prigione quando si è scontata la pena, così l'uomo lascia la Terra per dei mondi più felici appena è guarito dalle sue infermità morali.
Istruzioni Degli Spiriti - Mondi superiori e mondi inferiore
8. La qualificazione dei
mondi inferiori e dei mondi superiori è più relativa che assoluta. Un
mondo è inferiore o superiore in rapporto a quello che si trova più in
basso o più in alto nella scala progressiva.
Presa la Terra come termine di paragone, ci si può fare un'idea dello stato di un mondo inferiore supponendo che gli uomini che lo abitano siano al livello delle razze selvagge o delle nazioni barbare, come ancora se ne trovano sulla Terra, e che sono residui dello stato primitivo. Fra i mondi più arretrati, gli esseri che li abitano sono in qualche modo rozzi. Il loro aspetto è umano, ma senza bellezza; gli istinti non sono temperati da nessun sentimento di dolcezza o di benevolenza, né dalla nozione di giusto o di ingiusto; la forza bruta è la sola legge. Senza industrie, senza invenzioni, essi impiegano la loro vita nella ricerca del puro sostentamento. Ciononostante Dio non abbandona nessuna delle sue creature: in fondo al buio dell'intelligenza giace, latente, più o meno sviluppata, la vaga intuizione di un Essere supremo. Questo istinto è ciò che rende gli uni superiori agli altri e prepara lo sbocciare di una vita più completa, perché essi non sono assolutamente degli esseri corrotti, ma dei bambini che crescono.
Fra questi gradi inferiori e quelli più elevati, ci sono innumerevoli livelli, e fra gli Spiriti puri, smaterializzati e risplendenti di gloria, è arduo riconoscere quelli che hanno animato questi esseri primitivi, esattamente come in un uomo adulto è arduo riconoscerne l'embrione.
Presa la Terra come termine di paragone, ci si può fare un'idea dello stato di un mondo inferiore supponendo che gli uomini che lo abitano siano al livello delle razze selvagge o delle nazioni barbare, come ancora se ne trovano sulla Terra, e che sono residui dello stato primitivo. Fra i mondi più arretrati, gli esseri che li abitano sono in qualche modo rozzi. Il loro aspetto è umano, ma senza bellezza; gli istinti non sono temperati da nessun sentimento di dolcezza o di benevolenza, né dalla nozione di giusto o di ingiusto; la forza bruta è la sola legge. Senza industrie, senza invenzioni, essi impiegano la loro vita nella ricerca del puro sostentamento. Ciononostante Dio non abbandona nessuna delle sue creature: in fondo al buio dell'intelligenza giace, latente, più o meno sviluppata, la vaga intuizione di un Essere supremo. Questo istinto è ciò che rende gli uni superiori agli altri e prepara lo sbocciare di una vita più completa, perché essi non sono assolutamente degli esseri corrotti, ma dei bambini che crescono.
Fra questi gradi inferiori e quelli più elevati, ci sono innumerevoli livelli, e fra gli Spiriti puri, smaterializzati e risplendenti di gloria, è arduo riconoscere quelli che hanno animato questi esseri primitivi, esattamente come in un uomo adulto è arduo riconoscerne l'embrione.
9. Nei mondi giunti a un
grado superiore, le condizioni di vita morale e materiale sono
tutt'altra cosa da quelle della Terra. L'apparenza corporea è sempre,
come ovunque, quella umana, ma più bella, perfezionata e, soprattutto,
purificata. Il corpo non ha niente della materialità terrena e non è, di
conseguenza, soggetto a necessità, malattie e deterioramenti generati
dal predominio della materia. I sensi, più o meno affinati, hanno delle
percezioni che in questo mondo vengono soffocate dalla rozzezza degli
organi. La leggerezza specifica dei corpi rende gli spostamenti rapidi e
facili; anziché trascinarsi penosamente al suolo, il corpo scivola, per
così dire, sulla superficie, o fluttua nell'atmosfera senza altro
sforzo che quello della volontà, allo stesso modo in cui si
rappresentano gli angeli o in cui gli antichi si raffiguravano i Mani
nei Campi Elisi. Gli uomini conservano, a loro piacimento, i tratti
somatici delle loro migrazioni passate e appaiono ai loro amici come
erano stati da loro conosciuti, ma illuminati da una luce divina,
trasfigurati dalle sensazioni interiori, che sono sempre elevate.
Anziché volti spenti, devastati dalle sofferenze e dalle passioni,
l'intelligenza e la vita irradiano quello splendore che i pittori hanno
tradotto nel disco luminoso, o aureola, dei santi.
Quel poco di resistenza, che la materia presenta per gli Spiriti già molto avanzati, rende lo sviluppo dei corpi rapido e l'infanzia breve o quasi nulla. La vita, esente da preoccupazioni e angosce, è relativamente molto più lunga di quella sulla Terra. In linea di massima, la longevità è proporzionata al grado di avanzamento dei mondi. La morte non ha niente degli orrori della decomposizione e, lungi dall'essere motivo di terrore, essa è considerata come una felice trasformazione, perché là il dubbio sull'avvenire non esiste. Durante la vita l'anima, non essendo assolutamente racchiusa in una materia compatta, splende e gioisce di una lucidità che la pone in uno stato di quasi permanente emancipazione e permette la libera trasmissione del pensiero.
Quel poco di resistenza, che la materia presenta per gli Spiriti già molto avanzati, rende lo sviluppo dei corpi rapido e l'infanzia breve o quasi nulla. La vita, esente da preoccupazioni e angosce, è relativamente molto più lunga di quella sulla Terra. In linea di massima, la longevità è proporzionata al grado di avanzamento dei mondi. La morte non ha niente degli orrori della decomposizione e, lungi dall'essere motivo di terrore, essa è considerata come una felice trasformazione, perché là il dubbio sull'avvenire non esiste. Durante la vita l'anima, non essendo assolutamente racchiusa in una materia compatta, splende e gioisce di una lucidità che la pone in uno stato di quasi permanente emancipazione e permette la libera trasmissione del pensiero.
10. In questi mondi felici
le relazioni fra popolo e popolo, sempre amichevoli, non sono mai
turbate dall'ambizione di assoggettare il vicino né da guerre che ne
sono la conseguenza. Non ci sono né padroni .né schiavi né privilegi di
nascita. La superiorità morale e intellettuale è la sola a stabilire la
differenza di condizioni e a conferire la supremazia. L'autorità è
sempre rispettata, sia perché non è data che dal merito sia perché
questa autorità viene esercitata sempre con giustizia. L'uomo non cerca assolutamente di elevarsi al di sopra dell'uomo, ma solo al di sopra di se stesso, perfezionandosi. Il
suo scopo è quello di giungere al livello degli Spiriti puri, e questo
desiderio incessante non è un tormento, ma una nobile ambizione che lo
spinge ad applicarsi intensamente per arrivare a uguagliarli Tutti i
sentimenti dolci ed elevati della natura umana vi si trovano
approfonditi e purificati. Gli odi, le meschine gelosie, le basse
cupidigie dell'invidia vi sono sconosciute. Un legame d'amore e di
fraternità unisce tutti gli uomini, e i più forti aiutano i più deboli.
Essi possiedono più o meno, a seconda di quanto hanno più o meno
acquisito con la loro intelligenza, ma nessuno soffre per la mancanza
del necessario, perché nessuno si trova lì in espiazione. In una parola:
il male lì non esiste.
11. Nel vostro mondo, voi
avete bisogno del male per riconoscere il bene, della notte per ammirare
la luce, della malattia per apprezzare la salute. Là, invece, questi
contrasti non sono necessari. L'eterna luce, l'eterna bellezza, l'eterna
pace dell'anima procurano una felicità eterna, libera dalle angosce
della vita materiale e dal contatto dei malvagi, che lì non hanno
accesso. Ecco ciò che lo spirito umano ha più difficoltà a comprendere.
Ha avuto dell'ingegno nel dipingere i tormenti dell'inferno, ma non è
mai riuscito a rappresentare le gioie del cielo. E perché? Perché,
essendo inferiore, ha solo provato pene e miserie e non ha minimamente
intravisto le luci celesti. Può parlare solo di quello che conosce; ma,
via via che si eleva e si purifica, il suo orizzonte si rischiara e
comprende il bene che ha di fronte, come comprende il male che rimane
dietro di lui.
12. Ciononostante
questi mondi non sono per niente privilegiati, perché Dio è imparziale
con tutti i suoi figli. Dà a tutti gli stessi diritti e le stesse
opportunità per valersene. Li fa partire tutti dallo stesso punto, non
dà di più a uno piuttosto che a un altro. I ranghi superiori sono
accessibili a tutti: sta a ognuno conquistarli con il proprio lavoro,
impegnarsi il più presto possibile, o languire per secoli e secoli nei
bassifondi dell'umanità. (Riassunto dell'insegnamento di tuttigli Spiriti superiori)
Mondi di espiazioni e di prove
13. Dei mondi di espiazione
che dirvi che già voi non conosciate, dal momento che vi basta
considerare la Terra in cui abitate? La superiorità intellettiva di un
gran numero dei suoi abitanti indica che essa non è un mondo primitivo
destinato all'incarnazione di Spiriti appena usciti dalle mani del
Creatore. Le qualità innate, che essi portano con sé, sono la prova che
hanno già vissuto e che hanno compiuto un certo progresso; ma anche i
numerosi vizi, ai quali sono inclini, sono indicativi di una
imperfezione morale. Questa è la ragione per cui Dio li ha collocati in
una Terra ingrata: affinché vi espiino le loro colpe attraverso un
lavoro penoso e le miserie della vita, fino a quando non meritino di
andare in un mondo più felice.
14. Tuttavia non tutti gli
Spiriti incarnati sulla Terra vi sono stati mandati per espiazione. Le
razze che voi chiamate primitive sono gli Spiriti appena usciti
dall'infanzia e vi si trovano, per così dire, per educarsi e possono
progredire a contatto con Spiriti più avanzati. Poi vengono le razze
semicivilizzate, ossia gli stessi Spiriti in fase evolutiva. Sono, in
qualche modo, i popoli della Terra che sono cresciuti a poco a poco nel
corso dei secoli, e alcuni hanno potuto raggiungere il perfezionamento
intellettuale dei popoli più illuminati.
Gli Spiriti in espiazione vi si trovano, per così dire, da stranieri. Essi hanno già vissuto in altri mondi, dai quali sono stati esiliati a causa del loro ostinarsi nel male e perché erano causa di turbamento per gli Spiriti buoni. Sono stati relegati, per un certo tempo, fra Spiriti più arretrati con la missione di farli progredire, portando essi con sé un'intelligenza sviluppata e i germi delle conoscenze acquisite. Questa è la ragione per cui Spiriti in stato di punizione si trovano fra i popoli più intelligenti. Ci sono anche quelli per i quali le miserie della vita sono le più amare, perché c'è in loro una maggiore sensibilità. E sono più provati dagli attriti di quanto non lo siano i popoli primitivi, il cui senso morale è più rozzo.
Gli Spiriti in espiazione vi si trovano, per così dire, da stranieri. Essi hanno già vissuto in altri mondi, dai quali sono stati esiliati a causa del loro ostinarsi nel male e perché erano causa di turbamento per gli Spiriti buoni. Sono stati relegati, per un certo tempo, fra Spiriti più arretrati con la missione di farli progredire, portando essi con sé un'intelligenza sviluppata e i germi delle conoscenze acquisite. Questa è la ragione per cui Spiriti in stato di punizione si trovano fra i popoli più intelligenti. Ci sono anche quelli per i quali le miserie della vita sono le più amare, perché c'è in loro una maggiore sensibilità. E sono più provati dagli attriti di quanto non lo siano i popoli primitivi, il cui senso morale è più rozzo.
15. La
Terra fornisce dunque uno degli esempi dei mondi di espiazione, le cui
varietà sono infinite, ma che hanno in comune il compito di servire come
luogo di esilio per gli Spiriti ribelli alla legge di Dio. In questi
mondi, gli Spiriti devono combattere allo stesso tempo contro la
perversità degli uomini e contro l'inclemenza della natura, travaglio
doppiamente penoso che sviluppa sia le qualità del cuore sia quelle
dell'intelligenza. È così che Dio, nella Sua bontà, fa diventare il
castigo persino un profitto per il progresso dello Spirito.
(Sant'Agostino, Parigi, 1862)
Mondi di rigenerazione
16. Fra le stelle che
brillano nella volta celeste, quanti mondi ci sonocome il vostro,
designati dal Signore per l'espiazione e le prove! Ma ce ne sono anche
di più miserabili e di migliori, come ce ne sono di transitori, che si
possono chiamare di rigenerazione. Ogni sistema planetario, girando
nello spazio intorno a un fuoco comune, porta con sé i suoi mondi
primitivi, dell'esilio, della prova, della rigenerazione e della
felicità. Vi è stato detto di questi mondi in cui l'anima è posta appena
nata, quando, non avendo ancora nozione del bene e del male, può
marciare verso Dio, padrona di se stessa, in possesso del suo libero
arbitrio. Vi è stato detto di quali ampie facoltà l'anima è stata dotata
per fare il bene. Ma, ahimè!, ci sono anime che soccombono, e Dio, non
volendole annientare, permette loro di andare in quei mondi dove, di
incarnazione in incarnazione, si purificano, si rigenerano e ridiventano
degne della gloria che è stata loro destinata.
17. I mondi di rigenerazione
servono di transizione fra i mondi di espiazione e i mondi felici.
L'anima che si pente vi trova calma e riposo nel portare a termine la
purificazione. Senza dubbio, in questi mondi, l'uomo è ancora soggetto
alle leggi che reggono la materia. Egli prova le vostre sensazioni e i
vostri desideri, ma è affrancato dalle passioni disordinate di cui voi
siete schiavi. Là non vi è più l'orgoglio che fa tacere il cuore,
l'invidia che tortura, l'odio che soffoca. La parola amore si trova
scritta su tutte le fronti; una perfetta equità regola i rapporti
sociali; tutti guardano a Dio e cercano di andare a Lui seguendo le Sue
leggi.
Là, comunque, non esiste ancora la perfetta felicità, ma l'aurora della felicità. L'uomo è ancora carne e, per ciò stesso, soggetto a quelle vicissitudini da cui sono esenti solo gli esseri smaterializzati. Ci sono ancora delle prove da subire, ma non c'è la cocente angoscia dell'espiazione. A confronto della Terra, questi mondi sono particolarmente felici. E molti di voi sarebbero contenti di fermarvisi, perché è la calma dopo la tempesta, la convalescenza dopo una crudele malattia. Ma l'uomo, meno preso dalle cose materiali, intravede meglio l’avvenire di quanto non lo facciate voi; comprende che sono altre le gioie che il Signore promette a quelli che se ne rendono degni, quando la morte avrà di nuovo falciato i loro corpi per dare loro la vera vita. È allora che l'anima, affrancata, fluttuerà su tutti gli orizzonti. Non avrà più sensi materiali e grossolani, ma i sensi di un perispirito puro e celeste, che aspira alle emanazioni di Dio stesso nei profumi dell'amore e della carità che da Lui emanano.
Là, comunque, non esiste ancora la perfetta felicità, ma l'aurora della felicità. L'uomo è ancora carne e, per ciò stesso, soggetto a quelle vicissitudini da cui sono esenti solo gli esseri smaterializzati. Ci sono ancora delle prove da subire, ma non c'è la cocente angoscia dell'espiazione. A confronto della Terra, questi mondi sono particolarmente felici. E molti di voi sarebbero contenti di fermarvisi, perché è la calma dopo la tempesta, la convalescenza dopo una crudele malattia. Ma l'uomo, meno preso dalle cose materiali, intravede meglio l’avvenire di quanto non lo facciate voi; comprende che sono altre le gioie che il Signore promette a quelli che se ne rendono degni, quando la morte avrà di nuovo falciato i loro corpi per dare loro la vera vita. È allora che l'anima, affrancata, fluttuerà su tutti gli orizzonti. Non avrà più sensi materiali e grossolani, ma i sensi di un perispirito puro e celeste, che aspira alle emanazioni di Dio stesso nei profumi dell'amore e della carità che da Lui emanano.
18.
Ma, ahimè!, in questi mondi l'uomo è ancora fallibile, e lo spirito del
male non vi ha ancora perso il suo potere. Non avanzare è
indietreggiare, e se l'uomo non è determinato nella via del bene, può
ricadere nei mondi di espiazione dove l'attendono nuove e più terribili
prove.
Contemplate dunque questa volta celeste, nell'ora del riposo e della preghiera, e fra le infinite sfere che brillano sul vostro capo, domandatevi quali vi condurranno a Dio, e pregatelo affinché un mondo rigeneratore vi apra le sue braccia dopo l'espiazione sulla Terra.
Contemplate dunque questa volta celeste, nell'ora del riposo e della preghiera, e fra le infinite sfere che brillano sul vostro capo, domandatevi quali vi condurranno a Dio, e pregatelo affinché un mondo rigeneratore vi apra le sue braccia dopo l'espiazione sulla Terra.
(Sant'Agostino, Parigi, 1862)
Progresso dei mondi
19.
Il progresso è una delle leggi della natura. Tutti gli esseri della
creazione, animati e inanimati, ne sono coinvolti grazie alla bontà di
Dio, che vuole che tutto cresca e prosperi. La morte stessa, che agli
uomini sembra la fine delle cose, non è che un mezzo per arrivare,
attraverso la trasformazione, a uno stato più perfetto, perché tutto
muore per rinascere, e niente rientra nel nulla.
Mentre gli esseri viventi progrediscono moralmente, i mondi che essi abitano progrediscono materialmente. A chi fosse dato di seguire un mondo, nelle sue varie fasi, dall'attimo in cui si sono agglomerati i primi atomi occorsi per costituirlo, lo vedrebbe percorrere una scala incessantemente in ascesa, ma a livelli insensibili per ogni generazione, e offrire ai suoi abitanti una permanenza più piacevole man mano che essi procedono sulla via del progresso. Così, parallelamente al progresso dell'uomo, avanza quello degli animali, dei vegetali e dei luoghi dove si vive, poiché niente è stabile in natura.
Com'è grande questa idea e quanto degna della maestà del Creatore! E quanto invece è piccola e indegna della Sua potenza quella che concentra la sua sollecitudine e le sue preoccupazioni su quell'impercettibile granello di sabbia che è la Terra e riduce l'umanità a pochi uomini che la abitano!
Seguendo questa legge, la Terra si è trovata materialmente e moralmente in uno stato inferiore a quello di oggi e, sotto questo duplice aspetto, raggiungerà un grado ancora più avanzato. Essa è arrivata a uno dei suoi periodi di trasformazione, quello in cui il mondo di espiazione sta trasformandosi in un mondo di rigenerazione. Allora gli uomini saranno felici, perché la legge di Dio vi regnerà.
Mentre gli esseri viventi progrediscono moralmente, i mondi che essi abitano progrediscono materialmente. A chi fosse dato di seguire un mondo, nelle sue varie fasi, dall'attimo in cui si sono agglomerati i primi atomi occorsi per costituirlo, lo vedrebbe percorrere una scala incessantemente in ascesa, ma a livelli insensibili per ogni generazione, e offrire ai suoi abitanti una permanenza più piacevole man mano che essi procedono sulla via del progresso. Così, parallelamente al progresso dell'uomo, avanza quello degli animali, dei vegetali e dei luoghi dove si vive, poiché niente è stabile in natura.
Com'è grande questa idea e quanto degna della maestà del Creatore! E quanto invece è piccola e indegna della Sua potenza quella che concentra la sua sollecitudine e le sue preoccupazioni su quell'impercettibile granello di sabbia che è la Terra e riduce l'umanità a pochi uomini che la abitano!
Seguendo questa legge, la Terra si è trovata materialmente e moralmente in uno stato inferiore a quello di oggi e, sotto questo duplice aspetto, raggiungerà un grado ancora più avanzato. Essa è arrivata a uno dei suoi periodi di trasformazione, quello in cui il mondo di espiazione sta trasformandosi in un mondo di rigenerazione. Allora gli uomini saranno felici, perché la legge di Dio vi regnerà.
(Sant'Agostino, Parigi, 1862)
Capitolo IV NESSUNO PUÒ VEDERE IL REGNO DI DIO SE NON NASCE DI NUOVO
Nessuno Può Vedere Il Regno di Dio se Non Nasce Di Nuovo
1.
Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi
discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo? Essi
risposero: Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri,
Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: E voi, chi dite che io
sia? Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente». Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di
Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il
Padre mio che è nei cieli». (Matteo 16:13-17; Marco 8:27-29)
2.
Erode, il tetrarca, udì parlare di tutti quei fatti; ne era perplesso,
perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti»; altri
dicevano: «È apparso Elia»; e altri. «È risuscitato uno degli antichi
profeti». Ma Erode disse: «Giovanni l'ho fatto decapitare; chi è dunque
costui del quale sento dire queste cose?» E cercava di vederlo. (Luca 9:7-9; Marco 6:14-15)
3. E
i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima
deve venire Elia? Egli rispose: «Certo, Elia deve venire e ristabilire
ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto;
anzi, gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto; così anche il
Figlio dell'uomo deve soffrire da parte loro». Allora i discepoli
capirono che egli aveva parlato loro di Giovanni il battista. (Matteo 17:10-13; Marco 9:10-12)
Resurrezione e reincarnazione
4. La reincarnazione faceva parte dei dogmi giudaici sotto la denominazione di resurrezione. Solo
i Sadducei, che pensavano che tuttofinisse con la morte, non ci
credevano. Le idee dei Giudei su questo punto, come su molti altri, non
erano chiaramente definite, perché avevano solo delle nozioni vaghe e
incomplete sull'anima e i suoi legami con il corpo. Essi credevano che
un uomo che aveva vissuto potesse rivivere, senza rendersi esattamente
conto del modo in cui le cose avrebbero potuto avere luogo. Essi
designavano con la parola resurrezione ciò che lo Spiritismo chiama più coerentemente reincarnazione. In effetti, la resurrezione presuppone
il ritorno alla vita del corpo che è morto, cosa che la scienza
dimostra essere materialmente impossibile, soprattutto quando gli
elementi di questo corpo sono da lungo tempo decomposti e assorbiti. La reincarnazione è il
ritorno dell'anima, o Spirito, alla vita fisica, ma in un altro corpo
nuovamente formato per questa anima e che niente ha in comune con il
vecchio. La parola resurrezione poteva
anche applicarsi a Lazzaro, ma non a Elia né agli altri profeti. Se
dunque, secondo quanto essi credevano, Giovanni Battista era Elia, il
corpo di Giovanni non poteva essere quello di Elia, in quanto Giovanni
era stato visto bambino e se ne conoscevano il padre e la madre.
Giovanni poteva dunque essere Elia reincarnato, ma non risuscitato.
5. C'era
tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli
venne di notte da Gesù, e gli disse: «Rabbi, noi sappiamo che tu sei un
dottore venuto da Dio; perché
nessuno può fare questi miracoli che tu, fai, se Dio non è con lui».
Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di
nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come
può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda
volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In
verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito,
non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne;
e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti
ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e
tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di
chiunque è nato dallo Spirito». Nicodemo replicò e gli disse: «Come
possono avvenire queste cose?» Gesù gli rispose: «Tu sei maestro
d'Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico che noi
parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo di ciò che abbiamo visto; ma
voi non ricevete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose
terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle cose celesti?»
(Giovanni 3:1-12)
6. L'idea che Giovanni
Battista fosse Elia e che i profeti potessero rivivere sulla Terra si
trova in numerosi passaggi dei Vangeli e, in particolare, in quelli
riferiti qui sopra (nn. 1, 2, 3). Se questa credenza non fosse stata
vera, Gesù non avrebbe mancato di combatterla, come ne ha combattute
tante altre. Lungi da ciò, l'ha confermata con la Sua autorità, e ne ha
fatto un principio e una condizione necessaria quando dice: «Se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio, e insiste aggiungendo: «Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo"».
7. Queste parole: «Se uno non è nato d'acqua e di Spirito», sono
state interpretate nel senso della rigenerazione per mezzo dell'acqua
del battesimo. Ma il testo originale portava semplicemente: «non rinasce dall'acqua e dallo Spirito», mentre, in alcune traduzioni, le parole dallo Spirito sono state sostituite con le parole dallo Spirito Santo, la
qual cosa non corrisponde più allo stesso concetto. Questo punto
capitale emerge dai primi commentari fatti sul Vangelo, così come un
giorno ciò verrà costatato senza possibilità di equivoco.[1]
-------------------------
[1] La traduzione di Osterwald è conforme al testo originale. Essa
riporta «non si rinasce dall'acqua e dallo Spirito». Quella di Sacy
dice: «dal Santo Spirito». Quella di Lamennais: «dallo Spirito Santo».
8. Per comprendere il vero senso di queste parole, bisogna anche riferirsi al significato della parola acqua che non è affatto impiegata secondo l'accezione corrente.
Le conoscenze degli Antichi sulle scienze fisiche erano approssimative. Essi credevano che la Terra fosse uscita dalle acque e per questo consideravano l'acqua come l'elemento generatore in assoluto. Infatti nella Genesi si dice: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque» — «Vi sia una distesa tra le acque, che separi le acque dalle acque» — «Dio chiamò la distesa "cielo"» — «Dio fece pure le stelle e le mise nella distesa dei cieli» — «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia Pasciuto» — «Producano le acque in abbondanza esseri viventi, e volino degli uccelli sopra la terra per l'ampia distesa del cielo».
In seguito a questa credenza l'acqua era diventata il simbolo della natura materiale, come lo Spirito era diventato quello della natura intelligente. Queste parole: «Se uno non è nato d'acqua e di Spirito», oppure «nell'acqua e nello Spirito» significano dunque: «Se l'uomo non rinasce con il suo corpo e la sua anima». È in questo senso che le parole sono state comprese all'inizio.
Questa interpretazione è d'altra parte suffragata da queste altre parole: «Quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è Spirito». Gesù fa qui una precisa distinzione fra lo Spirito e il corpo. «Quello che è nato dalla carne è carne» indica chiaramente che solo il corpo procede dal corpo, e che lo Spirito è indipendente dal corpo.
Le conoscenze degli Antichi sulle scienze fisiche erano approssimative. Essi credevano che la Terra fosse uscita dalle acque e per questo consideravano l'acqua come l'elemento generatore in assoluto. Infatti nella Genesi si dice: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque» — «Vi sia una distesa tra le acque, che separi le acque dalle acque» — «Dio chiamò la distesa "cielo"» — «Dio fece pure le stelle e le mise nella distesa dei cieli» — «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia Pasciuto» — «Producano le acque in abbondanza esseri viventi, e volino degli uccelli sopra la terra per l'ampia distesa del cielo».
In seguito a questa credenza l'acqua era diventata il simbolo della natura materiale, come lo Spirito era diventato quello della natura intelligente. Queste parole: «Se uno non è nato d'acqua e di Spirito», oppure «nell'acqua e nello Spirito» significano dunque: «Se l'uomo non rinasce con il suo corpo e la sua anima». È in questo senso che le parole sono state comprese all'inizio.
Questa interpretazione è d'altra parte suffragata da queste altre parole: «Quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è Spirito». Gesù fa qui una precisa distinzione fra lo Spirito e il corpo. «Quello che è nato dalla carne è carne» indica chiaramente che solo il corpo procede dal corpo, e che lo Spirito è indipendente dal corpo.
9. «Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove vo, si può intendere come lo Spirito di Dio che dà la vita a chi vuole oppure come l'anima dell'uomo. In quest'ultima accezione, «Tu non sai né da dove viene né dove va», significa
che non si conosce né quello che è stato né quello che lo Spirito sarà.
Se lo Spirito, o anima, fosse stato creato contemporaneamente al corpo,
si saprebbe da dove viene, in quanto se ne conoscerebbe l'inizio.
Comunque, questo passaggio è la consacrazione del principio della
preesistenza dell'anima e, di conseguenza, della pluralità delle
esistenze.
10. Dai
giorni di Giovanni il battista fino a ora, il regno dei cieli è preso a
forza, e i violenti se ne impadroniscono. Poiché tutti i profeti e la
legge hanno profetizzato fino a Giovanni. Se lo volete accettare, egli è
l'Elia che doveva venire. Chi ha orecchi per udire oda. (Matteo 11:12-15)
11. Se il principio della
reincarnazione espresso in san Giovanni poteva, a rigore, venire
interpretato in senso puramente mistico, non lo è ugualmente in questo
passaggio di san Matteo dove non c'è alcuna possibilità di equivoco: «Egli è l'Elia che doveva venire». Non vi è né retorica né allegoria: è un'affermazione positiva. «Dai giorni di Giovanni il battista fino a ora il Regno dei Cieli è preso a forza».
Che cosa significano le parole " Dai giorni di Giovanni il battista fino a ora"? Dal momento che Giovanni Battista viveva ancora a quel tempo? Gesù lo spiega dicendo: «Se lo volete accettare, egli è l'Elia doveva venire». Ora, non essendo Giovanni altri che Elia, Gesù fa allusione ai tempi in cui Giovanni viveva sotto il nome di Elia. «Fino a ora il Regno dei Cieli è preso a forza» è un'altra allusione alla violenza della legge mosaica, che ordinava lo sterminio degli infedeli per guadagnare la Terra Promessa, il Paradiso degli Ebrei, mentre, secondo la nuova legge, il Cielo si guadagna con la carità e la dolcezza.
Pertanto aggiunge: «Chi ha orecchi per udire oda». Queste parole, così frequentemente ripetute da Gesù, dicono chiaramente che non tutti erano in grado di comprendere certe verità.
Che cosa significano le parole " Dai giorni di Giovanni il battista fino a ora"? Dal momento che Giovanni Battista viveva ancora a quel tempo? Gesù lo spiega dicendo: «Se lo volete accettare, egli è l'Elia doveva venire». Ora, non essendo Giovanni altri che Elia, Gesù fa allusione ai tempi in cui Giovanni viveva sotto il nome di Elia. «Fino a ora il Regno dei Cieli è preso a forza» è un'altra allusione alla violenza della legge mosaica, che ordinava lo sterminio degli infedeli per guadagnare la Terra Promessa, il Paradiso degli Ebrei, mentre, secondo la nuova legge, il Cielo si guadagna con la carità e la dolcezza.
Pertanto aggiunge: «Chi ha orecchi per udire oda». Queste parole, così frequentemente ripetute da Gesù, dicono chiaramente che non tutti erano in grado di comprendere certe verità.
12. Quelli
della vostra gente che sono stati fatti morire rivivano; quelli che
erano morti fra me saranno risuscitati. Risvegliati dal tuo sonno e
canta inni a Dio, tu che abiti nella polvere; perché la rugiada che cade
su di te è una rugiada di luce e perché rovinerai la Terra e il regno
dei giganti. (Isaia 26:19)
13. Questo passaggio di
Isaia è così spiegato: «Quelli della vostra gente che sono stati fatti
morire rivivano». Se il profeta avesse inteso parlare della vita
spirituale, se avesse voluto dire che quelli che erano stati fatti
morire non erano morti nello Spirito, avrebbe detto: vivranno ancora, e non: rivivano.
In senso spirituale queste parole sarebbero un nonsenso, perché comporterebbero un'interruzione nella vita dell'anima. Nel senso di rigenerazione morale, sarebbero la negazione delle pene eterne, in quanto stabilirebbero come principio che tutti quelli che sono morti rivivranno.
In senso spirituale queste parole sarebbero un nonsenso, perché comporterebbero un'interruzione nella vita dell'anima. Nel senso di rigenerazione morale, sarebbero la negazione delle pene eterne, in quanto stabilirebbero come principio che tutti quelli che sono morti rivivranno.
14. Ma
quando l'uomo è morto una volta e il suo corpo, separato dal suo
Spirito, è consumato, che cosa diventa? L'uomo, essendo morto una volta,
potrebbe rivivere di nuovo? In questa guerra in cui mi trovo tutti i
giorni della mia vita, attendo che giunga il mio cambiamento (Giobbe 14:10, 14. Traduzione di Le Maistre de Sacy).
Quando l'uomo muore perde ogni forza; il mortale spira, e dov'è egli? Se l'uomo muore, può egli tornare in vita? Aspetterei fiducioso tutti i giorni della mia sofferenza, finché cambiasse la mia condizione? (Id., traduzione protestante di Osterwald).
Quando l'uomo è morto, vive sempre; finendo i giorni della mia esistenza terrena, attenderò, perché io ritornerò un'altra volta (Id., versione della Chiesa greca).
Quando l'uomo muore perde ogni forza; il mortale spira, e dov'è egli? Se l'uomo muore, può egli tornare in vita? Aspetterei fiducioso tutti i giorni della mia sofferenza, finché cambiasse la mia condizione? (Id., traduzione protestante di Osterwald).
Quando l'uomo è morto, vive sempre; finendo i giorni della mia esistenza terrena, attenderò, perché io ritornerò un'altra volta (Id., versione della Chiesa greca).
15. Il principio della
pluralità delle esistenze è chiaramente espresso nelle tre versioni. Non
si può supporre che Giobbe abbia voluto parlare della rigenerazione per
mezzo dell'acqua del battesimo, che certamente non conosceva. «L'uomo,
essendo morto una volta, potrebbe rivivere di nuovo?»
L'idea di morire una volta e di rivivere, implica quella di morire e di
rivivere molte volte. La versione della Chiesa greca è ancora più
esplicita, se possibile: «Finendo i giorni della mia esistenza terrena, attenderò, perché io ritornerò un'altra
volta», ossia ritornerò all'esistenza terrena. Ciò è chiaro come se
qualcuno dicesse: «Esco dalla mia casa, ma ci ritornerò».
«In questa guerra in cui io mi trovo tutti i giorni della mia vita, attendo che giunga il mio cambiamento». Giobbe vuole evidentemente parlare della lotta che sostiene contro le miserie della vita. Attende il suo cambiamento, ossia si rassegna. Nella versione greca, attenderò sembra piuttosto riferirsi alla nuova esistenza: «Finendo i giorni della mia esistenza terrena, attenderò, perché io ritornerò». Giobbe sembra collocarsi, dopo la morte, in un intervallo che separa un'esistenza dall'altra, e dire che là attenderà il suo ritorno.
«In questa guerra in cui io mi trovo tutti i giorni della mia vita, attendo che giunga il mio cambiamento». Giobbe vuole evidentemente parlare della lotta che sostiene contro le miserie della vita. Attende il suo cambiamento, ossia si rassegna. Nella versione greca, attenderò sembra piuttosto riferirsi alla nuova esistenza: «Finendo i giorni della mia esistenza terrena, attenderò, perché io ritornerò». Giobbe sembra collocarsi, dopo la morte, in un intervallo che separa un'esistenza dall'altra, e dire che là attenderà il suo ritorno.
16. Non vi è dubbio dunque
che sotto il termine di resurrezione, il principio della reincarnazione
era una delle credenze fondamentali dei Giudei; e ciò è confermato da
Gesù e dai profeti in modo formale. Ne deriva, quindi, che negare la
reincarnazione è rinnegare le parole di Cristo. Le Sue parole, un
giorno, saranno accettate e rispettate su questo punto, come su molti
altri, quando saranno state analizzate senza preconcetti.
17.
Ma a questa autorevolezza, dal punto di vista religioso, si deve
aggiungere, dal punto di vista filosofico, quella delle prove che
risultano dall'osservazione dei fatti. Quando dagli effetti si vuole
risalire alle cause, la reincarnazione appare come una necessità
assoluta, come una condizione inerente all'umanità, in una parola, come
una legge di natura. Essa si rivela attraverso i suoi risultati in
maniera, per così dire, materiale, come il motore nascosto si rivela
attraverso il movimento. Solamente la reincarnazione può dire all'uomo da dove viene, dove va, perché è sulla Terra, e giustificare tutte le incongruenze e tutte le ingiustizie apparenti della vita presente.[2]
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[2] Per lo sviluppo del principio della reincarnazione, vedere di Allan Kardec Il libro degli Spiriti, cap. IV e V; Che cos'è lo Spiritismo, cap. II; e di Pezzani La pluralità delle esistenze.
Senza il principio della preesistenza dell'anima e della pluralità delle esistenze, la maggior parte delle massime del Vangelo sono inintelligibili. È perché non si è considerato questo principio che sono sorte interpretazioni tanto contraddittorie. Questo principio è la chiave che può restituirci il loro vero senso.
Senza il principio della preesistenza dell'anima e della pluralità delle esistenze, la maggior parte delle massime del Vangelo sono inintelligibili. È perché non si è considerato questo principio che sono sorte interpretazioni tanto contraddittorie. Questo principio è la chiave che può restituirci il loro vero senso.
I legami familiari rafforzati dalla reincarnazione e infranti dall'unicità dell'esistenza
18. I legami familiari non
vengono per niente distrutti dalla reincarnazione, come certuni pensano,
al contrario vengono rafforzati e diventano più stretti. È il principio
opposto che li distrugge.
Gli Spiriti formano nello spazio dei gruppi, o famiglie, uniti dall'affetto, dalla simpatia e dall'affinità delle inclinazioni. Questi Spiriti, felici di essere insieme, si cercano, e l'incarnazione li separa solo momentaneamente perché, dopo il loro rientro nello stato erratico, si ritrovano come degli amici al ritorno da un viaggio. Sovente si seguono persino nell'incarnazione, dove si trovano riuniti in una famiglia o in uno stesso ambiente e lavorano insieme per il loro reciproco avanzamento. Se gli uni sono incarnati e gli altri no, essi sono nondimeno uniti dal pensiero. Quelli che sono liberi vegliano su quelli che sono incarnati, prigionieri della carne, mentre i più avanzati cercano di far progredire i ritardatari. Dopo alcune esistenze, essi hanno fatto un passo avanti sul cammino della perfezione. Sempre meno attaccati alla materia, il loro affetto diviene più vivo, e proprio per questo più puro, non più turbato né dall'egoismo né dalle nubi della passione. Essi possono dunque percorrere così un numero illimitato di esistenze fisiche senza che nulla leda il loro reciproco affetto.
È chiaro che qui si tratta di un affetto reale da anima ad anima, il solo che sopravvivrà alla dissoluzione del corpo, perché gli esseri che in questo mondo si uniscono solo con i sensi non hanno alcun motivo di cercarsi nel mondo degli Spiriti. Di duraturo ci sono solo gli affetti spirituali. Gli affetti carnali si spengono insieme alla causa che li ha fatti nascere; ora, questa causa non esiste più nel mondo degli Spiriti, mentre l'anima esiste sempre. Quanto alle persone unite solo dall'interesse, esse non rappresentano veramente niente le une per le altre: la morte le separa in Terra e in Cielo.
Gli Spiriti formano nello spazio dei gruppi, o famiglie, uniti dall'affetto, dalla simpatia e dall'affinità delle inclinazioni. Questi Spiriti, felici di essere insieme, si cercano, e l'incarnazione li separa solo momentaneamente perché, dopo il loro rientro nello stato erratico, si ritrovano come degli amici al ritorno da un viaggio. Sovente si seguono persino nell'incarnazione, dove si trovano riuniti in una famiglia o in uno stesso ambiente e lavorano insieme per il loro reciproco avanzamento. Se gli uni sono incarnati e gli altri no, essi sono nondimeno uniti dal pensiero. Quelli che sono liberi vegliano su quelli che sono incarnati, prigionieri della carne, mentre i più avanzati cercano di far progredire i ritardatari. Dopo alcune esistenze, essi hanno fatto un passo avanti sul cammino della perfezione. Sempre meno attaccati alla materia, il loro affetto diviene più vivo, e proprio per questo più puro, non più turbato né dall'egoismo né dalle nubi della passione. Essi possono dunque percorrere così un numero illimitato di esistenze fisiche senza che nulla leda il loro reciproco affetto.
È chiaro che qui si tratta di un affetto reale da anima ad anima, il solo che sopravvivrà alla dissoluzione del corpo, perché gli esseri che in questo mondo si uniscono solo con i sensi non hanno alcun motivo di cercarsi nel mondo degli Spiriti. Di duraturo ci sono solo gli affetti spirituali. Gli affetti carnali si spengono insieme alla causa che li ha fatti nascere; ora, questa causa non esiste più nel mondo degli Spiriti, mentre l'anima esiste sempre. Quanto alle persone unite solo dall'interesse, esse non rappresentano veramente niente le une per le altre: la morte le separa in Terra e in Cielo.
19. L'unione e l'affetto
esistenti fra parenti sono l'indice della simpatia precedente che li
aveva uniti. Così, di una persona, per carattere, gusti e inclinazioni,
diversa dai familiari, si dice che non è della famiglia. Dicendo ciò, si
pronuncia una verità più grande di quanto si creda. Dio permette, nelle
famiglie, queste incarnazioni di Spiriti antipatici o estranei, col
duplice scopo di servire da prova per gli uni e come mezzo di
avanzamento per gli altri. Infatti i cattivi migliorano a poco a poco a
contatto con i buoni e per le cure che ne ricevono: il loro carattere si
addolcisce, i loro costumi si purificano, le antipatie si cancellano. È
così che si stabilisce la fusione fra le differenti categorie di
Spiriti, come sulla Terra fra razze e popoli.
20. Il timore dell'aumento
indefinito dei familiari, dovuto alla reincarnazione, è un timore
egoistico che dimostra che non si sente un amore abbastanza grande da
estenderlo a un grande numero di persone. Un padre che ha molti figli li
ama forse meno di quanto succederebbe se ne avesse uno solo? Ma gli
egoisti si rassicurino, poiché questo timore è infondato. Per il fatto
che un individuo abbia avuto dieci incarnazioni, non ne consegue che
ritroverà nel mondo degli Spiriti dieci padri, dieci madri, dieci mogli e
un numero relativo di figli e di nuovi parenti. Egli troverà sempre gli
stessi oggetti del suo affetto, gli stessi che erano stati legati a lui
sulla Terra, a diverso titolo, e anche allo stesso titolo.
21. Vediamo ora le
conseguenze della dottrina della non reincarnazione. Questa dottrina
nega necessariamente la preesistenza dell'anima; tutte le anime vengono
create al momento della creazione del corpo, senza che ci sia fra le
varie anime nessun legame precedente. Sono completamente estranee le une
alle altre; il padre è estraneo ai suoi figli, e la prole si trova così
ridotta alla sola procreazione fisica, senza nessun legame spirituale.
Non c'è dunque ragione di vantarsi d'avere avuto come antenati il tale o
talaltro personaggio illustre. Con la reincarnazione, invece, antenati e
discendenti possono essersi conosciuti, aver vissuto insieme, essere
stati amici ed essersi ritrovati riuniti più tardi per rinforzare i loro
legami di simpatia.
22. Questo per quanto
riguarda il passato. Quanto all'avvenire, secondo uno dei principi
fondamentali che decorrono dalla non reincarnazione, il destino delle
anime è irrevocabilmente fissato dopo una sola esistenza. Il fatto di
fissare definitivamente il destino implica la cessazione del progredire,
poiché se si considera che c'è un
qualsiasi progresso, non c'è più un destino definitivo. A seconda che si
sia vissuto bene o male, le anime vanno immediatamente fra i beati o
nell'eterno inferno. Esse vengono perciò immediatamente separate per sempre, e senza speranza di mai più riunirsi, in
modo tale che padri, madri e figli, mariti e mogli, fratelli e sorelle,
e amici non hanno la certezza di rivedersi: è la rottura assoluta dei
legami familiari.
Con la reincarnazione e il conseguente progresso, tutti coloro che si sono amati si ritrovano sulla Terra e nello spazio e gravitano insieme per giungere a Dio. Se alcuni sbagliano durante il percorso, ritardano il loro avanzamento e la loro beatitudine. Ma non tutte le speranze sono perdute: aiutati, incoraggiati e sostenuti da coloro che li amano, usciranno un giorno dal pantano in cui si trovano invischiati. Con la reincarnazione, infine, c'è solidarietà perpetua fra gli incarnati e i disincarnati, da qui il rafforzarsi dei legami affettivi.
Con la reincarnazione e il conseguente progresso, tutti coloro che si sono amati si ritrovano sulla Terra e nello spazio e gravitano insieme per giungere a Dio. Se alcuni sbagliano durante il percorso, ritardano il loro avanzamento e la loro beatitudine. Ma non tutte le speranze sono perdute: aiutati, incoraggiati e sostenuti da coloro che li amano, usciranno un giorno dal pantano in cui si trovano invischiati. Con la reincarnazione, infine, c'è solidarietà perpetua fra gli incarnati e i disincarnati, da qui il rafforzarsi dei legami affettivi.
23. Riassumendo, quattro
sono le alternative che si presentano all'uomo per il suo avvenire
d'oltretomba: 1º) il nulla, secondo la Dottrina Materialistica; 2º)
l'assorbimento nel tutto universale, secondo la Dottrina Panteistica;
3º) l'individualità con la fissazione definitiva del destino, secondo la
Dottrina della Chiesa; 4º) l'individualità in progressione indefinita,
secondo la Dottrina Spiritista. Secondo le prime due, i legami familiari
si spezzano dopo la morte, e non c'è speranza alcuna di ritrovarsi. Con
la terza, esiste la speranza di rivedersi, ammesso però che ci si trovi
nello stesso luogo, e questo luogo può essere sia l'inferno sia il
paradiso. Invece con la pluralità delle esistenze, che è inscindibile
dal progresso graduale, vi è la certezza della continuità dei rapporti
fra coloro che si sono amati, ed è questo che costituisce la vera
famiglia.
Istruzioni Degli Spiriti
Limiti dell'incarnazione
24. Quali sono i limiti dell'incarnazione?
L'incarnazione non ha assolutamente, in senso proprio, dei limiti tracciati nettamente, se la si considera in base all'involucro costituito dal corpo dello Spirito, poiché la materialità di questo involucro diminuisce man mano che lo Spirito si purifica. In certi mondi, più avanzati di quanto non sia la Terra, esso è già meno denso, meno pesante, meno rozzo e, di conseguenza, soggetto a minori vicissitudini. Trovandosi a un grado più elevato, esso è diafano e quasi fluido; si smaterializza gradualmente e finisce col confondersi con il perispirito. A seconda del mondo sul quale lo Spirito è chiamato a vivere, esso prenderà l'involucro consono alla natura di questo mondo.
Lo stesso perispirito subisce, in progressione, successive trasformazioni. Si eterizza via via fino alla purificazione completa costituita dal puro Spirito. Se agli Spiriti molto progrediti vengono destinati, come stazioni, dei mondi speciali, essi non vi rimangono attaccati come nei mondi inferiori: lo stato di libertà in cui si trovano, permette loro di trasferirsi là dove la missione è stata loro assegnata.
Se si considera l'incarnazione dal punto di vista materiale, così come ha luogo sulla Terra, si può dire che essa è limitata ai mondi inferiori. Di conseguenza, dipende dallo Spirito affrancarsene più o meno prontamente lavorando per la propria purificazione.
Bisogna pure considerare che nello stato erratico, ossia nell'intervallo fra un'esistenza fisica e l'altra, la situazione dello Spirito è in rapporto alla natura del mondo ai quale è legato il suo grado di avanzamento. E così, nell'errare, è più o meno felice, libero e illuminato, a seconda che sia più o meno smaterializzato.
L'incarnazione non ha assolutamente, in senso proprio, dei limiti tracciati nettamente, se la si considera in base all'involucro costituito dal corpo dello Spirito, poiché la materialità di questo involucro diminuisce man mano che lo Spirito si purifica. In certi mondi, più avanzati di quanto non sia la Terra, esso è già meno denso, meno pesante, meno rozzo e, di conseguenza, soggetto a minori vicissitudini. Trovandosi a un grado più elevato, esso è diafano e quasi fluido; si smaterializza gradualmente e finisce col confondersi con il perispirito. A seconda del mondo sul quale lo Spirito è chiamato a vivere, esso prenderà l'involucro consono alla natura di questo mondo.
Lo stesso perispirito subisce, in progressione, successive trasformazioni. Si eterizza via via fino alla purificazione completa costituita dal puro Spirito. Se agli Spiriti molto progrediti vengono destinati, come stazioni, dei mondi speciali, essi non vi rimangono attaccati come nei mondi inferiori: lo stato di libertà in cui si trovano, permette loro di trasferirsi là dove la missione è stata loro assegnata.
Se si considera l'incarnazione dal punto di vista materiale, così come ha luogo sulla Terra, si può dire che essa è limitata ai mondi inferiori. Di conseguenza, dipende dallo Spirito affrancarsene più o meno prontamente lavorando per la propria purificazione.
Bisogna pure considerare che nello stato erratico, ossia nell'intervallo fra un'esistenza fisica e l'altra, la situazione dello Spirito è in rapporto alla natura del mondo ai quale è legato il suo grado di avanzamento. E così, nell'errare, è più o meno felice, libero e illuminato, a seconda che sia più o meno smaterializzato.
(San Luigi, Parigi, 1859)
Necessità dell'incarnazione
25. L’incarnazione è una punizione, e sono solo gli Spiriti colpevoli a esserne soggetti?
Il passaggio degli Spiriti attraverso la vita fisica è necessario per coloro che possono adempiere, per mezzo di azioni concrete, i disegni loro affidati da Dio. È necessario per loro stessi perché l'attività che sono obbligati a sviluppare aiuta a sviluppare la loro intelligenza. Essendo Dio sovranamente giusto, deve essere equanime con tutti i Suoi figli. È per questo che offre a tutti lo stesso punto di partenza, le stesse attitudini, gli stessi obblighi da assolvere e la stessa libertà di agire. Ogni privilegio sarebbe una preferenza, e ogni preferenza sarebbe un'ingiustizia. Ma per tutti gli Spiriti l'incarnazione non è che uno stato transitorio. È un compito che Dio impone al loro ingresso nella vita, come primo saggio dell'uso che essi faranno del libero arbitrio. Chi assolve questo compito con zelo supera più rapidamente e con minor fatica i primi gradini dell'iniziazione e gioisce prima del frutto del suo lavoro. Chi al contrario fa un cattivo uso della libertà, che Dio gli concede, ritarda il proprio avanzamento. Così, a causa della sua ostinazione, può prolungare indefinitamente la necessità di reincarnarsi, ed è allora che l'incarnazione diventa un castigo.
Il passaggio degli Spiriti attraverso la vita fisica è necessario per coloro che possono adempiere, per mezzo di azioni concrete, i disegni loro affidati da Dio. È necessario per loro stessi perché l'attività che sono obbligati a sviluppare aiuta a sviluppare la loro intelligenza. Essendo Dio sovranamente giusto, deve essere equanime con tutti i Suoi figli. È per questo che offre a tutti lo stesso punto di partenza, le stesse attitudini, gli stessi obblighi da assolvere e la stessa libertà di agire. Ogni privilegio sarebbe una preferenza, e ogni preferenza sarebbe un'ingiustizia. Ma per tutti gli Spiriti l'incarnazione non è che uno stato transitorio. È un compito che Dio impone al loro ingresso nella vita, come primo saggio dell'uso che essi faranno del libero arbitrio. Chi assolve questo compito con zelo supera più rapidamente e con minor fatica i primi gradini dell'iniziazione e gioisce prima del frutto del suo lavoro. Chi al contrario fa un cattivo uso della libertà, che Dio gli concede, ritarda il proprio avanzamento. Così, a causa della sua ostinazione, può prolungare indefinitamente la necessità di reincarnarsi, ed è allora che l'incarnazione diventa un castigo.
(San Luigi, Parigi, 1859)
26. Osservazione. Un
esempio pratico farà meglio comprendere questa differenza. L'allievo
arriva ai livelli della conoscenza solo dopo aver percorso tutto l'iter
scolastico che lo conduce al sapere. La frequenza delle classi,
qualunque sia la fatica che esse comportano, è un mezzo per raggiungere
lo scopo, e non una punizione. Lo studente diligente abbrevia la strada e
vi trova meno spine, ma non è lo stesso per lo studente la cui
negligenza e pigrizia lo obbligano a ripetere alcune classi. La
punizione non è, dunque, costituita dall'impegno che la frequenza di
ogni classe comporta, bensì dall'obbligo di dover ricominciare lo stesso
lavoro.
Così è per l'uomo sulla Terra. Per lo Spirito del primitivo che è pressoché all'esordio della vita spirituale, l'incarnazione è un mezzo per sviluppare la sua intelligenza. Ma per l'uomo illuminato, nel quale il senso morale è largamente sviluppato, e che è obbligato a ripetere le tappe di una vita materiale piena di angosce, mentre potrebbe già essere arrivato allo scopo, è un castigo, in quanto è costretto a prolungare la permanenza nei mondi inferiori e infelici. Chi, al contrario, si dedica attivamente al proprio progresso morale può non solo abbreviare la durata dell'incarnazione materiale, ma superare in una volta sola i livelli intermedi che lo separano dai mondi superiori.
Gli Spiriti potrebbero incarnarsi una volta sola nello stesso globo e compiere poi le loro altre esistenze in sfere differenti? Questa opinione sarebbe ammissibile soltanto se gli uomini fossero, sulla Terra, tutti esattamente allo stesso livello intellettuale e morale. Le differenze esistenti fra loro, dal primitivo all'uomo avanzato, mostrano i livelli che sono chiamati a superare. L'incarnazione, d'altra parte, deve avere uno scopo utile. Ora, che ne sarebbe dell'incarnazione effimera dei bambini che muoiono in tenera età? Avrebbero sofferto senza profitto per loro e per gli altri? Dio, le cui leggi sono tutte sovranamente sagge, non fa niente di inutile. Per mezzo della reincarnazione sullo stesso globo, ha voluto che gli stessi Spiriti si trovassero di nuovo in contatto e avessero l'occasione di riparare i loro torti reciprochi. Per via delle loro relazioni anteriori, Dio ha voluto, inoltre, fondare i legami familiari su una base spirituale e appoggiare su una legge di natura i principi di solidarietà, fraternità e uguaglianza.
Così è per l'uomo sulla Terra. Per lo Spirito del primitivo che è pressoché all'esordio della vita spirituale, l'incarnazione è un mezzo per sviluppare la sua intelligenza. Ma per l'uomo illuminato, nel quale il senso morale è largamente sviluppato, e che è obbligato a ripetere le tappe di una vita materiale piena di angosce, mentre potrebbe già essere arrivato allo scopo, è un castigo, in quanto è costretto a prolungare la permanenza nei mondi inferiori e infelici. Chi, al contrario, si dedica attivamente al proprio progresso morale può non solo abbreviare la durata dell'incarnazione materiale, ma superare in una volta sola i livelli intermedi che lo separano dai mondi superiori.
Gli Spiriti potrebbero incarnarsi una volta sola nello stesso globo e compiere poi le loro altre esistenze in sfere differenti? Questa opinione sarebbe ammissibile soltanto se gli uomini fossero, sulla Terra, tutti esattamente allo stesso livello intellettuale e morale. Le differenze esistenti fra loro, dal primitivo all'uomo avanzato, mostrano i livelli che sono chiamati a superare. L'incarnazione, d'altra parte, deve avere uno scopo utile. Ora, che ne sarebbe dell'incarnazione effimera dei bambini che muoiono in tenera età? Avrebbero sofferto senza profitto per loro e per gli altri? Dio, le cui leggi sono tutte sovranamente sagge, non fa niente di inutile. Per mezzo della reincarnazione sullo stesso globo, ha voluto che gli stessi Spiriti si trovassero di nuovo in contatto e avessero l'occasione di riparare i loro torti reciprochi. Per via delle loro relazioni anteriori, Dio ha voluto, inoltre, fondare i legami familiari su una base spirituale e appoggiare su una legge di natura i principi di solidarietà, fraternità e uguaglianza.
Capitolo V - BEATI GLI AFFLITTI
1.
Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati. (..) Beati
quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno
saziati. (...) Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di
loro è il regno dei cieli. (Matteo 5:4, 6, 10)
2.
Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro. Beati voi
che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete,
perché riderete. (Luca 6:20-21)
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. (Luca 6:24-25)
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. (Luca 6:24-25)
Giustezza delle afflizioni
3. La ricompensa che Gesù
promette agli afflitti della Terra, si può ottenere solo nella vita
futura. Senza la certezza del futuro, queste massime sarebbero un
nonsenso, anzi ben peggio, sarebbero un inganno. Anche con questa
certezza si comprende con difficoltà l'utilità di soffrire per essere
felici. È, dicono, per avere maggiori meriti. Ma allora ci si domanda
perché alcuni soffrano più di altri; perché alcuni nascano in miseria e
altri nell'opulenza, senza avere fatto niente che giustifichi questa
situazione; perché alcuni non riescano mai a ottenere successo, mentre
ad altri tutto sembra sorridere. Ma ciò che si comprende ancor meno è
vedere il bene e il male tanto ingiustamente divisi fra vizio e virtù;
vedere uomini virtuosi soffrire accanto a malvagi che prosperano. La
fede nell'avvenire può consolare e rendere pazienti, ma non spiega il
perché di queste incongruenze che sembrano smentire la giustizia divina.
Tuttavia, dal momento che si ammette Dio, non Lo si può concepire senza l'infinito della perfezione. Deve essere l'Onnipotente, tutto giustizia, tutto bontà, senza ciò non sarebbe Dio. Se Dio è sovranamente buono e giusto, non può agire per capriccio o con parzialità. Le vicissitudini della vita hanno dunque una causa. E, poiché Dio è giusto, questa causa deve essere giusta. Ecco ciò che ognuno deve ben approfondire. Dio ha messo gli uomini sulla via di questa causa attraverso gli insegnamenti di Gesù, e oggi, giudicandoli sufficientemente maturi per comprenderla, la rivela loro interamente attraverso lo Spiritismo, ovvero attraverso la voce degli Spiriti.
Tuttavia, dal momento che si ammette Dio, non Lo si può concepire senza l'infinito della perfezione. Deve essere l'Onnipotente, tutto giustizia, tutto bontà, senza ciò non sarebbe Dio. Se Dio è sovranamente buono e giusto, non può agire per capriccio o con parzialità. Le vicissitudini della vita hanno dunque una causa. E, poiché Dio è giusto, questa causa deve essere giusta. Ecco ciò che ognuno deve ben approfondire. Dio ha messo gli uomini sulla via di questa causa attraverso gli insegnamenti di Gesù, e oggi, giudicandoli sufficientemente maturi per comprenderla, la rivela loro interamente attraverso lo Spiritismo, ovvero attraverso la voce degli Spiriti.
Cause attuali delle afflizioni
4. Le vicissitudini della
vita sono di due generi o, se si vuole, hanno due origini ben
differenti, che è importante distinguere: le une hanno la loro causa
nella vita presente, le altre fuori da questa vita.
Risalendo alla fonte dei mali terreni, si riconoscerà che molti sono la conseguenza naturale del carattere e della condotta di coloro che li patiscono. Quanti uomini cadono a causa dei loro stessi errori! Quanti sono vittime della loro stessa imprevidenza, del loro orgoglio e della loro ambizione! Quanti si sono rovinati per mancanza di ordine, di perseveranza, per cattiva condotta o per non aver limitato i loro desideri!
Quante sono le unioni infelici frutto di calcolo o vanità, dove il cuore non c'entra per niente! Quanti dissensi, contrasti funesti si sarebbero potuti evitare con un poco più di moderazione e meno suscettibilità! Quante malattie e infermità sono la conseguenza dell'intemperanza e di eccessi di tutti i generi.
Quanti genitori infelici a causa dei figli, perché non ne hanno combattuto le cattive inclinazioni sin dall'inizio! Per pigrizia o indifferenza hanno lasciato sviluppare in loro il germe dell'orgoglio, dell'egoismo e della sciocca vanità che inaridisce il cuore. Poi, più tardi, raccogliendo quello che hanno seminato, si stupiscono e si affliggono per la loro mancanza di rispetto e per la loro ingratitudine.
Tutti quelli che sono stati colpiti nel profondo dalle vicissitudini e dalle disillusioni della vita interroghino obiettivamente la loro coscienza; risalgano via via fino all'origine dei mali che li affliggono, e vedranno che, nella maggior parte dei casi, non possono far altro che dire: se avessi fatto, se non avessi fatto la tal cosa, non mi troverei in questa situazione.
Con chi prendersela dunque per tutte queste afflizioni se non con se stessi? L'uomo è perciò quasi sempre l'artefice delle sue stesse disgrazie. Ma, anziché riconoscerlo, trova più semplice, meno umiliante per la sua vanità, accusare la sorte, la Provvidenza, la sfortuna, la sua cattiva stella, mentre la sua cattiva stella sta nella sua negligenza.
I mali di questa natura costituiscono sicuramente un notevole peso nelle vicissitudini della vita. L'uomo le eviterà quando si applicherà al suo miglioramento morale così come a quello intellettuale.
Risalendo alla fonte dei mali terreni, si riconoscerà che molti sono la conseguenza naturale del carattere e della condotta di coloro che li patiscono. Quanti uomini cadono a causa dei loro stessi errori! Quanti sono vittime della loro stessa imprevidenza, del loro orgoglio e della loro ambizione! Quanti si sono rovinati per mancanza di ordine, di perseveranza, per cattiva condotta o per non aver limitato i loro desideri!
Quante sono le unioni infelici frutto di calcolo o vanità, dove il cuore non c'entra per niente! Quanti dissensi, contrasti funesti si sarebbero potuti evitare con un poco più di moderazione e meno suscettibilità! Quante malattie e infermità sono la conseguenza dell'intemperanza e di eccessi di tutti i generi.
Quanti genitori infelici a causa dei figli, perché non ne hanno combattuto le cattive inclinazioni sin dall'inizio! Per pigrizia o indifferenza hanno lasciato sviluppare in loro il germe dell'orgoglio, dell'egoismo e della sciocca vanità che inaridisce il cuore. Poi, più tardi, raccogliendo quello che hanno seminato, si stupiscono e si affliggono per la loro mancanza di rispetto e per la loro ingratitudine.
Tutti quelli che sono stati colpiti nel profondo dalle vicissitudini e dalle disillusioni della vita interroghino obiettivamente la loro coscienza; risalgano via via fino all'origine dei mali che li affliggono, e vedranno che, nella maggior parte dei casi, non possono far altro che dire: se avessi fatto, se non avessi fatto la tal cosa, non mi troverei in questa situazione.
Con chi prendersela dunque per tutte queste afflizioni se non con se stessi? L'uomo è perciò quasi sempre l'artefice delle sue stesse disgrazie. Ma, anziché riconoscerlo, trova più semplice, meno umiliante per la sua vanità, accusare la sorte, la Provvidenza, la sfortuna, la sua cattiva stella, mentre la sua cattiva stella sta nella sua negligenza.
I mali di questa natura costituiscono sicuramente un notevole peso nelle vicissitudini della vita. L'uomo le eviterà quando si applicherà al suo miglioramento morale così come a quello intellettuale.
5. La legge umana individua
certe colpe e le punisce. Si può dunque dire che il condannato subisce
le conseguenze di ciò che fa. Ma la legge umana non individua e non può
individuare tutte le colpe. Essa colpisce soprattutto quelle che
danneggiano la società, e non quelle che nuocciono solo a quegli stessi
che le commettono. Ma Dio vuole il progresso di tutte le sue creature ed
è per questo che non lascia impunita nessuna deviazione dalla retta
via. Non c'è un solo errore, per leggero che sia, una sola infrazione
alla Sua legge, che non abbia forzatamente inevitabili conseguenze più o
meno spiacevoli. Da qui ne consegue che, nelle piccole come nelle
grandi cose, l'uomo viene sempre punito per le sue mancanze. Le
conseguenti sofferenze sono per lui l'avvertimento che ha agito male;
gli donano esperienza; lo rendono consapevole della differenza fra il
bene e il male e della necessità di migliorarsi, per evitare in avvenire
ciò che per lui è stato motivo di dolori. Senza ciò non avrebbe nessuna
ragione di emendarsi e, confidando nell'impunità, ritarderebbe il suo
avanzamento e di conseguenza la sua felicità futura.
Ma l'esperienza arriva qualche volta in ritardo: quando la vita è stata sprecata e turbata, le forze esaurite e il male è ormai senza rimedio. Allora l'uomo si trova a dire: «Se all'inizio della vita avessi saputo quello che so ora, quanti sbagli avrei evitato! Se potessi ricominciare, farei ben diversamente, ma non c'è più tempo!» Come il lavoratore pigro dice: «Hoperso la mia giornata», così anche lui dice: «Hoperso la mia vita». Ma come per il lavoratore, anche per lui il sole sorge il giorno seguente, e una nuova giornata incomincia permettendogli di recuperare il tempo perduto. Anche per lui, dopo la notte dell'oltretomba, brillerà il sole di una nuova vita nella quale potrà mettere a profitto l'esperienza del passato e le sue buone risoluzioni per l'avvenire.
Ma l'esperienza arriva qualche volta in ritardo: quando la vita è stata sprecata e turbata, le forze esaurite e il male è ormai senza rimedio. Allora l'uomo si trova a dire: «Se all'inizio della vita avessi saputo quello che so ora, quanti sbagli avrei evitato! Se potessi ricominciare, farei ben diversamente, ma non c'è più tempo!» Come il lavoratore pigro dice: «Hoperso la mia giornata», così anche lui dice: «Hoperso la mia vita». Ma come per il lavoratore, anche per lui il sole sorge il giorno seguente, e una nuova giornata incomincia permettendogli di recuperare il tempo perduto. Anche per lui, dopo la notte dell'oltretomba, brillerà il sole di una nuova vita nella quale potrà mettere a profitto l'esperienza del passato e le sue buone risoluzioni per l'avvenire.
Cause anteriori delle afflizioni
6. Ma se ci sono dei mali di
cui l'uomo è la causa prima in questa vita, ce ne sono degli altri
riguardo ai quali, per lo meno in apparenza, egli è completamente
estraneo, e che sembrano colpirlo per fatalità. Tale è per esempio la
perdita di esseri cari e di sostegno alla famiglia; tali sono gli
incidenti che nulla e nessuno può impedire; rovesci di fortuna che
sfuggono qualsiasi forma di prevenzione; le calamità naturali; le
infermità congenite, soprattutto quelle che impediscono a degli infelici
di guadagnarsi da vivere con il lavoro; le malformazioni, le malattie
mentali ecc.
Quelli che nascono in simili condizioni certamente non hanno fatto proprio niente in questa vita per meritare una così triste sorte, senza soluzione e senza rimedio. Essi non l'hanno potuta evitare, trovandosi così nell'impossibilità di mutare le cose da se stessi e alla mercé della pubblica commiserazione. Perché dunque degli esseri così disgraziati, mentre accanto, sotto lo stesso tetto, nella stessa famiglia, ce ne sono di così favoriti sotto ogni punto di vista?
Che dire infine di quei bambini che muoiono in tenera età e che della vita hanno conosciuto solo le sofferenze? Problemi che nessuna filosofia è riuscita ancora a risolvere, anomalie che nessuna religione ha potuto giustificare e che sarebbero la negazione della bontà, della giustizia e della provvidenza di Dio, nell'ipotesi che l'anima fosse creata contemporaneamente al corpo, e che la sua sorte fosse irrevocabilmente fissata dopo una permanenza di qualche istante sulla Terra. Che cosa hanno fatto queste anime, appena uscite dalle mani del Creatore, per patire tanta miseria in questo mondo e meritare in futuro una ricompensa o una punizione qualsiasi, quando non hanno potuto fare né del bene né del male?
Ciononostante, in virtù dell'assioma secondo il quale ogni effetto ha la sua causa, queste miserie sono effetti che devono avere una causa; e dal momento che si ammette un Dio giusto, questa causa deve essere giusta. Ora, poiché la causa precede sempre l'effetto e poiché tale causa non si trova nella vita presente, essa dev'essere anteriore a questa vita, ossia appartenere a un'esistenza precedente. D'altra parte Dio non può punire per il bene che è stato fatto né per il male che non si è fatto. Se siamo puniti è perché abbiamo fatto del male; se non abbiamo fatto del male in questa vita, l'abbiamo fatto in un'altra. È un'alternativa alla quale è impossibile sfuggire e la cui logica ci dice da quale parte sta la giustizia di Dio.
L'uomo non viene dunque sempre punito, o completamente punito, nella sua esistenza presente, ma non può mai sottrarsi alle conseguenze delle sue colpe. La prosperità del malvagio è solo momentanea, e se la sua espiazione non avviene oggi, avverrà domani, mentre colui che soffre espia per il passato. La sfortuna che a prima vista sembra immeritata, ha dunque la sua ragion d'essere, e chi soffre può sempre dire: «Perdonami, Signore, perché ho peccato».
Quelli che nascono in simili condizioni certamente non hanno fatto proprio niente in questa vita per meritare una così triste sorte, senza soluzione e senza rimedio. Essi non l'hanno potuta evitare, trovandosi così nell'impossibilità di mutare le cose da se stessi e alla mercé della pubblica commiserazione. Perché dunque degli esseri così disgraziati, mentre accanto, sotto lo stesso tetto, nella stessa famiglia, ce ne sono di così favoriti sotto ogni punto di vista?
Che dire infine di quei bambini che muoiono in tenera età e che della vita hanno conosciuto solo le sofferenze? Problemi che nessuna filosofia è riuscita ancora a risolvere, anomalie che nessuna religione ha potuto giustificare e che sarebbero la negazione della bontà, della giustizia e della provvidenza di Dio, nell'ipotesi che l'anima fosse creata contemporaneamente al corpo, e che la sua sorte fosse irrevocabilmente fissata dopo una permanenza di qualche istante sulla Terra. Che cosa hanno fatto queste anime, appena uscite dalle mani del Creatore, per patire tanta miseria in questo mondo e meritare in futuro una ricompensa o una punizione qualsiasi, quando non hanno potuto fare né del bene né del male?
Ciononostante, in virtù dell'assioma secondo il quale ogni effetto ha la sua causa, queste miserie sono effetti che devono avere una causa; e dal momento che si ammette un Dio giusto, questa causa deve essere giusta. Ora, poiché la causa precede sempre l'effetto e poiché tale causa non si trova nella vita presente, essa dev'essere anteriore a questa vita, ossia appartenere a un'esistenza precedente. D'altra parte Dio non può punire per il bene che è stato fatto né per il male che non si è fatto. Se siamo puniti è perché abbiamo fatto del male; se non abbiamo fatto del male in questa vita, l'abbiamo fatto in un'altra. È un'alternativa alla quale è impossibile sfuggire e la cui logica ci dice da quale parte sta la giustizia di Dio.
L'uomo non viene dunque sempre punito, o completamente punito, nella sua esistenza presente, ma non può mai sottrarsi alle conseguenze delle sue colpe. La prosperità del malvagio è solo momentanea, e se la sua espiazione non avviene oggi, avverrà domani, mentre colui che soffre espia per il passato. La sfortuna che a prima vista sembra immeritata, ha dunque la sua ragion d'essere, e chi soffre può sempre dire: «Perdonami, Signore, perché ho peccato».
7. Le sofferenze per cause
precedenti sono sovente, come quelle degli errori presenti, la
conseguenza naturale di errori commessi. Ossia, per una giustizia
equanimemente distribuita, l'uomo soffre quello che ha fatto soffrire
agli altri. Se è stato duro e inumano, potrà a sua volta essere trattato
duramente e con poca umanità; se è stato orgoglioso, potrà nascere in
una condizione umiliante; se è stato avaro, egoista o se ha fatto un
cattivo uso della sua fortuna, potrà essere privato del necessario; se è
stato un cattivo figlio, potrà soffrire per i suoi figli ecc.
Così si spiegano, attraverso la pluralità delle esistenze e la destinazione della Terra come luogo di espiazione, le incongruenze di questo mondo riguardo alla ripartizione della fortuna e della sfortuna fra i buoni e i cattivi. Queste sono incongruenze che esistono solo in apparenza se si tiene unicamente conto della vita presente. Ma se ci si eleva, con il pensiero, in modo da abbracciare una serie di esistenze, si vedrà che ognuno ha ciò che si merita, senza alcun pregiudizio per quanto gli spetta nel mondo degli Spiriti, e che la giustizia di Dio non viene mai meno.
L'uomo non deve mai dimenticare che si trova in un mondo inferiore, in cui è obbligato solo dalle sue imperfezioni. A ogni vicissitudine, deve dire a se stesso che se appartenesse a un mondo più progredito tutto ciò non gli succederebbe e che dipende da lui non ritornarci, lavorando al suo miglioramento.
Così si spiegano, attraverso la pluralità delle esistenze e la destinazione della Terra come luogo di espiazione, le incongruenze di questo mondo riguardo alla ripartizione della fortuna e della sfortuna fra i buoni e i cattivi. Queste sono incongruenze che esistono solo in apparenza se si tiene unicamente conto della vita presente. Ma se ci si eleva, con il pensiero, in modo da abbracciare una serie di esistenze, si vedrà che ognuno ha ciò che si merita, senza alcun pregiudizio per quanto gli spetta nel mondo degli Spiriti, e che la giustizia di Dio non viene mai meno.
L'uomo non deve mai dimenticare che si trova in un mondo inferiore, in cui è obbligato solo dalle sue imperfezioni. A ogni vicissitudine, deve dire a se stesso che se appartenesse a un mondo più progredito tutto ciò non gli succederebbe e che dipende da lui non ritornarci, lavorando al suo miglioramento.
8. Le tribolazioni della
vita possono essere imposte a degli Spiriti recidivi, o troppo ignoranti
per fare la loro scelta con cognizione di causa, ma esse vengono
liberamente scelte e accettate dagli Spiriti pentiti desiderosi
di riparare al male che hanno fatto e desiderosi di migliorare. Come
colui che, avendo svolto male il suo compito, domanda di ricominciarlo
per non perdere i vantaggi del suo lavoro. Queste tribolazioni sono
dunque, allo stesso tempo, delle espiazioni per il passato, che
castigano, e delle prove per il futuro, che preparano. Rendiamo grazie a
Dio che, nella Sua bontà, accorda all'uomo la facoltà della riparazione
e non lo condanna irrevocabilmente al primo errore.
9. Non bisogna tuttavia
credere che tutte le sofferenze sopportate in questo mondo siano
necessariamente indizio di una determinata colpa. Esse sono sovente
semplici prove scelte dallo Spirito, accettate per la sua purificazione e
per affrettare il suo avanzamento. Pertanto l'espiazione serve sempre
come prova, però la prova non sempre è un'espiazione. Ma, prova ed
espiazione sono sempre il segno di una relativa inferiorità, perché ciò
che è perfetto non ha bisogno di prove. Uno Spirito può dunque avere
acquisito un certo grado di elevazione, ma volendo ancora avanzare
sollecita una missione, un compito da svolgere per cui sarà tanto più
ricompensato — se ne uscirà vittorioso — quanto più dolorosa sarà stata
la lotta. Tali sono soprattutto le persone dagli istinti naturalmente
buoni, dall'animo elevato, dai nobili sentimenti innati, che sembrano
non aver portato niente di cattivo dalle loro precedenti esistenze, che
sopportano con rassegnazione cristiana i dolori più grandi, domandando a
Dio di sopportarli senza lamentarsi. Si possono, al contrario,
considerare come espiazioni le afflizioni che inducono a lamentarsi e
spingono l'uomo a rivoltarsi contro Dio.
La sofferenza che non provoca proteste può senza dubbio essere un'espiazione, ma sta a indicare che è stata scelta volontariamente piuttosto che imposta, ed è la prova di una forte determinazione, cosa che è indice di progresso.
La sofferenza che non provoca proteste può senza dubbio essere un'espiazione, ma sta a indicare che è stata scelta volontariamente piuttosto che imposta, ed è la prova di una forte determinazione, cosa che è indice di progresso.
10. Gli Spiriti possono
aspirare alla perfetta felicità solo quando sono puri: qualsiasi macchia
impedisce loro l'ingresso nei mondi felici. È come quando ai passeggeri
di una nave colpita dalla peste viene impedito lo scalo in un porto
fino alla loro completa immunizzazione. È nelle loro diverse esistenze
fisiche che gli Spiriti si spogliano a poco a poco delle loro
imperfezioni. Le prove della vita fanno avanzare quando le si sopporta
bene. Come espiazioni, esse cancellano le colpe e purificano; sono il
rimedio che disinfetta la piaga e guarisce il malato. Più il male è
grave, più il rimedio deve essere energico. Dunque colui che soffre
molto deve convincersi che aveva molto da espiare e rallegrarsi di
essere presto guarito. Dipende da lui, dalla sua rassegnazione, rendere
questa sofferenza proficua e non perderne i vantaggi protestando. Senza
di ciò dovrebbe ricominciare.
Oblio del passato
11. È vana l'obiezione
secondo cui l'oblio è un ostacolo per poter approfittare dell'esperienza
delle esistenze precedenti. Se Dio ha ritenuto opportuno calare un velo
sul passato, vuol dire che ciò è utile. In effetti, questo ricordo
avrebbe degli inconvenienti molto gravi. Potrebbe in certi casi
stranamente umiliarci oppure persino esaltare il nostro orgoglio, e per
ciò stesso essere di ostacolo al nostro libero arbitrio. In ogni caso,
potrebbe portare inevitabili turbamenti nelle nostre relazioni sociali.
Lo Spirito sovente si reincarna nello stesso ambiente in cui aveva già vissuto e si trova in relazione con le stesse persone, al fine di riparare al male che aveva loro fatto. Se egli riconoscesse in loro quelle che ha odiato, il suo odio forse si risveglierebbe e, comunque, si sentirebbe umiliato di fronte a coloro che aveva offeso.
Dio ci ha dato, per migliorarci, esattamente ciò che ci è necessario e può esserci sufficiente: la voce della coscienza e le nostre tendenze istintive. E ci toglie ciò che può nuocerci.
L'uomo porta con sé, nascendo, ciò che ha acquisito. Nasce come si è fatto. Ogni esistenza è per lui un nuovo punto di partenza. Poco gli importa sapere ciò che è stato: viene punito per il male che ha fatto, e le sue attuali cattive tendenze indicano ciò che in lui resta da correggere. È su questo che deve concentrare tutta la sua attenzione, perché di ciò che ha già corretto non resta più traccia. Le buone risoluzioni che egli ha preso sono la voce della coscienza, che l'ha avvertito circa il bene e il male, e gli ha dato la forza per resistere alle cattive tentazioni.
D'altra parte questo oblio ha luogo solamente durante la vita fisica. Rientrato nella vita spirituale, lo Spirito ritrova il ricordo del passato. Si tratta dunque solo di un'interruzione momentanea — come quella che nella vita terrena si verifica durante il sonno — che non impedisceil giorno dopo di ricordare ciò che si è fatto la sera prima e il giorno precedente.
Non è esattamente solo dopo la morte che lo Spirito recupera il ricordo del suo passato. Si può dire che non lo perda mai, perché l'esperienza dimostra che nell'incarnazione, durante il sonno e quando fruisce di una certa libertà, lo Spirito ha coscienza delle sue azioni precedenti. Allora sa perché soffre e sa che soffre giustamente. Il ricordo si cancella solo durante la vita esteriore di relazione. Ma, in mancanza di un ricordo preciso, che potrebbe essere per lui di sofferenza e nuocere ai suoi rapporti sociali, egli ricava nuove forze da questi istanti di emancipazione dell'anima, se sa metterli a profitto.
Lo Spirito sovente si reincarna nello stesso ambiente in cui aveva già vissuto e si trova in relazione con le stesse persone, al fine di riparare al male che aveva loro fatto. Se egli riconoscesse in loro quelle che ha odiato, il suo odio forse si risveglierebbe e, comunque, si sentirebbe umiliato di fronte a coloro che aveva offeso.
Dio ci ha dato, per migliorarci, esattamente ciò che ci è necessario e può esserci sufficiente: la voce della coscienza e le nostre tendenze istintive. E ci toglie ciò che può nuocerci.
L'uomo porta con sé, nascendo, ciò che ha acquisito. Nasce come si è fatto. Ogni esistenza è per lui un nuovo punto di partenza. Poco gli importa sapere ciò che è stato: viene punito per il male che ha fatto, e le sue attuali cattive tendenze indicano ciò che in lui resta da correggere. È su questo che deve concentrare tutta la sua attenzione, perché di ciò che ha già corretto non resta più traccia. Le buone risoluzioni che egli ha preso sono la voce della coscienza, che l'ha avvertito circa il bene e il male, e gli ha dato la forza per resistere alle cattive tentazioni.
D'altra parte questo oblio ha luogo solamente durante la vita fisica. Rientrato nella vita spirituale, lo Spirito ritrova il ricordo del passato. Si tratta dunque solo di un'interruzione momentanea — come quella che nella vita terrena si verifica durante il sonno — che non impedisceil giorno dopo di ricordare ciò che si è fatto la sera prima e il giorno precedente.
Non è esattamente solo dopo la morte che lo Spirito recupera il ricordo del suo passato. Si può dire che non lo perda mai, perché l'esperienza dimostra che nell'incarnazione, durante il sonno e quando fruisce di una certa libertà, lo Spirito ha coscienza delle sue azioni precedenti. Allora sa perché soffre e sa che soffre giustamente. Il ricordo si cancella solo durante la vita esteriore di relazione. Ma, in mancanza di un ricordo preciso, che potrebbe essere per lui di sofferenza e nuocere ai suoi rapporti sociali, egli ricava nuove forze da questi istanti di emancipazione dell'anima, se sa metterli a profitto.
Motivi di rassegnazione
12. Con le parole, «Beati quelli che sono afflitti perché saranno consolati», Gesù
indica allo stesso tempo il compenso che attende coloro che soffrono e
la rassegnazione che fa benedire la sofferenza co me preludio alla
guarigione.
Queste parole possono anche venire tradotte così: dovete considerarvi fortunati se soffrite, perché le vostre sofferenze su questo mondo sono il debito dei vostri errori passati, e questi dolori, sopportati pazientemente sulla Terra, vi risparmieranno secoli di sofferenze nella vita futura. Dovete dunque essere felici che Dio riduca il vostro debito e vi permetta di onorarlo ora, cosa che vi assicura la tranquillità per l'avvenire.
L'uomo che soffre è simile a un debitore che debba un'ingente somma, e al quale il creditore dica: “Se mi paghi oggi anche solo la centesima parte di ciò che mi devi, ti abbuono tutto il resto e sarai libero. Se non lo fai ti perseguiterò finché non avrai pagato fino all'ultimo centesimo». Non sarà forse contento il debitore di sopportare qualsiasi sacrificio pur di liberarsi pagando solamente la centesima parte del dovuto? Anziché lamentarsi del suo creditore, non gli dirà forse grazie?
Tale è il senso delle parole «Beati quelli che sono afflitti perché saranno consolati». Essi sono felici perché dopo aver saldato il debito saranno liberi. Ma se, pur saldando un debito da una parte, ci si indebiterà dall'altra, non si arriverà mai a essere liberi. Ora, ogni nuova colpa aumenta il debito, perché non ce n'è una sola, qualunque essa sia, che non comporti necessariamente la sua forzata e inevitabile punizione. Se non è oggi, sarà domani; se non sarà in questa vita, sarà in un'altra. Fra le colpe, bisogna mettere al primo posto la mancanza di sottomissione alla volontà di Dio. Dunque, se nelle afflizioni ci si lamenta, se non le si accetta con rassegnazione e come cosa meritata, se si accusa Dio di essere ingiusto, si contrae un nuovo debito che vanifica il vantaggio che si sarebbe potuto trarre dalla sofferenza. Ecco perché bisognerà ricominciare, esattamente come se, a un creditore che vi tormenta, voi pagaste il conto e allo stesso tempo contraeste altri debiti.
Al suo ingresso nel mondo degli Spiriti, l'uomo ancora è come l'operaio che si presenta il giorno della paga. Agli uni il padrone dirà: «Ecco il compenso della tua giornata lavorativa». Agli altri, ai privilegiati della Terra, a quelli che sono vissuti nell'ozio, che avranno riposto la loro felicità nelle soddisfazioni dell'amore per se stessi e delle gioie mondane, dirà: «A voi non spetta niente, perché avete già ricevuto il vostro salario sulla Terra. Andate e ricominciate il vostro compito».
Queste parole possono anche venire tradotte così: dovete considerarvi fortunati se soffrite, perché le vostre sofferenze su questo mondo sono il debito dei vostri errori passati, e questi dolori, sopportati pazientemente sulla Terra, vi risparmieranno secoli di sofferenze nella vita futura. Dovete dunque essere felici che Dio riduca il vostro debito e vi permetta di onorarlo ora, cosa che vi assicura la tranquillità per l'avvenire.
L'uomo che soffre è simile a un debitore che debba un'ingente somma, e al quale il creditore dica: “Se mi paghi oggi anche solo la centesima parte di ciò che mi devi, ti abbuono tutto il resto e sarai libero. Se non lo fai ti perseguiterò finché non avrai pagato fino all'ultimo centesimo». Non sarà forse contento il debitore di sopportare qualsiasi sacrificio pur di liberarsi pagando solamente la centesima parte del dovuto? Anziché lamentarsi del suo creditore, non gli dirà forse grazie?
Tale è il senso delle parole «Beati quelli che sono afflitti perché saranno consolati». Essi sono felici perché dopo aver saldato il debito saranno liberi. Ma se, pur saldando un debito da una parte, ci si indebiterà dall'altra, non si arriverà mai a essere liberi. Ora, ogni nuova colpa aumenta il debito, perché non ce n'è una sola, qualunque essa sia, che non comporti necessariamente la sua forzata e inevitabile punizione. Se non è oggi, sarà domani; se non sarà in questa vita, sarà in un'altra. Fra le colpe, bisogna mettere al primo posto la mancanza di sottomissione alla volontà di Dio. Dunque, se nelle afflizioni ci si lamenta, se non le si accetta con rassegnazione e come cosa meritata, se si accusa Dio di essere ingiusto, si contrae un nuovo debito che vanifica il vantaggio che si sarebbe potuto trarre dalla sofferenza. Ecco perché bisognerà ricominciare, esattamente come se, a un creditore che vi tormenta, voi pagaste il conto e allo stesso tempo contraeste altri debiti.
Al suo ingresso nel mondo degli Spiriti, l'uomo ancora è come l'operaio che si presenta il giorno della paga. Agli uni il padrone dirà: «Ecco il compenso della tua giornata lavorativa». Agli altri, ai privilegiati della Terra, a quelli che sono vissuti nell'ozio, che avranno riposto la loro felicità nelle soddisfazioni dell'amore per se stessi e delle gioie mondane, dirà: «A voi non spetta niente, perché avete già ricevuto il vostro salario sulla Terra. Andate e ricominciate il vostro compito».
13. L'uomo può addolcire o
rendere più amare le sue prove a seconda del modo in cui affronta la
vita terrena. Tanto più lunga considera la durata della sua sofferenza,
tanto più soffre. Ora, colui che si pone dal punto di vista della vita
spirituale abbraccia in un sol colpo d'occhio la vita fisica. La vede
come un punto nell'infinito, ne comprende la brevità e dice a se stesso
che un momento penoso passa ben rapidamente. La certezza di un prossimo
futuro più felice lo sostiene e lo incoraggia e, anziché lamentarsi,
ringrazia il Cielo dei dolori che lo fanno progredire. Invece a colui
che veda solo la vita fisica, il dolore sembrerà interminabile e graverà
su di lui con tutto il suo peso. Il risultato che si ottiene
nell'interpretare la vita in modo spirituale è quello di diminuire
l'importanza delle cose di questo mondo, di portare l'uomo a moderare i
propri desideri, di accontentarsi della sua situazione senza invidiare
quella degli altri, di attenuare i turbamenti morali conseguenti a
rovesci o a disillusioni. Gliene deriverà una serenità e una
rassegnazione utili alla salute tanto del corpo quanto dell'anima.
Invece con l'invidia, la gelosia e l'ambizione, egli si sottoporrebbe
volontariamente a tortura e aggiungerebbe miserie e angosce alla sua
breve esistenza.
Il suicidio e la follia
14. La calma e la
rassegnazione, derivanti dal modo di considerare la vita terrena e dalla
fede nell'avvenire, danno allo Spirito una serenità che è la migliore
prevenzione contro la pazzia e il suicidio. In
effetti, è certo che la maggior parte dei casi di pazzia è dovuta ai
violenti turbamenti prodotti dalle vicissitudini che l'uomo non ha la
forza di sopportare. Se, dunque, attraverso il modo in cui lo Spiritismo
gli fa intravedere le cose di questo mondo, l'uomo accetta con
distacco, persino con gioia, i rovesci e le disillusioni che in altre
circostanze l'avrebbero gettato nella disperazione, è evidente che
questa forza, che lo pone al di sopra degli avvenimenti, mette la sua
mente al riparo da scosse che, diversamente, l'avrebbero sconvolta.
15. Lo stesso è per il
suicidio. Se si eccettuano quelli che lo compiono in stato di ebbrezza o
per follia e che si possono chiamare incoscienti, è certo che qualunque
sia il motivo specifico, la causa essenziale è sempre l'infelicità.
Ora, chi è certo che è infelice solo per quel giorno e che starà meglio
il giorno seguente, è più facilmente paziente. La disperazione lo coglie
se non vede la fine delle sue sofferenze. Che cos'è dunque la vita
umana a confronto dell'eternità, se non meno di un giorno? Ma chi non
crede nell'eternità e crede che tutto per lui finisca con la vita, se è
oppresso dal dolore e dalla sfortuna, ne vede la fine solo con la morte.
Non aspettandosi niente, trova del tutto naturale, persino molto
logico, porre fine alle sue miserie con il suicidio.
16. L'empietà, il semplice
dubbio sul futuro, in una parola, le idee materialistiche sono il più
grande sprone al suicidio: esse portano alla viltà morale. E
quando si vedono uomini di scienza far leva sull'autorità del loro
sapere per sforzarsi di dimostrare al loro auditorio, o ai loro lettori,
che non devono aspettarsi nulla dopo la morte, non è forse indurre la
gente alla conclusione secondo la quale, se si è infelici, non resta
niente di meglio che suicidarsi? Che cosa potrebbero dire per
distoglierli da tale proposito? Quale alternativa potrebbero offrire?
Quale speranza possono dare? Nient'altro che il nulla. Da cui si deve
concludere che se il nulla è il solo rimedio eroico, la sola
prospettiva, è meglio caderci il più presto possibile e abbreviare così
le sofferenze.
La diffusione delle idee materialistiche è dunque il veleno che insinua in moltissimi il pensiero del suicidio, e coloro che se ne fanno apostoli si assumono una terribile responsabilità. Con lo Spiritismo, non essendo più permesso alcun dubbio, l'aspetto della vita cambia. Il credente sa che la vita si prolunga indefinitamente oltre la tomba, ma in ben altre condizioni. Da qui la pazienza e la rassegnazione che distolgono in modo del tutto naturale dal pensiero del suicidio; da qui, in una parola, il coraggio morale.
La diffusione delle idee materialistiche è dunque il veleno che insinua in moltissimi il pensiero del suicidio, e coloro che se ne fanno apostoli si assumono una terribile responsabilità. Con lo Spiritismo, non essendo più permesso alcun dubbio, l'aspetto della vita cambia. Il credente sa che la vita si prolunga indefinitamente oltre la tomba, ma in ben altre condizioni. Da qui la pazienza e la rassegnazione che distolgono in modo del tutto naturale dal pensiero del suicidio; da qui, in una parola, il coraggio morale.
17. Lo Spiritismo consegue
ancora, sotto questo aspetto, un altro risultato pure positivo e forse
più determinante. Ci mette in contatto con gli stessi suicidi che
vengono a darci conto della loro situazione infelice, dimostrandoci che
nessuno deve violare impunemente la legge di Dio, la quale vieta
all'uomo di abbreviare volontariamente la sua vita. Ci sono, fra i
suicidi, alcuni la cui sofferenza, pur essendo temporanea anziché
eterna, non è meno terribile. Essa è tale, anzi, da indurre a riflettere
chiunque fosse tentato di partire da qui prima che Dio lo ordini. Lo
spiritista ha dunque molte ragioni che si contrappongono al pensiero del
suicidio: la certezza di una vita futura, nella quale sa che sarà tanto più felice quanto più sarà stato infelice e rassegnato sulla Terra; la certezza che,
abbreviando la sua vita, arriverà proprio al risultato opposto a quello
sperato; che affrancandosi da un male se ne procura uno peggiore, più
duraturo e più terribile; che si sbaglia se crede, uccidendosi, di
andare più in fretta in Cielo; che il suicidio è un ostacolo al
ricongiungersi nell'altro mondo agli affetti che sperava di ritrovare.
Da cui consegue che il suicidio, non dando che disillusioni, è contro il
suo stesso interesse. Così il numero di suicidi evitati dallo
Spiritismo è considerevole, e si può concludere che, quando tutti
saranno spiritisti, non ci saranno più suicidi coscienti. Confrontando
dunque i risultati delle Dottrine Materialistiche con quella spiritista
dal solo punto di vista del suicidio, si constata che la logica dell'una
vi ci conduce, mentre la logica dell'altra ve ne distoglie, cosa
confermata dall'esperienza.
ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI
Saper soffrire
18. Quando
Gesù Cristo diceva: «Beati gli afflitti, perché è di loro il Regno dei
Cieli», non alludeva a coloro che soffrono in generale, perché tutti
quelli che si trovano su questa Terra soffrono, che si trovino su un
trono o nella paglia. Ma purtroppo pochi soffrono nel modo giusto; pochi
comprendono che sono le prove ben sopportate le sole che possano
condurli al Regno di Dio. La sfiducia è una colpa; Dio rifiuta le
consolazioni quando si manca di coraggio. La preghiera è un sostegno per
l'anima, ma non basta: deve poggiare su una fede viva nella bontà di
Dio. È stato sovente detto che Dio non manda un pesante fardello su
spalle deboli, ma che il fardello è proporzionale alle forze, come la
ricompensa sarà proporzionale alla rassegnazione e al coraggio. La
ricompensa sarà tanto più grande quanto più l'afflizione sarà stata
dolorosa. Però questa ricompensa bisogna meritarla, ed è per questo che
la vita è piena di tribolazioni.
Il soldato che non venga mandato al fronte non è contento, perché il ritiro nell'accampamento non gli consente di avanzare. Siate dunque come il soldato e non auguratevi un riposo nel quale il vostro corpo si infiacchisca e la vostra anima si intorpidisca. Siate contenti quando Dio vi manda a combattere. Questo combattimento non è il fuoco del campo di battaglia, ma l'amarezza della vita, dove ci vuole a volte più coraggio che in una battaglia sanguinosa, perché chi può rimanere saldo di fronte al nemico, potrebbe invece piegarsi sotto la stretta di una pena morale. L'uomo non riceve assolutamente ricompensa per questo coraggio, ma Dio gli riserva corone e una sorte gloriosa. Quando vi coglie un motivo di pena o di contrarietà, cercate di superarlo, e quando sarete giunti a dominare gli impulsi dell'insofferenza, della collera o della disperazione, dite a voi stessi con giusta soddisfazione: «Sono stato io il più forte».
Beati gli afflitti può dunque essere inteso così: Beati quelli che hanno l'opportunità di dimostrare la loro fede, la loro fermezza, la loro perseveranza e la loro sottomissione alla volontà di Dio, perché avranno centuplicata la gioia che è loro mancata sulla Terra e perché dopo la fatica verrà il riposo.
Il soldato che non venga mandato al fronte non è contento, perché il ritiro nell'accampamento non gli consente di avanzare. Siate dunque come il soldato e non auguratevi un riposo nel quale il vostro corpo si infiacchisca e la vostra anima si intorpidisca. Siate contenti quando Dio vi manda a combattere. Questo combattimento non è il fuoco del campo di battaglia, ma l'amarezza della vita, dove ci vuole a volte più coraggio che in una battaglia sanguinosa, perché chi può rimanere saldo di fronte al nemico, potrebbe invece piegarsi sotto la stretta di una pena morale. L'uomo non riceve assolutamente ricompensa per questo coraggio, ma Dio gli riserva corone e una sorte gloriosa. Quando vi coglie un motivo di pena o di contrarietà, cercate di superarlo, e quando sarete giunti a dominare gli impulsi dell'insofferenza, della collera o della disperazione, dite a voi stessi con giusta soddisfazione: «Sono stato io il più forte».
Beati gli afflitti può dunque essere inteso così: Beati quelli che hanno l'opportunità di dimostrare la loro fede, la loro fermezza, la loro perseveranza e la loro sottomissione alla volontà di Dio, perché avranno centuplicata la gioia che è loro mancata sulla Terra e perché dopo la fatica verrà il riposo.
(Lacordaire, Le Havre, 1863)
Il male e il rimedio
19. La
vostra Terra è dunque un luogo di felicità, un paradiso di delizie? La
voce del profeta non risuona più nelle vostre orecchie? Non ha forse
Egli gridato che ci sarebbero stati pianti e digrignar di denti per
coloro che nasceranno in questa valle di lacrime? Voi che verrete a
viverci, aspettatevi dunque lacrime cocenti e pene amare. E più i vostri
dolori saranno acuti e profondi, più rivolgetevi al Cielo e benedite il
Signore di avervi voluto sottoporre alle prove!... Oh, uomini! Voi
riconoscerete dunque la potenza del vostro Maestro solo quando avrà
guarito le piaghe del vostro corpo e coronato i vostri giorni di
beatitudine e di gioia! Voi riconoscerete dunque il Suo amore solo
quando avrà ornato il vostro corpo di tutte le glorie, restituendogli il
suo splendore e la sua purezza! Imitate colui che vi è stato dato come
esempio. Arrivato all'ultimo gradino dell'abiezione e della miseria, si è
sdraiato nel fango e ha detto a Dio: “Signore, ho conosciuto tutte le
gioie dell'opulenza, e Voi mi avete ridotto nella più profonda miseria.
Grazie, grazie, mio Dio, di avermi voluto mettere alla prova come vostro
servitore!» Fino a quando i vostri sguardi si fermeranno all'orizzonte
segnato dalla morte? Quando la vostra anima vorrà finalmente proiettarsi
oltre i limiti della tomba? Anche se doveste piangere e soffrire tutta
una vita, che cos'è questo in confronto alla gloria eterna riservata a
colui che avrà sopportato la prova con fede, amore e rassegnazione?
Cercate dunque le consolazioni ai vostri mali nel futuro che Dio vi
prepara e la causa dei vostri mali nel passato. E voi che più soffrite,
consideratevi come i beati della Terra.
Nella condizione di disincarnati, quando vi libravate nello spazio, voi stessi avete scelto le vostre prove, poiché vi siete creduti abbastanza forti per sopportarle. Perché adesso vi lamentate? Voi che avete chiesto fortuna e gloria, è stato per lottare contro la tentazione e vincerla. Voi che avete domandato di lottare con lo spirito e il corpo contro il male morale e fisico, è stato perché sapevate che quanto più la prova fosse stata dura, maggiormente la vittoria sarebbe stata gloriosa. Voi sapevate anche che, se ne foste usciti trionfatori, la vostra carne, pur se fosse stata gettata in una fogna, alla sua morte avrebbe lasciato emanare un'anima splendente di chiarore e ritornata pura in virtù del battesimo dell'espiazione e della sofferenza.
Quale rimedio dunque offrire a coloro che sono colti da crudeli ossessioni e da mali cocenti? Una cosa sola è infallibile: è la fede, è lo sguardo rivolto al Cielo. Se, al momento delle vostre più crudeli sofferenze, la vostra voce canta il Signore, l'angelo al vostro capezzale vi indicherà il segno della salvezza e il luogo che voi dovrete occupare un giorno... La fede è il rimedio sicuro della sofferenza. Essa mostra sempre gli orizzonti dell'infinito di fronte al quale svaniscono i pochi giorni bui del presente. Dunque non domandate più quale rimedio bisogna impiegare per guarire la tale ulcera o la tale piaga, la tale tentazione o la tale prova. Ricordatevi che chi crede ha nella fede la forza del rimedio e chi dubita per un solo secondo della sua efficacia viene immediatamente punito, poiché prova all'istante le pungenti angosce dell'afflizione.
Il Signore ha segnato con il suo suggello tutti coloro che credono in Lui. Cristo ha detto che è con la fede che si muovono le montagne, e io vi dico che chi soffre e avrà la fede come sostegno, verrà posto sotto la Sua egida e non soffrirà più. I momenti del massimo dolore saranno per lui le prime note di gioia dell'eternità. La sua anima si staccherà talmente dal suo corpo che, mentre questo si tormenterà nelle sue convulsioni, essa approderà nelle regioni celesti cantando con gli angeli gli inni della riconoscenza e della gloria del Signore.
Felici coloro che soffrono e che piangono! Si esaltino le loro anime nella gioia, perché saranno esaudite da Dio.
Nella condizione di disincarnati, quando vi libravate nello spazio, voi stessi avete scelto le vostre prove, poiché vi siete creduti abbastanza forti per sopportarle. Perché adesso vi lamentate? Voi che avete chiesto fortuna e gloria, è stato per lottare contro la tentazione e vincerla. Voi che avete domandato di lottare con lo spirito e il corpo contro il male morale e fisico, è stato perché sapevate che quanto più la prova fosse stata dura, maggiormente la vittoria sarebbe stata gloriosa. Voi sapevate anche che, se ne foste usciti trionfatori, la vostra carne, pur se fosse stata gettata in una fogna, alla sua morte avrebbe lasciato emanare un'anima splendente di chiarore e ritornata pura in virtù del battesimo dell'espiazione e della sofferenza.
Quale rimedio dunque offrire a coloro che sono colti da crudeli ossessioni e da mali cocenti? Una cosa sola è infallibile: è la fede, è lo sguardo rivolto al Cielo. Se, al momento delle vostre più crudeli sofferenze, la vostra voce canta il Signore, l'angelo al vostro capezzale vi indicherà il segno della salvezza e il luogo che voi dovrete occupare un giorno... La fede è il rimedio sicuro della sofferenza. Essa mostra sempre gli orizzonti dell'infinito di fronte al quale svaniscono i pochi giorni bui del presente. Dunque non domandate più quale rimedio bisogna impiegare per guarire la tale ulcera o la tale piaga, la tale tentazione o la tale prova. Ricordatevi che chi crede ha nella fede la forza del rimedio e chi dubita per un solo secondo della sua efficacia viene immediatamente punito, poiché prova all'istante le pungenti angosce dell'afflizione.
Il Signore ha segnato con il suo suggello tutti coloro che credono in Lui. Cristo ha detto che è con la fede che si muovono le montagne, e io vi dico che chi soffre e avrà la fede come sostegno, verrà posto sotto la Sua egida e non soffrirà più. I momenti del massimo dolore saranno per lui le prime note di gioia dell'eternità. La sua anima si staccherà talmente dal suo corpo che, mentre questo si tormenterà nelle sue convulsioni, essa approderà nelle regioni celesti cantando con gli angeli gli inni della riconoscenza e della gloria del Signore.
Felici coloro che soffrono e che piangono! Si esaltino le loro anime nella gioia, perché saranno esaudite da Dio.
(Sant'Agostino, Parigi, 1863)
La felicità non è di questo mondo
20. Io
non sono felice! La felicità non è fatta per me! Grida in genere l'uomo
in qualsiasi posizione sociale si trovi. Ciò, figli miei, dimostra più
di qualsiasi ragionamento la verità di questa massima dell'Ecclesiaste
"la felicità non è di questo mondo". Infatti, né la fortuna né il potere
e nemmeno la fiorente giovinezza sono condizioni essenziali per la
felicità. Dirò di più: non lo sono neppure tutt'e tre riunite queste
condizioni tanto invidiate, giacché, anche nelle classi più
privilegiate, si sentono continuamente persone di tutte le età
lamentarsi amaramente della loro condizione di vita.
Di fronte a ciò, è inconcepibile che le classi laboriose e militanti invidino con tanta cupidigia la posizione di coloro che la fortuna sembra aver favorito. In questo mondo ognuno, qualsiasi cosa faccia, ha la sua parte di fatica e di miseria, la sua parte di sofferenza e di delusioni. Per cui è facile giungere alla conclusione che la Terra è un luogo di prove e di espiazione.
Perciò coloro che predicano che la Terra è l'unico luogo di permanenza dell'uomo, e che solo qui, e in un'unica esistenza, gli è permesso di raggiungere il più alto grado di felicità che la sua natura comporti, costoro si ingannano e ingannano quanti danno loro ascolto, considerato che è dimostrato, da un'esperienza più che secolare, che questo globo non possiede, se non eccezionalmente, le condizioni necessarie per la completa felicità dell'individuo.
In senso generale, si può affermare che la felicità, in cerca della quale le generazioni via via si affannano senza poterla mai raggiungere, è un'utopia. Perché se su questa Terra l'uomo saggio è una rarità, l'uomo completamente felice lo è altrettanto.
Ciò in cui consiste la felicità sulla Terra è una cosa talmente effimera per chi non è guidato dalla saggezza, che per un anno, un mese, una settimana di completa soddisfazione, tutto il resto del tempo scorrerà in una sequela di amarezze e disillusioni. E notate, figli miei, che io parlo degli uomini felici della Terra, di coloro che sono invidiati dai più.
Di conseguenza, se la permanenza su questa Terra è destinata alle prove e all'espiazione, bisogna ben ammettere che esistono altrove dei soggiorni più favoriti, dove lo Spirito dell'uomo, ancora imprigionato nella materia, fruisce pienamente di tutte le gioie legate alla vita umana. È per questo che Dio ha seminato nel vostro sistema planetario i bei pianeti superiori verso i quali i vostri sforzi e le vostre tendenze vi faranno gravitare un giorno, quando sarete sufficientemente purificati e perfezionati.
Ciò nondimeno non deducete dalle mie parole che la Terra sai destinata eternamente alla penitenza. Assolutamente no! Dai progressi ottenuti voi potrete facilmente dedurre i progressi futuri e dai vantaggi sociali conquistati, nuovi e più fecondi miglioramenti. Tale è l'immenso compito che deve compiere la nuova dottrina che gli Spiriti vi hanno rivelato.
Pertanto, figli miei, che una santa emulazione vi animi e che ognuno di voi si spogli decisamente del vecchio uomo. Votatevi tutti alla diffusione dello Spiritismo che ha già incominciato la vostra stessa rigenerazione. È un dovere fare partecipi i vostri fratelli dello splendore della sacra luce. All'opera, dunque, figli miei carissimi! Che in questa riunione solenne tutti i vostri cuori aspirino allo scopo grandioso di preparare per le future generazioni un mondo in cui la felicità non sarà solo una vana parola.
Di fronte a ciò, è inconcepibile che le classi laboriose e militanti invidino con tanta cupidigia la posizione di coloro che la fortuna sembra aver favorito. In questo mondo ognuno, qualsiasi cosa faccia, ha la sua parte di fatica e di miseria, la sua parte di sofferenza e di delusioni. Per cui è facile giungere alla conclusione che la Terra è un luogo di prove e di espiazione.
Perciò coloro che predicano che la Terra è l'unico luogo di permanenza dell'uomo, e che solo qui, e in un'unica esistenza, gli è permesso di raggiungere il più alto grado di felicità che la sua natura comporti, costoro si ingannano e ingannano quanti danno loro ascolto, considerato che è dimostrato, da un'esperienza più che secolare, che questo globo non possiede, se non eccezionalmente, le condizioni necessarie per la completa felicità dell'individuo.
In senso generale, si può affermare che la felicità, in cerca della quale le generazioni via via si affannano senza poterla mai raggiungere, è un'utopia. Perché se su questa Terra l'uomo saggio è una rarità, l'uomo completamente felice lo è altrettanto.
Ciò in cui consiste la felicità sulla Terra è una cosa talmente effimera per chi non è guidato dalla saggezza, che per un anno, un mese, una settimana di completa soddisfazione, tutto il resto del tempo scorrerà in una sequela di amarezze e disillusioni. E notate, figli miei, che io parlo degli uomini felici della Terra, di coloro che sono invidiati dai più.
Di conseguenza, se la permanenza su questa Terra è destinata alle prove e all'espiazione, bisogna ben ammettere che esistono altrove dei soggiorni più favoriti, dove lo Spirito dell'uomo, ancora imprigionato nella materia, fruisce pienamente di tutte le gioie legate alla vita umana. È per questo che Dio ha seminato nel vostro sistema planetario i bei pianeti superiori verso i quali i vostri sforzi e le vostre tendenze vi faranno gravitare un giorno, quando sarete sufficientemente purificati e perfezionati.
Ciò nondimeno non deducete dalle mie parole che la Terra sai destinata eternamente alla penitenza. Assolutamente no! Dai progressi ottenuti voi potrete facilmente dedurre i progressi futuri e dai vantaggi sociali conquistati, nuovi e più fecondi miglioramenti. Tale è l'immenso compito che deve compiere la nuova dottrina che gli Spiriti vi hanno rivelato.
Pertanto, figli miei, che una santa emulazione vi animi e che ognuno di voi si spogli decisamente del vecchio uomo. Votatevi tutti alla diffusione dello Spiritismo che ha già incominciato la vostra stessa rigenerazione. È un dovere fare partecipi i vostri fratelli dello splendore della sacra luce. All'opera, dunque, figli miei carissimi! Che in questa riunione solenne tutti i vostri cuori aspirino allo scopo grandioso di preparare per le future generazioni un mondo in cui la felicità non sarà solo una vana parola.
(Fraçois-Nicolas-Madeleine, cardinale Morlot, Parigi, 1863)
Perdita di persone amate. Morti premature
21. Quando
la morte cala la sua falce sulla vostra famiglia, portando via senza
pietà i giovani prima degli anziani, voi dite spesso: Dio non è giusto
perché sacrifica chi è forte e con tutto l'avvenire di fronte a sé, per
conservare quelli che hanno già vissuto a lungo pieni di disillusioni;
perché porta via quelli che sono utili e lascia quelli che non servono
più; perché spezza il cuore di una madre privandola dell'innocente
creatura che era tutta la sua gioia.
Uomini, è questo il momento in cui dovete elevarvi al di sopra dei criteri terreni della vita per comprendere che il bene si trova sovente là dove credete ci sia il male, che la saggia preveggenza è là dove credete si trovi la cieca fatalità del destino. Perché misurare la giustizia divina con il metro della vostra? Potete pensare che il Signore dei mondi voglia, per un semplice capriccio, infliggervi delle pene crudeli? Niente viene fatto senza uno scopo intelligente e, qualunque cosa accada, essa ha la sua ragion d'essere. Se voi analizzaste meglio tutti i dolori che vi colpiscono, vi trovereste sempre la ragione divina, una ragione rigeneratrice, e i vostri miserabili interessi sarebbero una considerazione secondaria che voi releghereste molto in basso.
Credetemi, la morte è preferibile, per un'incarnazione di vent'anni, a quelle vergognose sregolatezze che creano desolazione in famiglie onorate, spezzano il cuore di una madre e fanno anzitempo incanutire i capelli dei genitori. La morte prematura è sovente un grande favore che Dio accorda a chi se ne va, il quale si trova così salvaguardato dalle miserie della vita o dalle seduzioni che avrebbero potuto trascinarlo alla rovina. Chi muore nel fiore degli anni non è una vittima della fatalità, poiché Dio ha giudicato essere utile per lui non rimanere ancora sulla Terra.
Voi direte che è una terribile sventura che una vita, così piena di speranze, venga spezzata tanto presto! Di quali speranze volete parlare? Di quelle terrene, dove chi se ne va avrebbe potuto brillare, farsi la sua strada e la sua fortuna? Sempre questa ristretta visione che non riesce a elevarsi al di sopra della materia! Conoscete forse quale sarebbe stata la sorte di questa vita piena di speranze, secondo voi? Chi vi dice che non gli siano state risparmiate delle amarezze? Stimate così poco le speranze della vita futura da preferire quelle dell'effimera vita che trascinate sulla Terra? Pensate dunque che valga di più avere un posto importante fra gli uomini che fra gli Spiriti felici?
Rallegratevi, invece di lamentarvi, quando a Dio piace riprendersi uno dei Suoi figli da questa valle di lacrime. Non c'è dell'egoismo nell'augurarsi che rimanga qui a soffrire con voi? Ah! questo dolore è concepibile in chi non ha fede, in chi vede nella morte una separazione eterna. Ma voi, Spiritisti, voi sapete che l'anima vive meglio liberata del suo involucro fisico. Madri, voi sapete che i vostri benamati figli sono vicini a voi; sì, essi vi sono molto vicini; i loro corpi fluidici vi circondano, i loro pensieri vi proteggono, il vostro ricordo li riempie di gioia; mentre il vostro dolore irragionevole li affligge, poiché ciò denota una mancanza di fede e una ribellione contro la volontà di Dio.
Voi, che comprendete la vita spirituale, ascoltate i palpiti del vostro cuore chiamando i vostri cari e, se pregate Dio per benedirlo, sentirete in voi quelle consolazioni possenti che asciugano le lacrime, quelle aspirazioni portentose che vi mostreranno l'avvenire promesso dal sovrano Maestro.
Uomini, è questo il momento in cui dovete elevarvi al di sopra dei criteri terreni della vita per comprendere che il bene si trova sovente là dove credete ci sia il male, che la saggia preveggenza è là dove credete si trovi la cieca fatalità del destino. Perché misurare la giustizia divina con il metro della vostra? Potete pensare che il Signore dei mondi voglia, per un semplice capriccio, infliggervi delle pene crudeli? Niente viene fatto senza uno scopo intelligente e, qualunque cosa accada, essa ha la sua ragion d'essere. Se voi analizzaste meglio tutti i dolori che vi colpiscono, vi trovereste sempre la ragione divina, una ragione rigeneratrice, e i vostri miserabili interessi sarebbero una considerazione secondaria che voi releghereste molto in basso.
Credetemi, la morte è preferibile, per un'incarnazione di vent'anni, a quelle vergognose sregolatezze che creano desolazione in famiglie onorate, spezzano il cuore di una madre e fanno anzitempo incanutire i capelli dei genitori. La morte prematura è sovente un grande favore che Dio accorda a chi se ne va, il quale si trova così salvaguardato dalle miserie della vita o dalle seduzioni che avrebbero potuto trascinarlo alla rovina. Chi muore nel fiore degli anni non è una vittima della fatalità, poiché Dio ha giudicato essere utile per lui non rimanere ancora sulla Terra.
Voi direte che è una terribile sventura che una vita, così piena di speranze, venga spezzata tanto presto! Di quali speranze volete parlare? Di quelle terrene, dove chi se ne va avrebbe potuto brillare, farsi la sua strada e la sua fortuna? Sempre questa ristretta visione che non riesce a elevarsi al di sopra della materia! Conoscete forse quale sarebbe stata la sorte di questa vita piena di speranze, secondo voi? Chi vi dice che non gli siano state risparmiate delle amarezze? Stimate così poco le speranze della vita futura da preferire quelle dell'effimera vita che trascinate sulla Terra? Pensate dunque che valga di più avere un posto importante fra gli uomini che fra gli Spiriti felici?
Rallegratevi, invece di lamentarvi, quando a Dio piace riprendersi uno dei Suoi figli da questa valle di lacrime. Non c'è dell'egoismo nell'augurarsi che rimanga qui a soffrire con voi? Ah! questo dolore è concepibile in chi non ha fede, in chi vede nella morte una separazione eterna. Ma voi, Spiritisti, voi sapete che l'anima vive meglio liberata del suo involucro fisico. Madri, voi sapete che i vostri benamati figli sono vicini a voi; sì, essi vi sono molto vicini; i loro corpi fluidici vi circondano, i loro pensieri vi proteggono, il vostro ricordo li riempie di gioia; mentre il vostro dolore irragionevole li affligge, poiché ciò denota una mancanza di fede e una ribellione contro la volontà di Dio.
Voi, che comprendete la vita spirituale, ascoltate i palpiti del vostro cuore chiamando i vostri cari e, se pregate Dio per benedirlo, sentirete in voi quelle consolazioni possenti che asciugano le lacrime, quelle aspirazioni portentose che vi mostreranno l'avvenire promesso dal sovrano Maestro.
(Sanson, ex membro della Società Spiritista di Parigi, 1863)
Se fosse stato un uomo dabbene, sarebbe morto
22. Voi dite sovente, parlando di un uomo cattivo, il quale riesca a sottrarsi a un pericolo: «Se fosse stato un uomo dabbene, sarebbe morto. Ebbene,
dicendo ciò siete nel vero, perché effettivamente succede molto di
frequente che Dio assegni a uno Spirito ancora giovane, sulla via del
progresso, una prova più lunga che a uno Spirito buono, il quale, come
ricompensa dei suoi meriti, riceverà il favore secondo cui la sua prova
durerà il meno possibile. Perciò quando vi servite di questo assioma,
non dubitate: state pronunciando un'ingiuria.
Se muore un uomo dabbene, vicino al quale viva un malvagio, vi affrettate a dire: «Sarebbe stato meglio che fosse capitato a lui». Siete grandemente in errore, perché chi parte ha finito il suo compito, e chi rimane forse non l'ha ancora neppure incominciato. Perché dunque volete che il cattivo non abbia il tempo di portarlo a termine e che l'altro rimanga ancorato alla zolla terrestre? Che ne direste di un prigioniero che avesse finito di espiare la sua colpa e che lo si trattenesse in prigione, mentre si dà la libertà a uno che non ne ha diritto? Sappiate dunque che la vera libertà sta nell'affrancamento dai legami del corpo e che finché siete sulla Terra vi trovate in cattività.
Abituatevi a non biasimare ciò che non riuscite a comprendere e convincetevi che Dio è giusto in tutto. Sovente ciò che vi sembra un male è un bene. Ma le vostre facoltà sono così limitate che l'insieme del grande tutto sfugge ai vostri sensi ottusi. Sforzatevi di uscire con il pensiero dalla vostra ristretta sfera, e, man mano che vi eleverete, la vita materiale perderà importanza ai vostri occhi, in quanto vi apparirà come un incidente, nella durata infinita della vostra esistenza spirituale, la sola vera esistenza.
Se muore un uomo dabbene, vicino al quale viva un malvagio, vi affrettate a dire: «Sarebbe stato meglio che fosse capitato a lui». Siete grandemente in errore, perché chi parte ha finito il suo compito, e chi rimane forse non l'ha ancora neppure incominciato. Perché dunque volete che il cattivo non abbia il tempo di portarlo a termine e che l'altro rimanga ancorato alla zolla terrestre? Che ne direste di un prigioniero che avesse finito di espiare la sua colpa e che lo si trattenesse in prigione, mentre si dà la libertà a uno che non ne ha diritto? Sappiate dunque che la vera libertà sta nell'affrancamento dai legami del corpo e che finché siete sulla Terra vi trovate in cattività.
Abituatevi a non biasimare ciò che non riuscite a comprendere e convincetevi che Dio è giusto in tutto. Sovente ciò che vi sembra un male è un bene. Ma le vostre facoltà sono così limitate che l'insieme del grande tutto sfugge ai vostri sensi ottusi. Sforzatevi di uscire con il pensiero dalla vostra ristretta sfera, e, man mano che vi eleverete, la vita materiale perderà importanza ai vostri occhi, in quanto vi apparirà come un incidente, nella durata infinita della vostra esistenza spirituale, la sola vera esistenza.
(Fénelon, Sens, 1861)
I tormenti volontari
La vera sventura
24.
Tutti parlano di sventura, tutti l'hanno provata e credono di
conoscerne tutti i molteplici aspetti. Io vengo a dirvi che quasi tutti
si sbagliano e che la vera sventura non è per niente quella che gli
uomini, ossia gli sfortunati, suppongono. Essi la vedono nella miseria,
nel focolare spento, nel creditore impietoso, nella culla senza
l'angioletto che sorrideva, nelle lacrime, nel feretro che si segue a
capo scoperto e il cuore infranto, nell'angoscia del tradimento, nella
miseria dell'orgoglio che vorrebbe ammantarsi di porpora, ma che
nasconde appena la sua nudità sotto i cenci della vanità. Tutto ciò e
tante altre cose vengono chiamate sventura nel linguaggio umano. Sì, è
sventura per coloro che vedono solo il presente. Ma la vera disgrazia è
più nelle conseguenze di una cosa che nella cosa stessa.
Ditemi voi se l'avvenimento sul momento felicissimo, ma che abbia poi conseguenze funeste, non è in realtà più infelice di quello che in un primo tempo causa una viva contrarietà, ma finisce poi col produrre del bene. Ditemi voi se l'uragano che si abbatte sui vostri alberi, ma che bonifica l'aria dissipando i miasmi insalubri che avrebbero causato la morte, non è piuttosto una fortuna che una sventura.
Per giudicare una cosa bisogna dunque valutarne le conseguenze. Così, per apprezzare ciò che è realmente fortuna o sfortuna per l'uomo, bisogna trasferirsi oltre questa vita, perché è là che le conseguenze si fanno sentire. Ora, tutto ciò che si chiama sfortuna secondo una vista corta, finisce con la vita e trova il suo compenso nella vita futura.
Vi rivelerò ora la sventura sotto un nuovo aspetto, sotto l'aspetto bello e fiorito che voi accettate e desiderate con tutte le forze della vostra anima ingannata. La sventura è l'allegria, il piacere, lo scalpore, la vana agitazione. È la folle soddisfazione della vanità, che fa tacere la coscienza, che inibisce l'azione del pensiero, che stordisce l'uomo, che crea confusione riguardo al suo futuro. La sventura è l'oppio della dimenticanza che voi invocate a gran voce.
Sperate, o voi che piangete! Tremate, o voi che ridete perché il vostro corpo è soddisfatto! Non si inganna Dio. Non si schiva il destino. E le prove, creditrici più impietose di un gruppo di rivoltosi scatenati dalla miseria, spiano il vostro riposo ingannatore per farvi piombare improvvisamente nell'agonia della vera sventura, quella che sorprende l'anima infiacchita dall'indifferenza e dall'egoismo.
Che lo Spiritismo vi illumini dunque e riporti alla loro vera luce verità ed errori, così stranamente svisati dalla vostra cecità! Allora voi agirete come dei bravi soldati che, lungi dal fuggire il pericolo, preferiscono la lotta dei combattimenti rischiosi alla pace che non può dare loro né gloria né avanzamento. Che importa al soldato perdere nella mischia le sue armi, l'equipaggiamento e la divisa, se ne esce vincitore e con gloria? Che importa a colui che ha fede nell'avvenire lasciare sul campo di battaglia della vita la sua fortuna e il suo mantello di carne, se la sua anima entra radiosa nel Regno Celeste?
Ditemi voi se l'avvenimento sul momento felicissimo, ma che abbia poi conseguenze funeste, non è in realtà più infelice di quello che in un primo tempo causa una viva contrarietà, ma finisce poi col produrre del bene. Ditemi voi se l'uragano che si abbatte sui vostri alberi, ma che bonifica l'aria dissipando i miasmi insalubri che avrebbero causato la morte, non è piuttosto una fortuna che una sventura.
Per giudicare una cosa bisogna dunque valutarne le conseguenze. Così, per apprezzare ciò che è realmente fortuna o sfortuna per l'uomo, bisogna trasferirsi oltre questa vita, perché è là che le conseguenze si fanno sentire. Ora, tutto ciò che si chiama sfortuna secondo una vista corta, finisce con la vita e trova il suo compenso nella vita futura.
Vi rivelerò ora la sventura sotto un nuovo aspetto, sotto l'aspetto bello e fiorito che voi accettate e desiderate con tutte le forze della vostra anima ingannata. La sventura è l'allegria, il piacere, lo scalpore, la vana agitazione. È la folle soddisfazione della vanità, che fa tacere la coscienza, che inibisce l'azione del pensiero, che stordisce l'uomo, che crea confusione riguardo al suo futuro. La sventura è l'oppio della dimenticanza che voi invocate a gran voce.
Sperate, o voi che piangete! Tremate, o voi che ridete perché il vostro corpo è soddisfatto! Non si inganna Dio. Non si schiva il destino. E le prove, creditrici più impietose di un gruppo di rivoltosi scatenati dalla miseria, spiano il vostro riposo ingannatore per farvi piombare improvvisamente nell'agonia della vera sventura, quella che sorprende l'anima infiacchita dall'indifferenza e dall'egoismo.
Che lo Spiritismo vi illumini dunque e riporti alla loro vera luce verità ed errori, così stranamente svisati dalla vostra cecità! Allora voi agirete come dei bravi soldati che, lungi dal fuggire il pericolo, preferiscono la lotta dei combattimenti rischiosi alla pace che non può dare loro né gloria né avanzamento. Che importa al soldato perdere nella mischia le sue armi, l'equipaggiamento e la divisa, se ne esce vincitore e con gloria? Che importa a colui che ha fede nell'avvenire lasciare sul campo di battaglia della vita la sua fortuna e il suo mantello di carne, se la sua anima entra radiosa nel Regno Celeste?
(Delphine de Girardin, Parigi, 1861)
La malinconia
25.
Sapete perché una vaga tristezza s'impossessa a volte del vostro animo e
vi fa sentire la vita tanto amara? È il vostro Spirito che aspira alla
felicità e alla libertà e che, bloccato nel corpo come in una prigione,
si logora in vani sforzi per uscirne; ma, vedendo che questi sforzi sono
inutili, cade nello sconforto. Il corpo, che ne subisce l'influenza, fa
sì che inedia, abbattimento e una sorta di apatia si impadroniscano di
voi. È questo che vi fa sentire infelici.
Credetemi, resistete energicamente a queste suggestioni che fiaccano la vostra volontà. L'aspirazione a una vita migliore è innata nello Spirito di tutti gli uomini, ma non cercatela in questo mondo. Adesso che Dio vi manda i suoi Spiriti per istruirvi circa la felicità che vi riserva, aspettate pazientemente l'angelo della liberazione, che vi aiuterà a spezzare i legami che tengono il vostro Spirito in cattività. Pensate che durante il vostro periodo di prova sulla Terra voi dovete compiere una missione — di cui non avete consapevolezza — sia dedicandovi alla vostra famiglia, sia compiendo i vari doveri che Dio vi ha assegnato. E se, nel corso di queste prove e assolvendo i vostri impegni, voi avvertite affanni, inquietudini e dolori abbattersi su di voi, siate forti e coraggiosi nel sopportarli. Affrontateli con determinazione. Sono di breve durata e vi condurranno da quegli amici di cui piangete la morte, che saranno felici del vostro arrivo fra di loro. Essi vi tenderanno le braccia per condurvi in un luogo dove non hanno assolutamente accesso gli affanni della Terra.
Credetemi, resistete energicamente a queste suggestioni che fiaccano la vostra volontà. L'aspirazione a una vita migliore è innata nello Spirito di tutti gli uomini, ma non cercatela in questo mondo. Adesso che Dio vi manda i suoi Spiriti per istruirvi circa la felicità che vi riserva, aspettate pazientemente l'angelo della liberazione, che vi aiuterà a spezzare i legami che tengono il vostro Spirito in cattività. Pensate che durante il vostro periodo di prova sulla Terra voi dovete compiere una missione — di cui non avete consapevolezza — sia dedicandovi alla vostra famiglia, sia compiendo i vari doveri che Dio vi ha assegnato. E se, nel corso di queste prove e assolvendo i vostri impegni, voi avvertite affanni, inquietudini e dolori abbattersi su di voi, siate forti e coraggiosi nel sopportarli. Affrontateli con determinazione. Sono di breve durata e vi condurranno da quegli amici di cui piangete la morte, che saranno felici del vostro arrivo fra di loro. Essi vi tenderanno le braccia per condurvi in un luogo dove non hanno assolutamente accesso gli affanni della Terra.
(François de Genève, Bordeaux)
Prove volontarie. Il vero cilicio
26. Voi vi domanderete se è possibile alleviare le proprie prove. Si può mettere questa domanda in relazione con quest'altra: è permesso a chi sta annegando cercare di salvarsi? A chi si trova una spina conficcata cercare di toglierla? A chi è malato chiamare il medico? Le prove hanno lo scopo di esercitare l'intelligenza come pure la pazienza e la rassegnazione. Un uomo può nascere in una condizione penosa e imbarazzante, proprio perché sia obbligato a cercare i mezzi per vincere le difficoltà. Il merito consiste nel sopportare, senza lagnarsi, le conseguenze dei mali che non si possono evitare, nel perseverare nella lotta, nel non disperarsi se non si riesce, nel non avere una condotta rinunciataria, cosa che sarebbe più pigrizia che virtù.
Questa domanda ne richiama naturalmente un'altra. Poiché Gesù ha detto: «Beati gli afflitti», c'è forse del merito nel cercare le afflizioni aggravando le proprie prove con sofferenze volontarie? A ciò io risponderò molto chiaramente: «Sì, c'è un grande merito quando le sofferenze e le privazioni hanno come scopo il bene del prossimo, poiché si tratta di carità attraverso il sacrificio. No, quando hanno come scopo solo se stessi, perché allora si tratta di egoismo attraverso il fanatismo».
C'è qui una grande distinzione da fare. Da parte vostra, personalmente, accontentatevi delle prove che Dio vi manda e non appesantite il carico a volte già ponderoso di per se stesso. Accettatele senza lamentarvi e con fede: ciò è tutto quello che Egli vi domanda. Non indebolite il vostro fisico con privazioni inutili e macerazioni senza scopo, perché voi avete bisogno di tutte le, vostre forze per compiere la vostra missione di lavoro sulla Terra. Torturare volontariamente e martirizzare il proprio corpo è contravvenire alla legge di Dio, che vi dà i mezzi per sostentarlo e fortificarlo. Indebolirlo senza necessità è un vero suicidio. Usate, ma non abusate: questa è la legge. L'abuso delle cose migliori comporta, come inevitabile conseguenza, una punizione.
Altro è per le sofferenze che vi imponete per essere di aiuto al prossimo. Sopportando il freddo e la farne per riscaldare o nutrire chi ne ha bisogno, se il vostro fisico ne soffre, ecco il sacrificio benedetto da Dio. Voi che lasciate i vostri salotti profumati per andare nei maleodoranti abbaini a portare consolazione; voi che infettate le vostre delicate mani curando le piaghe; voi che vi private del sonno per vegliare al capezzale di un malato che non è che vostro fratello in Dio; voi infine che approfittate della vostra salute compiendo opere buone, ecco il vostro cilicio, un vero cilicio di benedizioni, perché le gioie del mondo non hanno affatto inaridito il vostro cuore. Voi non vi siete addormentati nelle braccia delle logoranti voluttà della buona sorte, ma vi siete fatti angeli consolatori dei poveri diseredati.
Ma voi che vi allontanate dal mondo per evitare le sue seduzioni e per vivere nell'isolamento, di quale utilità siete sulla Terra? Dov'è il vostro coraggio per le prove, dal momento che fuggite la lotta e disertate il combattimento? Se volete un cilicio, applicatelo alla vostra anima e non al vostro corpo; mortificate il vostro Spirito e non la vostra carne; fustigate il vostro orgoglio; accettate le umiliazioni senza lamentarvi; calpestate il vostro amor proprio; irrigiditevi contro il dolore infetto dall'ingiuria e dalla calunnia, ben più acuto del dolore fisico. Ecco il vero cilicio, delle cui ferite si terrà conto, perché attesteranno il vostro coraggio e la vostra sottomissione alla volontà di Dio.
Questa domanda ne richiama naturalmente un'altra. Poiché Gesù ha detto: «Beati gli afflitti», c'è forse del merito nel cercare le afflizioni aggravando le proprie prove con sofferenze volontarie? A ciò io risponderò molto chiaramente: «Sì, c'è un grande merito quando le sofferenze e le privazioni hanno come scopo il bene del prossimo, poiché si tratta di carità attraverso il sacrificio. No, quando hanno come scopo solo se stessi, perché allora si tratta di egoismo attraverso il fanatismo».
C'è qui una grande distinzione da fare. Da parte vostra, personalmente, accontentatevi delle prove che Dio vi manda e non appesantite il carico a volte già ponderoso di per se stesso. Accettatele senza lamentarvi e con fede: ciò è tutto quello che Egli vi domanda. Non indebolite il vostro fisico con privazioni inutili e macerazioni senza scopo, perché voi avete bisogno di tutte le, vostre forze per compiere la vostra missione di lavoro sulla Terra. Torturare volontariamente e martirizzare il proprio corpo è contravvenire alla legge di Dio, che vi dà i mezzi per sostentarlo e fortificarlo. Indebolirlo senza necessità è un vero suicidio. Usate, ma non abusate: questa è la legge. L'abuso delle cose migliori comporta, come inevitabile conseguenza, una punizione.
Altro è per le sofferenze che vi imponete per essere di aiuto al prossimo. Sopportando il freddo e la farne per riscaldare o nutrire chi ne ha bisogno, se il vostro fisico ne soffre, ecco il sacrificio benedetto da Dio. Voi che lasciate i vostri salotti profumati per andare nei maleodoranti abbaini a portare consolazione; voi che infettate le vostre delicate mani curando le piaghe; voi che vi private del sonno per vegliare al capezzale di un malato che non è che vostro fratello in Dio; voi infine che approfittate della vostra salute compiendo opere buone, ecco il vostro cilicio, un vero cilicio di benedizioni, perché le gioie del mondo non hanno affatto inaridito il vostro cuore. Voi non vi siete addormentati nelle braccia delle logoranti voluttà della buona sorte, ma vi siete fatti angeli consolatori dei poveri diseredati.
Ma voi che vi allontanate dal mondo per evitare le sue seduzioni e per vivere nell'isolamento, di quale utilità siete sulla Terra? Dov'è il vostro coraggio per le prove, dal momento che fuggite la lotta e disertate il combattimento? Se volete un cilicio, applicatelo alla vostra anima e non al vostro corpo; mortificate il vostro Spirito e non la vostra carne; fustigate il vostro orgoglio; accettate le umiliazioni senza lamentarvi; calpestate il vostro amor proprio; irrigiditevi contro il dolore infetto dall'ingiuria e dalla calunnia, ben più acuto del dolore fisico. Ecco il vero cilicio, delle cui ferite si terrà conto, perché attesteranno il vostro coraggio e la vostra sottomissione alla volontà di Dio.
(Un angelo custode, Parigi, 1863)
Dobbiamo porre fine alle prove del nostro prossimo?
27. Si deve porre, ine alle prove del prossimo, quando si può, oppure bisogna, per rispetto ai disegni di Dio, lasciare che esse seguano il loro corso?Abbiamo detto, e più volte ripetuto, che voi siete su questa Terra di espiazione per compiere le vostre prove, e che tutto ciò che vi succede è una conseguenza delle vostre esistenze precedenti, sono cioè gli interessi del debito che voi dovete pagare. Ma questo pensiero provoca in certe persone delle riflessioni che è necessario interrompere, perché potrebbero avere delle conseguenze funeste.
Alcuni pensano che, dal momento che si è sulla Terra per espiare, bisogna che le prove facciano il loro corso. Ci sono persino alcuni che arrivano a credere che non solo non si deve fare niente per attenuarle, ma che al contrario bisogna adoperarsi per renderle più proficue, facendole diventare più gravi. È un grosso errore. Sì, le vostre prove devono seguire il corso tracciato da Dio, ma voi lo conoscete questo corso? Sapete fino a che punto devono giungere, e se il vostro Padre misericordioso non ha detto alla sofferenza del tale o talaltro dei vostri fratelli: «Tu non andrai oltre»? Sapete se la 'sua Provvidenza non vi ha scelti, non come strumento di supplizio per aggravare le sofferenze del colpevole, ma proprio come balsamo di consolazione che deve cicatrizzare le piaghe aperte dalla la sua giustizia?
Non dite dunque, quando vedete un vostro fratello colpito: «Èla giustizia di Dio, deve seguire il suo corso», ma al contrario dite: ,Vediamo quali mezzi il nostro Padre misericordioso ha messo in mio potere per alleviare la sofferenza del mio fratello. «Vediamo se il mio conforto morale, il mio appoggio materiale, i miei consigli non potranno aiutarlo a superare questa prova con più forza, pazienza e rassegnazione. Vediamo anche se Dio non ha messo nelle mie mani il mezzo per far cessare queste sofferenze; se non ha dato anche a me come prova, forse come espiazione, quella di fermare il male e di sostituirlo con la pace».
Aiutatevi dunque sempre nelle vostre rispettive prove e non consideratevi mai degli strumenti di tortura. Questo pensiero deve ripugnare a ogni uomo di buon animo e soprattutto a ogni Spiritista; perché lo Spiritista, più di ogni altro, deve comprendere la_ grandezza infinita della bontà di Dio. Lo Spiritista deve pensare che tutta la sua vita dev'essere un atto d'amore e di dedizione; che, qualsiasi cosa egli faccia per contrastare le decisioni del Signore, la Sua giustizia seguirà comunque il suo corso. Egli può quindi, senza tema, fare tutti gli sforzi che vuole per attenuare l'amarezza dell'espiazione, ma è solo Dio che può farla cessare o prolungarla secondo quanto giudichi opportuno.
Non sarebbe forse un ben grande orgoglio da parte dell'uomo, se egli credesse di essere in diritto, per così dire, di girare il coltello nella piaga? Di aumentare la dose di veleno nel petto di colui che soffre, con il pretesto che quella è la sua espiazione? Oh! consideratevi sempre e soltanto come uno strumento scelto per farla cessare.
Riassumendo: voi siete tutti sulla Terra per espiare; ma tutti, senza eccezione, dovete sforzarvi per alleviare l'espiazione dei vostri fratelli, secondo la legge d'amore e di carità.
(Bernardin, Spirito protettore, Bordeaux, 1863)
È lecito accorciare la vita di un paziente che soffre senza speranza di guarigione?
28. Un uomo è agonizzante, in preda a crudeli sofferenze, e si sa che è senza speranze. È permesso, pertanto, risparmiargli qualche momento di angoscia affrettando la sua fine?
Chi dunque vi dà il diritto di precedere il disegno di Dio? Non potrebbe Dio condurre un uomo sull'orlo della fossa per poi riportarlo indietro, farlo ritornare in sé e condurlo ad altri pensieri? In qualsiasi condizione si trovi un moribondo, nessuno può stabilire che la sua ultima ora sia arrivata. La scienza non ha mai commesso errori nelle sue previsioni?
So benissimo che ci sono dei casi che si possono, con ragione, considerare disperati; ma, se è vero che non c'è nessuna speranza fondata di un ritorno definitivo alla vita e alla salute, è altrettanto vero che ci sono innumerevoli esempi in cui, nel momento di rendere l'estremo respiro, il malato si rianima e recupera le sue facoltà per qualche istante! Ebbene, questo momento di grazia che gli viene accordato può essere per lui della massima importanza, perché voi ignorate quali riflessioni può aver fatto il suo Spirito nelle convulsioni dell'agonia, e quali tormenti può risparmiargli un lampo di pentimento.
Il materialista, che considera solo il corpo e non tiene in nessun conto l'anima, non può comprendere queste cose. Ma lo Spiritista, che sa che cosa succede oltre la tomba, sa quanto può valere l'ultimo pensiero. Attenuate le sofferenze quanto più vi è possibile, ma guardatevi dall'abbreviare la vita, fosse anche di un minuto, perché questo minuto può risparmiare tante lacrime in futuro.
Chi dunque vi dà il diritto di precedere il disegno di Dio? Non potrebbe Dio condurre un uomo sull'orlo della fossa per poi riportarlo indietro, farlo ritornare in sé e condurlo ad altri pensieri? In qualsiasi condizione si trovi un moribondo, nessuno può stabilire che la sua ultima ora sia arrivata. La scienza non ha mai commesso errori nelle sue previsioni?
So benissimo che ci sono dei casi che si possono, con ragione, considerare disperati; ma, se è vero che non c'è nessuna speranza fondata di un ritorno definitivo alla vita e alla salute, è altrettanto vero che ci sono innumerevoli esempi in cui, nel momento di rendere l'estremo respiro, il malato si rianima e recupera le sue facoltà per qualche istante! Ebbene, questo momento di grazia che gli viene accordato può essere per lui della massima importanza, perché voi ignorate quali riflessioni può aver fatto il suo Spirito nelle convulsioni dell'agonia, e quali tormenti può risparmiargli un lampo di pentimento.
Il materialista, che considera solo il corpo e non tiene in nessun conto l'anima, non può comprendere queste cose. Ma lo Spiritista, che sa che cosa succede oltre la tomba, sa quanto può valere l'ultimo pensiero. Attenuate le sofferenze quanto più vi è possibile, ma guardatevi dall'abbreviare la vita, fosse anche di un minuto, perché questo minuto può risparmiare tante lacrime in futuro.
(San Luigi, Parigi, 1860)
Sacrificio della propria vita
29. Chi è disgustato della vita, ma non vuole togliersela, si rende colpevole se cerca la morte sul campo di battaglia, pensando di rendersi utile con la sua morte?Che l'uomo si dia la morte o che se la faccia dare, lo scopo è sempre quello di abbreviare la vita e, di conseguenza, è un suicida nelle intenzioni se non nei fatti. Il pensiero che la sua morte servirà a qualcosa è illusorio; è solo un pretesto per mascherare la sua azione e renderla scusabile ai suoi stessi occhi. Se egli avesse seriamente il desiderio di servire il suo paese, cercherebbe di difenderlo vivendo e non morendo, perché una volta morto non servirebbe più a niente. La vera abnegazione consiste nel non temere la morte quando si tratta di essere utili, nello sfidare il pericolo, nell'essere disponibili, senza recriminazioni, al sacrificio della propria vita, se ciò è necessario. Ma l'intenzione premeditata di cercare la morte esponendosi al pericolo, sia pure per rendere un servigio, vanifica il merito dell'azione.
(San Luigi, Parigi, 1860)
30. Un uomo si espone a un pericolo imminente per salvare la vita a un suo simile, sapendo in anticipo che lui stesso soccomberà. Può essere ciò considerato un suicidio?
Dal momento che l'intenzione di cercare la morte non c'è, non è un suicidio, bensì dedizione e abnegazione, sia pure con la certezza di perire. Ma chi può avere questa certezza? Chi dice che la Provvidenza non gli riservi un mezzo insperato di salvezza nel momento più critico? Non può essa persino salvare chi si trovi sulla bocca di un cannone? Sovente essa vuol portare la prova della rassegnazione fino all'estremo limite, e solo allora una circostanza inattesa devia il colpo fatale.
Dal momento che l'intenzione di cercare la morte non c'è, non è un suicidio, bensì dedizione e abnegazione, sia pure con la certezza di perire. Ma chi può avere questa certezza? Chi dice che la Provvidenza non gli riservi un mezzo insperato di salvezza nel momento più critico? Non può essa persino salvare chi si trovi sulla bocca di un cannone? Sovente essa vuol portare la prova della rassegnazione fino all'estremo limite, e solo allora una circostanza inattesa devia il colpo fatale.
(San Luigi, Parigi, 1860)
Approfitta della sofferenza per gli altri
31. Coloro che accettano le sofferenze con rassegnazione, per sottomissione alla volontà di Dio e in vista della loro felicità futura, non lavorano che per se stessi. Possono rendere le loro sofferenze vantaggiose per gli altri?
Queste sofferenze possono essere vantaggiose per gli altri materialmente e moralmente. Materialmente se, con il lavoro, le privazioni e i sacrifici che essi s'impongono, contribuiscono al benessere materiale del loro prossimo. Moralmente, per l'esempio che essi danno della loro sottomissione alla volontà di Dio. Questo esempio della potenza della fede spiritista può sollecitare negli infelici la rassegnazione, salvarli dalla disperazione e dalle sue funeste conseguenze per l'avvenire.
Queste sofferenze possono essere vantaggiose per gli altri materialmente e moralmente. Materialmente se, con il lavoro, le privazioni e i sacrifici che essi s'impongono, contribuiscono al benessere materiale del loro prossimo. Moralmente, per l'esempio che essi danno della loro sottomissione alla volontà di Dio. Questo esempio della potenza della fede spiritista può sollecitare negli infelici la rassegnazione, salvarli dalla disperazione e dalle sue funeste conseguenze per l'avvenire.
(San Luigi, Parigi, 1860)
Capitolo VI - IL CRISTO CONSOLATORE
Il giogo leggero
1.
«Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò
riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono
mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre;
poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero». (Matteo 11:28-30)
2. Tutte le sofferenze,
miserie, delusioni, dolori fisici e perdita di persone care, trovano la
loro consolazione nella fede nel futuro, nella fiducia nella giustizia
di Dio che Cristo è venuto a insegnare agli uomini. Al contrario, su chi
non si aspetta niente dopo questa vita, o che semplicemente dubita, le
afflizioni pesano con tutto il loro carico e nessuna speranza ne
addolcisce l'amarezza. Ecco che cosa porta Gesù a dire: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo».
Tuttavia Gesù pone una condizione alla sua assistenza e alla felicità che promette agli afflitti. Questa condizione si trova nella legge che Egli insegna. Il suo giogo è l'osservanza di questa legge. Ma questo giogo è leggero e questa legge è dolce, poiché impone, come dovere, l'amore e la carità.
Tuttavia Gesù pone una condizione alla sua assistenza e alla felicità che promette agli afflitti. Questa condizione si trova nella legge che Egli insegna. Il suo giogo è l'osservanza di questa legge. Ma questo giogo è leggero e questa legge è dolce, poiché impone, come dovere, l'amore e la carità.
Il Consolatore promesso
3. «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre,
ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre,
lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo
vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà
in voi». (...) Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà
nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi
ho detto. (Giovanni 14:1517, 26)
4. Gesù promette un altro Consolatore: è lo Spirito della Verità che
il mondo non conosce ancora, perché non è maturo per comprenderlo, che
il Padre manderà per insegnare ogni cosa e per fare ricordare ciò che
Cristo ha detto. Se dunque lo Spirito della Verità giungerà più avanti
per insegnare ogni cosa, ciò significa che Cristo non ha detto tutto. Se
viene per farci ricordare ciò che Cristo ha detto, significa che lo si è
dimenticato o mal compreso.
Lo Spiritismo giunge nel momento designato a compiere la promessa di Cristo. Lo Spirito della Verità presiede alla sua fondazione, richiama gli uomini all'osservanza della legge, insegna tutto facendo comprendere ciò che Cristo ha detto in forma di parabola. Cristo ha detto: «Chi ha orecchi per intendere, intenda». Lo Spiritismo viene per aprire gli occhi e gli orecchi, perché parla senza simboli e senza allegorie. Solleva il velo lasciato di proposito su certi misteri. Viene infine a portare una suprema consolazione ai diseredati della Terra e a tutti quelli che soffrono, indicando una causa giusta e un fine utile a tutti i dolori.
Cristo ha detto: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati», ma come possono gli afflitti sentirsi felici se non sanno perché soffrono?
Lo Spiritismo ce ne mostra le cause, le quali risalgono alle esistenze precedenti e sono insite nella destinazione della Terra, dove l'uomo espia il suo passato. Ce ne mostra il fine, in quanto le sofferenze sono salutari come le crisi, che conducono alla guarigione e sono la purificazione che assicura la felicità nelle esistenze future. L'uomo comprende che ha meritato di soffrire e trova giusta la sofferenza. Sa che questa sofferenza aiuta il suo avanzamento e l'accetta senza lamentarsi, come l'operaio accetta il lavoro che gli frutta un salario. Lo Spiritismo dà all'uomo una fede incrollabile nel futuro, e il dubbio angosciante non ha più presa nel suo animo facendogli vedere le cose dall'alto. L'importanza delle vicissitudini terrene si perde nel vasto e splendido orizzonte che egli abbraccia, e la prospettiva della felicità che lo attende gli dà la pazienza, la rassegnazione e il coraggio per proseguire fino alla fine del cammino.
Così lo Spiritismo realizza ciò che Gesù ha detto del Consolatore promesso: la conoscenza delle cose, che fa sì che l'uomo sappia da dove viene, dove va e perché è sulla Terra; richiamo questo ai veri principi della legge di Dio e consolazione attraverso la fede e la speranza.
Lo Spiritismo giunge nel momento designato a compiere la promessa di Cristo. Lo Spirito della Verità presiede alla sua fondazione, richiama gli uomini all'osservanza della legge, insegna tutto facendo comprendere ciò che Cristo ha detto in forma di parabola. Cristo ha detto: «Chi ha orecchi per intendere, intenda». Lo Spiritismo viene per aprire gli occhi e gli orecchi, perché parla senza simboli e senza allegorie. Solleva il velo lasciato di proposito su certi misteri. Viene infine a portare una suprema consolazione ai diseredati della Terra e a tutti quelli che soffrono, indicando una causa giusta e un fine utile a tutti i dolori.
Cristo ha detto: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati», ma come possono gli afflitti sentirsi felici se non sanno perché soffrono?
Lo Spiritismo ce ne mostra le cause, le quali risalgono alle esistenze precedenti e sono insite nella destinazione della Terra, dove l'uomo espia il suo passato. Ce ne mostra il fine, in quanto le sofferenze sono salutari come le crisi, che conducono alla guarigione e sono la purificazione che assicura la felicità nelle esistenze future. L'uomo comprende che ha meritato di soffrire e trova giusta la sofferenza. Sa che questa sofferenza aiuta il suo avanzamento e l'accetta senza lamentarsi, come l'operaio accetta il lavoro che gli frutta un salario. Lo Spiritismo dà all'uomo una fede incrollabile nel futuro, e il dubbio angosciante non ha più presa nel suo animo facendogli vedere le cose dall'alto. L'importanza delle vicissitudini terrene si perde nel vasto e splendido orizzonte che egli abbraccia, e la prospettiva della felicità che lo attende gli dà la pazienza, la rassegnazione e il coraggio per proseguire fino alla fine del cammino.
Così lo Spiritismo realizza ciò che Gesù ha detto del Consolatore promesso: la conoscenza delle cose, che fa sì che l'uomo sappia da dove viene, dove va e perché è sulla Terra; richiamo questo ai veri principi della legge di Dio e consolazione attraverso la fede e la speranza.
ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI
Avvento dello Spirito della Verità
5. Io
vengo, come un tempo, tra i figli dissoluti di Israele a portare la
verità e a dissipare le tenebre. Ascoltatemi. Lo Spiritismo, come un
tempo la mia parola, deve ricordare ai miscredenti che al di sopra di
loro regna l'immutabile verità: il Dio buono, il Dio grande che fa
germogliare le piante e sollevare i flutti. Io ho rivelato la dottrina
divina; come un mietitore, ho legato in covoni i beni sparsi
dell'umanità e ho detto: Venite a me, voi tutti che soffrite!
Ma gli uomini ingrati si sono allontanati dalla via retta e larga che conduce al regno del Padre mio e si sono persi negli impervi sentieri dell'empietà. Il Padre mio non vuole annientare l'umanità. Vuole che, aiutandovi gli uni con gli altri, vivi e morti — ossia morti nella carne, perché la morte non esiste — vi soccorriate a vicenda. Vuole che sia non più la voce dei profeti e degli apostoli, ma la voce di coloro che sono defunti a farsi ascoltare, per gridarvi: pregate e credete! Perché la morte è la resurrezione, e la vita è la prova che è stata scelta e durante la quale le vostre virtù, esercitandosi, cresceranno e si svilupperanno come il cedro.
Uomini deboli, che comprendete le tenebre della vostra intelligenza, non allontanate la fiaccola che la clemenza divina pone nelle vostre mani, per far luce sulla vostra strada, e ricondurvi, figli perduti, nel rifugio del Padre vostro.
Ho troppa compassione delle vostre miserie, della vostra immensa debolezza, per non tendere la mia mano soccorritrice agli infelici dispersi che, pur vedendo il cielo, cadono nell'abisso dell'errore. Credete, amate, meditate le cose che vi vengono rivelate; non mescolate la gramigna con il grano buono, le utopie con le verità.
Spiritisti! Amatevi, ecco il primo insegnamento; istruitevi, ecco il secondo. Tutte le verità si trovano nel Cristianesimo; gli errori, radicati, sono di origine umana; ed ecco che dall'oltretomba, che voi credete sia il nulla, giungono voci che vi gridano: «Fratelli! Nulla perisce. Gesù Cristo è il vincitore del male, siate voi i vincitori dell'empietà».
Ma gli uomini ingrati si sono allontanati dalla via retta e larga che conduce al regno del Padre mio e si sono persi negli impervi sentieri dell'empietà. Il Padre mio non vuole annientare l'umanità. Vuole che, aiutandovi gli uni con gli altri, vivi e morti — ossia morti nella carne, perché la morte non esiste — vi soccorriate a vicenda. Vuole che sia non più la voce dei profeti e degli apostoli, ma la voce di coloro che sono defunti a farsi ascoltare, per gridarvi: pregate e credete! Perché la morte è la resurrezione, e la vita è la prova che è stata scelta e durante la quale le vostre virtù, esercitandosi, cresceranno e si svilupperanno come il cedro.
Uomini deboli, che comprendete le tenebre della vostra intelligenza, non allontanate la fiaccola che la clemenza divina pone nelle vostre mani, per far luce sulla vostra strada, e ricondurvi, figli perduti, nel rifugio del Padre vostro.
Ho troppa compassione delle vostre miserie, della vostra immensa debolezza, per non tendere la mia mano soccorritrice agli infelici dispersi che, pur vedendo il cielo, cadono nell'abisso dell'errore. Credete, amate, meditate le cose che vi vengono rivelate; non mescolate la gramigna con il grano buono, le utopie con le verità.
Spiritisti! Amatevi, ecco il primo insegnamento; istruitevi, ecco il secondo. Tutte le verità si trovano nel Cristianesimo; gli errori, radicati, sono di origine umana; ed ecco che dall'oltretomba, che voi credete sia il nulla, giungono voci che vi gridano: «Fratelli! Nulla perisce. Gesù Cristo è il vincitore del male, siate voi i vincitori dell'empietà».
(Lo Spirito della Verità, Parigi, 1860)
6.
Io vengo a insegnare ai poveri diseredati e a consolarli. Io vengo a
dire loro che elevino la loro rassegnazione al livello delle loro prove;
che piangano perché il dolore è stato consacrato nell'orto degli Ulivi;
ma che sperino, perché così gli angeli consolatori verranno ad
asciugare le loro lacrime.
Operai, tracciate il vostro solco, ricominciate ogni giorno il duro lavoro del giorno prima. La fatica delle vostre mani procura il pane terreno ai vostri corpi, ma le vostre anime non vengono dimenticate. E io, il divino giardiniere, le coltivo nel silenzio dei vostri pensieri. Quando l'ora del vostro riposo suonerà, quando la trama vi sfuggirà di mano e i vostri occhi si chiuderanno alla luce, voi sentirete sorgere e germogliare in voi la mia preziosa semente. Niente viene perso nel Regno del Padre nostro, e il vostro sudore, le vostre miserie costituiscono il tesoro che deve rendervi ricchi nelle sfere superiori, dove la luce sostituisce le tenebre e dove il più miserabile di tutti voi sarà forse il più risplendente.
In verità vi dico Che quelli che portano il loro fardello e assistono i loro fratelli sono i miei benamati. Istruitevi nella preziosa dottrina che dissipa l'errore della rivolta e vi insegna lo scopo sublime. della prova umana. Come il vento porta via la polvere, così il soffio degli Spiriti dissipa la vostra gelosia nei confronti dei ricchi del mondo, che sono sovente molto miserabili, perché le loro prove sono più pericolose delle vostre. Io sono con voi, e il mio apostolo vi istruisce. Abbeveratevi alla fonte viva dell'amore e preparatevi, prigionieri della vita, a lanciarvi un giorno, liberi e felici, nelle braccia di Colui che vi ha creati deboli per rendervi perfettibili e che vuole che modelliate voi stessi la tenera creta, affinché siate voi gli artefici della vostra immortalità.
Operai, tracciate il vostro solco, ricominciate ogni giorno il duro lavoro del giorno prima. La fatica delle vostre mani procura il pane terreno ai vostri corpi, ma le vostre anime non vengono dimenticate. E io, il divino giardiniere, le coltivo nel silenzio dei vostri pensieri. Quando l'ora del vostro riposo suonerà, quando la trama vi sfuggirà di mano e i vostri occhi si chiuderanno alla luce, voi sentirete sorgere e germogliare in voi la mia preziosa semente. Niente viene perso nel Regno del Padre nostro, e il vostro sudore, le vostre miserie costituiscono il tesoro che deve rendervi ricchi nelle sfere superiori, dove la luce sostituisce le tenebre e dove il più miserabile di tutti voi sarà forse il più risplendente.
In verità vi dico Che quelli che portano il loro fardello e assistono i loro fratelli sono i miei benamati. Istruitevi nella preziosa dottrina che dissipa l'errore della rivolta e vi insegna lo scopo sublime. della prova umana. Come il vento porta via la polvere, così il soffio degli Spiriti dissipa la vostra gelosia nei confronti dei ricchi del mondo, che sono sovente molto miserabili, perché le loro prove sono più pericolose delle vostre. Io sono con voi, e il mio apostolo vi istruisce. Abbeveratevi alla fonte viva dell'amore e preparatevi, prigionieri della vita, a lanciarvi un giorno, liberi e felici, nelle braccia di Colui che vi ha creati deboli per rendervi perfettibili e che vuole che modelliate voi stessi la tenera creta, affinché siate voi gli artefici della vostra immortalità.
(Lo Spirito della Verità, Parigi, 1861)
7. Io
sono il grande medico delle anime e vengo a portare il rimedio che deve
guarirvi. I deboli, i sofferenti e gli infermi sono i miei figli
prediletti, e io vengo a salvarli. Venite dunque a me voi tutti che
soffrite e che sopportate un grosso peso, e vi sarà dato sollievo e
consolazione. Non cercate altrove forza e consolazione perché il mondo è
impotente a darvele. Dio rivolge alla vostra anima un appello supremo
attraverso lo Spiritismo: ascoltatelo. Che l'empietà, la menzogna,
l'errore e la miscredenza vengano estirpate dalle vostre anime
sofferenti. Sono mostri che si nutrono del vostro sangue più puro e vi
infliggono piaghe quasi sempre letali. Che in futuro, umili e sottomessi
al Creatore, voi mettiate in pratica la Sua legge divina. Amate e
pregate. Siate sottomessi agli Spiriti del Signore e invocateLo dal
profondo del cuore. Allora Egli vi invierà il Figlio Suo benamato per
istruirvi e dirvi queste buone parole: «Eccomi, io vengo a voi perché mi
avete chiamato».
(Lo Spirito della Verità, Bordeaux, 1861)
8. Dio
consola gli umili e dà la forza agli afflitti che gliela chiedono. La
Sua potenza è diffusa sulla Terra, e ovunque ci sia una lacrima pone un
balsamo di consolazione. Il sacrificio e l'abnegazione sono una continua
preghiera e contengono un insegnamento profondo. La saggezza umana
risiede in queste due parole. Possano tutti gli Spiriti sofferenti
comprendere questa verità, anziché inveire contro il dolore e le
sofferenze morali che su questa Terra sono quanto loro tocca. Prendete
dunque come motto queste due parole: dedizione e abnegazione. E sarete
forti, perché esse riassumono tutti i doveri che la carità e l'umiltà vi
impongono. La coscienza del dovere compiuto vi darà la pace dello
spirito e la rassegnazione. Il cuore batte meglio, l'anima si calma e il
corpo non ha più debolezze, perché esso tanto più soffre quanto più lo
Spirito è colpito.
(Lo Spirito della Verità, Le Havre, 1863)
Capitolo VII - BEATI I POVERI DI SPIRITO
Che cosa bisogna intendere per poveri di spirito
1. “Beati i poveri di spirito, perché di loro è il regno dei cieli». (Matteo 5:3)
2. I miscredenti si sono divertiti con la massima Beati i poveri di spirito, come
con tante altre cose che non hanno compreso. Per poveri di spirito,
Gesù non intende gli uomini sprovvisti di intelligenza, ma gli umili:
Egli dice che il Regno dei Cieli è loro e non degli orgogliosi.
Gli uomini di scienza e di intelletto, secondo i parametri terreni, hanno generalmente una così alta considerazione di se stessi e della loro superiorità, che ritengono le cose divine non degne della loro attenzione. Il loro sguardo, concentrato sulla persona, non può elevarsi fino a Dio. Questa propensione a credersi al di sopra di tutto li porta troppo spesso a negare ciò che, essendo al di sopra di loro, potrebbe sminuirli, e a negare persino la Divinità. Oppure, se arrivano ad ammettere la Divinità, le contestano uno dei suoi attributi più belli: la sua azione provvidenziale sulle cose del mondo, persuasi che essi soltanto siano sufficienti per ben governarlo. Prendendo la loro intelligenza come metro dell'intelligenza universale e, giudicandosi all'altezza di comprendere tutto, essi non credono sia possibile ciò che non comprendono. Una volta pronunciato, il loro giudizio è per loro senza appello.
Se rifiutano di ammettere il mondo invisibile e una potenza al di sopra dell'uomo, non è detto che ciò sia però al di sopra della loro portata. Il fatto è che il loro orgoglio si ribella all'idea di qualcosa al di sopra del quale non possono porsi e che li farebbe scendere dal loro piedistallo. È per questo che essi hanno solo sorrisi di sufficienza per tutto ciò che non è del mondo visibile e tangibile. Si attribuiscono troppa superiorità e sapienza per credere a cose che vanno bene, secondo loro, per i semplici, ritenendo quelli che le prendono sul serio dei poveri di spirito.
Tuttavia, checché ne dicano, dovranno pur entrare, come gli altri, in questo mondo invisibile che scherniscono. È là che i loro occhi si apriranno, è là che prenderanno atto del loro errore. Ma Dio, che è giusto, non può ricevere allo stesso titolo chi ha disconosciuto la Sua potenza e chi si è umilmente sottomesso alle Sue leggi né trattare tutti allo stesso modo.
Affermando che il Regno dei Cieli è dei semplici, Gesù intende dire che nessuno vi è ammesso senza la semplicità del cuore e l'umiltà dello spirito; intende dire che l'ignorante, il quale possiede queste qualità, sarà preferito al sapiente, il quale crede più in se stesso che in Dio. In tutte le circostanze, Egli pone l'umiltà fra le virtù che avvicinano a Dio e l'orgoglio fra i vizi che da Dio allontanano. E ciò per una ragione molto evidente: perché l'umiltà è un atto di sottomissione a Dio, mentre l'orgoglio è una ribellione contro di Lui. È meglio dunque, per la felicità futura dell'uomo, essere povero di spirito, nel senso mondano del termine, e ricco di qualità morali.
Gli uomini di scienza e di intelletto, secondo i parametri terreni, hanno generalmente una così alta considerazione di se stessi e della loro superiorità, che ritengono le cose divine non degne della loro attenzione. Il loro sguardo, concentrato sulla persona, non può elevarsi fino a Dio. Questa propensione a credersi al di sopra di tutto li porta troppo spesso a negare ciò che, essendo al di sopra di loro, potrebbe sminuirli, e a negare persino la Divinità. Oppure, se arrivano ad ammettere la Divinità, le contestano uno dei suoi attributi più belli: la sua azione provvidenziale sulle cose del mondo, persuasi che essi soltanto siano sufficienti per ben governarlo. Prendendo la loro intelligenza come metro dell'intelligenza universale e, giudicandosi all'altezza di comprendere tutto, essi non credono sia possibile ciò che non comprendono. Una volta pronunciato, il loro giudizio è per loro senza appello.
Se rifiutano di ammettere il mondo invisibile e una potenza al di sopra dell'uomo, non è detto che ciò sia però al di sopra della loro portata. Il fatto è che il loro orgoglio si ribella all'idea di qualcosa al di sopra del quale non possono porsi e che li farebbe scendere dal loro piedistallo. È per questo che essi hanno solo sorrisi di sufficienza per tutto ciò che non è del mondo visibile e tangibile. Si attribuiscono troppa superiorità e sapienza per credere a cose che vanno bene, secondo loro, per i semplici, ritenendo quelli che le prendono sul serio dei poveri di spirito.
Tuttavia, checché ne dicano, dovranno pur entrare, come gli altri, in questo mondo invisibile che scherniscono. È là che i loro occhi si apriranno, è là che prenderanno atto del loro errore. Ma Dio, che è giusto, non può ricevere allo stesso titolo chi ha disconosciuto la Sua potenza e chi si è umilmente sottomesso alle Sue leggi né trattare tutti allo stesso modo.
Affermando che il Regno dei Cieli è dei semplici, Gesù intende dire che nessuno vi è ammesso senza la semplicità del cuore e l'umiltà dello spirito; intende dire che l'ignorante, il quale possiede queste qualità, sarà preferito al sapiente, il quale crede più in se stesso che in Dio. In tutte le circostanze, Egli pone l'umiltà fra le virtù che avvicinano a Dio e l'orgoglio fra i vizi che da Dio allontanano. E ciò per una ragione molto evidente: perché l'umiltà è un atto di sottomissione a Dio, mentre l'orgoglio è una ribellione contro di Lui. È meglio dunque, per la felicità futura dell'uomo, essere povero di spirito, nel senso mondano del termine, e ricco di qualità morali.
Chiunque si esalti, sarà umiliato
3. In
quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è
dunque il più grande nel regno dei cieli?» Ed egli, chiamato a sé un
bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non
cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei
cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più
grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo
nel nome mio, riceve me.(...)» (Matteo 18:1 5)
4. Allora
la madre dei figli di Zebedeo si avvicinò a Gesù con i suoi figli,
prostrandosi per fargli una richiesta. Ed egli le domandò: «Che vuoi?»
Ella gli disse: «Di' che questi miei due figli siedano l'uno alla tua
destra e l'altro alla tua sinistra, nel tuo regno». Gesù rispose: «Voi
non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io sto per
bere?» Essi gli dissero: «Sì, lo possiamo». Egli disse loro: «Voi certo
berrete il mio calice; ma quanto al sedersi alla mia destra e alla mia
sinistra, non sta a me concederlo, ma sarà dato a quelli per cui è stato
preparato dal Padre mio». I dieci, udito ciò, furono indignati contro i
due fratelli. Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: »Voi sapete che i
principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono
al loro dominio. Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere
grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chiunque tra di voi vorrà
essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell'uomo non è
venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come
prezzo di riscatto per molti». (Matteo 20:20-28)
5. Gesù
entrò di sabato in casa di uno dei principali farisei per prendere
cibo, ed essi lo stavano osservando. (...) Notando poi come gli invitati
sceglievano i primi posti, disse loro questa parabola: «Quando sarai
invitato a nozze da qualcuno, non ti mettere a tavola al primo posto,
perché può darsi che sia stato invitato da lui qualcuno più importante
di te, e chi ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedi il posto a
questo!" e tu debba con tua vergogna andare allora a occupare l'ultimo
posto. Ma quando sarai invitato, va' a metterti all'ultimo posto,
affinché quando verrà colui che ti ha invitato, ti dica: "Amico, vieni
più avanti". Allora ne avrai onore davanti a tutti quelli che saranno a
tavola con te. Poiché chiunque si innalza sarà abbassato e chi si
abbassa sarà innalzato». (Luca 14:1, 7-11)
6. Queste massime sono la
conseguenza del principio di umiltà che Gesù non tralascia mai di porre
come condizione essenziale per la felicità promessa agli eletti del
Signore, e che ha formulato con queste parole: «Beati i poveri di spirito, perché di loro è il Regno dei Cieli». Egli prende un fanciullo come esempio della semplicità d'animo e dice: «Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel Regno dei Cieli»; ossia non avrà nessuna pretesa di superiorità e di infallibilità.
È lo stesso concetto fondamentale che si trova in altre massime: «Chiunque vorrà essere grande tra di voi sarà vostro servitore», e in questa: «Chi si abbassa sarà innalzato».
Lo Spiritismo viene a confermare la teoria con l'esempio, mostrandoci, nel mondo degli Spiriti, grandi coloro che sono stati piccoli sulla Terra, e sovente molto piccoli quelli che sono stati in questo mondo i più grandi e i più potenti. Il fatto è che i primi hanno portato con sé, morendo, ciò che fa la vera grandezza in Cielo e non si perde mai: la virtù. Mentre gli altri hanno dovuto lasciare ciò che costituiva per loro la grandezza sulla Terra e che non hanno potuto portare con sé: la fortuna, i titoli, il successo, i privilegi di nascita. Non avendo altro, arrivano nell'Aldilà spogli di tutto, come dei naufraghi che hanno perduto ogni cosa, persino gli abiti. Essi conservano solo l'orgoglio che rende la loro nuova condizione ancora più umiliante, perché vedono al di sopra di sé, e risplendenti di gloria, quelli che hanno calpestato sulla Terra.
Lo Spiritismo ci mostra un'altra applicazione di questo principio nelle incarnazioni successive, dove coloro che si sono trovati nella condizione più elevata in un'esistenza vengono relegati all'ultimo livello nell'esistenza successiva, se sono stati dominati dall'orgoglio e dall'ambizione. Pertanto non cercate il primo posto sulla Terra né di mettervi al di sopra degli altri, se non volete vedervi costretti a scendere. Cercate, al contrario, il posto più umile e più modesto, perché Dio saprà ben darvene uno più elevato in Cielo, se lo meritate.
È lo stesso concetto fondamentale che si trova in altre massime: «Chiunque vorrà essere grande tra di voi sarà vostro servitore», e in questa: «Chi si abbassa sarà innalzato».
Lo Spiritismo viene a confermare la teoria con l'esempio, mostrandoci, nel mondo degli Spiriti, grandi coloro che sono stati piccoli sulla Terra, e sovente molto piccoli quelli che sono stati in questo mondo i più grandi e i più potenti. Il fatto è che i primi hanno portato con sé, morendo, ciò che fa la vera grandezza in Cielo e non si perde mai: la virtù. Mentre gli altri hanno dovuto lasciare ciò che costituiva per loro la grandezza sulla Terra e che non hanno potuto portare con sé: la fortuna, i titoli, il successo, i privilegi di nascita. Non avendo altro, arrivano nell'Aldilà spogli di tutto, come dei naufraghi che hanno perduto ogni cosa, persino gli abiti. Essi conservano solo l'orgoglio che rende la loro nuova condizione ancora più umiliante, perché vedono al di sopra di sé, e risplendenti di gloria, quelli che hanno calpestato sulla Terra.
Lo Spiritismo ci mostra un'altra applicazione di questo principio nelle incarnazioni successive, dove coloro che si sono trovati nella condizione più elevata in un'esistenza vengono relegati all'ultimo livello nell'esistenza successiva, se sono stati dominati dall'orgoglio e dall'ambizione. Pertanto non cercate il primo posto sulla Terra né di mettervi al di sopra degli altri, se non volete vedervi costretti a scendere. Cercate, al contrario, il posto più umile e più modesto, perché Dio saprà ben darvene uno più elevato in Cielo, se lo meritate.
Misteri nascosti ai sapienti e ai saggi
7. In quel tempo Gesù prese a dire: «Io
ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate
ai piccoli». (Matteo 11:25)
8. Può sembrare singolare che Gesù renda grazie a Dio d'aver rivelato queste cose ai semplici e ai piccoli, che sono i poveri di spirito, e di averle tenute nascoste ai saggi e ai sapienti, apparentemente più idonei a comprenderle. È che per i primi bisogna intendere gli umili, che si umiliano davanti a Dio e non si credono superiori a tutti; e per i secondi, gli orgogliosi, quelli
che si vantano per il loro sapere mondano, che si credono sapienti
perché negano trattando Dio alla pari, quando addirittura non lo
rinnegano. Anticamente saggio era sinonimo di sapiente. Ed
è per questo che Dio lascia a loro la ricerca dei segreti della Terra,
mentre rivela quelli del Cielo ai semplici e agli umili che si inchinano
davanti a Lui.
9. Così è oggi per le grandi
verità rivelate dallo Spiritismo. Certi miscredenti si stupiscono che
gli Spiriti facciano così poco per convincerli. È che gli Spiriti si
occupano di coloro che cercano la luce in buona fede e con umiltà,
anziché di coloro che credono di possedere tutti i lumi e che sembrano
pensare che Dio dovrebbe essere troppo felice di ricondurli a Sé,
dimostrando che esiste.
La potenza di Dio risplende nelle cose più piccole come nelle più grandi. Egli non mette la fiaccola sotto il moggio, affinché la sua luce si diffonda ovunque. Ciechi dunque sono coloro che non la vedono. Dio non vuole aprir loro gli occhi per forza, visto che a loro piace tenerli chiusi. Verrà il loro turno, ma bisogna che prima provino l'angoscia delle tenebre e riconoscano Dio, e non il caso, nella mano che con duri colpi spezza il loro orgoglio. Dio, per vincere l'empietà, impiega i mezzi che più convengono a ognuno di noi. Non spetta al miscredente prescriverGli quello che deve fare, e dirGli: «Se volete convincermi, mi dovete prendere nel tale o talaltro modo, in un certo momento piuttosto che in un altro, perché questo è il momento per me più conveniente».
Non si meraviglino dunque i miscredenti se Dio e gli Spiriti, che sono gli agenti della Sua volontà, non si sottomettono alle loro esigenze. Si domandino invece che cosa direbbero se l'ultimo dei loro sottoposti volesse imporsi a loro. Dio impone le condizioni e non le subisce. Ascolta con bontà quelli che si rivolgono a Lui umilmente e non coloro che credono di essere superiori a Lui.
La potenza di Dio risplende nelle cose più piccole come nelle più grandi. Egli non mette la fiaccola sotto il moggio, affinché la sua luce si diffonda ovunque. Ciechi dunque sono coloro che non la vedono. Dio non vuole aprir loro gli occhi per forza, visto che a loro piace tenerli chiusi. Verrà il loro turno, ma bisogna che prima provino l'angoscia delle tenebre e riconoscano Dio, e non il caso, nella mano che con duri colpi spezza il loro orgoglio. Dio, per vincere l'empietà, impiega i mezzi che più convengono a ognuno di noi. Non spetta al miscredente prescriverGli quello che deve fare, e dirGli: «Se volete convincermi, mi dovete prendere nel tale o talaltro modo, in un certo momento piuttosto che in un altro, perché questo è il momento per me più conveniente».
Non si meraviglino dunque i miscredenti se Dio e gli Spiriti, che sono gli agenti della Sua volontà, non si sottomettono alle loro esigenze. Si domandino invece che cosa direbbero se l'ultimo dei loro sottoposti volesse imporsi a loro. Dio impone le condizioni e non le subisce. Ascolta con bontà quelli che si rivolgono a Lui umilmente e non coloro che credono di essere superiori a Lui.
10. Dio, si dirà, non
potrebbe colpirli personalmente con delle manifestazioni evidenti, di
fronte alle quali i miscredenti più pervicaci dovrebbero inchinarsi?
Senza dubbio lo potrebbe, ma allora dove starebbe il loro merito e, a
questa stregua, a che cosa servirebbe? Non assistiamo forse tutti i
giorni al rifiuto dell'evidenza e non sentiamo persino dire: «Se anche
vedessi, non ci crederei, perché io so che è impossibile»? Se essi
rifiutano di riconoscere la verità, vuol dire che il loro spirito non è
ancora maturo per comprenderla né il loro animo per sentirla. L'orgoglio è il velo che offusca la loro vista. A
che cosa serve fare luce a un cieco? Bisogna dunque guarire prima le
cause del male. È per questo che Dio, medico competente, castiga prima
l'orgoglio. Egli dunque non abbandona i suoi figli perduti, sa che prima
o poi i loro occhi si apriranno, ma vuole che ciò avvenga di loro
spontanea volontà, quando, vinti dai tormenti dell'empietà, si
getteranno essi stessi nelle Sue braccia e, come il figliol prodigo, Gli
chiederanno grazia!
Istruzioni Degli Spiriti
L'orgoglio e l'umiltà
11. Che la pace del Signore sia con voi, miei cari amici! Io vengo a voi per incoraggiarvi a seguire la buona via.
Ai poveri Spiriti, che un tempo abitarono sulla Terra, Dio affida la missione di venire a illuminarvi. Benedetto sia per la grazia che ci accorda di aiutarvi a migliorare. Che lo Spirito Santo mi Illumini e mi aiuti a rendere la mia parola comprensibile e mi faccia la grazia di metterla alla portata di tutti! Voi, incarnati tutti, che siete in pena e cercate la luce. che la volontà di Dio mi sia di aiuto per farla risplendere ai vostri occhi!
L'umiltà è una virtù fra voi molto dimenticata. I grandi esempi che vi sono stati dati sono ben poco seguiti e, tuttavia, senza l'umiltà potete voi forse essere caritatevoli verso il vostro prossimo? Certamente no, perché questo sentimento mette tutti gli uomini sullo stesso piano, dice loro che sono tutti fratelli, che devono aiutarsi l'un l'altro, e li conduce al bene. Senza umiltà, vi credete adorni di virtù che non avete, come se indossaste un abito per nascondere le deformità del vostro corpo. Ricordatevi di Colui che ci ha salvato; ricordatevi dell'umiltà che l'ha fatto così grande e l'ha posto al di sopra di tutti i profeti.
L'orgoglio è il terribile avversario dell'umiltà. Se Cristo prometteva il Regno dei Cieli ai più poveri, è perché i grandi della Terra immaginano che i titoli e le ricchezze siano ricompense date per i loro meriti e che la loro essenza è più pura di quella del povero. Credono che quanto hanno è loro dovuto ed è per questo che, quando Dio toglie loro qualcosa, Lo accusano di ingiustizia. Pura cecità! Per caso Dio fa delle distinzioni riguardo al corpo? L'involucro del povero non è uguale a quello del ricco? Il Creatore ha fatto forse due specie di uomini? Tutto ciò che Dio fa è grande e saggio. Non attribuitegli mai le idee che sorgono nel vostro cervello di uomini orgogliosi.
Oh, ricco! Mentre tu dormi nelle tue stanze dorate al riparo dal freddo, sai quante migliaia di tuoi fratelli, che valgono quanto te, giacciono sulla paglia? L'infelice che patisce la fame non è uguale a te? A queste parole, lo so bene, il tuo orgoglio si ribella. Tu arrivi a fargli l'elemosina, ma mai a stringergli la mano fraternamente, mai! Come — dirai — io, discendente da nobile stirpe, grande della Terra, sarei uguale a questo miserabile vestito di cenci! Vana utopia di sedicenti filosofi! Se siamo uguali, perché Dio avrebbe permesso che costui fosse così in basso e io tanto in alto?” È vero che le vostre vesti non si assomigliano affatto. Ma se voi ne foste entrambi spogliati, quale sarebbe la differenza? La nobiltà del sangue, dirai tu. Ma la chimica non ha mai trovato nessuna differenza fra il sangue di un grande signore e quello di un plebeo, fra quello del padrone e quello del suo servitore. Chi ti dice che tu pure non sia stato miserabile e infelice come lui? Che anche tu non abbia chiesto l'elemosina? Che non la chiederai un giorno proprio allo stesso individuo che oggi disprezzi? Le ricchezze sono forse eterne? Non finiscono forse con il corpo, involucro transitorio del tuo Spirito? Oh, ritorna a essere umile! Getta finalmente uno sguardo sulla realtà delle cose di questo mondo, su ciò che costituisce la tua grandezza e la miseria nell'altro. Ricordati che la morte non risparmierà te più di un altro; che i tuoi titoli non la eviteranno; che la morte può colpirti domani, oggi, nel giro di un'ora; e se tu insisti nel tuo orgoglio, oh, allora ti compiango, perché sei degno solo di pietà!
Orgogliosi! Che cosa eravate prima di essere nobili e potenti? Forse eravate più in basso dell'ultimo dei vostri servi. Chinate dunque la vostra fronte altera, che Dio può piegare nel momento in cui voi l'alzate di più. Tutti gli uomini sono uguali sulla bilancia divina; solo le virtù li distinguono agli occhi di Dio. Tutti gli Spiriti sono della stessa essenza, e tutti i corpi sono composti della stessa materia. I vostri titoli e il vostro nome non la cambiano minimamente, rimangono nella tomba e non sono essi che danno la felicità promessa agli eletti. La carità e l'umiltà sono i soli titoli di nobiltà.
Povera creatura, tu sei una madre! I tuoi bambini soffrono. Hanno freddo. Hanno fame. Tu vai, sotto il peso della tua croce, a umiliarti per procurare loro un pezzo di pane. Oh, io m'inchino davanti a te! Come sei nobilmente santa e grande ai miei occhi! Spera e prega: la felicità non è ancora di questo mondo. Ai poveri oppressi e fiduciosi in Dio, Egli dà il Regno dei Cieli.
E tu, ragazza, povera piccola votata al lavoro e alle privazioni, perché questi tristi pensieri? Perché piangi? Che il tuo sguardo si alzi devoto e sereno verso Dio, che dà il mangime agli uccellini. Abbi fiducia in Lui, ed Egli non ti abbandonerà. Il frastuono delle feste e dei piaceri del mondo fa battere il tuo cuore. Vorresti anche tu adornare il capo di fiori e confonderti con i felici della Terra. Dici a te stessa che anche tu, come quelle signore che vedi passare sorridenti e spensierate, potresti essere ricca! Oh, taci, ragazza! Se tu sapessi quante lacrime e dolori, che non si conoscono, sono nascosti sotto questi abiti ricamati, quanti singhiozzi vengono soffocati dal suono di questa orchestra gioiosa, preferiresti il tuo umile rifugio e la tua povertà. Conservati pura agli occhi del Signore, se non vuoi che il tuo angelo custode ritorni da Lui, il volto nascosto sotto le bianche ali, e ti lasci ai tuoi rimorsi, senza guida e senza sostegno, in questo mondo, dove ti troverai perduta in attesa di essere punita nell'altro.
E voi tutti, che soffrite per le ingiustizie degli uomini, siate indulgenti con gli errori dei vostri fratelli, dicendo a voi stessi che neppure voi siete senza peccato: è una questione di carità, ma anche di umiltà. Se soffrite per delle calunnie, abbassate la fronte sotto queste prove. Che vi importa delle calunnie del mondo? Se la vostra condotta è pura, Dio non può non ricompensarvi. Sopportate con coraggio le umiliazioni degli uomini: bisogna essere umili e riconoscere che solo Dio è grande e potente.
Oh, mio Dio! Sarà necessario che Cristo ritorni un'altra volta su questa Terra per insegnare agli uomini le Tue leggi, che essi hanno dimenticato? Dovrà ancora Egli scacciare i mercanti dal tempio, i quali infangano la Sua casa che è solo luogo di preghiera? Oh uomini, chissà, se Dio vi accordasse questa grazia, può darsi che voi la rinneghereste come un tempo. Lo chiamereste blasfemo, perché piegherebbe l'orgoglio dei moderni Farisei, e forse Gli fareste rifare il cammino del Golgota.
Quando Mosè andò sul Monte Sinai per ricevere i comandamenti di Dio, il popolo di Israele, lasciato a se stesso, abbandonò il vero Dio. Uomini e donne offrirono il loro oro e i loro gioielli per farsi un idolo che adorarono. Uomini civilizzati, voi fate come loro. Cristo vi ha lasciato la Sua dottrina, vi ha dato l'esempio di tutte le virtù, e voi avete trascurato esempio e precetti. Portando ognuno di voi le proprie passioni, vi siete fatti un dio a vostro piacimento: secondo alcuni terribile e sanguinano, secondo altri incurante degli interessi del mondo. Il dio che vi siete fatti è di nuovo il vitello d'oro che ognuno adatta ai propri gusti e alle proprie idee.
Ritornate in voi, fratelli miei, miei amici! Che la voce degli Spiriti tocchi il vostro cuore! Siate generosi e caritatevoli senza ostentazione, ossia fate il bene con umiltà! Che ognuno demolisca, a poco a poco, gli altari innalzati al proprio orgoglio. In una parola, siate dei veri cristiani e guadagnerete il regno della verità. Non dubitate della bontà di Dio, dato che vi dà tante prove. Siamo venuti a preparare il cammino per il compiersi delle profezie. Quando il Signore vi offrirà una manifestazione più evidente della Sua clemenza, che l'inviato celeste trovi in voi solo una grande famiglia; che i vostri cuori siano dolci, umili e degni di intendere la parola divina, che egli verrà a portare; che l'eletto trovi sul suo cammino solo le palme adagiate per il vostro ritorno al bene, alla carità, alla fraternità. E allora il vostro mondo diventerà il paradiso terrestre. Ma se voi rimanete insensibili alla voce degli Spiriti inviati per purificarvi, ricalcate la vostra società civile, ricca di scienza e così povera di buoni sentimenti. Ahimè! Non ci rimarrebbe che piangere e gemere sulla vostra sorte. Ma no, non sarà così. Ritornate a Dio, vostro Padre, e allora noi tutti, che ci siamo adoperati per il compiersi della Sua volontà, intoneremo il cantico di ringraziamento al Signore per la Sua inesauribile bontà e per glorificarlo nei secoli dei secoli. Così sia.
Ai poveri Spiriti, che un tempo abitarono sulla Terra, Dio affida la missione di venire a illuminarvi. Benedetto sia per la grazia che ci accorda di aiutarvi a migliorare. Che lo Spirito Santo mi Illumini e mi aiuti a rendere la mia parola comprensibile e mi faccia la grazia di metterla alla portata di tutti! Voi, incarnati tutti, che siete in pena e cercate la luce. che la volontà di Dio mi sia di aiuto per farla risplendere ai vostri occhi!
L'umiltà è una virtù fra voi molto dimenticata. I grandi esempi che vi sono stati dati sono ben poco seguiti e, tuttavia, senza l'umiltà potete voi forse essere caritatevoli verso il vostro prossimo? Certamente no, perché questo sentimento mette tutti gli uomini sullo stesso piano, dice loro che sono tutti fratelli, che devono aiutarsi l'un l'altro, e li conduce al bene. Senza umiltà, vi credete adorni di virtù che non avete, come se indossaste un abito per nascondere le deformità del vostro corpo. Ricordatevi di Colui che ci ha salvato; ricordatevi dell'umiltà che l'ha fatto così grande e l'ha posto al di sopra di tutti i profeti.
L'orgoglio è il terribile avversario dell'umiltà. Se Cristo prometteva il Regno dei Cieli ai più poveri, è perché i grandi della Terra immaginano che i titoli e le ricchezze siano ricompense date per i loro meriti e che la loro essenza è più pura di quella del povero. Credono che quanto hanno è loro dovuto ed è per questo che, quando Dio toglie loro qualcosa, Lo accusano di ingiustizia. Pura cecità! Per caso Dio fa delle distinzioni riguardo al corpo? L'involucro del povero non è uguale a quello del ricco? Il Creatore ha fatto forse due specie di uomini? Tutto ciò che Dio fa è grande e saggio. Non attribuitegli mai le idee che sorgono nel vostro cervello di uomini orgogliosi.
Oh, ricco! Mentre tu dormi nelle tue stanze dorate al riparo dal freddo, sai quante migliaia di tuoi fratelli, che valgono quanto te, giacciono sulla paglia? L'infelice che patisce la fame non è uguale a te? A queste parole, lo so bene, il tuo orgoglio si ribella. Tu arrivi a fargli l'elemosina, ma mai a stringergli la mano fraternamente, mai! Come — dirai — io, discendente da nobile stirpe, grande della Terra, sarei uguale a questo miserabile vestito di cenci! Vana utopia di sedicenti filosofi! Se siamo uguali, perché Dio avrebbe permesso che costui fosse così in basso e io tanto in alto?” È vero che le vostre vesti non si assomigliano affatto. Ma se voi ne foste entrambi spogliati, quale sarebbe la differenza? La nobiltà del sangue, dirai tu. Ma la chimica non ha mai trovato nessuna differenza fra il sangue di un grande signore e quello di un plebeo, fra quello del padrone e quello del suo servitore. Chi ti dice che tu pure non sia stato miserabile e infelice come lui? Che anche tu non abbia chiesto l'elemosina? Che non la chiederai un giorno proprio allo stesso individuo che oggi disprezzi? Le ricchezze sono forse eterne? Non finiscono forse con il corpo, involucro transitorio del tuo Spirito? Oh, ritorna a essere umile! Getta finalmente uno sguardo sulla realtà delle cose di questo mondo, su ciò che costituisce la tua grandezza e la miseria nell'altro. Ricordati che la morte non risparmierà te più di un altro; che i tuoi titoli non la eviteranno; che la morte può colpirti domani, oggi, nel giro di un'ora; e se tu insisti nel tuo orgoglio, oh, allora ti compiango, perché sei degno solo di pietà!
Orgogliosi! Che cosa eravate prima di essere nobili e potenti? Forse eravate più in basso dell'ultimo dei vostri servi. Chinate dunque la vostra fronte altera, che Dio può piegare nel momento in cui voi l'alzate di più. Tutti gli uomini sono uguali sulla bilancia divina; solo le virtù li distinguono agli occhi di Dio. Tutti gli Spiriti sono della stessa essenza, e tutti i corpi sono composti della stessa materia. I vostri titoli e il vostro nome non la cambiano minimamente, rimangono nella tomba e non sono essi che danno la felicità promessa agli eletti. La carità e l'umiltà sono i soli titoli di nobiltà.
Povera creatura, tu sei una madre! I tuoi bambini soffrono. Hanno freddo. Hanno fame. Tu vai, sotto il peso della tua croce, a umiliarti per procurare loro un pezzo di pane. Oh, io m'inchino davanti a te! Come sei nobilmente santa e grande ai miei occhi! Spera e prega: la felicità non è ancora di questo mondo. Ai poveri oppressi e fiduciosi in Dio, Egli dà il Regno dei Cieli.
E tu, ragazza, povera piccola votata al lavoro e alle privazioni, perché questi tristi pensieri? Perché piangi? Che il tuo sguardo si alzi devoto e sereno verso Dio, che dà il mangime agli uccellini. Abbi fiducia in Lui, ed Egli non ti abbandonerà. Il frastuono delle feste e dei piaceri del mondo fa battere il tuo cuore. Vorresti anche tu adornare il capo di fiori e confonderti con i felici della Terra. Dici a te stessa che anche tu, come quelle signore che vedi passare sorridenti e spensierate, potresti essere ricca! Oh, taci, ragazza! Se tu sapessi quante lacrime e dolori, che non si conoscono, sono nascosti sotto questi abiti ricamati, quanti singhiozzi vengono soffocati dal suono di questa orchestra gioiosa, preferiresti il tuo umile rifugio e la tua povertà. Conservati pura agli occhi del Signore, se non vuoi che il tuo angelo custode ritorni da Lui, il volto nascosto sotto le bianche ali, e ti lasci ai tuoi rimorsi, senza guida e senza sostegno, in questo mondo, dove ti troverai perduta in attesa di essere punita nell'altro.
E voi tutti, che soffrite per le ingiustizie degli uomini, siate indulgenti con gli errori dei vostri fratelli, dicendo a voi stessi che neppure voi siete senza peccato: è una questione di carità, ma anche di umiltà. Se soffrite per delle calunnie, abbassate la fronte sotto queste prove. Che vi importa delle calunnie del mondo? Se la vostra condotta è pura, Dio non può non ricompensarvi. Sopportate con coraggio le umiliazioni degli uomini: bisogna essere umili e riconoscere che solo Dio è grande e potente.
Oh, mio Dio! Sarà necessario che Cristo ritorni un'altra volta su questa Terra per insegnare agli uomini le Tue leggi, che essi hanno dimenticato? Dovrà ancora Egli scacciare i mercanti dal tempio, i quali infangano la Sua casa che è solo luogo di preghiera? Oh uomini, chissà, se Dio vi accordasse questa grazia, può darsi che voi la rinneghereste come un tempo. Lo chiamereste blasfemo, perché piegherebbe l'orgoglio dei moderni Farisei, e forse Gli fareste rifare il cammino del Golgota.
Quando Mosè andò sul Monte Sinai per ricevere i comandamenti di Dio, il popolo di Israele, lasciato a se stesso, abbandonò il vero Dio. Uomini e donne offrirono il loro oro e i loro gioielli per farsi un idolo che adorarono. Uomini civilizzati, voi fate come loro. Cristo vi ha lasciato la Sua dottrina, vi ha dato l'esempio di tutte le virtù, e voi avete trascurato esempio e precetti. Portando ognuno di voi le proprie passioni, vi siete fatti un dio a vostro piacimento: secondo alcuni terribile e sanguinano, secondo altri incurante degli interessi del mondo. Il dio che vi siete fatti è di nuovo il vitello d'oro che ognuno adatta ai propri gusti e alle proprie idee.
Ritornate in voi, fratelli miei, miei amici! Che la voce degli Spiriti tocchi il vostro cuore! Siate generosi e caritatevoli senza ostentazione, ossia fate il bene con umiltà! Che ognuno demolisca, a poco a poco, gli altari innalzati al proprio orgoglio. In una parola, siate dei veri cristiani e guadagnerete il regno della verità. Non dubitate della bontà di Dio, dato che vi dà tante prove. Siamo venuti a preparare il cammino per il compiersi delle profezie. Quando il Signore vi offrirà una manifestazione più evidente della Sua clemenza, che l'inviato celeste trovi in voi solo una grande famiglia; che i vostri cuori siano dolci, umili e degni di intendere la parola divina, che egli verrà a portare; che l'eletto trovi sul suo cammino solo le palme adagiate per il vostro ritorno al bene, alla carità, alla fraternità. E allora il vostro mondo diventerà il paradiso terrestre. Ma se voi rimanete insensibili alla voce degli Spiriti inviati per purificarvi, ricalcate la vostra società civile, ricca di scienza e così povera di buoni sentimenti. Ahimè! Non ci rimarrebbe che piangere e gemere sulla vostra sorte. Ma no, non sarà così. Ritornate a Dio, vostro Padre, e allora noi tutti, che ci siamo adoperati per il compiersi della Sua volontà, intoneremo il cantico di ringraziamento al Signore per la Sua inesauribile bontà e per glorificarlo nei secoli dei secoli. Così sia.
(Lacordaire, Constantine, 1863)
12. Uomini,
perché vi lamentate delle calamità che voi stessi andate accumulando
sulle vostre teste? Voi, che avete misconosciuto la santa e divina
morale di Cristo, non stupitevi dunque se l'iniquità tracima da tutte le
parti.
Il malessere diventa generale. Allora con chi prendersela se non con voi stessi che cercate continuamente di schiacciarvi l'un l'altro? Non potete essere felici senza mutua benevolenza, e come può esserci la benevolenza se c'è l'orgoglio? L'orgoglio, ecco l'origine di tutti i vostri mali. Impegnatevi dunque a distruggerlo, se non volete perpetuarne le funeste conseguenze. Un solo mezzo vi viene offerto per questo, ma questo mezzo è infallibile e consiste nel prendere come regola costante della vostra condotta la legge di Cristo, legge che voi avete rigettata o di cui avete falsato l'interpretazione.
Perché tenete in così alta stima ciò che brilla e affascina i vostri occhi, invece di ciò che tocca il cuore? Perché il vizio che si sviluppa nell'opulenza è oggetto della vostra adulazione, mentre avete solo uno sguardo di sufficienza per il vero ma oscuro merito? Basta che un ricco dissoluto, perso nel corpo e nell'anima, bussi, perché tutte le porte gli vengano aperte, tutte le attenzioni siano per lui, mentre l'uomo dabbene, che vive del suo lavoro, viene degnato solo di un saluto accondiscendente. Quando la considerazione che si accorda alle persone viene misurata secondo il peso dell'oro che possiede o per il nome che porta, quale interesse potrebbe mai esserci a correggere i propri difetti?
Sarebbe ben differente se il vizio dorato venisse fustigato dall'opinione pubblica come il vizio del miserabile. Ma l'orgoglio è indulgente verso tutto ciò che lo seduce. Tempi di cupidigia e di denaro, direte voi. Senza dubbio, ma perché avete lasciato che i bisogni materiali sconfinassero nel campo del buon senso e della ragione? Perché ognuno vuole stare al di sopra del proprio fratello? Oggi, la società ne subisce così le conseguenze.
Non dimenticate: tale stato di cose è sempre indice di decadenza morale. Quando l'orgoglio raggiunge il limite estremo, è segno di una caduta imminente, perché Dio colpisce sempre i superbi. Se a volte li lascia emergere, è per dare loro il tempo di riflettere e di correggersi, sotto i colpi che, di tanto in tanto, Egli dà al loro orgoglio per avvertirli. Ma, anziché umiliarsi, essi si ribellano. Allora, quando la misura è colma, Dio li sbaraglia completamente, e la loro caduta è tanto più terribile quanto più essi sono saliti in alto.
Povera razza umana, il cui egoismo ha corrotto tutti i cammini umani, riprendi coraggio nonostante tutto. Nella Sua misericordia infinita, Dio ti invia un potente rimedio per i tuoi mali, un soccorso insperato per il tuo sconforto. Apri gli occhi alla luce: ecco le anime di coloro che non sono più e che vengono a richiamarti ai tuoi veri doveri. Esse ti diranno, con l'autorevolezza dell'esperienza, quanto la vanità e la grandezza della vostra passeggera esistenza siano poca cosa a confronto dell'eternità. Ti diranno che il più grande è colui che è stato il più umile fra i più piccoli di questo mondo, che colui che ha amato di più i suoi fratelli sarà anche il più amato in Cielo; che i potenti della Terra, se hanno abusato della loro autorità, saranno costretti a ubbidire ai loro subalterni; che infine la carità e l'umiltà, queste due sorelle che si danno la mano, sono i titoli più efficaci per ottenere la grazia davanti all'Eterno.
Il malessere diventa generale. Allora con chi prendersela se non con voi stessi che cercate continuamente di schiacciarvi l'un l'altro? Non potete essere felici senza mutua benevolenza, e come può esserci la benevolenza se c'è l'orgoglio? L'orgoglio, ecco l'origine di tutti i vostri mali. Impegnatevi dunque a distruggerlo, se non volete perpetuarne le funeste conseguenze. Un solo mezzo vi viene offerto per questo, ma questo mezzo è infallibile e consiste nel prendere come regola costante della vostra condotta la legge di Cristo, legge che voi avete rigettata o di cui avete falsato l'interpretazione.
Perché tenete in così alta stima ciò che brilla e affascina i vostri occhi, invece di ciò che tocca il cuore? Perché il vizio che si sviluppa nell'opulenza è oggetto della vostra adulazione, mentre avete solo uno sguardo di sufficienza per il vero ma oscuro merito? Basta che un ricco dissoluto, perso nel corpo e nell'anima, bussi, perché tutte le porte gli vengano aperte, tutte le attenzioni siano per lui, mentre l'uomo dabbene, che vive del suo lavoro, viene degnato solo di un saluto accondiscendente. Quando la considerazione che si accorda alle persone viene misurata secondo il peso dell'oro che possiede o per il nome che porta, quale interesse potrebbe mai esserci a correggere i propri difetti?
Sarebbe ben differente se il vizio dorato venisse fustigato dall'opinione pubblica come il vizio del miserabile. Ma l'orgoglio è indulgente verso tutto ciò che lo seduce. Tempi di cupidigia e di denaro, direte voi. Senza dubbio, ma perché avete lasciato che i bisogni materiali sconfinassero nel campo del buon senso e della ragione? Perché ognuno vuole stare al di sopra del proprio fratello? Oggi, la società ne subisce così le conseguenze.
Non dimenticate: tale stato di cose è sempre indice di decadenza morale. Quando l'orgoglio raggiunge il limite estremo, è segno di una caduta imminente, perché Dio colpisce sempre i superbi. Se a volte li lascia emergere, è per dare loro il tempo di riflettere e di correggersi, sotto i colpi che, di tanto in tanto, Egli dà al loro orgoglio per avvertirli. Ma, anziché umiliarsi, essi si ribellano. Allora, quando la misura è colma, Dio li sbaraglia completamente, e la loro caduta è tanto più terribile quanto più essi sono saliti in alto.
Povera razza umana, il cui egoismo ha corrotto tutti i cammini umani, riprendi coraggio nonostante tutto. Nella Sua misericordia infinita, Dio ti invia un potente rimedio per i tuoi mali, un soccorso insperato per il tuo sconforto. Apri gli occhi alla luce: ecco le anime di coloro che non sono più e che vengono a richiamarti ai tuoi veri doveri. Esse ti diranno, con l'autorevolezza dell'esperienza, quanto la vanità e la grandezza della vostra passeggera esistenza siano poca cosa a confronto dell'eternità. Ti diranno che il più grande è colui che è stato il più umile fra i più piccoli di questo mondo, che colui che ha amato di più i suoi fratelli sarà anche il più amato in Cielo; che i potenti della Terra, se hanno abusato della loro autorità, saranno costretti a ubbidire ai loro subalterni; che infine la carità e l'umiltà, queste due sorelle che si danno la mano, sono i titoli più efficaci per ottenere la grazia davanti all'Eterno.
(Adolphe, vescovo di Algeri, Marmande, 1862)
Missione dell'uomo intelligente sulla Terra
13. Non
siate fieri di ciò che sapete, perché il sapere ha confini ben limitati
nel mondo in cui vivete. Ma, pur supponendo che voi siate una delle
massime intelligenze di questo globo, non avete nessun diritto di
vantarvene. Se Dio, nei Suoi disegni, vi ha fatto nascere in un ambiente
dove avete potuto sviluppare la vostra intelligenza, è perché voi ne
faceste buon uso per il bene di tutti. Perché si tratta di una missione
che Egli vi affida, mettendo nelle vostre mani lo strumento con il cui
aiuto voi potrete sviluppare a vostra volta le intelligenze arretrate e
condurle a Dio. La natura dello strumento non indica forse l'uso che se
ne deve fare? La vanga che il giardiniere mette nelle mani del suo
operaio non sta forse a dimostrare che deve vangare? E che direste se
questo operaio, invece di lavorare, alzasse la vanga per colpire il suo
padrone? Direste che è terribile e che merita di essere cacciato via.
Ebbene, lo stesso è di chi si serve della propria intelligenza per
distruggere l'idea di Dio e della Provvidenza tra i suoi fratelli. Non
alza forse contro il Maestro la vanga che Egli gli ha dato per dissodare
il terreno? Ha forse diritto al salario promesso o non merita anzi di
essere cacciato via dal giardino? Lo sarà, non dubitatene, e condurrà
delle esistenze miserabili e piene di umiliazioni finché non si sarà
chinato davanti a Colui cui deve tutto.
L'intelligenza è ricca di meriti per l'avvenire, a condizione che se ne faccia buon uso. Se tutti gli uomini che ne sono dotati se ne servissero secondo le intenzioni del Signore, il compito degli Spiriti nel far avanzare l'umanità sarebbe facilitato. Sfortunatamente molti ne fanno uno strumento d'orgoglio e di perdizione a proprio vantaggio. L'uomo abusa della sua intelligenza, come di tutte le altre facoltà, e ciò sebbene non gli manchino le lezioni, per avvertirlo che una mano possente può togliergli quello che gli ha dato.
L'intelligenza è ricca di meriti per l'avvenire, a condizione che se ne faccia buon uso. Se tutti gli uomini che ne sono dotati se ne servissero secondo le intenzioni del Signore, il compito degli Spiriti nel far avanzare l'umanità sarebbe facilitato. Sfortunatamente molti ne fanno uno strumento d'orgoglio e di perdizione a proprio vantaggio. L'uomo abusa della sua intelligenza, come di tutte le altre facoltà, e ciò sebbene non gli manchino le lezioni, per avvertirlo che una mano possente può togliergli quello che gli ha dato.
(Ferdinand, Spirito protettore, Bordeaux, 1862)
Capitolo VIII - BEATI I PURI DI CUORE
Lasciate che i bambini vengano da me
1. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». (Matteo, 5:8)
2. Gli
presentavano dei bambini perché li toccasse; ma i discepoli sgridavano
coloro che glieli presentavano. Gesù, veduto ciò, si indignò e disse
loro: «Lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché
il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità io vi dico che
chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi
entrerà affatto». E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani
su di loro. (Marco, 10:13-16)
3. La purezza di cuore è
inseparabile dalla semplicità e dall'umiltà. Esclude qualsiasi pensiero
egoistico o di orgoglio. È per questo che Gesù prende l'infanzia come
simbolo di questa purezza, così come anche l'ha presa per quello
dell'umiltà.
Questo accostamento potrebbe non sembrare giusto, se si considera che lo Spirito del bambino potrebbe essere molto antico e portare, rinascendo nel corpo, le imperfezioni di cui non si è spogliato nelle sue esistenze precedenti. Solo uno Spirito arrivato alla perfezione potrebbe venirci dato come esempio di vera perfezione. Però l'esempio del bambino è corretto dal punto di vista della vita attuale, perché il bambino, non avendo ancora potuto manifestare nessuna tendenza perversa, ci offre l'immagine dell'innocenza e del candore. Pertanto Gesù non dice che il Regno di Dio è per loro, ma per quelli che gli assomigliano.
Questo accostamento potrebbe non sembrare giusto, se si considera che lo Spirito del bambino potrebbe essere molto antico e portare, rinascendo nel corpo, le imperfezioni di cui non si è spogliato nelle sue esistenze precedenti. Solo uno Spirito arrivato alla perfezione potrebbe venirci dato come esempio di vera perfezione. Però l'esempio del bambino è corretto dal punto di vista della vita attuale, perché il bambino, non avendo ancora potuto manifestare nessuna tendenza perversa, ci offre l'immagine dell'innocenza e del candore. Pertanto Gesù non dice che il Regno di Dio è per loro, ma per quelli che gli assomigliano.
4. Poiché
lo Spirito del bambino è già vissuto, perché non si mostra, fin dalla
nascita, tale quale è? Tutto è saggio nell'opera di Dio. Il bambino ha
bisogno di cure particolari che solo la tenerezza materna può dargli, e
questa tenerezza viene alimentata dalla tenerezza e dall'ingenuità del
bambino. Per una madre il suo bambino è sempre un angelo e tale deve
essere per accattivarsi la sua sollecitudine. La madre non potrebbe
avere per lui le stesse premure se, invece della grazia ingenua,
trovasse in lui, sotto i tratti infantili, un carattere virile, idee da
adulto e, ancor meno, se ne conoscesse il passato.
Pertanto bisogna che l'attività del principio intelligente sia proporzionata alla fragilità del corpo che non potrebbe resistere a un'attività troppo sviluppata dello Spirito, così come si riscontra in soggetti troppo precoci. È per questo che, fin da quando ha inizio l'incarnazione, lo Spirito, entrando nelle fasi di turbamento, perde poco per volta coscienza di sé. Si trova, per un certo periodo, in una specie di sonno, durante il quale tutte le sue facoltà sono allo stato latente. Questo stato transitorio è necessario per dare allo Spirito un nuovo punto di partenza e fargli dimenticare, nella sua nuova esistenza terrena, le cose che potrebbero intralciare il suo avanzamento. Il suo passato agisce comunque su di lui, rinasce alla vita però più grande, più forte moralmente e intellettualmente, sostenuto e assecondato dall'intuizione che conserva dell'esperienza acquisita.
Dal momento della sua nascita, le sue idee prendono gradualmente slancio man mano che si sviluppano gli organi. Per cui si può dire che, nei primi anni, lo Spirito è veramente bambino, perché le idee che stanno alla base del suo carattere sono ancora assopite. Mentre i suoi istinti sono assopiti lo Spirito è più flessibile e proprio per questo più aperto alle impressioni che possono modificare la sua natura e farlo progredire, cosa che rende più facile il compito assegnato ai genitori.
Lo Spirito dunque indossa per un certo tempo la veste dell'innocenza, e Gesù è nel vero quando, malgrado l'anteriorità dell'anima, prende il bambino come emblema della purezza e della semplicità.
Pertanto bisogna che l'attività del principio intelligente sia proporzionata alla fragilità del corpo che non potrebbe resistere a un'attività troppo sviluppata dello Spirito, così come si riscontra in soggetti troppo precoci. È per questo che, fin da quando ha inizio l'incarnazione, lo Spirito, entrando nelle fasi di turbamento, perde poco per volta coscienza di sé. Si trova, per un certo periodo, in una specie di sonno, durante il quale tutte le sue facoltà sono allo stato latente. Questo stato transitorio è necessario per dare allo Spirito un nuovo punto di partenza e fargli dimenticare, nella sua nuova esistenza terrena, le cose che potrebbero intralciare il suo avanzamento. Il suo passato agisce comunque su di lui, rinasce alla vita però più grande, più forte moralmente e intellettualmente, sostenuto e assecondato dall'intuizione che conserva dell'esperienza acquisita.
Dal momento della sua nascita, le sue idee prendono gradualmente slancio man mano che si sviluppano gli organi. Per cui si può dire che, nei primi anni, lo Spirito è veramente bambino, perché le idee che stanno alla base del suo carattere sono ancora assopite. Mentre i suoi istinti sono assopiti lo Spirito è più flessibile e proprio per questo più aperto alle impressioni che possono modificare la sua natura e farlo progredire, cosa che rende più facile il compito assegnato ai genitori.
Lo Spirito dunque indossa per un certo tempo la veste dell'innocenza, e Gesù è nel vero quando, malgrado l'anteriorità dell'anima, prende il bambino come emblema della purezza e della semplicità.
Peccare col pensiero. L'adulterio
5.
Voi avete udito che fu detto: 'Non commettere adulterio". Ma io vi dico
che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio
con lei nel suo cuore. (Matteo 5:2728)
6. La parola adulterio non
deve essere intesa qui nel senso esclusivo della sua accezione corrente,
ma in senso più generale. Gesù l'ha sovente impiegata estensivamente
per designare il male, il peccato e tutti i cattivi pensieri, come per
esempio nel passaggio: «Perché se uno si sarà
vergognato di me e delle, mie parole in questa generazione adultera e
peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando verrà
nella gloria del Padre suo con i santi angeli». (Marco 8:38)
La vera purezza non è solo negli atti, sta anche nel pensiero, perché chi ha il cuore puro non pensa minimamente al male. È ciò che ha voluto dire Gesù condannando il peccato anche nel pensiero, perché è un segno di impurità.
La vera purezza non è solo negli atti, sta anche nel pensiero, perché chi ha il cuore puro non pensa minimamente al male. È ciò che ha voluto dire Gesù condannando il peccato anche nel pensiero, perché è un segno di impurità.
7. Questo principio porta naturalmente a quest'altra domanda: si subiscono le conseguenze di un cattivo pensiero anche se non seguito dai fatti?
Qui bisogna fare un'importante distinzione. Man mano che l'anima, compromessa nella cattiva via, avanza nella vita spirituale, si illumina e si spoglia a poco a poco delle sue imperfezioni, secondo la maggiore o minore buona volontà che usa, in virtù del suo libero arbitrio. Qualsiasi cattivo pensiero è dunque il risultato dell'imperfezione dell'anima. Ma, a seconda del desiderio di cui essa ha progettato di purificarsi, questo stesso cattivo pensiero diventa per l'anima un'occasione di avanzamento, se lo rifiuta energicamente. È l'indizio di una macchia che l'anima si sforza di cancellare. Non cedendo, se si presenterà l'occasione di soddisfare un cattivo desiderio, dopo avervi resistito, si sentirà più forte e felice della sua vittoria.
Invece l'anima che non ha preso delle buone risoluzioni cerca l'occasione,e quand'anche non dovesse compiere una cattiva azione, non sarebbe perché non ha voluto, ma perché le è mancata l'occasione. In questo caso l'anima è dunque colpevole come se l'avesse commessa.
Concludendo: nella persona che neppure concepisce il pensiero del male, il progresso è compiuto; nella persona in cui questi pensieri si formano, ma che essa respinge, il progresso si sta compiendo; infine nella persona che ha questi pensieri e li asseconda, il male è ancora presente con tutte le sue forze. Nell'una il lavoro è fatto, nelle altre è da fare. Dio, che è giusto, tiene conto di tutte queste sfumature nel considerare la responsabilità degli atti e dei pensieri dell'uomo.
Qui bisogna fare un'importante distinzione. Man mano che l'anima, compromessa nella cattiva via, avanza nella vita spirituale, si illumina e si spoglia a poco a poco delle sue imperfezioni, secondo la maggiore o minore buona volontà che usa, in virtù del suo libero arbitrio. Qualsiasi cattivo pensiero è dunque il risultato dell'imperfezione dell'anima. Ma, a seconda del desiderio di cui essa ha progettato di purificarsi, questo stesso cattivo pensiero diventa per l'anima un'occasione di avanzamento, se lo rifiuta energicamente. È l'indizio di una macchia che l'anima si sforza di cancellare. Non cedendo, se si presenterà l'occasione di soddisfare un cattivo desiderio, dopo avervi resistito, si sentirà più forte e felice della sua vittoria.
Invece l'anima che non ha preso delle buone risoluzioni cerca l'occasione,e quand'anche non dovesse compiere una cattiva azione, non sarebbe perché non ha voluto, ma perché le è mancata l'occasione. In questo caso l'anima è dunque colpevole come se l'avesse commessa.
Concludendo: nella persona che neppure concepisce il pensiero del male, il progresso è compiuto; nella persona in cui questi pensieri si formano, ma che essa respinge, il progresso si sta compiendo; infine nella persona che ha questi pensieri e li asseconda, il male è ancora presente con tutte le sue forze. Nell'una il lavoro è fatto, nelle altre è da fare. Dio, che è giusto, tiene conto di tutte queste sfumature nel considerare la responsabilità degli atti e dei pensieri dell'uomo.
La vera purezza. Mani impure
8. Allora
vennero a Gesù da Gerusalemme dei farisei e degli scribi, e gli
dissero: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli
antichi? poiché non si lavavano le mani quando prendono cibo». Ma egli
rispose loro: «E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo
della vostra tradizione? Dio, infatti, ha detto: "Onora tuo padre e tua
madre"; e: "Chi maledice padre o madre sia punito con la morte". Voi,
invece, dite: "Se uno dice a suo padre o a sua madre: Quello con cui
potrei assisterti è dato in offerta a Dio, egli non è più obbligato a
onorare suo padre o sua madre". Così avete annullato la parola di Dio a
motivo della vostra tradizione. Ipocriti, ben profetizzò Isaia di voi
quando disse: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è
lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che
sono precetti d'uomini"».
Chiamata a sé la folla, disse loro: «Ascoltate e intendete: non quello che entra nella bocca contamina l'uomo; ma è quello che esce dalla bocca, che contamina l'uomo!» Allora i suoi discepoli si avvicinarono e gli dissero: «Sai che i farisei, quando hanno udito questo discorso, ne sono rimasti scandalizzati?» Egli rispose loro: «Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata. Lasciateli; sono ciechi, guide di ciechi; ora se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso». Pietro allora gli disse: «Spiegaci la parabola». E Gesù disse: «Anche voi siete ancora incapaci di comprendere? Non capite che tutto quello che entra nella bocca va nel ventre ed è poi espulso nella latrina? Ma ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazione, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l'uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l'uomo». (Matteo 15:1-20)
Chiamata a sé la folla, disse loro: «Ascoltate e intendete: non quello che entra nella bocca contamina l'uomo; ma è quello che esce dalla bocca, che contamina l'uomo!» Allora i suoi discepoli si avvicinarono e gli dissero: «Sai che i farisei, quando hanno udito questo discorso, ne sono rimasti scandalizzati?» Egli rispose loro: «Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata. Lasciateli; sono ciechi, guide di ciechi; ora se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso». Pietro allora gli disse: «Spiegaci la parabola». E Gesù disse: «Anche voi siete ancora incapaci di comprendere? Non capite che tutto quello che entra nella bocca va nel ventre ed è poi espulso nella latrina? Ma ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazione, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l'uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l'uomo». (Matteo 15:1-20)
9.
Mentre egli parlava, un fariseo lo invitò a pranzo da lui. Egli entrò e
si mise a tavola. Il fariseo, veduto questo, si meravigliò che non si
fosse lavato prima del pranzo. Il Signore gli disse: «Voi farisei pulite
l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di
rapina e di malvagità. Stolti, Colui che ha .fatto l'esterno, non ha
fatto anche l'interno?» (Luca 11:37-40).
10. I Giudei avevano
trascurato i veri comandamenti di Dio, per dedicarsi alla pratica delle
regole stabilite dagli uomini, delle quali, rigidi osservatori, facevano
dei casi di coscienza. La sostanza, molto semplice, aveva finito per
scomparire sotto le complicazioni della forma. Poiché era più facile
l'osservanza degli atti esteriori che riformarsi moralmente, lavarsi le mani piuttosto che ripulire il loro cuore, gli
uomini illusero se stessi e si credettero disobbligati verso Dio, in
quanto si erano conformati a quelle pratiche, rimanendo ciò che erano,
perché era stato loro insegnato che Dio non chiedeva di più. È per
questo che il Profeta dice: «Inutilmente questo popolo mi onora a parole, insegnando delle massime e delle norme umane».
Così è stato della dottrina morale di Cristo, che ha finito con l'essere messa al secondo posto, cosa che fece sì che molti cristiani, sull'esempio degli anziani Giudei, credessero che la loro salvezza fosse più assicurata dalle pratiche esteriori che da quelle morali. È a queste cose, aggiunte dagli uomini alla legge di Dio, che Gesù fa allusione quando dice: «Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata».
Lo scopo della religione è condurre l'uomo a Dio. Ora, l'uomo arriva a Dio solo quando è perfetto, quindi tutte le religioni che non rendono l'uomo migliore non raggiungono questo scopo. Quella alla quale si crede di potersi appoggiare per fare il male è o falsa o falsata nei suoi principi. Tale è il risultato di tutte le religioni in cui la forma prevarica la sostanza. Il credere all'efficacia dei segni esteriori è nullo se non impedisce di commettere assassini, adulteri, spoliazioni, di dire calunnie e di fare comunque dei torti al prossimo. Ciò crea dei superstiziosi, degli ipocriti o dei fanatici, ma non ne fa degli uomini dabbene.
Non basta pertanto l'apparenza della purezza, si deve prima di tutto avere quella del cuore.
Così è stato della dottrina morale di Cristo, che ha finito con l'essere messa al secondo posto, cosa che fece sì che molti cristiani, sull'esempio degli anziani Giudei, credessero che la loro salvezza fosse più assicurata dalle pratiche esteriori che da quelle morali. È a queste cose, aggiunte dagli uomini alla legge di Dio, che Gesù fa allusione quando dice: «Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata».
Lo scopo della religione è condurre l'uomo a Dio. Ora, l'uomo arriva a Dio solo quando è perfetto, quindi tutte le religioni che non rendono l'uomo migliore non raggiungono questo scopo. Quella alla quale si crede di potersi appoggiare per fare il male è o falsa o falsata nei suoi principi. Tale è il risultato di tutte le religioni in cui la forma prevarica la sostanza. Il credere all'efficacia dei segni esteriori è nullo se non impedisce di commettere assassini, adulteri, spoliazioni, di dire calunnie e di fare comunque dei torti al prossimo. Ciò crea dei superstiziosi, degli ipocriti o dei fanatici, ma non ne fa degli uomini dabbene.
Non basta pertanto l'apparenza della purezza, si deve prima di tutto avere quella del cuore.
Scandali. Se la vostra mano è motivo di scandalo, tagliatela
11.
Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me,
meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da
mulino e fosse gettato in fondo al mare.
Guai al mondo a causa degli scandali! perché è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene! Se la tua mano o il tuo piede ti fanno cadere in peccato, tagliali e gettali via da te; meglio è per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. Se il tuo occhio ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; meglio è per te entrare nella vita con un occhio solo, che aver due occhi ed essere gettato nella geenna del fuoco.
Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli; perché vi dico che gli angeli loro, nei cieli, vedono continuamente la faccia del Padre mio che è nei cieli. Poiché il Figlio dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perduto. (Matteo 18:6-11)
Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. (Matteo 5:29-30).
Guai al mondo a causa degli scandali! perché è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene! Se la tua mano o il tuo piede ti fanno cadere in peccato, tagliali e gettali via da te; meglio è per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. Se il tuo occhio ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; meglio è per te entrare nella vita con un occhio solo, che aver due occhi ed essere gettato nella geenna del fuoco.
Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli; perché vi dico che gli angeli loro, nei cieli, vedono continuamente la faccia del Padre mio che è nei cieli. Poiché il Figlio dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perduto. (Matteo 18:6-11)
Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. (Matteo 5:29-30).
12. Secondo il senso comune, la parola scandalo si
usa per tutte le azioni che urtano la morale o la decenza in modo
ostentato. Lo scandalo non sta nell'azione in se stessa, ma nella
risonanza che essa può avere. La parola scandalo implica sempre l'idea
di un certo clamore. Molte persone si accontentano di evitare lo
scandalo, perché il loro orgoglio ne soffrirebbe e la loro
considerazione ne verrebbe sminuita fra gli uomini. Se però le loro
turpitudini rimangono ignorate, ciò basta loro, e la loro coscienza è in
pace. Questi sono, secondo Gesù, «dei sepolcri imbiancati
esteriormente, ma pieni di putridume all'interno, dei vasi puliti fuori e
sporchi dentro».
Nel senso evangelico, l'accezione della parola scandalo, così frequentemente impiegata, è molto più generica. È per questo che in certi casi non si comprende in che senso venga usata. Non è solamente nel senso di ciò che urta la coscienza altrui, è tutto ciò che risulta dai vizi e dai difetti degli uomini, da tutte le reazioni malvagie da individuo a individuo con o senza ripercussioni. Lo scandalo, in buona sostanza, è il risultato della cattiva morale.
Nel senso evangelico, l'accezione della parola scandalo, così frequentemente impiegata, è molto più generica. È per questo che in certi casi non si comprende in che senso venga usata. Non è solamente nel senso di ciò che urta la coscienza altrui, è tutto ciò che risulta dai vizi e dai difetti degli uomini, da tutte le reazioni malvagie da individuo a individuo con o senza ripercussioni. Lo scandalo, in buona sostanza, è il risultato della cattiva morale.
13. Gli scandali nel mondo non possono comunque non esserci, ha
detto Gesù, perché gli uomini, essendo imperfetti, sono inclini a fare
il male, e dai cattivi alberi nascono cattivi frutti. Bisogna dunque
intendere da queste parole che il male è una conseguenza
dell'imperfezione degli uomini, ma non che ci sia obbligo a farlo.
14. È necessario che avvengano degli scandali, affinché
gli uomini, essendo in fase di espiazione sulla Terra, si puniscano da
soli al contatto dei loro vizi, di cui sono le prime vittime e di cui
finiscono col comprenderne gli svantaggi. Quando saranno stanchi di
soffrire a causa del male, cercheranno il rimedio nel bene. La reazione a
questi vizi serve dunque allo stesso tempo come castigo per gli uni e
come prova per gli altri. È così che Dio fa sorgere il bene dal male, ma
sono gli uomini stessi che utilizzano le cose malvagie o da gettare.
15. Se così è, si dirà, il
male è necessario e ci sarà sempre perché, se dovesse sparire, Dio
sarebbe privato di un potente mezzo per castigare i colpevoli. Dunque è
inutile cercare di migliorare gli uomini. Ma se non ci fossero più dei
colpevoli, non ci sarebbe più necessità di castighi. Supponiamo che
l'umanità tutta venga trasformata in uomini dabbene, che nessuno cerchi
di fare il male al prossimo e che tutti siano felici, perché tutti sono
buoni. Tale è lo stato dei mondi avanzati, da cui il male è stato
radiato, e tale sarà quello della Terra quando sarà sufficientemente
progredita. Ma, mentre certi mondi avanzano, se ne formano altri
popolati da Spiriti primitivi, che servono inoltre da abitazione, esilio
e luogo di espiazione per Spiriti imperfetti,ribelli, ostinati nel male
e che sono rifiutati dai mondi divenuti felici.
16. Ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene. Ossia
il male è sempre il male. E colui che sia servito, a sua insaputa, da
strumento per la giustizia divina, facendo leva sui suoi cattivi
istinti, non per questo ha commesso un male minore, e pertanto
dev'essere punito. Così, per esempio, avere un figlio ingrato è una
punizione o una prova, per il padre che ne soffre, perché questo padre
può essere stato lui stesso un cattivo figlio che ha fatto a sua volta
soffrire suo padre, e ora subisce la pena del taglione. Ma per il figlio
non ci sono attenuanti, e dovrà a sua volta essere castigato dai suoi
figli oppure in altro modo.
17. Se la tua mano ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te. Immagine
cruenta, che sarebbe assurdo prendere alla lettera e che significa
semplicemente che bisogna distruggere in sé tutte le cause di scandalo,
ossia le cause del male e strappare dal cuore ogni sentimento impuro e
tutti i principi viziosi. Vuol dire ancora che sarebbe meglio per l'uomo
che avesse la mano tagliata piuttosto che essa fosse per lui strumento
di una cattiva azione. Sarebbe meglio essere privato della vista
piuttosto che avere gli occhi ed essere, attraverso lo sguardo, indotto a
fare dei cattivi pensieri. Gesù non ha detto nulla di assurdo per
chiunque conosca il significato allegorico e profondo di queste parole.
Ma molte cose non possono essere comprese senza la chiave che ne dà lo
Spiritismo.
Istruzioni Degli Spiriti
Lasciate che i bambini vengano da me
18. Cristo ha detto: «Lasciate che i bambini vengano da me».
Queste parole, profonde nella loro semplicità, non contengono solo il
semplice appello ai fanciulli, ma anche quello alle anime che gravitano
nei cerchi inferiori dove la sventura ignora la speranza. Gesù chiamava a
sé l'infanzia intellettuale della creatura formata: i deboli, gli
schiavi, i viziosi. Niente egli poteva insegnare all'infanzia fisica,
coinvolta nella materia, sottoposta al giogo dell'istinto e non ancora
appartenente all'ordine superiore della ragione e della volontà, che si
esercitano intorno a lei e per lei.
Gesù voleva che gli uomini andassero a Lui con la fiducia di questi piccoli esseri dai passi incerti, il cui richiamo conquistava il cuore delle donne, che sono tutte madri. Egli sottometteva così le anime alla Sua tenera e misteriosa autorità. Egli fu la fiaccola che rischiara le tenebre, la tromba del mattino che scuote dal sonno, l'iniziatore dello Spiritismo che a sua volta deve richiamare a sé non i fanciulli, ma gli uomini di buona volontà. L'azione adulta è avviata; non si tratta più di credere istintivamente e di ubbidire meccanicamente, bisogna che l'uomo segua la legge intelligente che gli rivela la sua universalità.
Miei figli cari, ecco il tempo in cui gli errori, una volta spiegati, saranno delle verità. Noi vi insegneremo il senso esatto delle parabole e vi mostreremo la correlazione possente che unisce ciò che è stato e ciò che è. In verità vi dico: la manifestazione spiritista sale all'orizzonte, ed ecco il suo inviato che risplenderà come il sole sui monti.
Gesù voleva che gli uomini andassero a Lui con la fiducia di questi piccoli esseri dai passi incerti, il cui richiamo conquistava il cuore delle donne, che sono tutte madri. Egli sottometteva così le anime alla Sua tenera e misteriosa autorità. Egli fu la fiaccola che rischiara le tenebre, la tromba del mattino che scuote dal sonno, l'iniziatore dello Spiritismo che a sua volta deve richiamare a sé non i fanciulli, ma gli uomini di buona volontà. L'azione adulta è avviata; non si tratta più di credere istintivamente e di ubbidire meccanicamente, bisogna che l'uomo segua la legge intelligente che gli rivela la sua universalità.
Miei figli cari, ecco il tempo in cui gli errori, una volta spiegati, saranno delle verità. Noi vi insegneremo il senso esatto delle parabole e vi mostreremo la correlazione possente che unisce ciò che è stato e ciò che è. In verità vi dico: la manifestazione spiritista sale all'orizzonte, ed ecco il suo inviato che risplenderà come il sole sui monti.
(Giovanni Evangelista, Parigi, 1863)
19. Lasciate
che i bambini vengano da me, perché io ho il cibo per fortificare i
deboli. Lasciate venire a me quelli che, timorosi e deboli, hanno
bisogno di appoggio e di consolazione. Lasciate venire a me gli
ignoranti affinché li illumini. Lasciate venire a me tutti quelli che
soffrono, la moltitudine degli afflitti e degli sventurati: io indicherò
loro il grande rimedio per mitigare i mali della vita, io darò loro il
segreto per guarire le loro ferite! Qual è, amici miei, questo balsamo
sovrano, che possiede la virtù per eccellenza, questo balsamo che si
applica su tutte le piaghe del cuore e le risana? È l'amore, è la
carità! Se voi avete questo fuoco divino, che cosa temete? Voi direte
ogni istante della vostra vita: 'Padre mio, sia fatta la Vostra volontà,
non la mia. Se credete di provarmi con il dolore e le tribolazioni,
siate benedetto, perché lo so che è per il mio bene che la Vostra mano
pesa su di me. Se volete, Signore, avere pietà della Vostra debole
creatura, se volete dare al suo cuore le gioie promesse, siate ancora
benedetto! Ma fate che l'amore divino non si assopisca nella sua anima e
che sempre faccia salire ai Vostri piedi la voce della sua
riconoscenza!»...
Se voi avete l'amore, voi avrete tutto ciò che si può desiderare sulla Terra, possiederete la perla per eccellenza che né gli avvenimenti né la malvagità di quelli che vi odiano e vi perseguitano, vi possono rapire. Se voi avete l'amore, avrete messo i vostri tesori là dove né i vermi né la ruggine possono raggiungerli e vedrete cancellarsi insensibilmente dal vostro animo tutto ciò che può macchiarne la purezza. Sentirete il peso della materia alleggerirsi di giorno in giorno e, come l'uccello che plana nell'aria e non si ricorda più della Terra, voi salirete incessantemente, salirete sempre, finché la vostra anima inebriata possa imbeversi del suo elemento di vita nelle braccia del Signore.
Se voi avete l'amore, voi avrete tutto ciò che si può desiderare sulla Terra, possiederete la perla per eccellenza che né gli avvenimenti né la malvagità di quelli che vi odiano e vi perseguitano, vi possono rapire. Se voi avete l'amore, avrete messo i vostri tesori là dove né i vermi né la ruggine possono raggiungerli e vedrete cancellarsi insensibilmente dal vostro animo tutto ciò che può macchiarne la purezza. Sentirete il peso della materia alleggerirsi di giorno in giorno e, come l'uccello che plana nell'aria e non si ricorda più della Terra, voi salirete incessantemente, salirete sempre, finché la vostra anima inebriata possa imbeversi del suo elemento di vita nelle braccia del Signore.
(Uno Spirito protettore, Bordeaux, 1861)
Beati quelli che hanno gli occhi chiusi
20. Miei
buoni amici, perché mi avete chiamato? È per farmi imporre le mani
sulla povera sofferente, che si trova qui, e guarirla? Ah! che
sofferenza, buon Dio! Ha perso la vista, e le tenebre scendono su di
lei. Povera fanciulla! Che preghi e speri, io non so fare miracoli, io,
senza la volontà del buon Dio. Tutte le guarigioni che ho potuto
ottenere e che vi sono state segnalate, attribuitele solo a Colui che
per noi tutti è il Padre nostro. Nelle vostre afflizioni, guardate
dunque sempre il cielo e dite dal profondo del vostro cuore: «Padre mio,
guaritemi, ma fate che la mia anima malata sia guarita prima delle
infermità del mio corpo; che la mia carne sia castigata, se necessario,
affinché la mia anima si elevi verso di Voi con il candore che aveva
quando è stata creata». Dopo questa preghiera, miei buoni amici, che il
buon Dio intenderà sempre, vi saranno dati la forza e il coraggio e, può
darsi, anche quella guarigione che voi avete chiesto solo timidamente,
come ricompensa della vostra abnegazione.
Ma poiché io sono qui, in un'assemblea in cui si tratta prima di tutto di studio, vi dirò che quelli che sono privati della vista dovrebbero considerarsi come i favoriti dell'espiazione. Ricordatevi che Cristo ha detto che avreste dovuto strapparvi un occhio se esso fosse stato malvagio, e che sarebbe stato meglio gettarlo nel fuoco piuttosto che fosse la causa della vostra dannazione. Ahimè! Quanti ve ne sono sulla Terra che malediranno un giorno, nelle tenebre, di aver visto la luce! Oh, sì! Felici coloro che, nell'espiazione, sono colpiti alla vista! Il loro occhio non sarà minimamente motivo di scandalo e di caduta; possono vivere interamente la vita delle anime, possono vedere di più di voi che avete la vista... Quando Dio mi permette di andare ad aprire la palpebra di uno di questi poveri sofferenti e restituirgli la luce, io mi dico: «Cara anima, perché non conosci tutte le delizie dello Spirito che vive di contemplazione e d'amore? Tu non domanderesti di vedere delle immagini meno pure e meno soavi di quelle che ti è stato dato di intravedere nella cecità».
Oh, sì! Beato il cieco che vuol vivere con Dio! Più felice di voi che siete qui, egli sente la felicità, la tocca, vede le anime e può lanciarsi con loro nelle sfere spiritiste che i predestinati della vostra Terra ancora non vedono per niente. L'occhio aperto è sempre pronto a far peccare l'anima, l'occhio chiuso invece è sempre pronto a farla salire a Dio. Credetemi davvero, miei buoni e cari amici, la cecità degli occhi è sovente la vera luce del cuore, mentre la vista è sovente l'angelo tenebroso che conduce alla morte.
E ora qualche parola per te, mia povera sofferente: spera e fatti coraggio! Se io ti dicessi: «Figlia mia, i tuoi occhi si apriranno», come saresti felice! E chi può sapere se questa gioia non ti perderà? Abbi fiducia nel buon Dio che ha creato la felicità e ha permesso la tristezza! Io farò per te tutto quello che mi sarà permesso; ma tu, a tua volta, prega e soprattutto rifletti su tutto quello che ti ho appena detto».
Prima che me ne vada, voi tutti che siete qui, ricevete la mia benedizione.
Ma poiché io sono qui, in un'assemblea in cui si tratta prima di tutto di studio, vi dirò che quelli che sono privati della vista dovrebbero considerarsi come i favoriti dell'espiazione. Ricordatevi che Cristo ha detto che avreste dovuto strapparvi un occhio se esso fosse stato malvagio, e che sarebbe stato meglio gettarlo nel fuoco piuttosto che fosse la causa della vostra dannazione. Ahimè! Quanti ve ne sono sulla Terra che malediranno un giorno, nelle tenebre, di aver visto la luce! Oh, sì! Felici coloro che, nell'espiazione, sono colpiti alla vista! Il loro occhio non sarà minimamente motivo di scandalo e di caduta; possono vivere interamente la vita delle anime, possono vedere di più di voi che avete la vista... Quando Dio mi permette di andare ad aprire la palpebra di uno di questi poveri sofferenti e restituirgli la luce, io mi dico: «Cara anima, perché non conosci tutte le delizie dello Spirito che vive di contemplazione e d'amore? Tu non domanderesti di vedere delle immagini meno pure e meno soavi di quelle che ti è stato dato di intravedere nella cecità».
Oh, sì! Beato il cieco che vuol vivere con Dio! Più felice di voi che siete qui, egli sente la felicità, la tocca, vede le anime e può lanciarsi con loro nelle sfere spiritiste che i predestinati della vostra Terra ancora non vedono per niente. L'occhio aperto è sempre pronto a far peccare l'anima, l'occhio chiuso invece è sempre pronto a farla salire a Dio. Credetemi davvero, miei buoni e cari amici, la cecità degli occhi è sovente la vera luce del cuore, mentre la vista è sovente l'angelo tenebroso che conduce alla morte.
E ora qualche parola per te, mia povera sofferente: spera e fatti coraggio! Se io ti dicessi: «Figlia mia, i tuoi occhi si apriranno», come saresti felice! E chi può sapere se questa gioia non ti perderà? Abbi fiducia nel buon Dio che ha creato la felicità e ha permesso la tristezza! Io farò per te tutto quello che mi sarà permesso; ma tu, a tua volta, prega e soprattutto rifletti su tutto quello che ti ho appena detto».
Prima che me ne vada, voi tutti che siete qui, ricevete la mia benedizione.
(Vianney, curato d'Ars, Parigi, 1863)
21. Nota. Quando
un'afflizione non è conseguenza di atti della vita presente, bisogna
cercarne le cause nella vita precedente. Quelli che vengono chiamati
capricci della sorte, altro non sono che gli effetti della giustizia di
Dio. Dio non infligge assolutamente delle punizioni arbitrarie. Egli
vuole sempre che ci sia correlazione fra l'errore e la pena. Se, nella
Sua bontà, ha steso un velo sui nostri peccati passati, ciononostante ci
mette sulla via dicendo: «Chi ha ucciso con la spada, perirà con la
spada», parole che possono essere tradotte così: «Si è sempre puniti in
relazione al peccato che si è commesso». Se dunque qualcuno è afflitto
per la perdita della vista, è perché la vista è stata per lui una causa
di caduta. Può darsi persino che abbia causato la perdita della vista a
qualcuno, può darsi che qualcuno abbia perso la vista per un eccesso di
lavoro che da lui gli è stato imposto oppure a seguito di
maltrattamenti, di mancanza di cure ecc., e allora questo qualcuno
subisce la pena del taglione. Lui stesso, nel pentirsi, può aver scelto
questa espiazione, applicando a sé le parole di Gesù: «Se il tuo occhio ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via».
Capitolo IX - BEATI I MANSUETI E QUELLI CHE SI ADOPERANO PER LA PACE
Ingiurie e violenze
1. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. (Matteo 5:5)
2. Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio. (Matteo 5:9)
3.
«Voi avete udito che fu detto agli antichi: "Non uccidere: chiunque avrà
ucciso sarà sottoposto al tribunale"; ma io vi dico: chiunque si adira
contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo
fratello: "Raca" sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto
"Pazzo!" sarà condannato alla geenna del fuoco.» (Matteo 5:21-22)
4. Con queste massime, Gesù
istituisce la legge della dolcezza, della moderazione, della
mansuetudine, dell'affabilità e della pazienza. Di conseguenza condanna
la violenza, la collera e anche ogni sconvenienza nei riguardi dei
propri simili. Raca era per gli Ebrei un termine di disprezzo che significava uomo da niente e
si pronunciava sputando e girando la testa. Gesù va anche più lontano,
perché minaccia del fuoco dell'inferno chi dirà al fratello: Tu sei pazzo.
È evidente che qui, come in tutte le circostanze, l'intenzione aggrava o attenua la colpa. Ma che cosa fa sì che una semplice parola possa essere tanto grave da meritare una così grande riprovazione? Il fatto è che tutte le parole offensive sono espressione di un sentimento contrario alla legge d'amore e di carità che deve regolare i rapporti degli uomini e mantenere fra loro la concordia e l'unione. È un danno che si fa alla benevolenza e alla fraternità reciproche mantenendo l'odio e l'animosità. Infine dopo l'umiltà verso Dio, la carità verso il prossimo è la prima legge di ogni cristiano.
È evidente che qui, come in tutte le circostanze, l'intenzione aggrava o attenua la colpa. Ma che cosa fa sì che una semplice parola possa essere tanto grave da meritare una così grande riprovazione? Il fatto è che tutte le parole offensive sono espressione di un sentimento contrario alla legge d'amore e di carità che deve regolare i rapporti degli uomini e mantenere fra loro la concordia e l'unione. È un danno che si fa alla benevolenza e alla fraternità reciproche mantenendo l'odio e l'animosità. Infine dopo l'umiltà verso Dio, la carità verso il prossimo è la prima legge di ogni cristiano.
5. Ma che cosa intende Gesù con le parole: «Beati i mansueti, perché erediteranno la Terra», Lui che predica di rinunciare ai beni di questo mondo e promette quelli del Cielo?
Attendendo i beni del Cielo, l'uomo ha bisogno di quelli della Terra per vivere. Egli gli raccomanda solo di non dare importanza a questi ultimi più che ai primi.
Con queste parole Egli vuole dire che, fino a oggi, i beni della Terra sono stati accaparrati dai violenti a danno di coloro che sono mansueti e pacifici; che a questi manca sovente il necessario, mentre gli altri hanno il superfluo. Egli promette che sarà resa loro giustizia in Terra come in Cielo, perché sono chiamati i figli di Dio. Quando la legge d'amore e di carità sarà la legge dell'umanità, non ci sarà più egoismo; e il debole e il mite non saranno più sfruttati né schiacciati dai forti e dai violenti. Tale sarà lo stato della Terra quando, secondo la legge del progresso e la promessa di Gesù, essa sarà diventata un mondo felice con esclusione dei malvagi.
Attendendo i beni del Cielo, l'uomo ha bisogno di quelli della Terra per vivere. Egli gli raccomanda solo di non dare importanza a questi ultimi più che ai primi.
Con queste parole Egli vuole dire che, fino a oggi, i beni della Terra sono stati accaparrati dai violenti a danno di coloro che sono mansueti e pacifici; che a questi manca sovente il necessario, mentre gli altri hanno il superfluo. Egli promette che sarà resa loro giustizia in Terra come in Cielo, perché sono chiamati i figli di Dio. Quando la legge d'amore e di carità sarà la legge dell'umanità, non ci sarà più egoismo; e il debole e il mite non saranno più sfruttati né schiacciati dai forti e dai violenti. Tale sarà lo stato della Terra quando, secondo la legge del progresso e la promessa di Gesù, essa sarà diventata un mondo felice con esclusione dei malvagi.
Istruzioni Degli Spiriti
L'affabilità e la dolcezza
6.
La benevolenza verso i simili, frutto dell'amore per il prossimo,
induce all'affabilità e alla dolcezza che ne sono la manifestazione.
Tuttavia non ci si deve sempre fidare delle apparenze. L'educazione e le
consuetudini mondane possono far vedere solo la vernice di queste
qualità. Quanti ce ne sono la cui finta bonomia non è che una maschera,
un abito il cui taglio ben calcolato dissimula le deformità nascoste! Il
mondo è popolato da gente del genere, che ha il sorriso sulle labbra e
il veleno nel cuore; dolci finché niente li urta, ma che mordono alla minima contrarietà; la cui lingua, dorata quando parlano in faccia, cambia in dardo avvelenato quando parlano alle spalle.
A questa categoria appartengono anche uomini dal fare benevolo che, tiranni domestici in privato, fanno soffrire la loro famiglia e fanno pesare sui subalterni il loro orgoglio e il loro dispotismo. Sembra che vogliano rivalersi dei freni che sono stati loro imposti altrove e che, non osando comportarsi con autorità con gli estranei, che li metterebbero subito a posto, vogliano almeno sentirsi temuti da quelli che non possono rivoltarglisi. La loro vanità gioisce nel poter dire: «Qui comando io e sono obbedito», senza pensare che potrebbero aggiungere, a maggior ragione: «E sono detestato».
Non basta che del latte e del miele scorrano dalle labbra se il cuore non è per niente puro. È solo ipocrisia. Colui la cui affabilità e dolcezza non sono finte, non si smentisce mai. È la stessa persona in pubblico e in privato. D'altra parte si sa bene che, se si ingannano gli uomini con le apparenze, non si inganna Dio.
A questa categoria appartengono anche uomini dal fare benevolo che, tiranni domestici in privato, fanno soffrire la loro famiglia e fanno pesare sui subalterni il loro orgoglio e il loro dispotismo. Sembra che vogliano rivalersi dei freni che sono stati loro imposti altrove e che, non osando comportarsi con autorità con gli estranei, che li metterebbero subito a posto, vogliano almeno sentirsi temuti da quelli che non possono rivoltarglisi. La loro vanità gioisce nel poter dire: «Qui comando io e sono obbedito», senza pensare che potrebbero aggiungere, a maggior ragione: «E sono detestato».
Non basta che del latte e del miele scorrano dalle labbra se il cuore non è per niente puro. È solo ipocrisia. Colui la cui affabilità e dolcezza non sono finte, non si smentisce mai. È la stessa persona in pubblico e in privato. D'altra parte si sa bene che, se si ingannano gli uomini con le apparenze, non si inganna Dio.
(Lazare, Parigi, 1861)
La pazienza
7. Il
dolore è una benedizione che Dio manda solo agli eletti. Non
affliggetevi dunque quando soffrite, ma al contrario benedite Dio
onnipotente che vi ha segnato con il dolore su questo mondo per la
gloria nel Cielo.
Siate pazienti, anche la pazienza è una carità, e voi dovete praticare la legge della carità insegnata da Cristo, inviato di Dio. La carità, quella che consiste nell'elemosina data ai poveri, è la più facile delle carità. Ma ce n'è una ben più difficile e conseguentemente ben più meritoria, ed è quella di perdonare coloro che Dio ha messo sul nostro cammino per essere gli strumenti delle nostre sofferenze e per mettere la nostra pazienza alla prova.
La vita è difficile, lo so, è fatta di mille piccole cose che sono punture di spillo che finiscono col ferire. Ma si devono osservare i doveri che ci vengono imposti, e bisogna tener conto delle consolazioni e del compenso che avremo come contropartita. Allora noi vedremo che le benedizioni sono più numerose dei dolori. Quando si guarda in alto, il fardello sembra meno pesante di quanto non lo sia quando si china la fronte verso terra.
Coraggio, amici, Cristo è il vostro modello. Ha sofferto più di uno qualsiasi di voi e non aveva niente da rimproverarsi, mentre voi, voi dovete espiare il vostro passato e fortificarvi per l'avvenire. Siate dunque pazienti, siate cristiani, questa parola comprende tutto.
Siate pazienti, anche la pazienza è una carità, e voi dovete praticare la legge della carità insegnata da Cristo, inviato di Dio. La carità, quella che consiste nell'elemosina data ai poveri, è la più facile delle carità. Ma ce n'è una ben più difficile e conseguentemente ben più meritoria, ed è quella di perdonare coloro che Dio ha messo sul nostro cammino per essere gli strumenti delle nostre sofferenze e per mettere la nostra pazienza alla prova.
La vita è difficile, lo so, è fatta di mille piccole cose che sono punture di spillo che finiscono col ferire. Ma si devono osservare i doveri che ci vengono imposti, e bisogna tener conto delle consolazioni e del compenso che avremo come contropartita. Allora noi vedremo che le benedizioni sono più numerose dei dolori. Quando si guarda in alto, il fardello sembra meno pesante di quanto non lo sia quando si china la fronte verso terra.
Coraggio, amici, Cristo è il vostro modello. Ha sofferto più di uno qualsiasi di voi e non aveva niente da rimproverarsi, mentre voi, voi dovete espiare il vostro passato e fortificarvi per l'avvenire. Siate dunque pazienti, siate cristiani, questa parola comprende tutto.
(Uno Spirito Amico, Le Havre, 1862)
L'obbedienza e la rassegnazione
8. La
dottrina di Gesù insegna ovunque l'obbedienza e la rassegnazione, due
virtù sorelle della dolcezza, molto attive quantunque gli uomini le
confondano, a torto, con la negazione del sentimento e della volontà. L'obbedienza è il consenso della ragione, la rassegnazione è il consenso del cuore. Tutt'e
due sono delle forze attive in quanto portano il fardello delle prove
di cui la ribellione insensata si libera. Il pusillanime non può essere
rassegnato, tanto meno l'orgoglioso e l'egoista possono essere
obbedienti. Gesù è stato l'incarnazione di queste virtù disprezzate
dall'antico materialismo. Egli venne nel momento in cui la società
romana stava rovinando nella fragilità della sua corruzione. Venne a far
brillare, in seno all'umanità frustrata, i trionfi del sacrificio e
della rinuncia alle cose materiali.
Ogni epoca viene così segnata dalla virtù che deve salvarla o dal vizio che può perderla. La virtù della vostra generazione è l'attività intellettuale, il suo vizio è l'indifferenza morale. Io dico solamente attività, in quanto il genio si eleva improvvisamente e scopre da sé gli orizzonti che i più vedranno solo dopo, mentre l'attività è l'unione degli sforzi di tutti per raggiungere uno scopo meno vistoso, ma che dimostra l'alto livello intellettuale di un'epoca. Assecondate l'impulso che noi stiamo dando ai vostri Spiriti, obbedite alla grande legge del progresso che è la parola d'ordine della vostra generazione. Infelice lo Spirito pigro, che blocca il suo intelletto! Infelice! Perché noi, che siamo le guide dell'umanità in marcia, noi lo fustigheremo e faremo leva sulla sua volontà ribelle, nel doppio sforzo del freno e dello sprone. Qualsiasi resistenza orgogliosa dovrà cedere prima o poi. Ma beati quelli che sono mansueti, poiché presteranno ascolto con dolcezza agli insegnamenti.
Ogni epoca viene così segnata dalla virtù che deve salvarla o dal vizio che può perderla. La virtù della vostra generazione è l'attività intellettuale, il suo vizio è l'indifferenza morale. Io dico solamente attività, in quanto il genio si eleva improvvisamente e scopre da sé gli orizzonti che i più vedranno solo dopo, mentre l'attività è l'unione degli sforzi di tutti per raggiungere uno scopo meno vistoso, ma che dimostra l'alto livello intellettuale di un'epoca. Assecondate l'impulso che noi stiamo dando ai vostri Spiriti, obbedite alla grande legge del progresso che è la parola d'ordine della vostra generazione. Infelice lo Spirito pigro, che blocca il suo intelletto! Infelice! Perché noi, che siamo le guide dell'umanità in marcia, noi lo fustigheremo e faremo leva sulla sua volontà ribelle, nel doppio sforzo del freno e dello sprone. Qualsiasi resistenza orgogliosa dovrà cedere prima o poi. Ma beati quelli che sono mansueti, poiché presteranno ascolto con dolcezza agli insegnamenti.
(Lazare, Parigi, 1863)
La collera
9. L'orgoglio
vi porta a credere di essere più di quanto non siate, a non tollerare
un confronto che possa sminuirvi, a vedervi talmente al di sopra dei
vostri fratelli, sia come spirito sia come posizione sociale, sia anche
riguardo a privilegi personali, che il minimo accostamento con altri vi
irrita e vi urta. E che succede allora? Succede che vi lasciate prendere
dalla collera.
Cercate l'origine di questi accessi di demenza passeggera, che vi assimilano al bruto facendovi perdere il controllo. Cercate, e troverete quasi sempre che alla base c'è l'orgoglio umiliato. Non è forse l'orgoglio colpito da una contraddizione che vi fa rifiutare le osservazioni giuste, che vi fa respingere con collera i più saggi consigli? L'impazienza stessa, causata da contrarietà sovente puerili, trae origine dall'importanza data alla propria persona, di fronte alla quale si crede che ognuno debba inchinarsi.
Nella sua frenesia, l'uomo collerico accusa tutto e tutti, dalla natura da lui ritenuta malvagia fino agli oggetti che manda in frantumi perché non gli obbediscono. Ah! Se in quei momenti potesse vedersi a sangue freddo, avrebbe paura di se stesso o si troverebbe ridicolo! Da ciò si può immaginare l'impressione che deve fare sugli altri. Solo per rispetto verso se stesso, dovrebbe sforzarsi di vincere una tendenza che lo fa oggetto di pietà.
Se pensasse che la collera non porta nessun rimedio, che altera la sua salute, che compromette persino la sua vita, si renderebbe conto che la prima vittima è proprio lui. Ma, soprattutto, un'altra considerazione dovrebbe indurlo a moderarsi: il pensiero che egli rende infelici tutti quelli che gli stanno attorno. Se ha del cuore, non prova rimorso nel far soffrire quelli che di più ama? E quale rimpianto mortale se, in un accesso di collera, commettesse un'azione che dovesse rimproverarsi per tutta la vita!
Insomma, la collera non esclude certe qualità di cuore, ma impedisce di compiere il bene, può far commettere molto male, e questo dovrebbe bastare per impegnarsi a dominarla. Lo Spiritista è inoltre sollecitato a dominarsi da un altro motivo: la collera è contraria alla carità e all'umiltà cristiana.
Cercate l'origine di questi accessi di demenza passeggera, che vi assimilano al bruto facendovi perdere il controllo. Cercate, e troverete quasi sempre che alla base c'è l'orgoglio umiliato. Non è forse l'orgoglio colpito da una contraddizione che vi fa rifiutare le osservazioni giuste, che vi fa respingere con collera i più saggi consigli? L'impazienza stessa, causata da contrarietà sovente puerili, trae origine dall'importanza data alla propria persona, di fronte alla quale si crede che ognuno debba inchinarsi.
Nella sua frenesia, l'uomo collerico accusa tutto e tutti, dalla natura da lui ritenuta malvagia fino agli oggetti che manda in frantumi perché non gli obbediscono. Ah! Se in quei momenti potesse vedersi a sangue freddo, avrebbe paura di se stesso o si troverebbe ridicolo! Da ciò si può immaginare l'impressione che deve fare sugli altri. Solo per rispetto verso se stesso, dovrebbe sforzarsi di vincere una tendenza che lo fa oggetto di pietà.
Se pensasse che la collera non porta nessun rimedio, che altera la sua salute, che compromette persino la sua vita, si renderebbe conto che la prima vittima è proprio lui. Ma, soprattutto, un'altra considerazione dovrebbe indurlo a moderarsi: il pensiero che egli rende infelici tutti quelli che gli stanno attorno. Se ha del cuore, non prova rimorso nel far soffrire quelli che di più ama? E quale rimpianto mortale se, in un accesso di collera, commettesse un'azione che dovesse rimproverarsi per tutta la vita!
Insomma, la collera non esclude certe qualità di cuore, ma impedisce di compiere il bene, può far commettere molto male, e questo dovrebbe bastare per impegnarsi a dominarla. Lo Spiritista è inoltre sollecitato a dominarsi da un altro motivo: la collera è contraria alla carità e all'umiltà cristiana.
(Uno Spirito Protettore, Bordeaux, 1863)
10.
Secondo l'errata opinione che non si può cambiare la propria natura,
l'uomo si ritiene dispensato dallo sforzarsi di correggere i suoi
difetti, di cui volentieri si compiace e che comporterebbero troppa
perseveranza. È così, per esempio, che l'uomo incline alla collera trova
quasi sempre delle attenuanti al suo temperamento. Piuttosto che
ammettere di essere colpevole, fa ricadere la colpa sulla sua natura,
accusando così indirettamente Dio delle sue malefatte. È, ancora una
volta, una conseguenza dell'orgoglio, che si trova mischiato con tutte
le sue imperfezioni.
È fuor di dubbio che ci sono temperamenti che si abbandonano più di altri ad atti violenti, come ci sono muscoli più duttili che meglio si prestano ai tours de force. Ma non crediate che consista in ciò la causa principale della collera e convincetevi che uno Spirito mite, anche se si trovasse in un corpo bilioso, sarà sempre mite, e che uno Spirito violento, in un corpo debole, non per questo sarà più dolce. Ma la violenza si manifesterà diversamente: non avendo un organismo adatto ad assecondare i suoi impulsi, la collera rimarrà concentrata, mentre nel caso contrario si espanderà.
Non è il corpo a dare la collera a chi non ce l'ha, così come non è il corpo a dargli tutti gli altri vizi. Tutte le virtù e tutti i vizi sono inerenti allo Spirito. Senza ciò dove starebbe il merito e la responsabilità? L'uomo menomato non può raddrizzarsi perché lo Spirito nulla può per questo, ma può modificare ciò che è dello Spirito, quando c'è una ferma volontà. L'esperienza non prova forse, Spiritisti, fin dove può giungere la potenza della volontà, attraverso le trasformazioni veramente miracolose che voi sapete operare? Dite dunque a voi stessi che l'uomo resta vizioso solo perché vuole restarvi. Ma colui che lo vuole può sempre correggersi, altrimenti la legge del progresso non esisterebbe per l'uomo.
È fuor di dubbio che ci sono temperamenti che si abbandonano più di altri ad atti violenti, come ci sono muscoli più duttili che meglio si prestano ai tours de force. Ma non crediate che consista in ciò la causa principale della collera e convincetevi che uno Spirito mite, anche se si trovasse in un corpo bilioso, sarà sempre mite, e che uno Spirito violento, in un corpo debole, non per questo sarà più dolce. Ma la violenza si manifesterà diversamente: non avendo un organismo adatto ad assecondare i suoi impulsi, la collera rimarrà concentrata, mentre nel caso contrario si espanderà.
Non è il corpo a dare la collera a chi non ce l'ha, così come non è il corpo a dargli tutti gli altri vizi. Tutte le virtù e tutti i vizi sono inerenti allo Spirito. Senza ciò dove starebbe il merito e la responsabilità? L'uomo menomato non può raddrizzarsi perché lo Spirito nulla può per questo, ma può modificare ciò che è dello Spirito, quando c'è una ferma volontà. L'esperienza non prova forse, Spiritisti, fin dove può giungere la potenza della volontà, attraverso le trasformazioni veramente miracolose che voi sapete operare? Dite dunque a voi stessi che l'uomo resta vizioso solo perché vuole restarvi. Ma colui che lo vuole può sempre correggersi, altrimenti la legge del progresso non esisterebbe per l'uomo.
(Hahnemann, Parigi, 1863)
Capitolo X - BEATI I MISERICORDIOSI
Perdonate perché Dio vi perdoni
1. Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta. (Matteo 5:7)
2.
Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro
celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini,
neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. (Matteo 6:14-15)
3. «Se
tuo fratello ha peccato contro di te, va' e convincilo fra te e lui
solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello». (...) Allora Pietro
si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?» E Gesù a lui: «Non ti dico, ino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». (Matteo 18:15, 21-22)
4. La misericordia è il
complemento della dolcezza, perché chi non è misericordioso non saprà
essere mansueto e mite. La misericordia consiste nel dimenticare e
perdonare le offese. L'odio e il rancore denotano un animo né grande né
elevato. Dimenticare le offese è proprio dell'animo elevato, che è al di
sopra degli oltraggi che possono essergli stati fatti. Nel primo caso,
l'anima è sempre ansiosa, di una suscettibilità ombrosa e carica di
fiele. Nel secondo è calma, tutta mansuetudine e carità.
Infelice chi dice: «Io non perdonerò mai, perché se un colpevole non è condannato dagli uomini, lo sarà certamente da Dio». Con quale diritto costui reclamerà il perdono delle proprie colpe se lui stesso non perdona quelle degli altri? Gesù non insegna forse che la misericordia non deve avere dei limiti quando dice di perdonare il proprio fratello non sette volte, ma settanta volte sette?
Ma ci sono due modi ben diversi di perdonare: uno grande, nobile, veramente generoso, senza secondi fini, che si pone con delicatezza di fronte all'amor proprio e alla suscettibilità dell'avversario, quand'anche questi avesse tutti i torti. L'altro è quello dell'offeso, o presunto tale, che impone all'avversario condizioni umilianti e fa sentire il peso di un perdono che irrita anziché ricomporre la questione. Se tende la mano non lo fa per benevolenza, ma con ostentazione, per poter dire a tutti: «Guardate come sono generoso!»
In tali circostanze, è impossibile che la riconciliazione sia sincera, né dall'una né dall'altra parte. No, questa non è generosità, è un modo per soddisfare l'orgoglio. In tutte le contese, chi si mostra più conciliante, chi dimostra più disinteresse, carità e vera grandezza d'animo si accattiverà sempre la simpatia delle persone imparziali.
Infelice chi dice: «Io non perdonerò mai, perché se un colpevole non è condannato dagli uomini, lo sarà certamente da Dio». Con quale diritto costui reclamerà il perdono delle proprie colpe se lui stesso non perdona quelle degli altri? Gesù non insegna forse che la misericordia non deve avere dei limiti quando dice di perdonare il proprio fratello non sette volte, ma settanta volte sette?
Ma ci sono due modi ben diversi di perdonare: uno grande, nobile, veramente generoso, senza secondi fini, che si pone con delicatezza di fronte all'amor proprio e alla suscettibilità dell'avversario, quand'anche questi avesse tutti i torti. L'altro è quello dell'offeso, o presunto tale, che impone all'avversario condizioni umilianti e fa sentire il peso di un perdono che irrita anziché ricomporre la questione. Se tende la mano non lo fa per benevolenza, ma con ostentazione, per poter dire a tutti: «Guardate come sono generoso!»
In tali circostanze, è impossibile che la riconciliazione sia sincera, né dall'una né dall'altra parte. No, questa non è generosità, è un modo per soddisfare l'orgoglio. In tutte le contese, chi si mostra più conciliante, chi dimostra più disinteresse, carità e vera grandezza d'animo si accattiverà sempre la simpatia delle persone imparziali.
Cercate un accordo con l'avversario
5.
Fa' presto amichevole accordo con il tuo avversario mentre sei ancora
per via con lui, affinché il tuo avversario non ti consegni in mano al
giudice e il giudice in mano alle guardie, e tu non venga messo in
prigione. Io ti dico in verità che di là non uscirai, finché tu non
abbia pagato l'ultimo centesimo. (Matteo 5:25-26)
6. Nella pratica del perdono
e in quella del bene in generale, più che un effetto morale, c'è anche
un effetto materiale. La morte, si sa, non ci libera dai nostri nemici.
Gli Spiriti vendicativi perseguitano con il loro odio, oltre la tomba,
quelli verso i quali hanno conservato rancore. Per questo il proverbio
che dice "Morta la bestia, morto il veleno" è errato, quando lo si
applica all'uomo. Lo Spirito malvagio attende che colui cui vuole male
venga incatenato al suo corpo e sia così meno libero, per tormentarlo
più facilmente e danneggiarlo nei suoi interessi o ferirlo nei suoi
affetti più cari. Bisogna individuare in ciò la causa della maggior
parte dei casi di ossessione, soprattutto di quelli che presentano una
certa gravità, come il soggiogamento e la possessione. L'ossessionato e
il posseduto sono dunque quasi sempre vittime di una vendetta precedente
che probabilmente essi stessi hanno causato con la loro condotta. Dio
permette ciò per punirli del male che hanno fatto o, se non ne hanno
fatto, per aver mancato di indulgenza e carità non perdonando. Importa
dunque, dal punto di vista della propria tranquillità futura, riparare i
torti perpetrati a danno del prossimo, perdonare i propri nemici, al
fine di annullare prima di morire qualsiasi motivo di dissenso, causa di
ulteriore animosità. In questo modo un accanito nemico di questo mondo
può diventare un amico nell'altro. Almeno si mette il buon diritto dalla
propria parte, e Dio non lascia chi ha perdonato in balia della
vendetta. Quando Gesù raccomanda di trovare un accordo il più presto
possibile con il proprio avversario, non è solo per ricomporre le
discordie in questa esistenza, ma anche per evitare che esse si
perpetuino nelle esistenze future. «Di là non uscirai, — dice Gesù — finché tu non abbia pagato l'ultimo centesimo», ossia quando avrai soddisfatto completamente la giustizia di Dio.
Il sacrificio più gradito a Dio
7. Se
dunque tu stai per offrire la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi
che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta
davanti all'altare, e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi
vieni a offrire la tua offerta. (Matteo 5:23-24)
8. Quando Gesù dice: «Va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta», insegna
che il sacrificio più gradito al Signore è quello secondo cui, quando
si nutre un risentimento nei confronti del proprio simile, bisogna
averlo perdonato prima di presentarsi a Lui per essere a propria volta
perdonati; e, se si è fatto un torto a un fratello, bisogna averlo
riparato. Allora soltanto, l'offerta sarà accettata, perché verrà da un
cuore purificato da tutti i cattivi pensieri.
Gesù rende concreto questo precetto, perché i Giudei offrivano sacrifici in natura, e doveva quindi conformare le Sue parole ai loro costumi. Il cristiano di oggi non offre doni materiali. Egli ha spiritualizzato il sacrificio, ma il precetto ne riceve maggiore forza. Egli offre la sua anima a Dio e questa anima dev'essere purificata. Entrando nel tempio del Signore, si deve lasciare fuori qualsiasi sentimento di odio e di animosità, ogni cattivo pensiero contro il proprio fratello. Allora solamente la preghiera sarà portata dagli angeli ai piedi dell'Eterno. Ecco che cosa insegna Gesù con queste parole: «Lascia lì la tua offerta davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta».
Gesù rende concreto questo precetto, perché i Giudei offrivano sacrifici in natura, e doveva quindi conformare le Sue parole ai loro costumi. Il cristiano di oggi non offre doni materiali. Egli ha spiritualizzato il sacrificio, ma il precetto ne riceve maggiore forza. Egli offre la sua anima a Dio e questa anima dev'essere purificata. Entrando nel tempio del Signore, si deve lasciare fuori qualsiasi sentimento di odio e di animosità, ogni cattivo pensiero contro il proprio fratello. Allora solamente la preghiera sarà portata dagli angeli ai piedi dell'Eterno. Ecco che cosa insegna Gesù con queste parole: «Lascia lì la tua offerta davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta».
La pagliuzza e la trave nell'occhio
9. Perché
guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non
scorgi la trave che è nell'occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo
fratello: «Lascia che io ti tolga dall'occhio la pagliuzza», mentre la
trave è nell'occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e
allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall'occhio di tuo
fratello. (Matteo 7:3-5)
10. Una tendenza
dell'umanità è quella di vedere il male degli altri prima di vedere il
proprio. Per giudicare se stessi, bisogna guardarsi allo specchio,
collocarsi in certo senso fuori da se stessi, e considerarsi come se si
fosse un'altra persona, domandandosi: «Che cosa penserei se vedessi
qualcuno fare quello che faccio io?» È incontestabilmente l'orgoglio che
porta l'uomo a dissimulare a se stesso i propri difetti, sia morali sia
fisici. Questa tendenza è sostanzialmente contraria alla carità, perché
la vera carità è modesta, semplice e indulgente. La carità orgogliosa è
un non senso, poiché questi due sentimenti si neutralizzano a vicenda.
Come può un uomo essere tanto vanesio da credere che la sua persona sia
molto importante e le sue qualità assai superiori e, allo stesso tempo,
avere tanta abnegazione da mettere in luce il bene degli altri, che
potrebbe eclissarlo, anziché il male che potrebbe esaltarlo? Se
l'orgoglio è il padre di molti vizi, è anche la negazione di molte
virtù; lo si trova all'origine e come movente di quasi tutte le azioni. È
per questo che Gesù si è impegnato a combatterlo come principale
ostacolo al progresso.
Non giudicate se non volete essere giudicati. Chi è senza peccato scagli la prima pietra
11.
Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con
il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale
misurate, sarà misurato a voi. (Matteo 7:1 2)
12. Allora
gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e,
.fattala stare in mezzo, gli dissero: Maestro, questa donna è stata
colta in flagrante adulterio. Or Mose, nella legge, ci ha comandato di
lapidare tali donne; tu che ne dici? Dicevano questo per metterlo alla
prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con
il dito in terra. A siccome continuavano a
interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza
peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di
nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro
coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli
ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo.
Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: Donna dove
sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose:
'Nessuno, signore». E Gesù le disse: 'Neppure io ti condanno; va' e non
peccare più». (Giovanni 8:3-11)
13. «Chi
di voi è senza peccato scagli per primo la pietra» ha detto Gesù.
Questa massima ci obbliga all'indulgenza, perché non c'è nessuno di noi
che non abbia bisogno di quella degli altri. Ci insegna che non dobbiamo
giudicare gli altri più severamente di quanto non facciamo con noi
stessi, né condannare in altri ciò che perdoniamo a noi stessi. Prima di
biasimare una colpa di qualcuno, vediamo se lo stesso biasimo non può
riguardare anche noi stessi.
Il biasimo gettato sulla condotta altrui può avere due motivazioni: reprimere il male o screditare la persona di cui si critica l'operato. Quest'ultimo motivo non ha mai delle attenuanti, perché è maldicenza e cattiveria. Il primo invece può essere lodevole e diventa persino un dovere in certi casi, perché può risultare come un bene, e senza di ciò il male non verrebbe mai represso nella società. D'altra parte l'uomo non deve forse favorire il progresso dei propri simili? Non bisognerebbe dunque prendere alla lettera questo principio: «Non giudicate, affinché non siate giudicati», perché la lettera uccide, e lo spirito vivifica.
Gesù non poteva impedire di biasimare ciò che è male, perché Egli stesso ce ne ha dato l'esempio e l'ha fatto in termini energici. Egli ha voluto dire che l'autorità del biasimo è in ragione dell'autorità morale di colui che pronuncia il biasimo. Rendersi colpevoli di ciò che si condanna negli altri, è abdicare a questa autorità. È, inoltre, privarsi del diritto di repressione. La coscienza intima, del resto, rifiuta qualsiasi rispetto e sottomissione volontaria a chi, essendo investito di un qualsiasi potere, viola le leggi e i principi che è incaricato di applicare. Agli occhi di Dio l'unica autorità legittima è quella che si fonda sull'esempio che essa dà del bene. La qual cosa emergeanche dalle parole di Gesù.
Il biasimo gettato sulla condotta altrui può avere due motivazioni: reprimere il male o screditare la persona di cui si critica l'operato. Quest'ultimo motivo non ha mai delle attenuanti, perché è maldicenza e cattiveria. Il primo invece può essere lodevole e diventa persino un dovere in certi casi, perché può risultare come un bene, e senza di ciò il male non verrebbe mai represso nella società. D'altra parte l'uomo non deve forse favorire il progresso dei propri simili? Non bisognerebbe dunque prendere alla lettera questo principio: «Non giudicate, affinché non siate giudicati», perché la lettera uccide, e lo spirito vivifica.
Gesù non poteva impedire di biasimare ciò che è male, perché Egli stesso ce ne ha dato l'esempio e l'ha fatto in termini energici. Egli ha voluto dire che l'autorità del biasimo è in ragione dell'autorità morale di colui che pronuncia il biasimo. Rendersi colpevoli di ciò che si condanna negli altri, è abdicare a questa autorità. È, inoltre, privarsi del diritto di repressione. La coscienza intima, del resto, rifiuta qualsiasi rispetto e sottomissione volontaria a chi, essendo investito di un qualsiasi potere, viola le leggi e i principi che è incaricato di applicare. Agli occhi di Dio l'unica autorità legittima è quella che si fonda sull'esempio che essa dà del bene. La qual cosa emergeanche dalle parole di Gesù.
Istruzioni Degli Spiriti
Il perdono delle offese
14. Quante
volte perdonerò mio fratello? Non lo perdonerai sette volte, ma
settanta volte sette. Ecco una di quelle parole di Gesù che devono
rimanere impresse nella vostra intelligenza e parlare più alto al vostro
cuore. Confrontate queste parole di misericordia con la preghiera così
semplice, così essenziale e così grande nelle sue aspirazioni, che Gesù
dà ai Suoi discepoli, e vi troverete sempre lo stesso pensiero. Gesù, il
giusto per eccellenza, risponde a Pietro: «Tu perdonerai, ma senza
limiti; perdonerai tutte le offese che ti verranno fatte, insegnerai ai
tuoi fratelli quell'oblio di se stessi che rende invulnerabili agli
attacchi, ai cattivi comportamenti e alle ingiurie. Tu sarai dolce e
umile di cuore, non misurando mai la tua mansuetudine. Infine farai ciò
che tu desideri che il Padre celeste faccia per te. Non deve Egli
perdonarti sovente? E conta Egli forse le volte che il Suo perdono
cancella le tue colpe?»
Ascoltate dunque questo responso di Gesù e, come Pietro, applicatelo a voi stessi: perdonate, siate indulgenti, caritatevoli, generosi, prodighi anche del vostro amore. Date, perché il Signore vi renderà merito; perdonate, perché il Signore vi perdonerà; abbassatevi, perché il Signore vi risolleverà; umiliatevi, perché il Signore vi farà sedere alla Sua destra.
Andate, miei benamati, riflettete e commentate queste parole, che vi rivolgo da parte di Colui che, dall'alto degli splendori celesti, guarda sempre verso di voi e continua con amore il compito ingrato che ha iniziato più di diciotto secoli fa. Perdonate dunque i vostri fratelli, così come voi avete bisogno di essere perdonati. Se le loro azioni sono state pregiudizievoli per voi, è un motivo in più per essere indulgenti, perché il merito del perdono è proporzionale alla gravità del male ricevuto. Né ci sarebbe alcun merito se passaste sopra ai torti ricevuti dai vostri fratelli, se essi non vi hanno fatto che ferite leggere.
Spiritisti, non dimenticate mai che, sia con le parole sia con le azioni, il perdono delle ingiurie non deve essere una parola vana. Se vi dichiarate spiritisti, siatelo dunque. Dimenticate il male che può esservi stato fatto e pensate a una cosa sola: il bene che voi potete rendere. Chi si è inoltrato in questo cammino non deve mai allontanarsene, neppure con il pensiero, perché voi siete responsabili dei vostri pensieri, che Dio conosce. Fate dunque in modo che essi siano privi di qualsiasi sentimento di rancore. Dio sa che cosa c'è in fondo al cuore di ognuno. Beato dunque chi può ogni sera addormentarsi dicendo: non ho niente contro il mio prossimo.
Ascoltate dunque questo responso di Gesù e, come Pietro, applicatelo a voi stessi: perdonate, siate indulgenti, caritatevoli, generosi, prodighi anche del vostro amore. Date, perché il Signore vi renderà merito; perdonate, perché il Signore vi perdonerà; abbassatevi, perché il Signore vi risolleverà; umiliatevi, perché il Signore vi farà sedere alla Sua destra.
Andate, miei benamati, riflettete e commentate queste parole, che vi rivolgo da parte di Colui che, dall'alto degli splendori celesti, guarda sempre verso di voi e continua con amore il compito ingrato che ha iniziato più di diciotto secoli fa. Perdonate dunque i vostri fratelli, così come voi avete bisogno di essere perdonati. Se le loro azioni sono state pregiudizievoli per voi, è un motivo in più per essere indulgenti, perché il merito del perdono è proporzionale alla gravità del male ricevuto. Né ci sarebbe alcun merito se passaste sopra ai torti ricevuti dai vostri fratelli, se essi non vi hanno fatto che ferite leggere.
Spiritisti, non dimenticate mai che, sia con le parole sia con le azioni, il perdono delle ingiurie non deve essere una parola vana. Se vi dichiarate spiritisti, siatelo dunque. Dimenticate il male che può esservi stato fatto e pensate a una cosa sola: il bene che voi potete rendere. Chi si è inoltrato in questo cammino non deve mai allontanarsene, neppure con il pensiero, perché voi siete responsabili dei vostri pensieri, che Dio conosce. Fate dunque in modo che essi siano privi di qualsiasi sentimento di rancore. Dio sa che cosa c'è in fondo al cuore di ognuno. Beato dunque chi può ogni sera addormentarsi dicendo: non ho niente contro il mio prossimo.
(Siméon, Bordeaux, 1862)
15. Perdonare
i nemici è domandare perdono per se stessi; perdonare gli amici è dar
loro una prova di amicizia; perdonando le offese si dimostra che si sta
diventando migliori. Perdonate dunque, miei amici, affinché Dio vi
perdoni. Se infatti voi siete duri, intransigenti, inflessibili, se
serbate rancore anche per una leggera offesa, come volete che Dio
dimentichi che ogni giorno voi avete la massima necessità di indulgenza?
Oh, infelice chi dice: «Non perdonerò mai», perché pronuncia la sua
stessa condanna. D'altra parte chissà che, analizzando nel vostro
profondo, non siate proprio voi l'aggressore. Chissà se, in questa lotta
che comincia con una puntura di spillo e finisce con una rottura, non
siete stato voi a colpire per primo. Se non vi è sfuggita una parola che
ferisce. Se avete usato tutta la moderazione necessaria. Senza dubbio
il vostro avversario ha torto a mostrarsi troppo suscettibile, ma questo
è un buon motivo per voi per essere indulgente e per lui per non
meritare il biasimo che gli rivolgete. Ammettiamo che voi siate stato
veramente offeso in una certa circostanza, chi può dire che non siate
stato voi a inasprire la situazione con delle ritorsioni e a far
degenerare in una seria disputa ciò che avrebbe potuto essere facilmente
dimenticato? Se dipendeva da voi impedirne il seguito, e non lo avete
fatto, voi siete colpevole. Ammettiamo infine che non abbiate nessun
rimprovero da farvi, sarete solo maggiormente meritevole a mostrarvi
clemente.
Ma ci sono due modi molto diversi di perdonare: c'è il perdono delle parole e il perdono del cuore. Molti dicono del loro avversario: «Lo perdono», mentre intimamente provano un segreto piacere per il male che gli sta succedendo, dicendo fra sé che è ciò che si merita. Ci sono quelli che dicono: «Perdono». E aggiungono: «Ma non mi riconcilierò mai, non lo rivedrò mai più in vita mia». È questo il perdono secondo il Vangelo? No, il vero perdono, il perdono cristiano, è quello che stende un velo sul passato ed è il solo di cui sarà tenuto conto, perché Dio non si accontenta dell'apparenza. Egli sonda nel profondo dei cuori e nei più segreti pensieri: non lo si raggira con parole e vani simulacri. L'oblio completo e assoluto delle offese è proprio dei grandi animi. Il rancore è sempre segno di bassezza e di inferiorità. Non dimenticate che il vero perdono si riconosce più dai fatti che dalle parole.
Ma ci sono due modi molto diversi di perdonare: c'è il perdono delle parole e il perdono del cuore. Molti dicono del loro avversario: «Lo perdono», mentre intimamente provano un segreto piacere per il male che gli sta succedendo, dicendo fra sé che è ciò che si merita. Ci sono quelli che dicono: «Perdono». E aggiungono: «Ma non mi riconcilierò mai, non lo rivedrò mai più in vita mia». È questo il perdono secondo il Vangelo? No, il vero perdono, il perdono cristiano, è quello che stende un velo sul passato ed è il solo di cui sarà tenuto conto, perché Dio non si accontenta dell'apparenza. Egli sonda nel profondo dei cuori e nei più segreti pensieri: non lo si raggira con parole e vani simulacri. L'oblio completo e assoluto delle offese è proprio dei grandi animi. Il rancore è sempre segno di bassezza e di inferiorità. Non dimenticate che il vero perdono si riconosce più dai fatti che dalle parole.
(Paolo Apostolo, Lione, 1861)
L'indulgenza
16. Spiritisti,
vogliamo parlarvi oggi di indulgenza, questo sentimento così dolce,
così fraterno che ogni uomo deve avere per i suoi fratelli, ma che pochi
praticano.
L'indulgenza non vede minimamente i difetti degli altri o, se li vede, si guarda dal parlarne, dal divulgarli. Li nasconde invece, in modo da essere la sola a conoscerli, e se la maldicenza li scopre, ha sempre una scusa pronta per attenuarli, ma una scusa plausibile, seria, niente a che vedere con chi, avendo l'aria di diminuire l'errore, lo fa emergere con perfida destrezza.
L'indulgenza non si occupa mai delle malvagie azioni altrui, a meno che non sia per rendere un servigio, avendo cura di attenuarle per quanto possibile. Non fa osservazioni che turbano, non ha mai pronti dei rimproveri, ma solamente dei consigli, per lo più velati. Quando voi lanciate delle critiche, quali conseguenze si possono trarre dalle vostre parole? Forse che voi, voi che biasimate, non avete mai fatto ciò che rimproverate agli altri? Valete voi forse più del colpevole? Oh uomini! Quando giudicherete i vostri cuori, i vostri pensieri, i vostri atti, senza occuparvi di quello che fanno i vostri fratelli? Quando aprirete i vostri occhi severi solo su voi stessi?
Siate dunque severi verso voi stessi e indulgenti verso gli altri. Pensate a Colui che giudica in ultima istanza, che vede i segreti pensieri di ogni cuore e che, di conseguenza, scusa sovente gli errori che voi biasimate, o condanna ciò che voi scusate, perché conosce il movente di tutte le azioni. E voi che gridate «anatema!» avrete magari commesso degli errori più gravi.
Siate indulgenti, amici miei, perché l'indulgenza unisce, calma, corregge, mentre il rigore scoraggia, allontana e irrita.
L'indulgenza non vede minimamente i difetti degli altri o, se li vede, si guarda dal parlarne, dal divulgarli. Li nasconde invece, in modo da essere la sola a conoscerli, e se la maldicenza li scopre, ha sempre una scusa pronta per attenuarli, ma una scusa plausibile, seria, niente a che vedere con chi, avendo l'aria di diminuire l'errore, lo fa emergere con perfida destrezza.
L'indulgenza non si occupa mai delle malvagie azioni altrui, a meno che non sia per rendere un servigio, avendo cura di attenuarle per quanto possibile. Non fa osservazioni che turbano, non ha mai pronti dei rimproveri, ma solamente dei consigli, per lo più velati. Quando voi lanciate delle critiche, quali conseguenze si possono trarre dalle vostre parole? Forse che voi, voi che biasimate, non avete mai fatto ciò che rimproverate agli altri? Valete voi forse più del colpevole? Oh uomini! Quando giudicherete i vostri cuori, i vostri pensieri, i vostri atti, senza occuparvi di quello che fanno i vostri fratelli? Quando aprirete i vostri occhi severi solo su voi stessi?
Siate dunque severi verso voi stessi e indulgenti verso gli altri. Pensate a Colui che giudica in ultima istanza, che vede i segreti pensieri di ogni cuore e che, di conseguenza, scusa sovente gli errori che voi biasimate, o condanna ciò che voi scusate, perché conosce il movente di tutte le azioni. E voi che gridate «anatema!» avrete magari commesso degli errori più gravi.
Siate indulgenti, amici miei, perché l'indulgenza unisce, calma, corregge, mentre il rigore scoraggia, allontana e irrita.
(Joseph, Spirito Protettore, Bordeaux, 1863)
17.
Siate indulgenti con le colpe degli altri, di qualunque colpa si
tratti. Giudicate con severità soltanto le vostre azioni, e il Signore
sarà indulgente con voi, come voi lo sarete stati con gli altri.
Sostenete i forti, incoraggiateli a essere perseveranti. Fortificate i deboli mostrando loro la bontà di Dio che tiene conto del minimo pentimento. Mostrate a tutti l'angelo del pentimento che stende la sua bianca ala sugli errori umani, nascondendoli così agli occhi di chi non può vedere ciò che è impuro. Comprendete tutti la misericordia infinita del Padre vostro e non dimenticate mai di dirgli con il vostro pensiero, ma soprattutto con le vostre azioni: «Perdonateci le nostre offese, come noi le perdoniamo a chi ci ha offesi». Comprendete bene il valore di queste sublimi parole. Mirabili non sono solo le parole, ma mirabile è anche ciò che esse racchiudono.
Che cosa domandate al Signore chiedendogli il perdono? Solamente l'oblio delle vostre offese? Oblio che vi lascerebbe nel nulla. Infatti se il Signore si accontentasse di dimenticare i vostri sbagli, non vi punirebbe, ma neppure vi ricompenserebbe. La ricompensa non può essere il premio del bene che non si è fatto e ancor meno del male che si è fatto, anche se questo male è stato dimenticato. Domandandogli perdono delle vostre trasgressioni, voi gli domandate il favore della Sua grazia per non ricadervi; la forza necessaria per entrare in un nuovo cammino, cammino di sottomissione e d'amore nel quale voi potete unire la riparazione al pentimento.
Quando voi perdonate ai vostri fratelli, non accontentatevi di stendere il velo dell'oblio sulle loro colpe. Questo velo è sovente molto trasparente ai vostri occhi. Donate amore quando perdonate, fate per loro ciò che domandereste al Padre vostro celeste di fare per voi. Sostituite la collera che avvelena con l'amore che purifica. Predicate con l'esempio quella carità attiva e instancabile che Gesù vi ha insegnato. Predicate come ha fatto Lui stesso tutto il tempo che è vissuto sulla Terra, visibile agli occhi fisici, e come ha continuato a predicare dopo che non è stato più visibile se non agli occhi dello Spirito. Seguite questo divino modello e camminate su queste tracce: esse vi condurranno al luogo dell'asilo dove troverete il riposo dopo la lotta. Come Lui, fatevi tutti carico della vostra croce e salite penosamente, ma coraggiosamente, il vostro calvario: sulla sua sommità c'è la glorificazione.
Sostenete i forti, incoraggiateli a essere perseveranti. Fortificate i deboli mostrando loro la bontà di Dio che tiene conto del minimo pentimento. Mostrate a tutti l'angelo del pentimento che stende la sua bianca ala sugli errori umani, nascondendoli così agli occhi di chi non può vedere ciò che è impuro. Comprendete tutti la misericordia infinita del Padre vostro e non dimenticate mai di dirgli con il vostro pensiero, ma soprattutto con le vostre azioni: «Perdonateci le nostre offese, come noi le perdoniamo a chi ci ha offesi». Comprendete bene il valore di queste sublimi parole. Mirabili non sono solo le parole, ma mirabile è anche ciò che esse racchiudono.
Che cosa domandate al Signore chiedendogli il perdono? Solamente l'oblio delle vostre offese? Oblio che vi lascerebbe nel nulla. Infatti se il Signore si accontentasse di dimenticare i vostri sbagli, non vi punirebbe, ma neppure vi ricompenserebbe. La ricompensa non può essere il premio del bene che non si è fatto e ancor meno del male che si è fatto, anche se questo male è stato dimenticato. Domandandogli perdono delle vostre trasgressioni, voi gli domandate il favore della Sua grazia per non ricadervi; la forza necessaria per entrare in un nuovo cammino, cammino di sottomissione e d'amore nel quale voi potete unire la riparazione al pentimento.
Quando voi perdonate ai vostri fratelli, non accontentatevi di stendere il velo dell'oblio sulle loro colpe. Questo velo è sovente molto trasparente ai vostri occhi. Donate amore quando perdonate, fate per loro ciò che domandereste al Padre vostro celeste di fare per voi. Sostituite la collera che avvelena con l'amore che purifica. Predicate con l'esempio quella carità attiva e instancabile che Gesù vi ha insegnato. Predicate come ha fatto Lui stesso tutto il tempo che è vissuto sulla Terra, visibile agli occhi fisici, e come ha continuato a predicare dopo che non è stato più visibile se non agli occhi dello Spirito. Seguite questo divino modello e camminate su queste tracce: esse vi condurranno al luogo dell'asilo dove troverete il riposo dopo la lotta. Come Lui, fatevi tutti carico della vostra croce e salite penosamente, ma coraggiosamente, il vostro calvario: sulla sua sommità c'è la glorificazione.
(Jean, vescovo di Bordeaux, 1862)
18. Cari
amici, siate severi con voi stessi, indulgenti con le debolezze degli
altri. Questa è ancora una pratica della santa carità che ben poche
persone osservano. Avete tutti delle cattive tendenze da vincere, dei
difetti da correggere, delle abitudini da modificare. Avete tutti un
fardello più o meno pesante da deporre per raggiungere la sommità della
montagna del progresso. Perché dunque vederci tanto bene quando si
tratta del prossimo ed essere così ciechi con voi stessi? Quando dunque
finirete di cogliere nell'occhio del fratello vostro il filo di paglia
che lo ferisce, e guarderete finalmente la vostra trave, che vi acceca e
vi porta di caduta in caduta? Credete nei vostri fratelli, gli Spiriti:
ogni uomo tanto orgoglioso da credersi superiore per virtù e meriti ai
suoi fratelli incarnati è un insensato e un colpevole, e Dio lo
castigherà il giorno del giudizio. Il vero carattere della carità è la
modestia e l'umiltà, che consistono nel vedere solo superficialmente i
difetti degli altri e nel cercare di valorizzare ciò che di buono e di
virtuoso è in loro. Infatti, se il cuore umano è un abisso di
corruzione, esiste pur sempre in qualche sua piega, sia pure molto
nascosta, il germe di un buon sentimento, scintilla viva dell'essenza
spirituale.
Spiritismo, dottrina consolante e benedetta! Beati quelli che la conoscono e che mettono a profitto i salutari insegnamenti degli Spiriti del Signore! Per loro, luce è stata fatta sul loro cammino, e lungo tutto il percorso possono leggere queste parole che indicano loro il modo di arrivare alla meta: carità pratica, carità di cuore, carità per il prossimo come per se stessi. In una parola, carità per tutti e amore di Dio sopra ogni cosa. Infatti l'amore di Dio riassume tutti i doveri ed è impossibile amare veramente Dio senza praticare la carità, che Egli ha elevato a legge per tutte le Sue creature.
Spiritismo, dottrina consolante e benedetta! Beati quelli che la conoscono e che mettono a profitto i salutari insegnamenti degli Spiriti del Signore! Per loro, luce è stata fatta sul loro cammino, e lungo tutto il percorso possono leggere queste parole che indicano loro il modo di arrivare alla meta: carità pratica, carità di cuore, carità per il prossimo come per se stessi. In una parola, carità per tutti e amore di Dio sopra ogni cosa. Infatti l'amore di Dio riassume tutti i doveri ed è impossibile amare veramente Dio senza praticare la carità, che Egli ha elevato a legge per tutte le Sue creature.
(Dufêtre, vescovo di Nevers, Bordeaux)
È consentito riprendersi gli altri; osservare le imperfezioni degli altri; rivelare il danno degli altri?
19. Poiché nessuno è perfetto, ne consegue che nessuno ha il diritto di redarguire il suo vicino?
Assolutamente no, perché ognuno ha il dovere di lavorare per il progresso di tutti e soprattutto di quelli di cui gli è stata affidata la tutela. Ma questa è una ragione per agire, con moderazione, per uno scopo utile e non, come per lo più si fa, per il piacere di denigrare. In questo caso, il biasimo sarebbe una cattiveria, nel primo è un dovere che la carità ordina di compiere con tutte le precauzioni possibili. E, ancora, il biasimo che si getta sugli altri sarebbe da rivolgere prima verso se stessi, domandandosi se non lo si merita.
Assolutamente no, perché ognuno ha il dovere di lavorare per il progresso di tutti e soprattutto di quelli di cui gli è stata affidata la tutela. Ma questa è una ragione per agire, con moderazione, per uno scopo utile e non, come per lo più si fa, per il piacere di denigrare. In questo caso, il biasimo sarebbe una cattiveria, nel primo è un dovere che la carità ordina di compiere con tutte le precauzioni possibili. E, ancora, il biasimo che si getta sugli altri sarebbe da rivolgere prima verso se stessi, domandandosi se non lo si merita.
(San Luigi, Parigi, 1860)
20. È
riprovevole notare le imperfezioni degli altri quando ciò non sia di
alcun vantaggio per loro, e quando esse non siano divulgate?
Tutto dipende dall'intenzione. Certamente non è vietato vedere il male quando c'è e sarebbe persino sconveniente vedere dappertutto solo bene: questa illusione nuocerebbe al progresso. La colpa consiste nel far ricadere queste osservazioni a detrimento del prossimo, nel denigrare senza necessità presso l'opinione pubblica. Sarebbe anche riprovevole farlo solo per compiacersi di un sentimento di malevolenza e di soddisfazione nel trovare gli altri in difetto. Ben diversamente è stendere un velo sul male, occultandolo al prossimo, e limitarsi a osservarlo per trarne un vantaggio, quello cioè di riflettere su come evitare ciò che si biasima negli altri. Questa osservazione, d'altra parte, non è forse utile al moralista? Come potrebbe tratteggiare i difetti dell'umanità se non ne studiasse i modelli?
Tutto dipende dall'intenzione. Certamente non è vietato vedere il male quando c'è e sarebbe persino sconveniente vedere dappertutto solo bene: questa illusione nuocerebbe al progresso. La colpa consiste nel far ricadere queste osservazioni a detrimento del prossimo, nel denigrare senza necessità presso l'opinione pubblica. Sarebbe anche riprovevole farlo solo per compiacersi di un sentimento di malevolenza e di soddisfazione nel trovare gli altri in difetto. Ben diversamente è stendere un velo sul male, occultandolo al prossimo, e limitarsi a osservarlo per trarne un vantaggio, quello cioè di riflettere su come evitare ciò che si biasima negli altri. Questa osservazione, d'altra parte, non è forse utile al moralista? Come potrebbe tratteggiare i difetti dell'umanità se non ne studiasse i modelli?
(San Luigi, Parigi, 1860)
21. Ci sono casi in cui è utile rivelare il male degli altri?
Questa domanda è molto delicata, ed è qui che bisogna fare appello alla carità inequivocabilmente compresa. Se le imperfezioni di un individuo non nuocciono ad altri che a lui stesso, non ci sarà mai utilità a farle conoscere. Ma, se possono portare danno ad altri, bisogna preferire l'interesse della maggioranza a quello di uno solo. Secondo le circostanze, smascherare l'ipocrisia e la menzogna può essere un dovere. Infatti è meglio che un uomo cada piuttosto che molti diventino suoi zimbelli o sue vittime. In casi simili, bisogna valutare i vantaggi e gli svantaggi.
Questa domanda è molto delicata, ed è qui che bisogna fare appello alla carità inequivocabilmente compresa. Se le imperfezioni di un individuo non nuocciono ad altri che a lui stesso, non ci sarà mai utilità a farle conoscere. Ma, se possono portare danno ad altri, bisogna preferire l'interesse della maggioranza a quello di uno solo. Secondo le circostanze, smascherare l'ipocrisia e la menzogna può essere un dovere. Infatti è meglio che un uomo cada piuttosto che molti diventino suoi zimbelli o sue vittime. In casi simili, bisogna valutare i vantaggi e gli svantaggi.
(San Luigi, Parigi, 1860)
Capitolo XI - AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO
Rendete a Cesare quello che è di Cesare
5. Allora
i .farisei si ritirarono e tennero consiglio per vedere di coglierlo in
fallo nelle sue parole. E gli mandarono i loro discepoli con gli
erodiani a dirgli: «Maestro, noi sappiamo
che sei sincero e insegni la via di Dio secondo la verità, e non hai
riguardi per nessuno, perché non badi all'apparenza delle persone. Dicci
dunque: Che te ne pare? È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» Ma
Gesù , conoscendo la loro malizia, disse: «Perché mi tentate, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli porsero un denaro. Ed egli domandò loro: «Di
chi è questa effigie e questa iscrizione?» Gli risposero: Di Cesare». E
Gesù disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio». Ed essi, udito ciò, si stupirono e, lasciatolo, se ne andarono. (Matteo 22:15-22; Marco 12:13-17)
6. La domanda posta a Gesù
era motivata dal fatto che i Giudei avevano una forte avversione per il
tributo loro imposto dai Romani, facendone una questione religiosa: si
era infatti formato un forte partito per rifiutare l'imposta. Il
pagamento era dunque per loro una fastidiosa questione d'attualità;
altrimenti la richiesta fatta a Gesù: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» non
avrebbe avuto nessun senso. Questa domanda era una trappola perché, a
seconda della Sua risposta, i Farisei speravano di mettergli contro o i
Romani o i Giudei dissidenti. Ma «Gesù, conoscendo la loro malizia»,
aggirò l'ostacolo dando loro una lezione di giustizia, dicendo di dare a
ognuno il dovuto (vedere Prefazione, paragrafo: "Pubblicani").
7. La massima: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare»
non dev'essere intesa in modo restrittivo e assoluto. Come tutti gli
insegnamenti di Gesù, questa massima è un principio generale, riassunto
sotto forma pratica e usuale, e dedotto da una circostanza particolare.
Questo principio è una conseguenza del principio che esorta ad agire
verso gli altri come noi vorremmo che gli altri agissero nei nostri
confronti. Condanna qualsiasi danno materiale e morale fatto ad altri,
qualsiasi violazione dei loro interessi. Prescrive il rispetto dei
diritti di ognuno, come ognuno desidera che si rispettino i propri. Si
estende al compimento dei doveri contratti con la famiglia, la società,
l'autorità, così come i doveri verso gli individui.
Istruzioni Degli Spiriti
La legge d'amore
8. L'amore
contiene in sé tutta la dottrina di Gesù in quanto è il sentimento per
eccellenza, e i sentimenti sono gli istinti, elevati a livello di
progresso compiuto. All'inizio, l'uomo ha solo degli istinti; a un
livello più avanzato e ancora corrotto, ha solo delle sensazioni; più
istruito e purificato, ha dei sentimenti. E il punto più alto del
sentimento è l'amore, non l'amore nel senso corrente del termine, ma
quel sole interiore che concentra e riunisce nel suo ardente focolare
tutte le aspirazioni e tutte le rivelazioni sovrumane. La legge
dell'amore sostituisce l'individualismo attraverso la fusione degli
esseri e annienta le miserie sociali. Beato colui che, superando la
propria umanità, ama di un profondo amore i suoi fratelli nel dolore!
Beato colui che ama perché non conosce lo sconforto dell'anima né quella
del corpo. Il suo passo è lieve e vive come trasportato fuori da se
stesso. Quando Gesù pronunciò questa parola divina dell'amore, essa fece
trasalire i popoli, e i martiri, inebriati di speranza, scesero nel
circo.
Lo Spiritismo viene a sua volta a pronunciare una seconda parola dell'alfabeto divino. Prestate attenzione, perché questa parola solleva la pietra delle tombe vuote; e la reincarnazione, trionfando sulla morte, rivela all'uomo accecato il suo patrimonio intellettuale. Non è più al supplizio che essa conduce, ma alla conquista del suo essere, elevato e trasfigurato. Il sangue ha riscattato lo Spirito, e lo Spirito deve oggi riscattare l'uomo dalla materia.
Ho detto che all'inizio l'uomo ha solo degli istinti. Dunque chi è dominato dagli istinti è più vicino al punto di partenza che alla meta. Per avanzare verso la meta, bisogna vincere gli istinti a vantaggio dei sentimenti, ossia perfezionare questi soffocando i germi latenti della materia. Gli istinti sono i germogli e l'embrione del sentimento; essi portano in sé il futuro progresso, come la ghianda racchiude in sé la quercia. E gli esseri meno progrediti sono quelli che, liberandosi solo poco per volta della loro crisalide, rimangono asserviti ai loro istinti.
Lo Spirito deve essere coltivato come un campo. Tutta la messe futura dipende dall'aratura di oggi e, più che beni terreni, vi darà una gloriosa elevazione. È allora che, comprendendo la legge d'amore che unisce tutti gli esseri, cercherete in essa il soave godimento dell'anima che è il preludio della felicità celeste.
Lo Spiritismo viene a sua volta a pronunciare una seconda parola dell'alfabeto divino. Prestate attenzione, perché questa parola solleva la pietra delle tombe vuote; e la reincarnazione, trionfando sulla morte, rivela all'uomo accecato il suo patrimonio intellettuale. Non è più al supplizio che essa conduce, ma alla conquista del suo essere, elevato e trasfigurato. Il sangue ha riscattato lo Spirito, e lo Spirito deve oggi riscattare l'uomo dalla materia.
Ho detto che all'inizio l'uomo ha solo degli istinti. Dunque chi è dominato dagli istinti è più vicino al punto di partenza che alla meta. Per avanzare verso la meta, bisogna vincere gli istinti a vantaggio dei sentimenti, ossia perfezionare questi soffocando i germi latenti della materia. Gli istinti sono i germogli e l'embrione del sentimento; essi portano in sé il futuro progresso, come la ghianda racchiude in sé la quercia. E gli esseri meno progrediti sono quelli che, liberandosi solo poco per volta della loro crisalide, rimangono asserviti ai loro istinti.
Lo Spirito deve essere coltivato come un campo. Tutta la messe futura dipende dall'aratura di oggi e, più che beni terreni, vi darà una gloriosa elevazione. È allora che, comprendendo la legge d'amore che unisce tutti gli esseri, cercherete in essa il soave godimento dell'anima che è il preludio della felicità celeste.
(Lazare, Parigi, 1862)
9. L'amore
è costituito di essenza divina e voi, dal primo all'ultimo, possedete
nel profondo del vostro cuore la scintilla di questo fuoco sacro. È un
fatto che voi avete potuto constatare molte volte: l'uomo, anche il più
abietto, il più vile, il più criminale, ha per un essere o per un
oggetto qualsiasi un affetto vivo e ardente, a prova di tutto ciò che
volesse sminuirlo, e che raggiunge sovente proporzioni sublimi.
Ho detto per un essere o un oggetto qualsiasi, perché esistono fra di voi degli individui che elargiscono tesori d'amore — di cui il loro cuore trabocca — agli animali, alle piante e persino agli oggetti: specie di misantropi, che si lamentano dell'umanità in generale, che si irrigidiscono nei confronti della tendenza naturale della loro anima, la quale cerca intorno a sé affetto e simpatia. Costoro riducono così la legge d'amore a livello di istinto. Ma, comunque facciano, non saprebbero soffocare il germe vivifico che Dio ha depositato nel loro cuore creandoli. Questo germe si sviluppa e cresce con la morale e l'intelligenza e, per quanto sovente schiacciato dall'egoismo, esso è la fonte delle sante e dolci virtù che rendono gli affetti sinceri e durevoli e che vi aiutano a rendere sicuro il cammino impervio e arido dell'esistenza umana.
Ci sono persone contrarie alla prova della reincarnazione in quanto rifiutano che altri possano partecipare alle affettuose simpatie di cui sono gelose. Poveri fratelli! È il vostro affetto che vi rende egoisti. Il vostro amore è ristretto a una cerchia intima di parenti o di amici, e tutti gli altri vi sono indifferenti. Ebbene, per mettere in pratica la legge d'amore come Dio la intende, bisogna che voi arriviate per gradi ad amare tutti i vostri fratelli indistintamente. Il compito sarà lungo e difficile, ma si compirà. Dio lo vuole, e la legge dell'amore è il primo e più importante precetto della vostra nuova dottrina, perché è con essa che un giorno si dovrà sbaragliare l'egoismo sotto qualsiasi forma si presenti; perché, oltre all'egoismo personale, c'è anche quello di famiglia, di casta, di nazionalità. Gesù ha detto «Ama il tuo prossimo come te stesso». Ora, qual è il limite del prossimo? È la famiglia, la setta, la nazione? No, è l'umanità tutta. Nei mondi superiori, è l'amore reciproco che armonizza e dirige gli Spiriti avanzati che li abitano. E il vostro pianeta, destinato a un futuro progresso in virtù della sua evoluzione sociale, metterà in pratica attraverso i suoi abitanti questa sublime legge, riflesso della Divinità.
Gli effetti della legge d'amore sono l'avanzamento morale della razza umana e la felicità durante la vita terrena. I più ribelli e i più viziosi dovranno trasformarsi quando vedranno i benefici prodotti dalla pratica di questo principio: «Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi, ma fate invece tutto il bene che è nelle vostre possibilità».
Non credete alla sterilità e all'irrigidimento del cuore umano. Esso cederà suo malgrado all'amore vero, che è una calamita alla quale non ci si può sottrarre, e il contatto di questo amore vivifica e feconda i germi della virtù che è nei vostri cuori allo stato latente. La Terra, luogo transitorio di prove e di esilio, sarà allora purificata da questo fuoco sacro e vedrà praticare la carità, l'umiltà, la pazienza, la dedizione, l'abnegazione, la rassegnazione, il sacrificio, tutte virtù figlie dell'amore. Non tralasciate dunque mai di ricordare le parole di Giovanni l'Evangelista. Voi lo sapete. Quando la malattia e la vecchiaia interruppero il corso delle sue predicazioni, egli ripeteva solo queste dolci parole: «Figlioli, amatevi gli uni con gli altri».
Amati e cari fratelli, mettete a profitto queste lezioni. Metterle in pratica è difficile, ma l'anima ne trae un bene immenso. Credetemi, fate lo sforzo sublime che io vi domando: Amatevi», e vedrete presto la Terra trasformarsi e diventare l'Eliseo dove le anime dei giusti verranno a godere il riposo.
Ho detto per un essere o un oggetto qualsiasi, perché esistono fra di voi degli individui che elargiscono tesori d'amore — di cui il loro cuore trabocca — agli animali, alle piante e persino agli oggetti: specie di misantropi, che si lamentano dell'umanità in generale, che si irrigidiscono nei confronti della tendenza naturale della loro anima, la quale cerca intorno a sé affetto e simpatia. Costoro riducono così la legge d'amore a livello di istinto. Ma, comunque facciano, non saprebbero soffocare il germe vivifico che Dio ha depositato nel loro cuore creandoli. Questo germe si sviluppa e cresce con la morale e l'intelligenza e, per quanto sovente schiacciato dall'egoismo, esso è la fonte delle sante e dolci virtù che rendono gli affetti sinceri e durevoli e che vi aiutano a rendere sicuro il cammino impervio e arido dell'esistenza umana.
Ci sono persone contrarie alla prova della reincarnazione in quanto rifiutano che altri possano partecipare alle affettuose simpatie di cui sono gelose. Poveri fratelli! È il vostro affetto che vi rende egoisti. Il vostro amore è ristretto a una cerchia intima di parenti o di amici, e tutti gli altri vi sono indifferenti. Ebbene, per mettere in pratica la legge d'amore come Dio la intende, bisogna che voi arriviate per gradi ad amare tutti i vostri fratelli indistintamente. Il compito sarà lungo e difficile, ma si compirà. Dio lo vuole, e la legge dell'amore è il primo e più importante precetto della vostra nuova dottrina, perché è con essa che un giorno si dovrà sbaragliare l'egoismo sotto qualsiasi forma si presenti; perché, oltre all'egoismo personale, c'è anche quello di famiglia, di casta, di nazionalità. Gesù ha detto «Ama il tuo prossimo come te stesso». Ora, qual è il limite del prossimo? È la famiglia, la setta, la nazione? No, è l'umanità tutta. Nei mondi superiori, è l'amore reciproco che armonizza e dirige gli Spiriti avanzati che li abitano. E il vostro pianeta, destinato a un futuro progresso in virtù della sua evoluzione sociale, metterà in pratica attraverso i suoi abitanti questa sublime legge, riflesso della Divinità.
Gli effetti della legge d'amore sono l'avanzamento morale della razza umana e la felicità durante la vita terrena. I più ribelli e i più viziosi dovranno trasformarsi quando vedranno i benefici prodotti dalla pratica di questo principio: «Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi, ma fate invece tutto il bene che è nelle vostre possibilità».
Non credete alla sterilità e all'irrigidimento del cuore umano. Esso cederà suo malgrado all'amore vero, che è una calamita alla quale non ci si può sottrarre, e il contatto di questo amore vivifica e feconda i germi della virtù che è nei vostri cuori allo stato latente. La Terra, luogo transitorio di prove e di esilio, sarà allora purificata da questo fuoco sacro e vedrà praticare la carità, l'umiltà, la pazienza, la dedizione, l'abnegazione, la rassegnazione, il sacrificio, tutte virtù figlie dell'amore. Non tralasciate dunque mai di ricordare le parole di Giovanni l'Evangelista. Voi lo sapete. Quando la malattia e la vecchiaia interruppero il corso delle sue predicazioni, egli ripeteva solo queste dolci parole: «Figlioli, amatevi gli uni con gli altri».
Amati e cari fratelli, mettete a profitto queste lezioni. Metterle in pratica è difficile, ma l'anima ne trae un bene immenso. Credetemi, fate lo sforzo sublime che io vi domando: Amatevi», e vedrete presto la Terra trasformarsi e diventare l'Eliseo dove le anime dei giusti verranno a godere il riposo.
(Fénelon, Bordeaux, 1861)
10.
Miei cari condiscepoli, gli Spiriti qui presenti vi dicono per mio
tramite: «Amatevi molto affinché siate amati». Questo pensiero è così
giusto, che voi troverete in esso tutto ciò che consola e calma le pene
di tutti i giorni. O meglio, mettendo in pratica questa saggia massima,
vi eleverete talmente al di sopra della materia che vi spiritualizzerete
prima di spogliarvi del vostro corpo. Avendo gli studi spiritisti
sviluppato in voi la comprensione del futuro, voi avete questa certezza:
l'avanzamento verso Dio, con tutte le promesse che rispondono alle
aspirazioni della vostra anima. Dovete perciò elevarvi molto in alto
così da giudicare senza gli impedimenti della materia e non dover
condannare il vostro prossimo prima di esservi rivolti con il pensiero a
Dio.
Amare, nel senso profondo della parola, vuol dire essere leali, probi, coscienziosi per fare agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi. Vuol dire cercare intorno a voi il senso intimo di tutti i dolori che affliggono i vostri fratelli per portare loro sollievo. Vuol dire considerare la grande famiglia umana come la propria, perché ritroverete questa famiglia in un dato periodo, in mondi più avanzati. E gli Spiriti che la compongono sono, come voi, figli di Dio, segnati in fronte per elevarsi fino all'infinito. È per questo che voi non potete rifiutare ai vostri fratelli ciò che Dio vi ha liberalmente dato, perché voi, da parte vostra, sareste ben felici che i vostri fratelli vi dessero ciò di cui voi avete bisogno. A tutte le sofferenze date dunque una parola di speranza e di appoggio affinché siate tutto amore, tutta giustizia.
Siate pur certi che queste sagge parole, «Amate molto per essere amati», faranno strada. Sono rivoluzionarie e seguono il cammino che è stato fissato, invariabile. Ma voi avete già avuto dei vantaggi. Voi che mi ascoltate siete infinitamente migliori di cent'anni fa, siete talmente cambiati a vostro vantaggio che accettate senza contestare un'infinità di idee nuove — che un tempo avreste rifiutato — sulla libertà e la fraternità. Pertanto, fra cent'anni voi accetterete con la stessa facilità quelle idee che ancora non sono potute entrare nella vostra mente.
Oggi che il movimento spiritista ha fatto un grande passo, voi potete constatare con quale rapidità le idee di giustizia e di rinnovamento racchiuse nelle istruzioni degli Spiriti vengono accettate da buona parte delle persone intelligenti. Il fatto è che queste idee rispondono a tutto ciò che vi è di divino in voi. Voi siete stati preparati da una semente feconda: quella del secolo scorso che ha seminato nella società le grandi idee del progresso. E, poiché tutto si concatena sotto la mano dell'Altissimo, tutte le lezioni ricevute e accettate saranno racchiuse in questo scambio universale dell'amore per il prossimo. Per mezzo di esso, gli Spiriti incarnati, giudicando meglio, sentendo meglio, si tenderanno la mano da una parte all'altra del vostro pianeta. Ci si riunirà per intendersi e amarsi, per debellare tutte le ingiustizie e tutte le cause di incomprensione fra i popoli.
Grande pensiero di rinnovamento per mezzo dello Spiritismo, così ben descritto ne Il libro degli Spiriti, tu produrrai il grande miracolo del secolo futuro, quello della riunione di tutti gli interessi materiali e spirituali degli uomini, per l'applicazione di questa massima finalmente ben compresa: «Amatevi molto per essere amati».
Amare, nel senso profondo della parola, vuol dire essere leali, probi, coscienziosi per fare agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi. Vuol dire cercare intorno a voi il senso intimo di tutti i dolori che affliggono i vostri fratelli per portare loro sollievo. Vuol dire considerare la grande famiglia umana come la propria, perché ritroverete questa famiglia in un dato periodo, in mondi più avanzati. E gli Spiriti che la compongono sono, come voi, figli di Dio, segnati in fronte per elevarsi fino all'infinito. È per questo che voi non potete rifiutare ai vostri fratelli ciò che Dio vi ha liberalmente dato, perché voi, da parte vostra, sareste ben felici che i vostri fratelli vi dessero ciò di cui voi avete bisogno. A tutte le sofferenze date dunque una parola di speranza e di appoggio affinché siate tutto amore, tutta giustizia.
Siate pur certi che queste sagge parole, «Amate molto per essere amati», faranno strada. Sono rivoluzionarie e seguono il cammino che è stato fissato, invariabile. Ma voi avete già avuto dei vantaggi. Voi che mi ascoltate siete infinitamente migliori di cent'anni fa, siete talmente cambiati a vostro vantaggio che accettate senza contestare un'infinità di idee nuove — che un tempo avreste rifiutato — sulla libertà e la fraternità. Pertanto, fra cent'anni voi accetterete con la stessa facilità quelle idee che ancora non sono potute entrare nella vostra mente.
Oggi che il movimento spiritista ha fatto un grande passo, voi potete constatare con quale rapidità le idee di giustizia e di rinnovamento racchiuse nelle istruzioni degli Spiriti vengono accettate da buona parte delle persone intelligenti. Il fatto è che queste idee rispondono a tutto ciò che vi è di divino in voi. Voi siete stati preparati da una semente feconda: quella del secolo scorso che ha seminato nella società le grandi idee del progresso. E, poiché tutto si concatena sotto la mano dell'Altissimo, tutte le lezioni ricevute e accettate saranno racchiuse in questo scambio universale dell'amore per il prossimo. Per mezzo di esso, gli Spiriti incarnati, giudicando meglio, sentendo meglio, si tenderanno la mano da una parte all'altra del vostro pianeta. Ci si riunirà per intendersi e amarsi, per debellare tutte le ingiustizie e tutte le cause di incomprensione fra i popoli.
Grande pensiero di rinnovamento per mezzo dello Spiritismo, così ben descritto ne Il libro degli Spiriti, tu produrrai il grande miracolo del secolo futuro, quello della riunione di tutti gli interessi materiali e spirituali degli uomini, per l'applicazione di questa massima finalmente ben compresa: «Amatevi molto per essere amati».
(Sanson, anziano membro della Società Spiritista di Parigi, 1863)
L'egoismo
11. L'egoismo,
questa piaga dell'umanità, deve sparire dalla Terra, di cui arresta il
progresso morale. È allo Spiritismo che è riservato il compito di far
salire la Terra nella gerarchia dei mondi. L'egoismo è dunque
l'obiettivo verso cui tutti i veri credenti devono dirigere le proprie
armi, le loro forze, il loro coraggio. Io dico coraggio, perché ce ne
vuole di più per vincere l'egoismo in se stessi che negli altri. Che
ognuno concentri dunque tutti i suoi sforzi per combatterlo in se
stesso, perché questo mostro che divora tutte le intelligenze, questo
figlio dell'orgoglio è l'origine di tutte le miserie di questo mondo. È
la negazione della carità e, di conseguenza, il maggiore ostacolo alla
felicità degli uomini.
Gesù vi ha dato l'esempio della carità e Ponzio Pilato dell'egoismo. Infatti, mentre il Giusto percorre le sante stazioni del martirio, Pilato si lava le mani dicendo: «Che m'importa!» E, rivolto ai Giudei, aggiunge: «Questo uomo è giusto, perché volete crocefiggerlo?» Ma ciononostante lascia che lo conducano al supplizio.
È a causa di questo antagonismo fra carità ed egoismo, è per l'invasione di questa lebbra nel cuore umano che il Cristianesimo deve ancora finire di compiere tutta la sua missione. È a voi, apostoli nuovi della fede, illuminati dagli Spiriti superiori, che incombe il compito e il dovere di estirpare questo male per dare al Cristianesimo tutta la sua forza, al fine di sgombrare il cammino dai rovi che intralciano la sua marcia. Cacciate l'egoismo dalla Terra affinché essa possa gravitare nella scala dei mondi, perché è tempo che l'umanità indossi i suoi panni valorosi. Per questo bisogna prima scacciare l'egoismo dai vostri cuori.
Gesù vi ha dato l'esempio della carità e Ponzio Pilato dell'egoismo. Infatti, mentre il Giusto percorre le sante stazioni del martirio, Pilato si lava le mani dicendo: «Che m'importa!» E, rivolto ai Giudei, aggiunge: «Questo uomo è giusto, perché volete crocefiggerlo?» Ma ciononostante lascia che lo conducano al supplizio.
È a causa di questo antagonismo fra carità ed egoismo, è per l'invasione di questa lebbra nel cuore umano che il Cristianesimo deve ancora finire di compiere tutta la sua missione. È a voi, apostoli nuovi della fede, illuminati dagli Spiriti superiori, che incombe il compito e il dovere di estirpare questo male per dare al Cristianesimo tutta la sua forza, al fine di sgombrare il cammino dai rovi che intralciano la sua marcia. Cacciate l'egoismo dalla Terra affinché essa possa gravitare nella scala dei mondi, perché è tempo che l'umanità indossi i suoi panni valorosi. Per questo bisogna prima scacciare l'egoismo dai vostri cuori.
(Emmanuel, Parigi, 1861)
12.
Se gli uomini si amassero di un bene comune, la carità verrebbe meglio
praticata. Ma per questo bisognerebbe che voi vi sforzaste di liberarvi
di quella corazza che copre i vostri cuori, per essere più sensibili
verso quelli che soffrono. La rigidità uccide i buoni sentimenti. Cristo
non si negava mai a chi si rivolgeva a Lui. Chiunque fosse, non veniva
respinto: la donna adultera, così come il criminale venivano da Lui
soccorsi. Non ha mai temuto che la Sua onorabilità potesse soffrirne.
Quando, dunque, lo prenderete a modello di tutte le vostre azioni? Se la carità regnasse sulla Terra, il malvagio non comanderebbe più, fuggirebbe vergognoso, si nasconderebbe, perché si troverebbe a disagio ovunque. E allora il male sparirebbe, siatene ben convinti.
Cominciate con il dare l'esempio voi stessi, siate caritatevoli verso tutti indistintamente. Sforzatevi di non dare importanza a quelli che vi guardano con sdegno e lasciate a Dio la cura di tutta la giustizia perché ogni giorno, nel Suo Regno, Egli separa il grano dal loglio.
L'egoismo è la negazione della carità. Ora, senza la carità non vi è nessuna tregua nella società. Dico di più, nessuna sicurezza. Con l'egoismo e l'orgoglio, che si danno la mano, sarà sempre una corsa favorevole al più scaltro, una lotta di interessi dove vengono calpestati gli affetti più santi, dove persino i sacri legami della famiglia non verranno rispettati.
Cominciate con il dare l'esempio voi stessi, siate caritatevoli verso tutti indistintamente. Sforzatevi di non dare importanza a quelli che vi guardano con sdegno e lasciate a Dio la cura di tutta la giustizia perché ogni giorno, nel Suo Regno, Egli separa il grano dal loglio.
L'egoismo è la negazione della carità. Ora, senza la carità non vi è nessuna tregua nella società. Dico di più, nessuna sicurezza. Con l'egoismo e l'orgoglio, che si danno la mano, sarà sempre una corsa favorevole al più scaltro, una lotta di interessi dove vengono calpestati gli affetti più santi, dove persino i sacri legami della famiglia non verranno rispettati.
(Pascal, Sens, 1862)
La fede e la carità
13. Vi
ho appena detto, miei cari figli, che la carità senza la fede non basta
assolutamente a mantenere fra gli uomini un ordine sociale capace di
renderli felici. Avrei dovuto dire che la carità non è possibile senza
la fede. Potrete incontrare, per la verità, degli slanci generosi anche
da parte di persone non religiose, ma è solo la fede che può ispirare
questa carità austera che si esercita solo con l'abnegazione e con il
sacrificio costante di tutti gli interessi egoistici, perché è solo la
fede che ci fa portare con coraggio e perseveranza la croce di questa
vita.
Sì, figli miei, invano l'uomo avido di piaceri vorrebbe farsi delle illusioni sul suo destino su questa Terra, sostenendo che a lui è per .messo di occuparsi solo della sua felicità. Di certo Dio ci ha creati per essere felici nell'eternità. Ciononostante la vita terrena deve unicamente servire al nostro perfezionamento morale, che si acquisisce più facilmente con l'aiuto del corpo e del mondo materiale. Senza contare che anche le vicissitudini ordinarie della vita, la diversità dei vostri gusti, delle vostre inclinazioni e dei vostri bisogni costituiscono un mezzo eccellente perché voi possiate perfezionarvi con l'esercizio della carità. Infatti, è solo a forza di concessioni e di sacrifici reciproci che voi potrete mantenere l'armonia fra elementi così diversi.
Avete tuttavia ragione quando affermate che la felicità è destinata all'uomo, qui sulla Terra, se la si cerca non nei piaceri materiali, ma nel bene. La storia della Cristianità parla di martiri che andavano al supplizio con gioia. Oggi, nella vostra società, non è necessario per essere cristiani né l'olocausto del martire né il sacrificio della vita, ma unicamente e semplicemente il sacrificio del vostro egoismo, del vostro orgoglio e della vostra vanità. Voi trionferete se la carità vi ispira e se la fede vi sostiene.
Sì, figli miei, invano l'uomo avido di piaceri vorrebbe farsi delle illusioni sul suo destino su questa Terra, sostenendo che a lui è per .messo di occuparsi solo della sua felicità. Di certo Dio ci ha creati per essere felici nell'eternità. Ciononostante la vita terrena deve unicamente servire al nostro perfezionamento morale, che si acquisisce più facilmente con l'aiuto del corpo e del mondo materiale. Senza contare che anche le vicissitudini ordinarie della vita, la diversità dei vostri gusti, delle vostre inclinazioni e dei vostri bisogni costituiscono un mezzo eccellente perché voi possiate perfezionarvi con l'esercizio della carità. Infatti, è solo a forza di concessioni e di sacrifici reciproci che voi potrete mantenere l'armonia fra elementi così diversi.
Avete tuttavia ragione quando affermate che la felicità è destinata all'uomo, qui sulla Terra, se la si cerca non nei piaceri materiali, ma nel bene. La storia della Cristianità parla di martiri che andavano al supplizio con gioia. Oggi, nella vostra società, non è necessario per essere cristiani né l'olocausto del martire né il sacrificio della vita, ma unicamente e semplicemente il sacrificio del vostro egoismo, del vostro orgoglio e della vostra vanità. Voi trionferete se la carità vi ispira e se la fede vi sostiene.
(Uno Spirito Protettore, Cracovia, 1861)
Carità verso i criminali
14.
La vera carità è uno dei più sublimi insegnamenti che Dio abbia dato al
mondo. Deve esistere, fra i veri discepoli della Sua dottrina, una
fraternità completa. Dovete amare gli infelici, i criminali, come
creature di Dio, alle quali saranno concessi, se si pentiranno, il
perdono e la misericordia, come li otterrete voi stessi per le colpe
commesse contro la Sua legge. Pensate che voi potete essere più
biasimevoli, più colpevoli di coloro ai quali rifiutate il perdono e la
commiserazione, perché sovente essi non conoscono Dio come voi Lo
conoscete, e a loro sarà chiesto meno che a voi.
Assolutamente non giudicate. Oh! Non giudicate assolutamente, miei cari amici, perché il giudizio che voi emettete sarà applicato a voi più severamente ancora, e voi avete bisogno di indulgenza, per i peccati che commettete continuamente. Non sapete che ci sono molte azioni che sono dei crimini agli occhi del Dio della purezza e che il mondo non considera neppure come colpe leggere?
La vera carità non consiste solamente nell'elemosina che fate, neppure nelle parole di consolazione con cui potete accompagnarla. No, non è solamente questo che Dio esige da voi. La carità sublime insegnata da Gesù consiste anche nella benevolenza concessa sempre e in tutte le cose al vostro prossimo. Voi potete anche esercitare questa sublime virtù con molti esseri che non hanno bisogno di elemosina, ma di parole d'amore, di consolazione, di incoraggiamento che li condurranno al Signore.
Vicini sono i tempi, lo dico ancora, in cui la grande fratellanza regnerà su questo globo, e la legge di Cristo sarà quella che reggerà gli uomini: solo ciò sarà il freno e la speranza e condurrà le anime alla dimora felice. Amatevi dunque come figli di uno stesso padre. Non fate nessuna differenza fra gli altri infelici, perché è Dio che vuole che tutti siano uguali. Non disprezzate dunque nessuno. Dio permette che i grandi criminali siano fra voi, affinché vi servano da insegnamento. Presto, quando gli uomini saranno guidati dalle vere leggi di Dio, non occorrerà più questo insegnamento, e tutti gli Spiriti impuri e ribelli saranno dispersi nei mondi inferiori coerentemente con le loro inclinazioni.
Elargite il soccorso delle vostre preghiere a quelli di cui io vi parlo: questa è la vera carità. Non bisogna dire di un criminale: «È un miserabile, bisogna liberarne la Terra; la morte che gli si infligge è persino troppo dolce per un essere di quella specie». No, non è assolutamente così che dovete parlare. Guardate, a vostro modello, Gesù. Che cosa direbbe se vedesse questo infelice vicino a Lui? Lo compiangerebbe, lo considererebbe come un ben miserabile malato e gli tenderebbe la mano. Voi, per la verità, non potete farlo, ma almeno potete pregare per lui, assistere il suo Spirito nei pochi minuti che può ancora trascorrere su questa Terra. Il pentimento può toccare il suo cuore, se voi pregate con fede. Egli fa parte del vostro prossimo, come ne fa parte il migliore degli uomini. La sua anima corrotta e ribelle è stata creata, come la vostra, per perfezionarsi. Aiutatelo dunque a uscire dalla palude e pregate per lui.
Assolutamente non giudicate. Oh! Non giudicate assolutamente, miei cari amici, perché il giudizio che voi emettete sarà applicato a voi più severamente ancora, e voi avete bisogno di indulgenza, per i peccati che commettete continuamente. Non sapete che ci sono molte azioni che sono dei crimini agli occhi del Dio della purezza e che il mondo non considera neppure come colpe leggere?
La vera carità non consiste solamente nell'elemosina che fate, neppure nelle parole di consolazione con cui potete accompagnarla. No, non è solamente questo che Dio esige da voi. La carità sublime insegnata da Gesù consiste anche nella benevolenza concessa sempre e in tutte le cose al vostro prossimo. Voi potete anche esercitare questa sublime virtù con molti esseri che non hanno bisogno di elemosina, ma di parole d'amore, di consolazione, di incoraggiamento che li condurranno al Signore.
Vicini sono i tempi, lo dico ancora, in cui la grande fratellanza regnerà su questo globo, e la legge di Cristo sarà quella che reggerà gli uomini: solo ciò sarà il freno e la speranza e condurrà le anime alla dimora felice. Amatevi dunque come figli di uno stesso padre. Non fate nessuna differenza fra gli altri infelici, perché è Dio che vuole che tutti siano uguali. Non disprezzate dunque nessuno. Dio permette che i grandi criminali siano fra voi, affinché vi servano da insegnamento. Presto, quando gli uomini saranno guidati dalle vere leggi di Dio, non occorrerà più questo insegnamento, e tutti gli Spiriti impuri e ribelli saranno dispersi nei mondi inferiori coerentemente con le loro inclinazioni.
Elargite il soccorso delle vostre preghiere a quelli di cui io vi parlo: questa è la vera carità. Non bisogna dire di un criminale: «È un miserabile, bisogna liberarne la Terra; la morte che gli si infligge è persino troppo dolce per un essere di quella specie». No, non è assolutamente così che dovete parlare. Guardate, a vostro modello, Gesù. Che cosa direbbe se vedesse questo infelice vicino a Lui? Lo compiangerebbe, lo considererebbe come un ben miserabile malato e gli tenderebbe la mano. Voi, per la verità, non potete farlo, ma almeno potete pregare per lui, assistere il suo Spirito nei pochi minuti che può ancora trascorrere su questa Terra. Il pentimento può toccare il suo cuore, se voi pregate con fede. Egli fa parte del vostro prossimo, come ne fa parte il migliore degli uomini. La sua anima corrotta e ribelle è stata creata, come la vostra, per perfezionarsi. Aiutatelo dunque a uscire dalla palude e pregate per lui.
(Elisabetta di Francia, Le Havre, 1862)
Dovresti rischiare la vita per un criminale?
15. Un
uomo è in pericolo di morte. Per salvarlo bisogna mettere a repentaglio
la propria vita. Ma si sa che quest'uomo è un malvagio e che, se si
salva, potrà commettere dei nuovi crimini. Si deve, malgrado ciò.
mettere a repentaglio la propria vita?
Questa è una questione molto grave che può presentarsi spontaneamente allo spirito. Risponderò secondo il mio progresso morale, dal momento che si tratta di sapere se dobbiamo rischiare la nostra vita pur trattandosi di un malfattore. L'abnegazione è cieca. Se soccorriamo un nemico, inevitabilmente dobbiamo soccorrere anche un nemico della società, in una parola un malfattore. Credete che basti la morte per liberarsi di questo infelice? Forse che la sua vita è già tutta trascorsa? Perché, pensate, in quei rapidi istanti in cui finiscono gli ultimi attimi della sua vita, l'uomo perduto rivede la sua vita passata o, meglio, essa si erge davanti a lui. La morte, forse, arriverà troppo presto per lui. La reincarnazione potrebbe essergli terribile. Coraggio, dunque, uomini! Voi, che la scienza spiritista ha illuminato, soccorretelo, strappatelo alla sua condanna. E allora, forse, questo uomo, che morirebbe imprecando contro di voi, si getterà nelle vostre braccia. Intanto, non è necessario domandarsi se lui lo farà o no. Salvandolo, ubbidite a quella voce del cuore che vi dice: «Tuoi salvarlo! Salvalo!»
Questa è una questione molto grave che può presentarsi spontaneamente allo spirito. Risponderò secondo il mio progresso morale, dal momento che si tratta di sapere se dobbiamo rischiare la nostra vita pur trattandosi di un malfattore. L'abnegazione è cieca. Se soccorriamo un nemico, inevitabilmente dobbiamo soccorrere anche un nemico della società, in una parola un malfattore. Credete che basti la morte per liberarsi di questo infelice? Forse che la sua vita è già tutta trascorsa? Perché, pensate, in quei rapidi istanti in cui finiscono gli ultimi attimi della sua vita, l'uomo perduto rivede la sua vita passata o, meglio, essa si erge davanti a lui. La morte, forse, arriverà troppo presto per lui. La reincarnazione potrebbe essergli terribile. Coraggio, dunque, uomini! Voi, che la scienza spiritista ha illuminato, soccorretelo, strappatelo alla sua condanna. E allora, forse, questo uomo, che morirebbe imprecando contro di voi, si getterà nelle vostre braccia. Intanto, non è necessario domandarsi se lui lo farà o no. Salvandolo, ubbidite a quella voce del cuore che vi dice: «Tuoi salvarlo! Salvalo!»
(Lamennais, Parigi, 1862)
Il massimo comandamento
1. I
farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si
radunarono; e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per
metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran
comandamento?» Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il
grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo è: "Ama il
tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta
la legge e i profeti». (Matteo 22:3440)
2. «Tutte
le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche
voi a loro; perché questa è la legge e i profeti». (Matteo 7:12) E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro. (Luca 6:31)
3. Perciò
il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi
servi. Avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era
debitore di diecimila talenti. E poiché quello non aveva i mezzi per
pagare, il suo signore comandò che fosse venduto lui con la moglie e i
figli e tutto quanto aveva, e che il debito fosse pagato. Perciò il
servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: «Abbi
pazienza con me e ti pagherò tutto». Il signore di quel servo, mosso a
compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ma quel servo,
uscito, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari; e,
afferratolo, lo strangolava dicendo: «Paga quello che devi!» Perciò il
conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: Abbi pazienza con me, e
ti pagherò». Ma l'altro non volle; anzi andò e lo fece imprigionare,
.finché avesse pagato il debito. I suoi conservi, veduto il fatto, ne
furono molto rattristati e andarono a riferire al loro signore tutto
l'accaduto. Allora il signore lo chiamò a sé e gli disse: Servo
malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne
supplicasti; non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho
avuto pietà di te?» E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli
aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva.
Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di
cuore al proprio fratello». (Matteo 18:23-35)
4. «Amare il prossimo come se stessi; fare agli altri tutte le cose che noi vogliamo che gli altri facciano a noi» è l'espressione
più completa della carità, in quanto riassume tutti i doveri verso il
prossimo. Non si può avere una guida più sicura a questo riguardo se non
prendendo per misura il fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a
noi. Con quale diritto si può esigere dai propri simili un buon
comportamento, indulgenza, benevolenza e dedizione se noi stessi non ne
abbiamo per gli altri? La pratica di queste massime tende
all'eliminazione dell'egoismo. Quando gli uomini le prenderanno come
regola della loro condotta e come base delle loro istituzioni,
comprenderanno la vera fratellanza e faranno regnare fra loro la pace e
la giustizia. Non ci saranno più né odio né dissenso, ma unione,
concordia e benevolenza reciproca.
Capitolo XII - AMATE I VOSTRI NEMICI
Rendere bene per male
1. «Voi
avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico".
Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono,
fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi
maltrattano e che vi perseguitano, affinché siate, figli del Padre
vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i
malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se
infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo
stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che
fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?» (...) «Poiché
io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e
dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli.» (Matteo 5:43-47, 20)
2. «Se
amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori
amano quelli che li amano. E se fate del bene a quelli che vi fanno dei
bene, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se
prestate a quelli dai quali sperate di ricevere, qual grazia ne avete?
Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto. Ma
amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il
vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; poiché egli è
buono verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi come è
misericordioso il Padre vostro.» (Luca 6:32-36)
3. Se l'amore del prossimo è
il principio della carità, amare i propri nemici ne è la sublime
applicazione, perché questa virtù è una delle più grandi vittorie
riportate sull'egoismo e sull'orgoglio.
Comunque, generalmente, si fraintende sul significato del termine amare, in questa circostanza. Gesù non ha affatto inteso, con queste parole, che si deve avere per il proprio nemico la tenerezza che si ha per un fratello o un amico. La tenerezza presuppone la fiducia. Ora, non si può avere fiducia in colui che si sa che ci vuole del male. Non si possono avere con lui le effusioni dell'amicizia, perché lo si ritiene capace di abusarne. Fra persone che diffidano le une delle altre, non si potrebbero avere quegli slanci di simpatia che ci sono fra persone che hanno affinità di pensiero. Infine, non si può trarre lo stesso piacere trovandosi con un nemico piuttosto che con un amico.
Questo sentimento è proprio conseguenza di una legge fisica: quella di assimilazioni e di repulsione dei fluidi. Il pensiero malevolo invia una corrente fluidica la cui sensazione è sgradevole; il pensiero benevolo vi avvolge in un'aura piacevole. In ciò sta la differenza fra le sensazioni che si provano in presenza di un amico o di un nemico. Amare i propri nemici non vuol dire, quindi, che non si debbano fare delle differenze fra loro e gli amici. Questo precetto sembra difficile, persino impossibile da mettere in pratica, solo perché si crede erroneamente che prescriva di dare ai nemici lo stesso posto che occupano gli amici nel nostro cuore. Se la povertà del linguaggio umano obbliga a servirsi di una stessa parola per esprimere sfumature diverse di sentimenti, sarà la ragione a dover fare i distinguo secondo il caso.
Amare i propri nemici, dunque, non significa affatto provare per loro affetto — che non esiste nella natura —, poiché la relazione con un nemico fa battere il cuore in modo ben diverso da quella con un amico. Amare i propri nemici sta nel non avere contro di loro né odio né rancore né desiderio di vendetta; sta nel perdonare senza secondi fini e senza condizioni il male che ci hanno fatto; sta nel non mettere ostacoli alla riconciliazione; sta nell'augurare loro del bene anziché del male; sta nel gioire anziché soffrire del bene che può loro capitare; sta nel tendere loro una mano in caso di necessità; sta nell'astenersi in parole e azioni da tutto ciò che può danneggiarli; sta infine nel rendere loro bene per male, senza volerli umiliare. Chiunque fa ciò adempie a quanto prescrive la massima: «Amate i vostri nemici».
Comunque, generalmente, si fraintende sul significato del termine amare, in questa circostanza. Gesù non ha affatto inteso, con queste parole, che si deve avere per il proprio nemico la tenerezza che si ha per un fratello o un amico. La tenerezza presuppone la fiducia. Ora, non si può avere fiducia in colui che si sa che ci vuole del male. Non si possono avere con lui le effusioni dell'amicizia, perché lo si ritiene capace di abusarne. Fra persone che diffidano le une delle altre, non si potrebbero avere quegli slanci di simpatia che ci sono fra persone che hanno affinità di pensiero. Infine, non si può trarre lo stesso piacere trovandosi con un nemico piuttosto che con un amico.
Questo sentimento è proprio conseguenza di una legge fisica: quella di assimilazioni e di repulsione dei fluidi. Il pensiero malevolo invia una corrente fluidica la cui sensazione è sgradevole; il pensiero benevolo vi avvolge in un'aura piacevole. In ciò sta la differenza fra le sensazioni che si provano in presenza di un amico o di un nemico. Amare i propri nemici non vuol dire, quindi, che non si debbano fare delle differenze fra loro e gli amici. Questo precetto sembra difficile, persino impossibile da mettere in pratica, solo perché si crede erroneamente che prescriva di dare ai nemici lo stesso posto che occupano gli amici nel nostro cuore. Se la povertà del linguaggio umano obbliga a servirsi di una stessa parola per esprimere sfumature diverse di sentimenti, sarà la ragione a dover fare i distinguo secondo il caso.
Amare i propri nemici, dunque, non significa affatto provare per loro affetto — che non esiste nella natura —, poiché la relazione con un nemico fa battere il cuore in modo ben diverso da quella con un amico. Amare i propri nemici sta nel non avere contro di loro né odio né rancore né desiderio di vendetta; sta nel perdonare senza secondi fini e senza condizioni il male che ci hanno fatto; sta nel non mettere ostacoli alla riconciliazione; sta nell'augurare loro del bene anziché del male; sta nel gioire anziché soffrire del bene che può loro capitare; sta nel tendere loro una mano in caso di necessità; sta nell'astenersi in parole e azioni da tutto ciò che può danneggiarli; sta infine nel rendere loro bene per male, senza volerli umiliare. Chiunque fa ciò adempie a quanto prescrive la massima: «Amate i vostri nemici».
4. Amare i propri nemici è
un non senso per il miscredente. Quello, per il quale la vita presente
rappresenta il tutto, vede nel suo nemico solo un essere nocivo, che
turba la sua tranquillità e crede di potersene sbarazzare solo con la
morte. Da qui il desiderio di vendetta, non essendoci nessun altro
interesse a perdonare se non quello di soddisfare il proprio orgoglio
agli occhi del mondo. Perdonare, in certi casi, gli sembra persino una
debolezza indegna di lui. Se non si vendica, conserva comunque del
rancore e un segreto desiderio di fare del male.
Per il credente, e per lo Spiritista in particolare, il modo di vedere è tutt'altro, perché egli volge lo sguardo al passato e al futuro, fra i quali la vita presente è solo un punto. Egli sa che, per la destinazione stessa della Terra, deve aspettarsi di trovare degli uomini cattivi e perversi; che le cattiverie alle quali è esposto fanno parte delle prove che deve subire. Il punto di vista elevato dal quale osserva gli rende le vicissitudini meno amare, sia che vengano da uomini o da cose. Se non si lamenta delle prove, non deve lamentarsi neppure di coloro che ne sono gli strumenti. Se, invece di lamentarsi, ringrazia Dio di metterlo alla prova, deve ringraziare la mano che gli dà l'occasione di dimostrare la sua pazienza e rassegnazione. Questi pensieri lo predispongono naturalmente al perdono. Egli sente inoltre che quanto più è generoso tanto più egli cresce ai suoi stessi occhi e si trova fuori dal tiro dei dardi del suo malvagio nemico.
Come l'uomo che occupa un livello elevato su questa Terra non si sente offeso dagli insulti di colui che ritiene inferiore, così avviene per chi nel mondo morale si eleva al di sopra del mondo materiale. Egli comprende che l'odio e il rancore lo avvilirebbero e lo sminuirebbero. Ora, per essere superiore al proprio avversario, bisogna avere un'anima più grande, più nobile, più generosa.
Per il credente, e per lo Spiritista in particolare, il modo di vedere è tutt'altro, perché egli volge lo sguardo al passato e al futuro, fra i quali la vita presente è solo un punto. Egli sa che, per la destinazione stessa della Terra, deve aspettarsi di trovare degli uomini cattivi e perversi; che le cattiverie alle quali è esposto fanno parte delle prove che deve subire. Il punto di vista elevato dal quale osserva gli rende le vicissitudini meno amare, sia che vengano da uomini o da cose. Se non si lamenta delle prove, non deve lamentarsi neppure di coloro che ne sono gli strumenti. Se, invece di lamentarsi, ringrazia Dio di metterlo alla prova, deve ringraziare la mano che gli dà l'occasione di dimostrare la sua pazienza e rassegnazione. Questi pensieri lo predispongono naturalmente al perdono. Egli sente inoltre che quanto più è generoso tanto più egli cresce ai suoi stessi occhi e si trova fuori dal tiro dei dardi del suo malvagio nemico.
Come l'uomo che occupa un livello elevato su questa Terra non si sente offeso dagli insulti di colui che ritiene inferiore, così avviene per chi nel mondo morale si eleva al di sopra del mondo materiale. Egli comprende che l'odio e il rancore lo avvilirebbero e lo sminuirebbero. Ora, per essere superiore al proprio avversario, bisogna avere un'anima più grande, più nobile, più generosa.
I nemici disincarnati
5. Lo spiritista ha anche
altri motivi per essere indulgente con i suoi nemici. Egli sa
innanzitutto che la cattiveria non è affatto uno stato permanente
dell'uomo, che essa attiene a una imperfezione passeggera e che, come il
bambino si corregge dei suoi difetti, così l'uomo malvagio riconoscerà
un giorno i suoi torti e diventerà buono.
Egli sa pure che la morte lo libera solo della presenza fisica del suo nemico, ma che costui può continuare con il suo odio anche dopo aver lasciato la Terra. Pertanto la vendetta fallirebbe il suo scopo e avrebbe, al contrario, l'effetto di produrre un ulteriore inasprimento che potrebbe continuare da un'esistenza all'altra. Spetta allo Spiritismo dimostrare, per mezzo dell'esperienza e della legge che regge i rapporti del mondo visibile con il mondo invisibile, che l'espressione «spegnere l'odio nel sangue» è completamente falsa e che è vero invece che è il sangue a nutrire l'odio anche oltre la tomba. Di conseguenza spetta allo Spiritismo dare una effettiva ragione d'essere e un'utilità pratica al perdono e alla sublime massima del Cristo «Amate i vostri nemici». Non ci sono cuori così perversi da essere insensibili alle buone maniere, anche se non se ne rendono conto. Con le buone maniere si elimina inoltre qualsiasi motivo di rappresaglia. Di un nemico possiamo così fare un amico prima e dopo la morte. Con le cattive maniere lo si inasprisce, ed è allora che serve da strumento della giustizia di Dio per punire chi non l'ha perdonato.
Egli sa pure che la morte lo libera solo della presenza fisica del suo nemico, ma che costui può continuare con il suo odio anche dopo aver lasciato la Terra. Pertanto la vendetta fallirebbe il suo scopo e avrebbe, al contrario, l'effetto di produrre un ulteriore inasprimento che potrebbe continuare da un'esistenza all'altra. Spetta allo Spiritismo dimostrare, per mezzo dell'esperienza e della legge che regge i rapporti del mondo visibile con il mondo invisibile, che l'espressione «spegnere l'odio nel sangue» è completamente falsa e che è vero invece che è il sangue a nutrire l'odio anche oltre la tomba. Di conseguenza spetta allo Spiritismo dare una effettiva ragione d'essere e un'utilità pratica al perdono e alla sublime massima del Cristo «Amate i vostri nemici». Non ci sono cuori così perversi da essere insensibili alle buone maniere, anche se non se ne rendono conto. Con le buone maniere si elimina inoltre qualsiasi motivo di rappresaglia. Di un nemico possiamo così fare un amico prima e dopo la morte. Con le cattive maniere lo si inasprisce, ed è allora che serve da strumento della giustizia di Dio per punire chi non l'ha perdonato.
6. Si possono dunque avere
dei nemici fra gli incarnati e fra i disincarnati. I nemici del mondo
invisibile manifestano la loro avversione attraverso le ossessioni e i
soggiogamenti, a cui molte persone sono soggette e che sono una variante
nelle prove della vita. Queste prove, come le altre, aiutano
l'avanzamento e devono essere accettate con rassegnazione, in quanto
conseguenza della natura inferiore del globo terrestre. Se non ci
fossero uomini cattivi sulla Terra, non ci sarebbero Spiriti cattivi
intorno alla Terra. Dunque, se si deve avere dell'indulgenza e della
benevolenza per i nemici incarnati, se ne deve avere anche per quelli
che sono disincarnati.
Un tempo si sacrificavano le vittime nel sangue per placare gli dei infernali, che altro non erano che gli Spiriti cattivi. Agli dei infernali sono succeduti i demoni, che sono la stessa cosa. Lo Spiritismo viene a dimostrare che questi demoni altro non sono che le anime degli uomini perversi, i quali non si sono ancora spogliati degli istinti materiali e che si possono placare solo sacrificando il proprio odio, ossia con la carità. La carità riesce non solo a impedir loro di fare del male, ma anche a ricondurli sulla via del bene, contribuendo alla loro salvezza. È così che la massima «Amate i vostri nemici» non è affatto circoscritta alla stretta cerchia della Terra e della vita presente, ma rientra nella grande legge della solidarietà e della fraternità universale.
Un tempo si sacrificavano le vittime nel sangue per placare gli dei infernali, che altro non erano che gli Spiriti cattivi. Agli dei infernali sono succeduti i demoni, che sono la stessa cosa. Lo Spiritismo viene a dimostrare che questi demoni altro non sono che le anime degli uomini perversi, i quali non si sono ancora spogliati degli istinti materiali e che si possono placare solo sacrificando il proprio odio, ossia con la carità. La carità riesce non solo a impedir loro di fare del male, ma anche a ricondurli sulla via del bene, contribuendo alla loro salvezza. È così che la massima «Amate i vostri nemici» non è affatto circoscritta alla stretta cerchia della Terra e della vita presente, ma rientra nella grande legge della solidarietà e della fraternità universale.
Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra
7. «Voi
avete udito che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io
vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla
guancia destra, porgigli anche l'altra; e a chi vuol litigare con te e
prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. Se uno ti costringe a
fare un miglio, fanne con lui due. Dà a chi ti chiede, e a chi desidera
un prestito da te, non voltar le spalle.» (Matteo 5:38-42)
8. I pregiudizi del mondo su
ciò che è stato definito convenzionalmente il punto d'onore danno luogo
a quella suscettibilità ombrosa, che nasce dall'orgoglio e
dall'esaltazione della personalità e che porta l'uomo a rendere ingiuria
per ingiuria, ferita per ferita, cosa che appare come giustizia per
colui il cui senso morale non si eleva al di sopra delle passioni
terrene. È per questo che la legge mosaica diceva: «Occhio per occhio,
dente per dente», legge consona ai tempi in cui viveva Mosè. Gesù è
venuto e ha detto: «Rendete bene per male». Ha detto inoltre: «Non
opponete resistenza al male che vi vogliono fare; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra». All'orgoglioso
questa massima può sembrare codardia, perché non comprende che ci vuole
più coraggio a sopportare un insulto che a vendicarsi, e ciò sempre a
causa del suo modo di vedere, che non va oltre il presente. Bisogna
allora prendere questa massima alla lettera? No, non più di quella che
dice di strappare il proprio occhio se esso è motivo di scandalo.
Portare questa massima alle estreme conseguenze sarebbe condannare ogni
reazione, persino legale, e lasciare via libera ai malvagi liberandoli
da ogni remora. Se non si ponesse un freno alla loro aggressività,
presto tutti i buoni ne sarebbero vittima. Lo stesso istinto di
conservazione, che è una legge di natura, avverte che non si deve
porgere benevolmente il collo all'assassino. Con queste parole Gesù non
ha dunque impedito di difendersi, ma ha condannato la vendetta, dicendo
di porgere l'altra guancia quando una è stata colpita, ossia, sotto
altra forma, di non rendere male al male. Dice che l'uomo deve accettare
con umiltà tutto ciò che tende a contenere il suo orgoglio; che è più
glorioso per lui essere colpito che colpire, sopportare pazientemente
un'ingiustizia che commetterne una; che è meglio essere ingannati che
ingannare, essere rovinati che rovinare. È, allo stesso tempo, la
condanna del duello, che è un'altra manifestazione dell'orgoglio.
La fede nella vita futura e nella giustizia di Dio, che non lascia mai il male impunito, può solo dare la forza di sopportare pazientemente gli attacchi fatti ai nostri interessi e al nostro amor proprio. È per questo che diciamo incessantemente: «Guardate avanti; più vi elevate con il pensiero al di sopra della vita materiale, meno sarete colpiti dalle cose della Terra».
La fede nella vita futura e nella giustizia di Dio, che non lascia mai il male impunito, può solo dare la forza di sopportare pazientemente gli attacchi fatti ai nostri interessi e al nostro amor proprio. È per questo che diciamo incessantemente: «Guardate avanti; più vi elevate con il pensiero al di sopra della vita materiale, meno sarete colpiti dalle cose della Terra».
Istruzioni Degli Spiriti
La vendetta
9. La
vendetta è uno degli ultimi relitti lasciatoci dai costumi barbari che
tendono a sparire fra gli uomini. Essa è, con il duello, una delle
ultime vestigia di quegli usi barbari sotto i quali si dibatteva
l'umanità agli albori dell'era cristiana. È per questo che la vendetta è
un indizio certo dello stato arretrato degli uomini, che se ne vanno
liberando, e degli Spiriti che possono ancora ispirarla. Dunque, amici
miei, questo sentimento non deve mai far vibrare l'animo di chiunque si
dica e si affermi spiritista. Vendicarsi, lo sapete, è talmente
contrario a questa prescrizione di Cristo: “Perdonate i vostri nemici!»
che chi si rifiuta di perdonare, non solo non è Spiritista, ma non è
nemmeno Cristiano. La vendetta è un'ispirazione così più funesta che la
falsità e la bassezza sono sue compagne inseparabili. In effetti, chi si
abbandona a questa fatale e cieca passione non si vendica quasi mai
apertamente. Quando è il più forte, aggredisce come un animale selvatico
colui che chiama suo nemico, accecato dalla passione, dalla collera e
dall'odio. Ma più frequentemente assume un atteggiamento ipocrita,
dissimulando nel profondo del suo cuore i cattivi sentimenti che lo
animano. Prende vie traverse, segue nell'ombra il suo nemico, il quale
nulla sospetta, e attende il momento propizio per colpirlo senza venirne
danneggiato. Si nasconde alla sua vista spiandolo continuamente, gli
tende degli odiosi tranelli e, all'occasione, mette del veleno nel suo
bicchiere. Quando il suo odio non giunge a queste estreme conseguenze,
lo attacca nella sua onorabilità e nei suoi affetti. Non indietreggia
davanti alla calunnia, e le sue perfide insinuazioni, abilmente sparse
ai quattro venti, vanno gonfiandosi cammin facendo. Così, quando il
perseguitato si presenta negli ambienti dove è passato il soffio
velenoso del suo calunniatore, si meraviglia di incontrare visi freddi
che prima conosceva amichevoli e benevoli. Si stupisce quando mani, che
una volta cercavano la sua, si rifiutano di stringergliela. Infine è
annientato quando i suoi amici più cari e vicini si girano e lo
sfuggono. Ah! Il vile che si vendica così è cento volte più colpevole di
chi affronta direttamente il nemico e lo insulta a viso aperto.
Via dunque questi barbari costumi! Via questi usi di altri tempi! Qualsiasi Spiritista che pretendesse di avere ancora oggi il diritto di vendicarsi sarebbe indegno di continuare a far parte della falange che ha assunto il motto: ,Fuori dalla carità, nessuna salvezza!» Ma no, non saprei arrendermi all'idea che un membro della grande famiglia spiritista possa mai cedere in futuro all'impulso della vendetta anziché a quello del perdono.
Via dunque questi barbari costumi! Via questi usi di altri tempi! Qualsiasi Spiritista che pretendesse di avere ancora oggi il diritto di vendicarsi sarebbe indegno di continuare a far parte della falange che ha assunto il motto: ,Fuori dalla carità, nessuna salvezza!» Ma no, non saprei arrendermi all'idea che un membro della grande famiglia spiritista possa mai cedere in futuro all'impulso della vendetta anziché a quello del perdono.
(Jules Olivier, Parigi, 1862)
L'odio
10.
Amatevi l'un l'altro e sarete felici. Assumetevi soprattutto il compito
di amare quelli che vi ispirano indifferenza, odio e disprezzo. Cristo,
che dovete erigere a vostro modello, vi ha dato l'esempio di questa
abnegazione. Missionario d'amore, ha amato fino a donare il Suo sangue e
la Sua vita. Il sacrificio che vi obbliga ad amare quelli che vi
offendono e vi perseguitano è penoso, ma è esattamente questo che vi
rende superiori a loro. Se voi li odiate come essi vi odiano, non valete
più di loro. È questa l'ostia immacolata offerta a Dio sull'altare dei
vostri cuori, l'ostia dai gradevoli profumi che salgono fino a Lui.
Quantunque, se la legge d'amore vuole che si amino indistintamente tutti
i fratelli, essa non corazzi il cuore dai cattivi comportamenti. È, al
contrario, la prova più penosa. Lo so perché durante la mia ultima
esistenza terrena ho provato questo tormento. Ma Dio è là e punisce in
questa vita e nell'altra quanti venissero meno alla legge d'amore. Non
dimenticate, miei cari figli, che l'amore avvicina a Dio e che l'odio ce
ne allontana.
(Fénelon, Bordeaux, 1861)
Il duello
11. È
veramente grande solo chi, considerando la vita come un viaggio che
deve condurlo alla meta, fa poco caso alle asperità del cammino e non si
lascia mai sviare neppure per un istante dalla dritta via. Gli occhi
incessantemente fissi alla meta, poco gli importa che i rovi e le spine
del sentiero possano causargli danno, giacché essi lo sfiorano appena
senza ferirlo e non gli impediscono di avanzare. Mettere a repentaglio
la propria vita per vendicarsi di una ingiuria vuol dire indietreggiare
davanti alle prove della vita. È sempre un crimine agli occhi di Dio, e
se voi non vi faceste ingannare dai pregiudizi, come succede, sarebbe
una ridicola e grandissima follia agli occhi degli uomini.
È criminosa la morte dovuta a un duello, persino la vostra legislazione lo riconosce. Nessuno ha diritto, in nessun caso, di attentare alla vita di un suo simile. È un crimine agli occhi di Dio che ha tracciato la vostra linea di condotta. Qui, più che in qualsiasi altro caso, voi siete giudici della vostra stessa causa. Ricordatevi che vi sarà perdonato secondo quanto voi stessi avrete perdonato. Attraverso il perdono vi avvicinate alla Divinità, perché la clemenza è sorella della potenza. Finché una sola goccia di sangue umano cadrà sulla Terra per mano dell'uomo, il vero Regno di Dio non sarà ancora giunto, questo regno di pacificazione e d'amore che deve bandire per sempre dal vostro globo l'animosità, la discordia, la guerra. Allora, la parola duello esisterà nel vostro linguaggio solo per indicare un ricordo lontano e vago di un passato che non è più: Gli uomini non conosceranno fra loro altro antagonismo che la nobile rivalità del bene.
È criminosa la morte dovuta a un duello, persino la vostra legislazione lo riconosce. Nessuno ha diritto, in nessun caso, di attentare alla vita di un suo simile. È un crimine agli occhi di Dio che ha tracciato la vostra linea di condotta. Qui, più che in qualsiasi altro caso, voi siete giudici della vostra stessa causa. Ricordatevi che vi sarà perdonato secondo quanto voi stessi avrete perdonato. Attraverso il perdono vi avvicinate alla Divinità, perché la clemenza è sorella della potenza. Finché una sola goccia di sangue umano cadrà sulla Terra per mano dell'uomo, il vero Regno di Dio non sarà ancora giunto, questo regno di pacificazione e d'amore che deve bandire per sempre dal vostro globo l'animosità, la discordia, la guerra. Allora, la parola duello esisterà nel vostro linguaggio solo per indicare un ricordo lontano e vago di un passato che non è più: Gli uomini non conosceranno fra loro altro antagonismo che la nobile rivalità del bene.
(Adolphe, Vescovo di Algeri, Marmande, 1861)
12.
Senza dubbio il duello può, in certi casi, essere una prova di coraggio
fisico, di disprezzo della vita, ma è incontestabilmente la prova di
una viltà morale, come il suicidio. Il suicida non ha il coraggio di
affrontare le vicissitudini della vita: il duellante non ha quello di
affrontare le offese. Cristo non vi ha forse detto che ci vuole più
coraggio a porgere la guancia sinistra a chi vi ha colpito la destra,
che a vendicare un affronto? Cristo non ha forse detto a Pietro,
nell'Orto degli Ulivi: «Rimettete le vostre spade nel fodero, perché chi di spada ucciderà, di spada morirà»? Con
queste parole Gesù non condanna forse per sempre il duello? Infatti,
figli miei, che cos'è questo coraggio che nasce da un temperamento
violento, sanguigno e collerico e che si adombra alla prima offesa? Dove
sta dunque la grandezza d'animo di colui che alla minima ingiuria vuole
lavare l'onta con il sangue? Ma che tremi! Perché sempre, in fondo alla
sua coscienza, una voce gli griderà: «Caino! Caino! Che cosa hai fatto a
tuo fratello?» «Ho dovuto ricorrere al sangue per salvare il mio
onore», così dirà a questa voce. Ma essa gli risponderà: «Hai voluto
salvare il tuo onore agli occhi degli uomini per quei pochi istanti che
ti restano da vivere sulla Terra e non hai pensato a salvarlo davanti a
Dio!» Povero insensato! Quanto sangue avrebbe allora dovuto domandare
Cristo per tutti gli oltraggi che ha ricevuto? Non solamente voi l'avete
ferito con le spine e la lancia, non soltanto lo avete appeso a un
patibolo infamante, ma, ancora nel mezzo della Sua agonia, Egli ha
potuto intendere lo scherno di cui veniva fatto oggetto. Quale
riparazione, dopo tanti oltraggi, vi ha domandato? L'ultimo grido
dell'Agnello fu una preghiera per i suoi aguzzini. Oh! Come Lui, anche
voi perdonate e pregate per quelli che vi offendono.
Amici, ricordate questo precetto: «Amatevi gli uni con gli altri» e allora a un colpo inferto dall'odio si risponderà con un sorriso e all'oltraggio con il perdono. Il mondo senza dubbio si ergerà furioso contro di voi e vi tratterà da vile, ma voi levate alta la testa e mostrate allora che la vostra fronte non teme di coronarsi di spine, sull'esempio di Cristo, ma che la vostra mano non vuole essere complice di un cosiddetto delitto autorizzato da una falsa apparenza di onore, che altro non è se non orgoglio e amor proprio. Creandovi, Dio vi ha dato forse il diritto di vita e di morte degli uni sugli altri? No, ha dato questo diritto solo alla natura, per riformarsi e ricostruirsi, ma a voi non ha minimamente permesso di disporre di voi stessi. Come il suicida, colui che duella sarà segnato dal sangue quando arriverà a Dio, e per l'uno e per l'altro il Sovrano Giudice tiene in serbo lunghi e aspri castighi. Se ha minacciato della sua giustizia chi dice raca a suo fratello, quanto sarà più severa la pena per chi apparirà davanti a Dio con le mani rosse del sangue di suo fratello!
Amici, ricordate questo precetto: «Amatevi gli uni con gli altri» e allora a un colpo inferto dall'odio si risponderà con un sorriso e all'oltraggio con il perdono. Il mondo senza dubbio si ergerà furioso contro di voi e vi tratterà da vile, ma voi levate alta la testa e mostrate allora che la vostra fronte non teme di coronarsi di spine, sull'esempio di Cristo, ma che la vostra mano non vuole essere complice di un cosiddetto delitto autorizzato da una falsa apparenza di onore, che altro non è se non orgoglio e amor proprio. Creandovi, Dio vi ha dato forse il diritto di vita e di morte degli uni sugli altri? No, ha dato questo diritto solo alla natura, per riformarsi e ricostruirsi, ma a voi non ha minimamente permesso di disporre di voi stessi. Come il suicida, colui che duella sarà segnato dal sangue quando arriverà a Dio, e per l'uno e per l'altro il Sovrano Giudice tiene in serbo lunghi e aspri castighi. Se ha minacciato della sua giustizia chi dice raca a suo fratello, quanto sarà più severa la pena per chi apparirà davanti a Dio con le mani rosse del sangue di suo fratello!
(Sant'Agostino, Parigi, 1862)
13.
Il duello, inteso come ciò che un tempo si chiamava Giudizio di Dio, è
una delle istituzioni barbare che ancora reggono la società. Che direste
voi se vedeste immergere i due antagonisti nell'acqua bollente o messi a
contatto di un ferro rovente per dirimere la loro disputa, e se vedeste
dare ragione a chi uscisse meglio dalle prove? Considerereste questo
costume insensato. Il duello è ancora peggio. Per un duellante
espertissimo, è un assassinio commesso a sangue freddo con la più
assoluta premeditazione, poiché egli è sicuro del colpo che andrà a
vibrare all'avversario. Per questo, invece quasi certo di soccombere a
causa della sua debolezza e della sua imperizia, è un suicidio commesso
con la più fredda premeditazione. So che sovente si cerca di evitare
questa alternativa, ugualmente criminale, affidandosi al caso. Ma allora
non è forse, sotto altra forma, un ritornare al Giudizio di Dio del
Medioevo? Per di più all'epoca si era infinitamente meno colpevoli. Il
nome stesso di Giudizio di Dio sta a indicare una fede — ingenua per la verità ma pur sempre una fede
— nella giustizia di Dio, che non poteva lasciar soccombere un innocente. Nel duello, invece, ci si affida alla forza bruta, cosicché è l'offeso spesso a soccombere.
Oh, stupido amor proprio, sciocca vanità e folle orgoglio, quando sarete dunque sostituiti dalla carità cristiana, dall'amore per il prossimo e dall'umiltà di cui Cristo ha dato l'esempio e il precetto? Allora soltanto spariranno questi mostruosi pregiudizi che ancora governano gli uomini e che le leggi sono impotenti a reprimere, perché non basta interdire il male e prescrivere il bene, bisogna che il principio del bene e l'orrore per il male siano nel cuore dell'uomo.
— nella giustizia di Dio, che non poteva lasciar soccombere un innocente. Nel duello, invece, ci si affida alla forza bruta, cosicché è l'offeso spesso a soccombere.
Oh, stupido amor proprio, sciocca vanità e folle orgoglio, quando sarete dunque sostituiti dalla carità cristiana, dall'amore per il prossimo e dall'umiltà di cui Cristo ha dato l'esempio e il precetto? Allora soltanto spariranno questi mostruosi pregiudizi che ancora governano gli uomini e che le leggi sono impotenti a reprimere, perché non basta interdire il male e prescrivere il bene, bisogna che il principio del bene e l'orrore per il male siano nel cuore dell'uomo.
(Uno Spirito Protettore, Bordeaux, 1861)
14.
Che opinione si avrà di me, dite voi sovente, se rifiuto la riparazione
che mi viene richiesta, o se non fa richiedo a chi mi ha offeso? I
pazzi come voi, gli uomini arretrati, vi biasimeranno, ma quelli
illuminati dalla fiaccola del progresso intellettuale e morale diranno
che voi agite secondo la vera saggezza. Riflettete un istante: per una
parola spesso detta a caso, e assolutamente inoffensiva, da parte di uno
dei vostri fratelli, il vostro orgoglio si sente urtato, per cui voi
gli rispondete in modo pungente, e da qui scaturisce una provocazione.
Prima di arrivare al momento decisivo, domandatevi se avete agito da
cristiano. Quale conto voi dovrete alla società se la priverete di uno
dei suoi membri? Pensate al rimorso di aver tolto a una moglie suo
marito, a una madre il figlio, a dei figli il padre, loro sostegno.
Certamente chi commette un'offesa deve all'offeso una riparazione. Ma
non sarebbe più onorevole per lui darla spontaneamente riconoscendo i
propri torti, anziché esporre la vita di chi ha diritto di lamentarsi?
Quanto all'offeso, convengo che qualche volta può trovarsi gravemente
colpito, sia nella sua persona sia in rapporto a coloro che gli sono
cari. Non è più soltanto in gioco l'amor proprio, il cuore è ferito,
soffre. Ma, oltre al fatto che è stupido giocarsi la vita per un
miserabile capace di un'infamia, anche se questi morisse, qualsiasi sia
stato il suo affronto, forse che tale affronto non esisterebbe più? Il
sangue sparso non dà più rinomanza a un fatto che, se fosse falso,
cadrebbe di per sé e, se fosse vero, dovrebbe rifugiarsi nel silenzio?
Non resta dunque che la soddisfazione della vendetta appagata. Triste
soddisfazione, ahimè! che sovente lascia già in questa vita dei cocenti
rimorsi. E se è l'offeso a soccombere, dov'è la riparazione?
Quando la carità sarà la regola di condotta degli uomini, essi conformeranno le loro azioni e le loro parole a questa massima: Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi». Allora spariranno tutte le cause di dissenso e, con esse, quelle che sono causa di duelli e di guerre, che sono poi duelli tra i popoli.
Quando la carità sarà la regola di condotta degli uomini, essi conformeranno le loro azioni e le loro parole a questa massima: Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi». Allora spariranno tutte le cause di dissenso e, con esse, quelle che sono causa di duelli e di guerre, che sono poi duelli tra i popoli.
(François-Xavier, Bordeaux, 1861)
15. L'uomo
di mondo, l'uomo fortunato che per una parola pungente, un motivo
banale, mette in gioco la sua vita, quella vita che Dio gli ha dato, e
mette a repentaglio la vita del suo simile, quella vita che appartiene
solo a Dio, costui è colpevole cento volte di più del miserabile che,
spinto dalla cupidigia, a volte dalla necessità, penetra nella casa
altrui, ruba ciò che brama e uccide chi lo intralcia nel suo piano.
Costui è quasi sempre un uomo senza alcuna educazione, che ha solo una
nozione approssimativa del bene e del male, mentre il duellante
appartiene quasi sempre alla classe più illuminata. L'uno uccide
brutalmente, l'altro con metodo e stile, cosa che lo rende scusabile
presso la società. Aggiungo anche che il duellante è infinitamente più
colpevole dell'infelice che, cedendo a un sentimento di vendetta, uccide
in un momento di esasperazione. Il duellante non ha la minima scusa,
perché anche se è preso dalla passione, fra l'offesa e la riparazione ha
sempre del tempo per riflettere. Egli agisce dunque freddamente e con
premeditazione. Tutto è calcolato e studiato per ammazzare con la
maggior certezza possibile l'avversario. È vero che espone egli pure la
sua vita, ed è questo che riabilita il duello agli occhi del mondo,
poiché vi si scorge un atto di coraggio e di sprezzo per la propria
vita. Ma c'è del vero coraggio quando si è sicuri di sé? Il duello,
residuo dei tempi della barbarie, quando il diritto del più forte faceva
la legge, sparirà con una più sana interpretazione del vero senso
dell'onore e man mano che l'uomo avrà una fede più viva nella vita
futura.
(Augustin, Bordeaux, 1861)
16. Nota
— I duelli diventano sempre più rari, ma di tanto in tanto se ne vedono
dolorosi esempi, benché il numero non sia paragonabile a quello di un
tempo. Allora, un uomo non usciva di casa senza prevedere uno scontro e
pertanto prendeva delle precauzioni.
Un segno caratteristico del costume dei tempi e dei popoli sta nella consuetudine di portare armi, esibite o celate, offensive e difensive. L'abolizione di questo uso testimonia il civilizzarsi dei costumi ed è interessante seguirne il progresso dall'epoca in cui i cavalieri non cavalcavano mai se non corazzati e armati di lancia, fino ad arrivare a munirsi di una semplice spada, divenuta più un ornamento e un accessorio del blasone che un'arma offensiva.
Un altro aspetto dei costumi è dato dal fatto che una volta i duelli individuali avevano luogo per strada, sotto gli occhi della gente, che si scostava per lasciare campo libero. Oggi ci si nasconde. Oggi la morte di un uomo è un avvenimento, un avvenimento che commuove. Una volta, invece, non ci si faceva caso. Lo Spiritismo toglierà quest'ultimo retaggio di barbarie, infondendo negli uomini lo spirito di carità e di fraternità.
Un segno caratteristico del costume dei tempi e dei popoli sta nella consuetudine di portare armi, esibite o celate, offensive e difensive. L'abolizione di questo uso testimonia il civilizzarsi dei costumi ed è interessante seguirne il progresso dall'epoca in cui i cavalieri non cavalcavano mai se non corazzati e armati di lancia, fino ad arrivare a munirsi di una semplice spada, divenuta più un ornamento e un accessorio del blasone che un'arma offensiva.
Un altro aspetto dei costumi è dato dal fatto che una volta i duelli individuali avevano luogo per strada, sotto gli occhi della gente, che si scostava per lasciare campo libero. Oggi ci si nasconde. Oggi la morte di un uomo è un avvenimento, un avvenimento che commuove. Una volta, invece, non ci si faceva caso. Lo Spiritismo toglierà quest'ultimo retaggio di barbarie, infondendo negli uomini lo spirito di carità e di fraternità.
Capitolo XIII - NON SAPPIA LATUA SINISTRA QUEL CHE FA LA DESTRA
Fare del bene senza ostentazione
1. «Guardatevi
dal praticare il bene davanti agli uomini, per essere osservati da
loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei
cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non far sonare la tromba davanti a
te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere
onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne
hanno. Ma quando tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quel
che fa la destra, affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il
Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.» (Matteo 6:1-4)
2. Quando
egli scese dal monte, una gran folla lo seguì. Ed ecco un lebbroso,
avvicinatosi, gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, se vuoi, tu
puoi purificarmi». Gesù, tesa la mano, lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii
purificato». E in quell'istante egli fu purificato dalla lebbra. Gesù
gli disse: «Guarda di non dirlo a nessuno, ma va, mostrati al sacerdote e
fa' l'offerta che Mosè ha prescritto, e ciò serva loro di
testimonianza». (Matteo 8:1-4)
3. Fare del bene senza
ostentazione è un grande merito, nascondere la mano che lo fa è ancora
più meritorio: è il segno incontestabile di una grande superiorità
morale perché, per vedere le cose da un livello più alto di quello
comune, bisogna prescindere dalla vita presente e identificarsi con la
vita futura. In una parola, bisogna collocarsi al di sopra dell'umanità
per poter rinunciare alla soddisfazione che ne deriva dalla
testimonianza degli uomini e attendere l'approvazione di Dio. Chi tiene
più al suffragio degli uomini che a quello di Dio dimostra che ha più
fede negli uomini che in Dio e che la vita presente vale per lui più di
quella futura o, persino, che non crede nella vita futura. Se sostiene
il contrario, è come se non credesse in quello che dice.
Quanti sono quelli che compiono il loro obbligo nella speranza che il beneficiato lo vada a gridare in giro, quanti quelli che alla luce del giorno donano ingenti somme e, quando non c'è nessuno che possa vedere, non darebbero una moneta! È per questo che Gesù ha detto: «Quelli che fanno della beneficenza con ostentazione hanno già ricevuto la loro ricompensa». Infatti, chi cerca la sua glorificazione sulla Terra per il bene che fa, si è già ricompensato da solo: Dio non gli deve più niente. Gli rimane solo la punizione per il suo orgoglio.
Non sappia la tua sinistra quel che fa la destra è una figura retorica che caratterizza mirabilmente la beneficenza offerta con modestia. Ma se c'è la vera modestia, c'è anche la modestia recitata, l'immagine della modestia. Ci sono persone che nascondono la mano che dona, avendo cura di lasciarne intravedere un po', preoccupandosi se qualcuno non li vede nasconderla. Indegna parodia delle massime di Cristo! Se i benefattori orgogliosi sono poco apprezzati dagli uomini, che cosa ne sarà al cospetto di Dio? Costoro hanno già ricevuto la loro ricompensa sulla Terra. Sono stati visti, sono soddisfatti di essere stati visti: questo è tutto ciò che avranno.
Quale sarà dunque la ricompensa per chi fa pesare la sua beneficenza sul beneficiato, obbligandolo in qualche modo a testimoniargli riconoscenza e facendogli sentire la sua posizione col sottolineare il prezzo dei sacrifici ch'egli s'impone per lui? Oh! Per costui non c'è neppure la ricompensa terrena, perché viene privato della dolce soddisfazione di sentire benedire il suo nome. E questo è il primo castigo per il suo orgoglio. Le lacrime che asciuga a vantaggio della propria vanità, anziché salire al cielo, ricadono sul cuore dell'afflitto e lo feriscono. Il bene che fa è senza vantaggio per quello perché gli viene rinfacciato e perché il bene rinfacciato è come una moneta falsa e perciò senza valore.
La beneficenza senza ostentazione ha doppio merito: oltre alla carità materiale, c'è la carità morale. Essa rispetta la sensibilità del beneficiato e gli fa accettare la beneficenza senza che il suo amor proprio ne soffra, salvaguardando la dignità dell'uomo, perché colui che accetterà un favore rifiuterebbe un'elemosina. Ora, fare di un favore un'elemosina, per il modo in cui lo si fa, vuoi dire umiliare chi lo riceve, e c'è sempre orgoglio e cattiveria nell'umiliare qualcuno. La vera carità, al contrario, è delicata poiché il beneficio offerto viene nobilmente dissimulato, per evitare che anche una minima causa possa ferire. Infatti qualsiasi ferita morale andrebbe ad aggiungersi alla sofferenza che nasce dal bisogno. La vera carità sa trovare parole dolci e affabili, che mettono il bisognoso a proprio agio di fronte al benefattore, mentre la carità orgogliosa lo schiaccia. Il massimo della vera generosità si raggiunge quando il benefattore, invertendo i ruoli, trova il modo per sembrare lui stesso il beneficato di fronte a colui al quale rende un servigio. Ecco che cosa vogliono dire le parole: «Non sappia la tua sinistra quel che fa la destra».
Quanti sono quelli che compiono il loro obbligo nella speranza che il beneficiato lo vada a gridare in giro, quanti quelli che alla luce del giorno donano ingenti somme e, quando non c'è nessuno che possa vedere, non darebbero una moneta! È per questo che Gesù ha detto: «Quelli che fanno della beneficenza con ostentazione hanno già ricevuto la loro ricompensa». Infatti, chi cerca la sua glorificazione sulla Terra per il bene che fa, si è già ricompensato da solo: Dio non gli deve più niente. Gli rimane solo la punizione per il suo orgoglio.
Non sappia la tua sinistra quel che fa la destra è una figura retorica che caratterizza mirabilmente la beneficenza offerta con modestia. Ma se c'è la vera modestia, c'è anche la modestia recitata, l'immagine della modestia. Ci sono persone che nascondono la mano che dona, avendo cura di lasciarne intravedere un po', preoccupandosi se qualcuno non li vede nasconderla. Indegna parodia delle massime di Cristo! Se i benefattori orgogliosi sono poco apprezzati dagli uomini, che cosa ne sarà al cospetto di Dio? Costoro hanno già ricevuto la loro ricompensa sulla Terra. Sono stati visti, sono soddisfatti di essere stati visti: questo è tutto ciò che avranno.
Quale sarà dunque la ricompensa per chi fa pesare la sua beneficenza sul beneficiato, obbligandolo in qualche modo a testimoniargli riconoscenza e facendogli sentire la sua posizione col sottolineare il prezzo dei sacrifici ch'egli s'impone per lui? Oh! Per costui non c'è neppure la ricompensa terrena, perché viene privato della dolce soddisfazione di sentire benedire il suo nome. E questo è il primo castigo per il suo orgoglio. Le lacrime che asciuga a vantaggio della propria vanità, anziché salire al cielo, ricadono sul cuore dell'afflitto e lo feriscono. Il bene che fa è senza vantaggio per quello perché gli viene rinfacciato e perché il bene rinfacciato è come una moneta falsa e perciò senza valore.
La beneficenza senza ostentazione ha doppio merito: oltre alla carità materiale, c'è la carità morale. Essa rispetta la sensibilità del beneficiato e gli fa accettare la beneficenza senza che il suo amor proprio ne soffra, salvaguardando la dignità dell'uomo, perché colui che accetterà un favore rifiuterebbe un'elemosina. Ora, fare di un favore un'elemosina, per il modo in cui lo si fa, vuoi dire umiliare chi lo riceve, e c'è sempre orgoglio e cattiveria nell'umiliare qualcuno. La vera carità, al contrario, è delicata poiché il beneficio offerto viene nobilmente dissimulato, per evitare che anche una minima causa possa ferire. Infatti qualsiasi ferita morale andrebbe ad aggiungersi alla sofferenza che nasce dal bisogno. La vera carità sa trovare parole dolci e affabili, che mettono il bisognoso a proprio agio di fronte al benefattore, mentre la carità orgogliosa lo schiaccia. Il massimo della vera generosità si raggiunge quando il benefattore, invertendo i ruoli, trova il modo per sembrare lui stesso il beneficato di fronte a colui al quale rende un servigio. Ecco che cosa vogliono dire le parole: «Non sappia la tua sinistra quel che fa la destra».
Le sventure nascoste
4. In occasione di grandi
calamità, la carità si manifesta in modo sommo e si verificano dei
generosi slanci per riparare i disastri. Ma, accanto a questi disastri
pubblici, ci sono migliaia di disastri privati che passano inosservati,
di persone che giacciono malate senza lamentarsi. Si tratta di disgrazie
discrete e nascoste, che la vera generosità sa andare a scoprire senza
che venga sollecitata alcuna assistenza.
Chi è quella donna dall'aspetto distinto, dall'abbigliamento semplice ma curato, seguita da una ragazza anch'essa vestita. con riservatezza? Che entra in una casa dall'apparenza poverissima, dove senza dubbio è conosciuta perché sulla porta la si saluta con rispetto? Dove va? Sale fino all'abbaino: là giace una madre circondata dai suoi bambini, e al suo arrivo la gioia brilla negli occhi di quei visi smunti. È colei che viene a lenire i loro dolori, che porta il necessario con dolci e consolanti parole, cosicché il beneficio viene accettato senza arrossire, perché questi sventurati non sono dei mendicanti di professione. Il padre è all'ospedale e la madre non può far fronte alle necessità della famiglia. Grazie a questa signora, quei poveri bambini non soffriranno né la fame né il freddo, andranno a scuola vestiti con abiti caldi e il seno della madre non diverrà arido per i più piccini. Se qualcuno di loro si ammala, la buona signora non avrà alcuna esitazione a prodigarsi per lui in tutto ciò di cui ha bisogno. Da qui, ella si reca all'ospedale per portare al padre qualche sollievo e tranquillizzarlo sulla sorte della famiglia.
All'angolo della strada l'attende un'automobile, un vero magazzino di cose d'ogni genere che porta ai suoi protetti, via via che compie il suo giro di visite. Lei non chiede né la loro fede né le loro opinioni, perché per lei tutti gli uomini sono fratelli e figli di Dio. Al termine della sua missione quotidiana, dice fra sé e sé: ««Ho incominciato bene la mia giornata». Come si chiama, dove abita? Nessuno lo sa: per gli infelici è un nome che non rivela niente. Ma è il loro angelo consolatore. E la sera un concerto di benedizioni si alza verso il Creatore: cattolici, ebrei, protestanti, tutti la benedicono.
Perché quell'abbigliamento così semplice? È perché non vuole insultare la miseria con il suo lusso. Perché si fa accompagnare da sua figlia? È per insegnarle come si fa a praticare la beneficenza. Anche sua figlia vorrebbe fare la carità, ma sua madre le dice: «Che cosa puoi dare, figlia mia, se non hai niente di tuo? Se io ti consegnassi qualcosa da passare agli altri, quale merito avresti? Sarei io per la verità a fare la beneficenza e il merito sarebbe tuo. Non è giusto. Quando andremo a far visita a un ammalato, tu mi aiuterai a curarlo. Ora, prestare delle cure è donare qualcosa. Non ti sembra sufficiente? Niente è più semplice. Impara anche a fare delle cose utili, per esempio, confezionare degli abiti per i bambini. In questo modo tu donerai qualche cosa che viene da te». È così che questa madre veramente cristiana educa sua figlia alla pratica delle virtù insegnate da Cristo. È una Spiritista? Che importa?
In privato, è una donna di società, perché la sua posizione lo esige, ma nessuno sa quello che fa, perché non vuole altra approvazione se non quella di Dio e della sua coscienza. Quando, un giorno, una circostanza imprevista porta da lei una delle sue protette per consegnarle un lavoro. Questa la riconosce e fa per benedire la sua protettrice. «Taci! — le dice. — Guarda di non dirlo a nessuno». Così ha parlato Gesù.
Chi è quella donna dall'aspetto distinto, dall'abbigliamento semplice ma curato, seguita da una ragazza anch'essa vestita. con riservatezza? Che entra in una casa dall'apparenza poverissima, dove senza dubbio è conosciuta perché sulla porta la si saluta con rispetto? Dove va? Sale fino all'abbaino: là giace una madre circondata dai suoi bambini, e al suo arrivo la gioia brilla negli occhi di quei visi smunti. È colei che viene a lenire i loro dolori, che porta il necessario con dolci e consolanti parole, cosicché il beneficio viene accettato senza arrossire, perché questi sventurati non sono dei mendicanti di professione. Il padre è all'ospedale e la madre non può far fronte alle necessità della famiglia. Grazie a questa signora, quei poveri bambini non soffriranno né la fame né il freddo, andranno a scuola vestiti con abiti caldi e il seno della madre non diverrà arido per i più piccini. Se qualcuno di loro si ammala, la buona signora non avrà alcuna esitazione a prodigarsi per lui in tutto ciò di cui ha bisogno. Da qui, ella si reca all'ospedale per portare al padre qualche sollievo e tranquillizzarlo sulla sorte della famiglia.
All'angolo della strada l'attende un'automobile, un vero magazzino di cose d'ogni genere che porta ai suoi protetti, via via che compie il suo giro di visite. Lei non chiede né la loro fede né le loro opinioni, perché per lei tutti gli uomini sono fratelli e figli di Dio. Al termine della sua missione quotidiana, dice fra sé e sé: ««Ho incominciato bene la mia giornata». Come si chiama, dove abita? Nessuno lo sa: per gli infelici è un nome che non rivela niente. Ma è il loro angelo consolatore. E la sera un concerto di benedizioni si alza verso il Creatore: cattolici, ebrei, protestanti, tutti la benedicono.
Perché quell'abbigliamento così semplice? È perché non vuole insultare la miseria con il suo lusso. Perché si fa accompagnare da sua figlia? È per insegnarle come si fa a praticare la beneficenza. Anche sua figlia vorrebbe fare la carità, ma sua madre le dice: «Che cosa puoi dare, figlia mia, se non hai niente di tuo? Se io ti consegnassi qualcosa da passare agli altri, quale merito avresti? Sarei io per la verità a fare la beneficenza e il merito sarebbe tuo. Non è giusto. Quando andremo a far visita a un ammalato, tu mi aiuterai a curarlo. Ora, prestare delle cure è donare qualcosa. Non ti sembra sufficiente? Niente è più semplice. Impara anche a fare delle cose utili, per esempio, confezionare degli abiti per i bambini. In questo modo tu donerai qualche cosa che viene da te». È così che questa madre veramente cristiana educa sua figlia alla pratica delle virtù insegnate da Cristo. È una Spiritista? Che importa?
In privato, è una donna di società, perché la sua posizione lo esige, ma nessuno sa quello che fa, perché non vuole altra approvazione se non quella di Dio e della sua coscienza. Quando, un giorno, una circostanza imprevista porta da lei una delle sue protette per consegnarle un lavoro. Questa la riconosce e fa per benedire la sua protettrice. «Taci! — le dice. — Guarda di non dirlo a nessuno». Così ha parlato Gesù.
L'obolo della vedova
5. Poi,
alzati gli occhi, Gesù vide dei ricchi che mettevano i loro doni nella
cassa delle offerte. Vide anche una vedova poveretta che vi metteva due
spiccioli; e disse: «In verità vi dico che questa povera vedova ha,
messo più di tutti; perché tutti costoro hanno messo nelle offerte del
loro superfluo; ma lei vi ha messo del suo necessario, tutto quello che
aveva per vivere». (Marco 12:41-44; Luca 21:1-4)
6. Molti rimpiangono di non
poter fare tutto il bene che vorrebbero, per mancanza di risorse, e se
desiderano la fortuna, dicono che è per farne buon uso. L'intenzione è
senza dubbio lodevole e può essere veramente sincera per qualcuno. Ma è
proprio certo che siano tutti completamente disinteressati? Non ci
saranno anche persone che, augurandosi di fare del bene agli altri, si
sentirebbero ben più a loro agio incominciando a farlo a se stessi? Per
concedersi qualche capriccio in più, per procurarsi qualcosa di
superfluo che ancora non si sono permessi, salvo poi dare il rimanente
ai poveri. Questi ripensamenti, che forse essi dissimulano persino a se
stessi, ma che ritroverebbero in fondo al loro cuore se vi scavassero,
annullano il merito dell'intenzione, perché la vera carità è rivolta
agli altri prima che a se stessi.
Il sublime della carità, in questo caso, sarebbe di cercare nel proprio lavoro, con l'impiego delle proprie forze, della propria intelligenza, del proprio talento, le risorse che mancano per realizzare le proprie generose intenzioni. Questo è il sacrificio più grato a Dio. Purtroppo la maggior parte rincorre facili guadagni per arricchirsi tutto d'un colpo e senza fatica, rincorre chimere, quali la scoperta di tesori, un'occasione aleatoria favorevole, il recupero di eredità insperate ecc. E che dire di coloro che sperano di trovare, per essere assecondati in ricerche di questo genere, l'aiuto degli Spiriti? Sicuramente essi non conoscono e non comprendono il fine sacro dello Spiritismo e, ancor meno, la missione degli Spiriti ai quali Dio permette di comunicare con gli uomini. Così sono puniti dalle loro stesse disillusioni. (Il libro dei medium, nn. 294, 295)
Coloro le cui idee sono epurate da tutte le intenzioni personali devono consolarsi per l'impossibilità di fare tutto il bene che vorrebbero, pensando che l'offerta del povero, che dona privandosi, pesa di più, sulla bilancia di Dio, dell'oro del ricco, che dà senza privarsi di niente. Senza dubbio la soddisfazione di poter soccorrere largamente l'indigente sarà grande, ma se non è possibile, bisogna rassegnarsi e limitarsi a fare quello che si può. D'altra parte, non è solo con l'oro che si possono asciugare le lacrime, e si deve forse rimanere inattivi perché non se ne possiede? Chi vuole realmente rendersi utile verso i propri fratelli, trova mille opportunità. Le cerchi e finirà col trovarle, se non in un modo, sarà in un altro. Non esiste infatti nessuno, in grado di intendere e di volere, che non possa rendere un qualsiasi servigio, dare una consolazione, alleviare una sofferenza fisica o morale, fare un passo utile per il prossimo. In mancanza di soldi, chi di noi non ha un lavoro, del tempo, un momento di pausa di cui non possa dare una parte agli altri? Anche in ciò consiste l'elemosina del povero, l'obolo della vedova.
Il sublime della carità, in questo caso, sarebbe di cercare nel proprio lavoro, con l'impiego delle proprie forze, della propria intelligenza, del proprio talento, le risorse che mancano per realizzare le proprie generose intenzioni. Questo è il sacrificio più grato a Dio. Purtroppo la maggior parte rincorre facili guadagni per arricchirsi tutto d'un colpo e senza fatica, rincorre chimere, quali la scoperta di tesori, un'occasione aleatoria favorevole, il recupero di eredità insperate ecc. E che dire di coloro che sperano di trovare, per essere assecondati in ricerche di questo genere, l'aiuto degli Spiriti? Sicuramente essi non conoscono e non comprendono il fine sacro dello Spiritismo e, ancor meno, la missione degli Spiriti ai quali Dio permette di comunicare con gli uomini. Così sono puniti dalle loro stesse disillusioni. (Il libro dei medium, nn. 294, 295)
Coloro le cui idee sono epurate da tutte le intenzioni personali devono consolarsi per l'impossibilità di fare tutto il bene che vorrebbero, pensando che l'offerta del povero, che dona privandosi, pesa di più, sulla bilancia di Dio, dell'oro del ricco, che dà senza privarsi di niente. Senza dubbio la soddisfazione di poter soccorrere largamente l'indigente sarà grande, ma se non è possibile, bisogna rassegnarsi e limitarsi a fare quello che si può. D'altra parte, non è solo con l'oro che si possono asciugare le lacrime, e si deve forse rimanere inattivi perché non se ne possiede? Chi vuole realmente rendersi utile verso i propri fratelli, trova mille opportunità. Le cerchi e finirà col trovarle, se non in un modo, sarà in un altro. Non esiste infatti nessuno, in grado di intendere e di volere, che non possa rendere un qualsiasi servigio, dare una consolazione, alleviare una sofferenza fisica o morale, fare un passo utile per il prossimo. In mancanza di soldi, chi di noi non ha un lavoro, del tempo, un momento di pausa di cui non possa dare una parte agli altri? Anche in ciò consiste l'elemosina del povero, l'obolo della vedova.
Invitare i poveri e gli storpi
7.
Diceva pure a colui che lo aveva invitato: 'Quando fai un pranzo o una
cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti,
né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta invitare te, e
così ti sarebbe reso il contraccambio ; ma quando fai un convito, chiama
poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato, perché non hanno modo di
contraccambiare; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione
dei giusti». Uno degli invitati, udite queste cose, gli disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!» (Luca 14:12-15)
8. «Quando fai un pranzo o una cena — dice Gesù — non invitare i tuoi amici, ma chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi.»
Queste parole, assurde se le si prende alla lettera, sono sublimi se se ne cerca lo spirito. Gesù non può aver voluto dire che invece degli amici bisogna mettere intorno alla propria tavola i mendicanti della strada. Il Suo linguaggio era quasi sempre allusivo e, per degli uomini incapaci di comprendere le delicate sfumature del pensiero, ci volevano delle immagini forti, che producessero l'effetto dei colori dai toni vivi. La sostanza del Suo pensiero viene rivelato da queste parole: «Tu sarai beato, perché essi non hanno modo di contraccambiare». In altre parole: non si deve assolutamente fare il bene in vista di un compenso, ma per il solo piacere di farlo. E per fare un esempio che colpisca, dice che siano invitati al banchetto i poveri che non potranno, come ben si sa, restituirlo. E per banchetto bisogna intendere non il pasto propriamente detto, ma la partecipazione all'abbondanza di cui gli altri fruiscono.
Ciononostante, queste parole possono venire applicate anche in senso più letterale. Quante le persone che invitano alla loro tavola solo quelli che possono, come essi dicono, onorarli o invitarli a loro volta! Altri invece trovano soddisfazione nel ricevere quei parenti o amici meno fortunati. E chi non ne ha fra i suoi? A volte si tratta di rendere loro un grande favore senza averne l'aria. Costoro, senza andare a reclutare ciechi e zoppi, mettono in pratica la massima di Gesù, se lo fanno per beneficenza, senza ostentazione, e se sanno dissimulare il beneficio con sincero senso di ospitalità.
Queste parole, assurde se le si prende alla lettera, sono sublimi se se ne cerca lo spirito. Gesù non può aver voluto dire che invece degli amici bisogna mettere intorno alla propria tavola i mendicanti della strada. Il Suo linguaggio era quasi sempre allusivo e, per degli uomini incapaci di comprendere le delicate sfumature del pensiero, ci volevano delle immagini forti, che producessero l'effetto dei colori dai toni vivi. La sostanza del Suo pensiero viene rivelato da queste parole: «Tu sarai beato, perché essi non hanno modo di contraccambiare». In altre parole: non si deve assolutamente fare il bene in vista di un compenso, ma per il solo piacere di farlo. E per fare un esempio che colpisca, dice che siano invitati al banchetto i poveri che non potranno, come ben si sa, restituirlo. E per banchetto bisogna intendere non il pasto propriamente detto, ma la partecipazione all'abbondanza di cui gli altri fruiscono.
Ciononostante, queste parole possono venire applicate anche in senso più letterale. Quante le persone che invitano alla loro tavola solo quelli che possono, come essi dicono, onorarli o invitarli a loro volta! Altri invece trovano soddisfazione nel ricevere quei parenti o amici meno fortunati. E chi non ne ha fra i suoi? A volte si tratta di rendere loro un grande favore senza averne l'aria. Costoro, senza andare a reclutare ciechi e zoppi, mettono in pratica la massima di Gesù, se lo fanno per beneficenza, senza ostentazione, e se sanno dissimulare il beneficio con sincero senso di ospitalità.
Istruzioni Degli Spiriti
La carità materiale e la carità morale
9.
«Amiamoci l'un l'altro e facciamo agli altri quello che vorremmo fosse
fatto a noi». Tutta la religione, tutta la morale si trovano racchiuse
in questi due precetti. Se in questo mondo venissero osservati, sareste
tutti perfetti: non più odio, non più risentimenti. Dirò ancora di più:
non più povertà, perché i poveri si nutrirebbero del superfluo della
tavola di ogni ricco, e non si vedrebbero più, nei bui quartieri dove io
ho abitato nella mia ultima incarnazione, delle povere donne
trascinarsi dietro miserabili bambini privi di tutto.
Ricchi! Pensateci, fate del vostro meglio per aiutare gli infelici, date affinché Dio vi renda un giorno il bene che voi avrete fatto, affinché usciti dal vostro involucro terreno troviate a ricevervi, sulla soglia di un mondo più felice, un corteo di Spiriti riconoscenti.
Se sapeste la gioia che ho provato nel ritrovare nei Cieli quelli che avevo potuto beneficiare nella mia vita!...
Amate dunque il vostro prossimo, amatelo come voi stessi, perché, ora lo sapete, l'infelice che rifiutate può essere un fratello, un padre, un amico che oggi mandate via lontano da voi. E allora grande sarà la vostra disperazione riconoscendolo nel mondo degli Spiriti!
Mi auguro che comprendiate bene che cosa può essere la carità morale, quella che ognuno può mettere in pratica, quella che non costa niente materialmente e che tuttavia è la più difficile da mettere in pratica.
La carità morale consiste nel sopportarsi gli uni con gli altri, ed è ciò che si fa meno in questo mondo inferiore dove vi trovate momentaneamente incarnati. C'è un grande merito, credetemi, nel saper tacere per lasciar parlare uno più sciocco di noi, e questo è un altro genere di carità. Saper essere sordi quando una parola di dileggio sfugge da una bocca abituata a schernire; non vedere il sorriso di sufficienza che accoglie il vostro ingresso in case di certa gente che, sovente a torto, si crede superiore a voi, mentre nella vita spiritista, la sola vera, questa gente a volte ne è ben lontana: ecco un merito, non di umiltà, ma di carità, perché non dare retta ai torti altrui è carità morale.
Ciononostante, questa carità non deve esimerci dall'altra. Pensate soprattutto a non disprezzare il vostro simile; ricordatevi tutto quello che vi ho già detto: bisogna ricordarsi continuamente che, nel povero rifiutato, voi scacciate forse uno Spirito che vi era caro e che ora si trova momentaneamente in una posizione di inferiorità rispetto alla vostra. Ho rivisto un povero della vostra Terra che io ho potuto, fortunatamente, beneficiare alcune volte e che mi succede oggi di implorare a mia volta.
Ricordatevi che Gesù ha detto che siamo tutti fratelli e pensate sempre a ciò prima di mandare via un lebbroso o un mendicante. Addio. Pensate a quelli che soffrono e pregate.
Ricchi! Pensateci, fate del vostro meglio per aiutare gli infelici, date affinché Dio vi renda un giorno il bene che voi avrete fatto, affinché usciti dal vostro involucro terreno troviate a ricevervi, sulla soglia di un mondo più felice, un corteo di Spiriti riconoscenti.
Se sapeste la gioia che ho provato nel ritrovare nei Cieli quelli che avevo potuto beneficiare nella mia vita!...
Amate dunque il vostro prossimo, amatelo come voi stessi, perché, ora lo sapete, l'infelice che rifiutate può essere un fratello, un padre, un amico che oggi mandate via lontano da voi. E allora grande sarà la vostra disperazione riconoscendolo nel mondo degli Spiriti!
Mi auguro che comprendiate bene che cosa può essere la carità morale, quella che ognuno può mettere in pratica, quella che non costa niente materialmente e che tuttavia è la più difficile da mettere in pratica.
La carità morale consiste nel sopportarsi gli uni con gli altri, ed è ciò che si fa meno in questo mondo inferiore dove vi trovate momentaneamente incarnati. C'è un grande merito, credetemi, nel saper tacere per lasciar parlare uno più sciocco di noi, e questo è un altro genere di carità. Saper essere sordi quando una parola di dileggio sfugge da una bocca abituata a schernire; non vedere il sorriso di sufficienza che accoglie il vostro ingresso in case di certa gente che, sovente a torto, si crede superiore a voi, mentre nella vita spiritista, la sola vera, questa gente a volte ne è ben lontana: ecco un merito, non di umiltà, ma di carità, perché non dare retta ai torti altrui è carità morale.
Ciononostante, questa carità non deve esimerci dall'altra. Pensate soprattutto a non disprezzare il vostro simile; ricordatevi tutto quello che vi ho già detto: bisogna ricordarsi continuamente che, nel povero rifiutato, voi scacciate forse uno Spirito che vi era caro e che ora si trova momentaneamente in una posizione di inferiorità rispetto alla vostra. Ho rivisto un povero della vostra Terra che io ho potuto, fortunatamente, beneficiare alcune volte e che mi succede oggi di implorare a mia volta.
Ricordatevi che Gesù ha detto che siamo tutti fratelli e pensate sempre a ciò prima di mandare via un lebbroso o un mendicante. Addio. Pensate a quelli che soffrono e pregate.
(Sorella Rosalie, Parigi, 1860)
10. Miei amici, ho sentito molti di voi dire: «Come posso fare la carità? Spesso non ho neppure il necessario per me!»
La carità, amici miei, si può fare in molti modi. Potete fare la carità con il pensiero, con le parole e con le azioni. Con il pensiero: pregando per i poveri abbandonati che sono morti senza essere stati in grado di vedere la luce; una preghiera col cuore li solleva. Con le parole: rivolgendo ai vostri compagni di tutti i giorni qualche buon consiglio. Dite agli uomini inaspriti dalla disperazione e dalle privazioni, che bestemmiano il nome dell'Altissimo: «Io ero come voi, ho sofferto, sono stato infelice, ma ho creduto nello Spiritismo e, vedete, ora sono felice». Ai vecchi che vi dicono: «È inutile, sono alla fine della mia vita e morirò come sono vissuto», dite questo: «Dio ha per noi tutti la stessa giustizia. Ricordatevi degli operai dell'ultima ora». Ai bambini che, già traviati dall'ambiente che li circonda, se ne vanno a vagabondare per strada, pronti a soccombere alle corruzioni, dite loro: «Dio si interessa a voi, miei cari piccoli» e non abbiate paura di ripetere più volte queste dolci parole, perché esse finiranno col germogliare nelle loro giovani intelligenze e, invece di piccoli vagabondi, voi ne avrete fatto degli uomini. E anche questa è carità.
Molti di voi dicono anche: «Siamo talmente tanti sulla Terra che Dio non può vederci tutti». Ascoltate bene, amici miei. Quando vi trovate sulla sommità di una montagna, il vostro sguardo non abbraccia forse i miliardi di granelli di terra che la coprono? Ebbene, Dio vi vede allo stesso modo! Vi lascia il libero arbitrio, come voi lasciate che questi granelli di sabbia vadano in balia del vento, che li disperde. Solo che Dio, nella Sua infinita misericordia, ha messo in fondo al vostro cuore una vigile sentinella che si chiama coscienza. Ascoltatela, vi darà solo dei buoni consigli. A volte voi la offuscate opponendole lo spirito del male. Essa tace, allora. Ma siate certi che la povera trascurata si farà nuovamente intendere non appena le lascerete percepire l'ombra del rimorso. Ascoltatela, interrogatela e sovente vi troverete consolato per i consigli che ne avrete ricevuto.
Amici miei, a ogni nuovo reggimento il generale consegna una bandiera. Io vi do questa massima di Cristo: «Amatevi l'un l'altro». Mettete in pratica questa massima, riunitevi intorno a questo stendardo e riceverete felicità e consolazione.
La carità, amici miei, si può fare in molti modi. Potete fare la carità con il pensiero, con le parole e con le azioni. Con il pensiero: pregando per i poveri abbandonati che sono morti senza essere stati in grado di vedere la luce; una preghiera col cuore li solleva. Con le parole: rivolgendo ai vostri compagni di tutti i giorni qualche buon consiglio. Dite agli uomini inaspriti dalla disperazione e dalle privazioni, che bestemmiano il nome dell'Altissimo: «Io ero come voi, ho sofferto, sono stato infelice, ma ho creduto nello Spiritismo e, vedete, ora sono felice». Ai vecchi che vi dicono: «È inutile, sono alla fine della mia vita e morirò come sono vissuto», dite questo: «Dio ha per noi tutti la stessa giustizia. Ricordatevi degli operai dell'ultima ora». Ai bambini che, già traviati dall'ambiente che li circonda, se ne vanno a vagabondare per strada, pronti a soccombere alle corruzioni, dite loro: «Dio si interessa a voi, miei cari piccoli» e non abbiate paura di ripetere più volte queste dolci parole, perché esse finiranno col germogliare nelle loro giovani intelligenze e, invece di piccoli vagabondi, voi ne avrete fatto degli uomini. E anche questa è carità.
Molti di voi dicono anche: «Siamo talmente tanti sulla Terra che Dio non può vederci tutti». Ascoltate bene, amici miei. Quando vi trovate sulla sommità di una montagna, il vostro sguardo non abbraccia forse i miliardi di granelli di terra che la coprono? Ebbene, Dio vi vede allo stesso modo! Vi lascia il libero arbitrio, come voi lasciate che questi granelli di sabbia vadano in balia del vento, che li disperde. Solo che Dio, nella Sua infinita misericordia, ha messo in fondo al vostro cuore una vigile sentinella che si chiama coscienza. Ascoltatela, vi darà solo dei buoni consigli. A volte voi la offuscate opponendole lo spirito del male. Essa tace, allora. Ma siate certi che la povera trascurata si farà nuovamente intendere non appena le lascerete percepire l'ombra del rimorso. Ascoltatela, interrogatela e sovente vi troverete consolato per i consigli che ne avrete ricevuto.
Amici miei, a ogni nuovo reggimento il generale consegna una bandiera. Io vi do questa massima di Cristo: «Amatevi l'un l'altro». Mettete in pratica questa massima, riunitevi intorno a questo stendardo e riceverete felicità e consolazione.
(Uno Spirito Protettore, Lione, 1860)
La beneficenza
11.
La beneficenza, amici miei, vi darà in questo mondo le più pure e dolci
soddisfazioni, le gioie del cuore non turbate né dal rimorso, né
dall'indifferenza. Oh! Possiate voi comprendere tutto quanto di grande e
di dolce racchiude la generosità delle anime belle. Questo sentimento
fa sì che guardiamo gli altri con lo stesso occhio con cui guardiamo noi
stessi e che ci si spogli con gioia per coprire il fratello. Possiate
voi, amici miei, non avere impegno più dolce di quello di creare intorno
a voi delle persone felici! Quali le feste mondane che si possono
paragonare alle feste lietissime in cui voi, rappresentanti della
Divinità, rendete felici quelle povere famiglie, che nella vita
conoscono solo vicissitudini e amarezze? Quando vedete quei volti
avvizziti irradiare improvvisamente speranza, perché, non avendo neanche
un boccone di pane, quegli sventurati e i loro bambini, ignorando che
vivere è soffrire, gridavano, piangevano e ripetevano queste parole, che
penetravano come affilato pugnale nel cuore della madre: «Ho fame!»,
oh, pensate quanto siano dolci le sensazioni di chi vede rinascere la
gioia là dove, un momento prima, non vedeva che disperazione! Cercate di
capire quali sono i vostri obblighi verso i vostri fratelli! Andate,
andate incontro alla sfortuna, andate ad alleviare le miserie,
soprattutto quelle nascoste, che sono le più dolorose. Andate, miei
carissimi, e ricordate queste parole del Salvatore: «Quando vestirete uno di questi bambini, pensate che lo fate a me!»
Carità, parola sublime che riassume tutte le virtù, sei tu che devi condurre i popoli alla felicità! Praticandoti, essi si creeranno delle gioie infinite per il futuro e, durante il loro esilio sulla Terra, tu sarai la loro consolazione, anticiperai le gioie di cui godranno più tardi, quando si abbracceranno tutti insieme fra le braccia del Dio d'amore. Sei tu, virtù divina, che mi hai procurato i soli momenti di felicità che io abbia mai goduto sulla Terra. Possano i miei fratelli incarnati credere alla voce dell'amico che parla e dice loro: «È nella carità che voi dovete cercare la pace del cuore, la felicità dell'anima, il rimedio contro le afflizioni della vita». Oh! Quando siete sul punto di accusare Dio, gettate uno sguardo sotto di voi e vedrete quante miserie da alleviare, quanti poveri bambini senza famiglia, quanti vecchi che non hanno una mano amica che li soccorra e chiuda loro gli occhi quando la morte li chiama! Quanto bene c'è da fare! Oh! non lamentatevi e ringraziate invece Dio e donate a piene mani la vostra simpatia, il vostro amore, i vostri soldi a tutti quelli che, diseredati dei beni di questo mondo, languiscono nella sofferenza e nell'isolamento. Voi raccoglierete su questa Terra delle gioie ben dolci, e più tardi... Dio solo lo sa!...
Carità, parola sublime che riassume tutte le virtù, sei tu che devi condurre i popoli alla felicità! Praticandoti, essi si creeranno delle gioie infinite per il futuro e, durante il loro esilio sulla Terra, tu sarai la loro consolazione, anticiperai le gioie di cui godranno più tardi, quando si abbracceranno tutti insieme fra le braccia del Dio d'amore. Sei tu, virtù divina, che mi hai procurato i soli momenti di felicità che io abbia mai goduto sulla Terra. Possano i miei fratelli incarnati credere alla voce dell'amico che parla e dice loro: «È nella carità che voi dovete cercare la pace del cuore, la felicità dell'anima, il rimedio contro le afflizioni della vita». Oh! Quando siete sul punto di accusare Dio, gettate uno sguardo sotto di voi e vedrete quante miserie da alleviare, quanti poveri bambini senza famiglia, quanti vecchi che non hanno una mano amica che li soccorra e chiuda loro gli occhi quando la morte li chiama! Quanto bene c'è da fare! Oh! non lamentatevi e ringraziate invece Dio e donate a piene mani la vostra simpatia, il vostro amore, i vostri soldi a tutti quelli che, diseredati dei beni di questo mondo, languiscono nella sofferenza e nell'isolamento. Voi raccoglierete su questa Terra delle gioie ben dolci, e più tardi... Dio solo lo sa!...
(Adolphe,Vescovo di Algeri, Bordeaux, 1861)
12. Siate
buoni e caritatevoli, è questa la chiave dei Cieli che tenete nelle
vostre mani. Tutta la felicità eterna è racchiusa in questa massima:
«Amatevi l'un l'altro». L'anima non può elevarsi nelle regioni
spirituali se non dedicandosi al prossimo. Essa non trova felicità e
consolazione se non nello slancio della carità. Siate buoni, siate di
sostegno ai vostri fratelli, lasciate da parte l'orribile piaga
dell'egoismo. Questo dovere compiuto vi offrirà la via della felicità
eterna. Del resto, chi di voi non ha sentito il cuore sussultare ed
esultare di gioia intima, udendo di un'autentica abnegazione, di
un'azione veramente caritatevole? Se in una buona azione voi cercate
solo la soddisfazione che essa procura, voi resterete nel cammino del
progresso spirituale. Gli esempi non mancano, ciò che manca è la buona
volontà: questa, sì, è rara. Non dimenticate i numerosi uomini dabbene
di cui la vostra storia vi tramanda il pio ricordo.
Cristo non vi ha forse detto tutto ciò che concerne queste virtù di carità e d'amore? Perché trascurate questi divini insegnamenti? Perché chiudere le orecchie alle sue divine parole e il cuore a tutte le sue dolci massime? Io vorrei che si mettesse più interesse, più fede nelle letture evangeliche. Si trascura questo libro, lo si considera come una parola vana, una lettura non accessibile, si lascia questo codice mirabile nell'oblio. I vostri mali provengono solo dall'abbandono volontario che voi fate di questo compendio delle leggi divine. Leggete dunque queste pagine tutte infuocate della dedizione di Gesù, e meditatele.
Uomini forti, armatevi della vostra forza; uomini deboli, fate un'arma della vostra dolcezza, della vostra fede; usate più persuasione, più costanza nel propagare la vostra nuova dottrina. Non è che un incoraggiamento quello che noi siamo venuti a darvi, ed è solo per stimolare il vostro zelo e le vostre virtù che Dio ci permette di manifestarci a voi. Ma, volendo, è solo dell'aiuto di Dio che abbiamo bisogno e della sua stessa volontà: le manifestazioni spiritiste sono fatte solo per gli occhi serrati e i cuori indocili.
La carità è la virtù fondamentale che deve sostenere tutto l'edificio delle virtù terrene. Senza di essa le altre non esistono. Senza la carità, nessuna speranza in una sorte migliore, nessun interesse morale che ci possa guidare; senza la carità, nessuna fede, perché la fede non è altro che un puro raggio che fa brillare un'anima caritatevole.
La carità è l'eterna ancora di salvezza in tutti i mondi: è la più pura emanazione del Creatore stesso; è la Sua stessa virtù che Egli dona alle creature. Come si potrebbe disconoscere questa sublime bontà?
Quale sarebbe, con questo pensiero, il cuore così perverso da soffocare in sé e poi allontanare questo sentimento tutto divino? Quale sarebbe il figlio così cattivo da ribellarsi contro questa dolce carezza, che è la carità?
Non oso parlare di ciò che ho fatto, perché anche gli Spiriti hanno il pudore delle loro azioni, ma io credo che quella da me iniziata dev'essere una di quelle che maggiormente contribuiscono a consolare i vostri simili. Vedo sovente Spiriti che chiedono come missione di continuare il mio compito. Le vedo, le mie dolci e care sorelle, nel loro pio e divino ministero; le vedo praticare le virtù che vi raccomando, con tutte le gioie che questa esistenza di dedizione e di sacrificio procura. È una grande felicità per me vedere come il loro carattere si nobiliti, come la loro missione sia amata e dolcemente protetta. Uomini dabbene, di buona e forte volontà, unitevi per continuare a vasto raggio l'opera di diffusione della carità. Voi troverete la ricompensa di questa virtù nel suo stesso esercizio. Non c'è gioia spirituale che non ne dia già in questa vita. Siate uniti, amatevi l'un l'altro secondo i precetti di Cristo. Così sia.
Cristo non vi ha forse detto tutto ciò che concerne queste virtù di carità e d'amore? Perché trascurate questi divini insegnamenti? Perché chiudere le orecchie alle sue divine parole e il cuore a tutte le sue dolci massime? Io vorrei che si mettesse più interesse, più fede nelle letture evangeliche. Si trascura questo libro, lo si considera come una parola vana, una lettura non accessibile, si lascia questo codice mirabile nell'oblio. I vostri mali provengono solo dall'abbandono volontario che voi fate di questo compendio delle leggi divine. Leggete dunque queste pagine tutte infuocate della dedizione di Gesù, e meditatele.
Uomini forti, armatevi della vostra forza; uomini deboli, fate un'arma della vostra dolcezza, della vostra fede; usate più persuasione, più costanza nel propagare la vostra nuova dottrina. Non è che un incoraggiamento quello che noi siamo venuti a darvi, ed è solo per stimolare il vostro zelo e le vostre virtù che Dio ci permette di manifestarci a voi. Ma, volendo, è solo dell'aiuto di Dio che abbiamo bisogno e della sua stessa volontà: le manifestazioni spiritiste sono fatte solo per gli occhi serrati e i cuori indocili.
La carità è la virtù fondamentale che deve sostenere tutto l'edificio delle virtù terrene. Senza di essa le altre non esistono. Senza la carità, nessuna speranza in una sorte migliore, nessun interesse morale che ci possa guidare; senza la carità, nessuna fede, perché la fede non è altro che un puro raggio che fa brillare un'anima caritatevole.
La carità è l'eterna ancora di salvezza in tutti i mondi: è la più pura emanazione del Creatore stesso; è la Sua stessa virtù che Egli dona alle creature. Come si potrebbe disconoscere questa sublime bontà?
Quale sarebbe, con questo pensiero, il cuore così perverso da soffocare in sé e poi allontanare questo sentimento tutto divino? Quale sarebbe il figlio così cattivo da ribellarsi contro questa dolce carezza, che è la carità?
Non oso parlare di ciò che ho fatto, perché anche gli Spiriti hanno il pudore delle loro azioni, ma io credo che quella da me iniziata dev'essere una di quelle che maggiormente contribuiscono a consolare i vostri simili. Vedo sovente Spiriti che chiedono come missione di continuare il mio compito. Le vedo, le mie dolci e care sorelle, nel loro pio e divino ministero; le vedo praticare le virtù che vi raccomando, con tutte le gioie che questa esistenza di dedizione e di sacrificio procura. È una grande felicità per me vedere come il loro carattere si nobiliti, come la loro missione sia amata e dolcemente protetta. Uomini dabbene, di buona e forte volontà, unitevi per continuare a vasto raggio l'opera di diffusione della carità. Voi troverete la ricompensa di questa virtù nel suo stesso esercizio. Non c'è gioia spirituale che non ne dia già in questa vita. Siate uniti, amatevi l'un l'altro secondo i precetti di Cristo. Così sia.
(San Vincenzo de' Paoli, Parigi, 1858)
13. Io sono la carità. Io sono la via maestra che conduce a Dio. Seguitemi perché io sono la meta cui dovete tutti tendere.
Questa mattina ho fatto il mio giro abituale e con il cuore straziato vengo a dirvi: «Oh! amici miei, quante miserie, quante lacrime e quanto avrete da fare per asciugarle tutte! Io ho vanamente cercato di consolare delle povere madri, ho detto loro all'orecchio: «Coraggio! Ci sono dei cuori buoni che vegliano su di voi, non vi si abbandonerà. Pazienza! Dio è là, voi siete le Sue amate, voi siete le Sue elette». Sembrava che mi intendessero e giravano verso me i loro grandi occhi sbarrati. Io leggevo sul loro povero viso che il loro corpo, questo tiranno dello Spirito, aveva fame e che, se le mie parole rasserenavano un po' il loro cuore, esse non riempivano il loro stomaco. Io ripetevo ancora: «Coraggio! Coraggio!» Allora una povera madre, molto giovane, che allattava un bambino, l'ha preso per le braccia e l'ha sollevato, come per pregarmi di proteggere questo povero piccolo essere che prendeva da un seno sterile un nutrimento insufficiente».
Altrove, amici miei, ho visto dei poveri vecchi senza lavoro e di lì a poco anche senza asilo, in balia di tutte le sofferenze delle necessità, che, vergognosi della loro miseria, non osavano, loro che non avevano mai mendicato, andare a implorare la pietà dei passanti. Con il cuore mosso dalla compassione, io che non avevo niente, mi sono fatta mendicante per loro e vado da tutte le parti a stimolare la beneficenza, ispirando dei buoni pensieri negli animi generosi e compassionevoli. È per questo che io vengo a voi, amici miei, e vi dico: «Laggiù ci sono degli sventurati la cui dispensa è senza pane, il cui focolare è senza fuoco e il letto senza coperte. Non vi dico quello che dovete fare e lascio l'iniziativa al vostro buon cuore. Se io vi dettassi la linea di condotta, la vostra buona azione non avrebbe più merito. Vi dico solamente: io sono la carità e vi tendo la mano per i vostri fratelli 'sofferenti».
Ma se io domando, do anche e do molto: vi invito al grande banchetto e vi offro l'albero al quale vi sazierete tutti! Guardate come è bello, come è carico di fiori e di frutti! Andate, andate, raccogliete, prendete tutti i frutti di questo bell'albero che si chiama beneficenza. Al posto dei ramoscelli che avete preso, io attaccherò tutte le buone azioni che voi farete e porterò questo albero a Dio affinché lo carichi di nuovo, perché la beneficenza è inesauribile. Seguitemi dunque, amici miei, perché vi possa annoverare fra quelli che si arruolano sotto il mio stendardo. Non temete. Io vi condurrò sulla via della salvezza, perché io sono la Carità.
Questa mattina ho fatto il mio giro abituale e con il cuore straziato vengo a dirvi: «Oh! amici miei, quante miserie, quante lacrime e quanto avrete da fare per asciugarle tutte! Io ho vanamente cercato di consolare delle povere madri, ho detto loro all'orecchio: «Coraggio! Ci sono dei cuori buoni che vegliano su di voi, non vi si abbandonerà. Pazienza! Dio è là, voi siete le Sue amate, voi siete le Sue elette». Sembrava che mi intendessero e giravano verso me i loro grandi occhi sbarrati. Io leggevo sul loro povero viso che il loro corpo, questo tiranno dello Spirito, aveva fame e che, se le mie parole rasserenavano un po' il loro cuore, esse non riempivano il loro stomaco. Io ripetevo ancora: «Coraggio! Coraggio!» Allora una povera madre, molto giovane, che allattava un bambino, l'ha preso per le braccia e l'ha sollevato, come per pregarmi di proteggere questo povero piccolo essere che prendeva da un seno sterile un nutrimento insufficiente».
Altrove, amici miei, ho visto dei poveri vecchi senza lavoro e di lì a poco anche senza asilo, in balia di tutte le sofferenze delle necessità, che, vergognosi della loro miseria, non osavano, loro che non avevano mai mendicato, andare a implorare la pietà dei passanti. Con il cuore mosso dalla compassione, io che non avevo niente, mi sono fatta mendicante per loro e vado da tutte le parti a stimolare la beneficenza, ispirando dei buoni pensieri negli animi generosi e compassionevoli. È per questo che io vengo a voi, amici miei, e vi dico: «Laggiù ci sono degli sventurati la cui dispensa è senza pane, il cui focolare è senza fuoco e il letto senza coperte. Non vi dico quello che dovete fare e lascio l'iniziativa al vostro buon cuore. Se io vi dettassi la linea di condotta, la vostra buona azione non avrebbe più merito. Vi dico solamente: io sono la carità e vi tendo la mano per i vostri fratelli 'sofferenti».
Ma se io domando, do anche e do molto: vi invito al grande banchetto e vi offro l'albero al quale vi sazierete tutti! Guardate come è bello, come è carico di fiori e di frutti! Andate, andate, raccogliete, prendete tutti i frutti di questo bell'albero che si chiama beneficenza. Al posto dei ramoscelli che avete preso, io attaccherò tutte le buone azioni che voi farete e porterò questo albero a Dio affinché lo carichi di nuovo, perché la beneficenza è inesauribile. Seguitemi dunque, amici miei, perché vi possa annoverare fra quelli che si arruolano sotto il mio stendardo. Non temete. Io vi condurrò sulla via della salvezza, perché io sono la Carità.
(Carita, martirizzata a Roma, Lione, 1861)
14. Ci
sono vari modi di fare la carità che molti di voi confondono con
l'elemosina. Esiste pertanto una grande differenza fra l'una e l'altra.
L'elemosina, amici miei, è qualche volta utile, perché dà sollievo ai
poveri, ma è quasi sempre umiliante sia per chi la fa sia per chi la
riceve. La carità, al contrario, unisce il benefattore al beneficiato e
per di più può essere di forme diverse! Si può essere caritatevoli anche
con i propri parenti, con i vostri amici, essendo indulgenti gli uni
con gli altri, perdonandosi vicendevolmente le proprie debolezze, avendo
cura di non urtare l'amor proprio di nessuno. Voi, Spiritisti, potreste
essere più caritatevoli, cambiando il vostro modo di agire nei
confronti di quelli che non la pensano come voi, guidando il meno
illuminato a credere. E ciò senza urtarlo, senza prendere di petto le
sue convinzioni, ma conducendolo molto dolcemente alle nostre riunioni,
dove potrà ascoltarci, e dove noi sapremo bene come trovare il modo di
far breccia nel suo cuore. Ecco un aspetto della carità.
Ascoltate ora, a proposito della carità verso i poveri, i diseredati di questa Terra, ma ricompensati da Dio, se sanno accettare le loro miserie senza lamentarsi, e questo dipende da voi. Mi farò comprendere con un esempio.
Più volte la settimana vedo riunirsi delle signore: ce ne sono di tutte le età. Per noi, lo sapete, sono tutte sorelle. Che cosa fanno dunque? Lavorano alacremente, le mani sono agili, i visi sono radiosi e i loro cuori battono all'unisono! Ma qual è il loro scopo? È che esse vedono avvicinarsi l'inverno, che sarà aspro per i poveri indigenti. Le formiche non hanno potuto mettere da parte durante l'estate il grano necessario, e la maggior parte dei loro effetti personali sono stati impegnati. Le povere madri si angosciano e piangono pensando ai loro piccoli che, questo inverno, avranno freddo e fame! Abbiate pazienza, povere donne! Dio ha ispirato quelle più fortunate di voi, che si sono riunite e vi stanno confezionando dei modesti abiti. Poi, uno di questi giorni, quando la neve avrà coperto la terra e voi vi lamenterete dicendo: «Dio non è giusto», perché è questo che si dice di solito quando si soffre, allora vedrete arrivare uno dei figli di queste brave lavoratrici, che si sono fatte operaie dei poveri. Sì, è per voi che esse lavorano così, e le vostre lamentele si tramuteranno in benedizioni, perché nel cuore degli infelici l'amore segue molto da vicino l'odio.
Poiché bisogna incoraggiare queste lavoratrici, io vedo che esse ricevono le comunicazioni dei buoni Spiriti da tutte le parti. Gli uomini che fanno parte di questa società danno essi pure il loro contributo facendo quelle letture che a loro piacciono tanto. E noi, da parte nostra, per ricompensare lo zelo di tutte, e di ognuna in particolare, promettiamo a queste operaie laboriose una buona clientela che le pagherà in soldi contanti, cioè con le benedizioni, la sola moneta che in Cielo abbia corso, rassicurandole inoltre, e senza paura di esporci troppo, che questa moneta non mancherà mai loro.
Ascoltate ora, a proposito della carità verso i poveri, i diseredati di questa Terra, ma ricompensati da Dio, se sanno accettare le loro miserie senza lamentarsi, e questo dipende da voi. Mi farò comprendere con un esempio.
Più volte la settimana vedo riunirsi delle signore: ce ne sono di tutte le età. Per noi, lo sapete, sono tutte sorelle. Che cosa fanno dunque? Lavorano alacremente, le mani sono agili, i visi sono radiosi e i loro cuori battono all'unisono! Ma qual è il loro scopo? È che esse vedono avvicinarsi l'inverno, che sarà aspro per i poveri indigenti. Le formiche non hanno potuto mettere da parte durante l'estate il grano necessario, e la maggior parte dei loro effetti personali sono stati impegnati. Le povere madri si angosciano e piangono pensando ai loro piccoli che, questo inverno, avranno freddo e fame! Abbiate pazienza, povere donne! Dio ha ispirato quelle più fortunate di voi, che si sono riunite e vi stanno confezionando dei modesti abiti. Poi, uno di questi giorni, quando la neve avrà coperto la terra e voi vi lamenterete dicendo: «Dio non è giusto», perché è questo che si dice di solito quando si soffre, allora vedrete arrivare uno dei figli di queste brave lavoratrici, che si sono fatte operaie dei poveri. Sì, è per voi che esse lavorano così, e le vostre lamentele si tramuteranno in benedizioni, perché nel cuore degli infelici l'amore segue molto da vicino l'odio.
Poiché bisogna incoraggiare queste lavoratrici, io vedo che esse ricevono le comunicazioni dei buoni Spiriti da tutte le parti. Gli uomini che fanno parte di questa società danno essi pure il loro contributo facendo quelle letture che a loro piacciono tanto. E noi, da parte nostra, per ricompensare lo zelo di tutte, e di ognuna in particolare, promettiamo a queste operaie laboriose una buona clientela che le pagherà in soldi contanti, cioè con le benedizioni, la sola moneta che in Cielo abbia corso, rassicurandole inoltre, e senza paura di esporci troppo, che questa moneta non mancherà mai loro.
(Carita, Lione, 1861)
15. Miei
cari amici, ogni giorno sento che alcuni di voi dicono: «Sono povero,
non posso fare la carità». E ogni giorno vi vedo mancare di indulgenza
verso i vostri simili: non perdonate loro niente e vi erigete a giudici,
sovente severi, senza domandarvi se voi sareste contenti che si facesse
altrettanto nei vostri confronti. L'indulgenza non è anch'essa carità?
Voi che non potete fare che della carità indulgente, fate almeno questa,
ma fatela in abbondanza. Per quanto riguarda la carità materiale,
voglio raccontarvi una storia dell'Aldilà.
Due uomini erano morti da poco. Dio aveva detto: «Finché questi due uomini vivranno, si metteranno in un sacco per ognuno tutte le loro buone azioni, e alla loro morte si peseranno i due sacchi». Quando questi due uomini giunsero alla loro ultima ora, Dio si fece portare i due sacchi: uno era grosso, grande, bello imbottito e tintinnava delle monete che lo riempivano; l'altro era piccolo e talmente magro che quasi si vedevano i pochi soldi che conteneva. Ognuno dei due uomini riconobbe il proprio sacco: «Ecco il mio — disse il primo — lo riconosco; sono stato ricco e ho dato molto». «Ecco il mio — disse l'altro — sono sempre stato povero, ahimè, non avevo quasi niente da dividere con gli altri». Ma, sorpresa! Messi i due sacchi sulla bilancia, il più grosso divenne leggero e il più piccolo divenne pesante, tanto da superare di molto l'altro piatto della bilancia. Allora Dio disse al ricco: «Tu hai dato molto, è vero, ma hai dato con ostentazione, per vedere il tuo nome figurare in tutti i templi dell'orgoglio e, inoltre, donando non ti sei tolto niente, vai a sinistra e sii contento che l'elemosina ti venga ancora contata per qualcosa». Poi disse al povero: «Tu hai dato ben poco, amico mio, ma ogni soldo che è su questa bilancia rappresenta una privazione per te; se tu non hai fatto l'elemosina, hai fatto la carità e, ciò che è ancor meglio, tu hai fatto la carità spontaneamente, senza pensare che ti sarebbe stata riconosciuta. Sei stato indulgente; non hai giudicato i tuoi simili, anzi li hai scusati in tutte le loro azioni. Passa a destra e vai a ricevere la tua ricompensa».
Due uomini erano morti da poco. Dio aveva detto: «Finché questi due uomini vivranno, si metteranno in un sacco per ognuno tutte le loro buone azioni, e alla loro morte si peseranno i due sacchi». Quando questi due uomini giunsero alla loro ultima ora, Dio si fece portare i due sacchi: uno era grosso, grande, bello imbottito e tintinnava delle monete che lo riempivano; l'altro era piccolo e talmente magro che quasi si vedevano i pochi soldi che conteneva. Ognuno dei due uomini riconobbe il proprio sacco: «Ecco il mio — disse il primo — lo riconosco; sono stato ricco e ho dato molto». «Ecco il mio — disse l'altro — sono sempre stato povero, ahimè, non avevo quasi niente da dividere con gli altri». Ma, sorpresa! Messi i due sacchi sulla bilancia, il più grosso divenne leggero e il più piccolo divenne pesante, tanto da superare di molto l'altro piatto della bilancia. Allora Dio disse al ricco: «Tu hai dato molto, è vero, ma hai dato con ostentazione, per vedere il tuo nome figurare in tutti i templi dell'orgoglio e, inoltre, donando non ti sei tolto niente, vai a sinistra e sii contento che l'elemosina ti venga ancora contata per qualcosa». Poi disse al povero: «Tu hai dato ben poco, amico mio, ma ogni soldo che è su questa bilancia rappresenta una privazione per te; se tu non hai fatto l'elemosina, hai fatto la carità e, ciò che è ancor meglio, tu hai fatto la carità spontaneamente, senza pensare che ti sarebbe stata riconosciuta. Sei stato indulgente; non hai giudicato i tuoi simili, anzi li hai scusati in tutte le loro azioni. Passa a destra e vai a ricevere la tua ricompensa».
(Uno Spirito Protettore, Lione, 1861)
16. La
donna ricca, che non ha bisogno di impiegare il suo tempo nei lavori
domestici, non può forse dedicare qualche ora a lavori utili per i suoi
simili? Comperi ella, con il superfluo delle sue gioie, di che coprire
gli sventurati che tremano dal freddo e faccia, con le sue delicate
mani, grezzi ma caldi vestiti. Aiuti la madre a coprire il bambino che
nascerà e se il suo bambino avrà qualche fronzolo in meno, il bambino
povero avrà meno freddo. Lavorare per i poveri è lavorare alla vigna del
Signore.
E tu, povera operaia che non hai nulla di superfluo, ma che vuoi, nel tuo amore per i tuoi fratelli, dare anche tu un po' di quello che possiedi, dona qualche ora della tua giornata, del tuo tempo che è la tua sola ricchezza. Esegui qualcuno di quei manufatti eleganti che tanto attirano i fortunati, vendi il prodotto delle tue veglie e potrai così anche tu procurare ai tuoi fratelli la tua parte di conforto. Avrai forse qualche nastro in meno, ma darai delle scarpe a chi ha i piedi nudi.
E voi, donne devote a Dio, lavorate pure voi alla Sua opera, ma che le vostre opere delicate e costose non siano fatte solamente per ornare i vostri altari, per attirare l'attenzione sul vostro talento e la vostra pazienza. Lavorate, figlie mie, e che il prezzo delle vostre opere sia consacrato a consolare i vostri fratelli in Dio. I poveri sono i Suoi figli prediletti: lavorare per loro vuol dire glorificarLo. Siate per loro la Provvidenza, che dice: «Agli uccelli del cielo Dio dà il mangime». Che l'oro e l'argento tessuti dalle vostre dita si mutino in abiti e in nutrimento per quelli che ne sono privi. Fate questo, e il vostro lavoro sarà benedetto.
E voi tutti che potete produrre, date. Date il vostro talento, le vostre ispirazioni, date il vostro cuore che Dio benedirà. Poeti e letterati che siete letti solo dalla gente del gran mondo, soddisfate pure i loro ozi, ma che il ricavato delle vostre opere sia consacrato al sollievo degli infelici. Pittori, scultori e artisti di tutti i generi, che la vostra intelligenza sia di soccorso ai vostri fratelli: non ne avrete meno gloria, e ci sarà qualche sofferenza in meno.
Voi tutti potete dare. A qualsiasi classe voi apparteniate, avete qualcosa che potete condividere. Qualsiasi cosa Dio vi abbia dato dovete farne parte con coloro che mancano del necessario, perché apposto loro sareste ben contenti che qualcuno spartisse parte del suo con voi. Le vostre ricchezze terrene diminuiranno un po', ma quelle in Cielo saranno più abbondanti, perché raccoglierete, centuplicato, ciò che sulla Terra avrete seminato in benefici.
E tu, povera operaia che non hai nulla di superfluo, ma che vuoi, nel tuo amore per i tuoi fratelli, dare anche tu un po' di quello che possiedi, dona qualche ora della tua giornata, del tuo tempo che è la tua sola ricchezza. Esegui qualcuno di quei manufatti eleganti che tanto attirano i fortunati, vendi il prodotto delle tue veglie e potrai così anche tu procurare ai tuoi fratelli la tua parte di conforto. Avrai forse qualche nastro in meno, ma darai delle scarpe a chi ha i piedi nudi.
E voi, donne devote a Dio, lavorate pure voi alla Sua opera, ma che le vostre opere delicate e costose non siano fatte solamente per ornare i vostri altari, per attirare l'attenzione sul vostro talento e la vostra pazienza. Lavorate, figlie mie, e che il prezzo delle vostre opere sia consacrato a consolare i vostri fratelli in Dio. I poveri sono i Suoi figli prediletti: lavorare per loro vuol dire glorificarLo. Siate per loro la Provvidenza, che dice: «Agli uccelli del cielo Dio dà il mangime». Che l'oro e l'argento tessuti dalle vostre dita si mutino in abiti e in nutrimento per quelli che ne sono privi. Fate questo, e il vostro lavoro sarà benedetto.
E voi tutti che potete produrre, date. Date il vostro talento, le vostre ispirazioni, date il vostro cuore che Dio benedirà. Poeti e letterati che siete letti solo dalla gente del gran mondo, soddisfate pure i loro ozi, ma che il ricavato delle vostre opere sia consacrato al sollievo degli infelici. Pittori, scultori e artisti di tutti i generi, che la vostra intelligenza sia di soccorso ai vostri fratelli: non ne avrete meno gloria, e ci sarà qualche sofferenza in meno.
Voi tutti potete dare. A qualsiasi classe voi apparteniate, avete qualcosa che potete condividere. Qualsiasi cosa Dio vi abbia dato dovete farne parte con coloro che mancano del necessario, perché apposto loro sareste ben contenti che qualcuno spartisse parte del suo con voi. Le vostre ricchezze terrene diminuiranno un po', ma quelle in Cielo saranno più abbondanti, perché raccoglierete, centuplicato, ciò che sulla Terra avrete seminato in benefici.
(Jean, Bordeaux, 1861)
La pietà
17. La
pietà è la virtù che più vi avvicina agli angeli, è la sorella della
carità che vi conduce a Dio. Ah, lasciate il vostro cuore intenerirsi
alla vista delle miserie e delle sofferenze dei vostri simili! Le vostre
lacrime sono un balsamo che voi versate sulle loro ferite e quando, con
dolce simpatia, riuscirete a dar loro speranza e rassegnazione, quale
felicità proverete! Questa felicità, è vero, comporta una certa
amarezza, perché nasce dalla sventura, ma non ha l'acredine dei piaceri
mondani, non ha le pungenti disillusioni del vuoto che essi lasciano
dietro di sé. Al contrario, c'è in essa una soavità profonda che allieta
l'animo. La pietà, quando profondamente sentita, è amore; l'a more è
dedizione. La dedizione è oblio di se stessi, e questo oblio, questa
abnegazione a favore degli infelici, è la virtù per eccellenza, quella
che ha praticato per tutta la vita il divino Messia e che ci ha
insegnato nella Sua dottrina così santa e così sublime. Quando questa
dottrina sarà restituita alla sua purezza primitiva e sarà accettata da
tutti i popoli, essa darà la felicità alla Terra facendovi infine
regnare la concordia, la pace e l'amore.
La pietà è il sentimento più idoneo per farvi progredire, domando il vostro egoismo e il vostro orgoglio. È quel sentimento che dispone la vostra anima all'umiltà, alla carità e all'amore del vostro prossimo, che vi commuove dal più profondo dell'anima di fronte alle sofferenze dei vostri fratelli, che vi fa tendere una mano soccorritrice e vi strappa lacrime di affetto. Non soffocate dunque mai nel vostro cuore questa emozione celeste, non fate come quegli egoisti insensibili che si allontanano dagli afflitti perché la vista della loro miseria turba un istante della loro gioiosa esistenza. Abbiate timore di rimanere indifferenti, quando invece potete essere utili. La tranquillità, conquistata al prezzo di una colpevole indifferenza, è la quiete del Mar Morto, che nasconde nel fondo delle sue acque la melma fetida e la corruzione.
Ciononostante la pietà è lontana dal causare quel turbamento e quel fastidio di cui tanto l'egoista si preoccupa! Senza dubbio l'anima prova, a contatto delle disgrazie altrui e ritornando in se stessa; un brivido naturale e profondo, che fa vibrare tutto il vostro essere e vi crea un'impressione penosa. Ma quale non sarà il compenso che ne riceverete quando riuscirete a ridare coraggio e speranza a un fratello infelice che si commuove alla stretta di una mano amica e il cui sguardo, umido di commozione e riconoscenza, si posa su di voi con dolcezza prima di rivolgersi al Cielo, per ringraziarlo di avergli inviato una persona consolatrice e un appoggio. La pietà è il triste ma celeste precursore della carità, prima fra le virtù di cui è sorella e di cui prepara e nobilita i benefici.
La pietà è il sentimento più idoneo per farvi progredire, domando il vostro egoismo e il vostro orgoglio. È quel sentimento che dispone la vostra anima all'umiltà, alla carità e all'amore del vostro prossimo, che vi commuove dal più profondo dell'anima di fronte alle sofferenze dei vostri fratelli, che vi fa tendere una mano soccorritrice e vi strappa lacrime di affetto. Non soffocate dunque mai nel vostro cuore questa emozione celeste, non fate come quegli egoisti insensibili che si allontanano dagli afflitti perché la vista della loro miseria turba un istante della loro gioiosa esistenza. Abbiate timore di rimanere indifferenti, quando invece potete essere utili. La tranquillità, conquistata al prezzo di una colpevole indifferenza, è la quiete del Mar Morto, che nasconde nel fondo delle sue acque la melma fetida e la corruzione.
Ciononostante la pietà è lontana dal causare quel turbamento e quel fastidio di cui tanto l'egoista si preoccupa! Senza dubbio l'anima prova, a contatto delle disgrazie altrui e ritornando in se stessa; un brivido naturale e profondo, che fa vibrare tutto il vostro essere e vi crea un'impressione penosa. Ma quale non sarà il compenso che ne riceverete quando riuscirete a ridare coraggio e speranza a un fratello infelice che si commuove alla stretta di una mano amica e il cui sguardo, umido di commozione e riconoscenza, si posa su di voi con dolcezza prima di rivolgersi al Cielo, per ringraziarlo di avergli inviato una persona consolatrice e un appoggio. La pietà è il triste ma celeste precursore della carità, prima fra le virtù di cui è sorella e di cui prepara e nobilita i benefici.
(Michel, Bordeaux, 1862)
Gli orfani
18.
Fratelli miei, amate gli orfani. Se voi sapeste come è triste essere
soli e abbandonati, soprattutto nella prima età! Dio permette che ci
siano degli orfani per impegnare noi a far loro da padri. Che divina
carità aiutare una povera piccola creatura abbandonata a se stessa,
impedirle di soffrire la fame e il freddo, di orientare la sua anima
affinché non rimanga coinvolta nel vizio! Chi tende una mano al bambino
abbandonato è gradito a Dio, perché comprende e pratica la Sua legge.
Pensate inoltre che spesse volte il bambino che voi soccorrete vi è
stato caro in un'altra incarnazione. E se voi poteste ricordare ciò che
fate per lui non sarebbe semplicemente carità, ma un dovere. Amici miei,
è così dunque che qualsiasi essere sofferente è vostro fratello e ha
diritto alla vostra carità, non quella carità che ferisce il cuore, non
quella elemosina che brucia la mano nella quale cade, perché i vostri
oboli sono sovente molto amari! Quante volte verrebbero rifiutati se,
nella soffitta, la malattia e la privazione non li attendessero! Date
con riserbo, accompagnate il vostro gesto con quanto c'è di più
prezioso: una buona parola, una carezza, un sorriso amico. Evitate quel
tono paternalistico, che gira il ferro nella piaga sanguinante, e
pensate che facendo il bene lavorate per voi e i vostri cari.
(Uno Spirito Protettore, Parigi, 1860)
Benefici pagati dall'ingratitudine
19.
Che cosa si deve pensare di quelli che, essendo stati ripagati con
l'ingratitudine per la loro beneficenza, decidono di non farne più per
il timore d'imbattersi in altri ingrati?
Costoro hanno più egoismo che carità, in quanto fare del bene solo per ricevere la prova della riconoscenza non vuol dire farlo disinteressatamente, e il beneficio disinteressato è il solo che sia gradito a Dio. C'è in loro anche dell'orgoglio, perché si compiacciono dell'umiltà del beneficiato che va a deporre la sua riconoscenza ai loro piedi per ringraziarli. Chi cerca sulla Terra la ricompensa del bene che fa, non la riceverà in Cielo. Ma Dio terrà conto di chi non la cerca sulla Terra.
Bisogna sempre aiutare i deboli, anche se dovessimo sapere anticipatamente che non saranno grati a chi fa loro del bene. Sappiate che, se colui a cui rendete un favore dimentica il beneficio, Dio ve ne renderà merito più che se foste già stati ricompensati dal vostro beneficiato. Dio permette che a volte voi siate ripagati dall'ingratitudine per provare la vostra perseveranza nel fare il bene.
D'altra parte come fate voi a sapere se questo beneficio, momentaneamente dimenticato, non porterà più tardi un buon frutto? Siate certi, invece, che è un seme che germoglierà con il tempo. Purtroppo voi vedete sempre solo il presente; lavorate per voi e non per gli altri. I benefici finiscono per intenerire i cuori più duri; essi possono essere misconosciuti su questa Terra, ma, quando lo Spirito si sarà sbarazzato del suo velo carnale, si ricorderà, e questo ricordo sarà il suo castigo. Allora rimpiangerà di essere stato ingrato, vorrà riparare il suo errore, pagare il suo debito in un'altra esistenza, sovente accettando una vita di dedizione verso il suo benefattore. È così che, senza che vi sfiori il dubbio, voi avrete contribuito al suo avanzamento morale e riconoscerete più tardi tutta la verità di questa massima: «Un beneficio non va mai perduto». Nello stesso tempo voi avrete anche lavorato per voi, perché avrete il merito di aver fatto del bene disinteressatamente e senza esservi lasciati scoraggiare dalle disillusioni.
Ah, amici miei! Se voi conosceste tutti i legami che nella vita presente ci ricongiungono alle vite precedenti, se voi poteste abbracciare la molteplicità dei rapporti che avvicinano gli esseri gli uni agli altri per il loro mutuo progresso, voi ammirereste ancor meglio la saggezza e la bontà del Creatore, che vi permette di vivere di nuovo per arrivare a Lui.
Costoro hanno più egoismo che carità, in quanto fare del bene solo per ricevere la prova della riconoscenza non vuol dire farlo disinteressatamente, e il beneficio disinteressato è il solo che sia gradito a Dio. C'è in loro anche dell'orgoglio, perché si compiacciono dell'umiltà del beneficiato che va a deporre la sua riconoscenza ai loro piedi per ringraziarli. Chi cerca sulla Terra la ricompensa del bene che fa, non la riceverà in Cielo. Ma Dio terrà conto di chi non la cerca sulla Terra.
Bisogna sempre aiutare i deboli, anche se dovessimo sapere anticipatamente che non saranno grati a chi fa loro del bene. Sappiate che, se colui a cui rendete un favore dimentica il beneficio, Dio ve ne renderà merito più che se foste già stati ricompensati dal vostro beneficiato. Dio permette che a volte voi siate ripagati dall'ingratitudine per provare la vostra perseveranza nel fare il bene.
D'altra parte come fate voi a sapere se questo beneficio, momentaneamente dimenticato, non porterà più tardi un buon frutto? Siate certi, invece, che è un seme che germoglierà con il tempo. Purtroppo voi vedete sempre solo il presente; lavorate per voi e non per gli altri. I benefici finiscono per intenerire i cuori più duri; essi possono essere misconosciuti su questa Terra, ma, quando lo Spirito si sarà sbarazzato del suo velo carnale, si ricorderà, e questo ricordo sarà il suo castigo. Allora rimpiangerà di essere stato ingrato, vorrà riparare il suo errore, pagare il suo debito in un'altra esistenza, sovente accettando una vita di dedizione verso il suo benefattore. È così che, senza che vi sfiori il dubbio, voi avrete contribuito al suo avanzamento morale e riconoscerete più tardi tutta la verità di questa massima: «Un beneficio non va mai perduto». Nello stesso tempo voi avrete anche lavorato per voi, perché avrete il merito di aver fatto del bene disinteressatamente e senza esservi lasciati scoraggiare dalle disillusioni.
Ah, amici miei! Se voi conosceste tutti i legami che nella vita presente ci ricongiungono alle vite precedenti, se voi poteste abbracciare la molteplicità dei rapporti che avvicinano gli esseri gli uni agli altri per il loro mutuo progresso, voi ammirereste ancor meglio la saggezza e la bontà del Creatore, che vi permette di vivere di nuovo per arrivare a Lui.
(Una Guida Protettrice, Sens, 1862)
Beneficenza esclusiva
20. La
beneficenza viene ben intesa quando si pratica esclusivamente fra
persone della stessa opinione, della stessa credenza o dello stesso
partito?
No, è soprattutto lo Spirito settario e di partito che si deve abolire, perché tutti gli uomini sono fratelli. Il vero Cristiano non vede che dei fratelli fra i suoi simili ed egli, prima di soccorrere chi ne ha bisogno, non gli chiede né di che fede sia, né la sua opinione in qualsivoglia cosa. Seguirebbe forse il precetto di Gesù Cristo, che dice di amare persino i Suoi nemici, se rifiutasse un infelice perché ha una fede diversa dalla sua? Lo soccorra dunque senza chiedergli conto alcuno della sua coscienza. Infatti, se è un nemico della religione, il soccorrerlo sarà un modo per fargliela amare; il rifiutarlo, un modo per fagliela odiare.
No, è soprattutto lo Spirito settario e di partito che si deve abolire, perché tutti gli uomini sono fratelli. Il vero Cristiano non vede che dei fratelli fra i suoi simili ed egli, prima di soccorrere chi ne ha bisogno, non gli chiede né di che fede sia, né la sua opinione in qualsivoglia cosa. Seguirebbe forse il precetto di Gesù Cristo, che dice di amare persino i Suoi nemici, se rifiutasse un infelice perché ha una fede diversa dalla sua? Lo soccorra dunque senza chiedergli conto alcuno della sua coscienza. Infatti, se è un nemico della religione, il soccorrerlo sarà un modo per fargliela amare; il rifiutarlo, un modo per fagliela odiare.
(San Luigi, Parigi, 1860)
Capitolo XIV - ONORA TUO PADRE E TUA MADRE
Onora tuo padre e tua madre
1.Tu
sai i comandamenti: «Non uccidere; non commettere adulterio; non
rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo
padre e tua madre». (Marco 10:19; Luca 18:20; Matteo 19:19)
2. Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà. (Esodo 20:12)
Pietà filiale
3. Il comandamento «Onora
tuo padre e tua madre» è una conseguenza della legge generale di carità e
d'amore verso il prossimo, perché non si può amare il prossimo senza
amare il padre e la madre. Ma la parola onora racchiude
un dovere in più nei confronti dei genitori, quello della pietà
filiale. Dio ha voluto mostrarci con ciò che all'amore bisogna
aggiungere il rispetto, il riguardo, la sottomissione e la
condiscendenza, cose che implicano l'obbligo di compiere verso di loro,
in modo più rigoroso ancora, tutto ciò che la carità comanda verso il
prossimo. Questo dovere si estende naturalmente alle persone che
svolgono il ruolo di padre e di madre e che hanno tanto più merito in
quanto la loro abnegazione è meno dovuta. Dio punisce sempre in modo
rigoroso qualsiasi violazione di questo comandamento.
Onorare il proprio padre e la propria madre non vuol dire semplicemente rispettarli, vuol dire anche assisterli nel bisogno; procurare loro riposo nei giorni della vecchiaia; circondarli di sollecitudine come essi hanno fatto per noi quando eravamo piccoli.
È soprattutto verso quei genitori senza risorse che si dimostra la vera pietà filiale. Soddisfano forse questo comandamento quei figli che credono di fare un grande sforzo dando loro appena l'indispensabile per sopravvivere, quando essi invece non si privano di niente? Relegandoli nella stanza peggiore della casa, giusto per non abbandonarli in mezzo alla strada, mentre per se stessi si riservano le stanze migliori, le più confortevoli? E sono ancora genitori fortunati quando i figli non fanno ciò di malagrazia o quando non comprano il tempo che resta loro da vivere, scaricando su di loro le fatiche della cura della famiglia! Spetta dunque ai genitori vecchi e deboli fare da servitori ai figli giovani e forti? La loro madre ha forse preteso il pagamento del suo latte quando erano nella culla? Ha forse contato le veglie, quando erano malati, e i passi fatti per procurarsi ciò di cui avevano bisogno? No, non è solamente lo stretto necessario che i figli devono ai loro poveri genitori, ma anche, per quanto possono, le piccole dolcezze del superfluo, le affettuosità, le cure garbate, che altro non sono che gli interessi di ciò che hanno ricevuto, il pagamento di un debito sacro. Solo questa è la pietà filiale accettata da Dio.
Malasorte, allora, a chi dimentica ciò che deve a coloro che l'hanno sostenuto quando era indifeso, che con la vita fisica gli hanno dato la vita spirituale, che sovente si sono imposti dure privazioni per assicurare il suo benessere. Malasorte all'ingrato perché sarà punito con l'ingratitudine e l'abbandono, sarà colpito negli affetti più cari, a volte già in questa vita, ma sicuramente in un'altra vita, dove soffrirà quello che ha fatto soffrire agli altri.
Alcuni genitori, è vero, non assolvono i loro doveri e non sono per i loro figli quello che dovrebbero essere. Ma spetta a Dio punirli e non ai figli. Non spetta a costoro rimproverarli, perché potrebbe darsi che siano essi stessi a meritarlo, per quello che hanno fatto in passato. Se la carità stabilisce per legge di rendere il bene per il male, di essere indulgenti con i difetti degli altri, di non sparlare del prossimo, di dimenticare e perdonare i torti, di amare anche i nemici, come può questa legge non essere ancor più rispettata nei riguardi dei genitori? I figli devono dunque prendere per regola di condotta, verso questi ultimi, tutti i precetti di Gesù riguardo al prossimo e dire a se stessi che qualsiasi comportamento biasimevole nei confronti del prossimo lo è maggiormente nei confronti dei genitori. Ciò che nel primo caso può essere solo un errore, può diventare un crimine nel secondo, perché alla mancanza di carità si aggiunge l'ingratitudine.
Onorare il proprio padre e la propria madre non vuol dire semplicemente rispettarli, vuol dire anche assisterli nel bisogno; procurare loro riposo nei giorni della vecchiaia; circondarli di sollecitudine come essi hanno fatto per noi quando eravamo piccoli.
È soprattutto verso quei genitori senza risorse che si dimostra la vera pietà filiale. Soddisfano forse questo comandamento quei figli che credono di fare un grande sforzo dando loro appena l'indispensabile per sopravvivere, quando essi invece non si privano di niente? Relegandoli nella stanza peggiore della casa, giusto per non abbandonarli in mezzo alla strada, mentre per se stessi si riservano le stanze migliori, le più confortevoli? E sono ancora genitori fortunati quando i figli non fanno ciò di malagrazia o quando non comprano il tempo che resta loro da vivere, scaricando su di loro le fatiche della cura della famiglia! Spetta dunque ai genitori vecchi e deboli fare da servitori ai figli giovani e forti? La loro madre ha forse preteso il pagamento del suo latte quando erano nella culla? Ha forse contato le veglie, quando erano malati, e i passi fatti per procurarsi ciò di cui avevano bisogno? No, non è solamente lo stretto necessario che i figli devono ai loro poveri genitori, ma anche, per quanto possono, le piccole dolcezze del superfluo, le affettuosità, le cure garbate, che altro non sono che gli interessi di ciò che hanno ricevuto, il pagamento di un debito sacro. Solo questa è la pietà filiale accettata da Dio.
Malasorte, allora, a chi dimentica ciò che deve a coloro che l'hanno sostenuto quando era indifeso, che con la vita fisica gli hanno dato la vita spirituale, che sovente si sono imposti dure privazioni per assicurare il suo benessere. Malasorte all'ingrato perché sarà punito con l'ingratitudine e l'abbandono, sarà colpito negli affetti più cari, a volte già in questa vita, ma sicuramente in un'altra vita, dove soffrirà quello che ha fatto soffrire agli altri.
Alcuni genitori, è vero, non assolvono i loro doveri e non sono per i loro figli quello che dovrebbero essere. Ma spetta a Dio punirli e non ai figli. Non spetta a costoro rimproverarli, perché potrebbe darsi che siano essi stessi a meritarlo, per quello che hanno fatto in passato. Se la carità stabilisce per legge di rendere il bene per il male, di essere indulgenti con i difetti degli altri, di non sparlare del prossimo, di dimenticare e perdonare i torti, di amare anche i nemici, come può questa legge non essere ancor più rispettata nei riguardi dei genitori? I figli devono dunque prendere per regola di condotta, verso questi ultimi, tutti i precetti di Gesù riguardo al prossimo e dire a se stessi che qualsiasi comportamento biasimevole nei confronti del prossimo lo è maggiormente nei confronti dei genitori. Ciò che nel primo caso può essere solo un errore, può diventare un crimine nel secondo, perché alla mancanza di carità si aggiunge l'ingratitudine.
4.Dio ha detto: «Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà». Perché
dunque Dio promette come ricompensa la vita sulla Terra e non la vita
celeste? La spiegazione si trova in queste parole, «che Dio ti dà», che
non appaiono nella versione moderna del decalogo, snaturandone il senso.
Per comprendere queste parole, bisogna rapportarsi alle condizioni e
alle idee degli Ebrei all'epoca in cui sono state dette. Essi non
comprendevano ancora la vita futura, la loro vista non andava oltre la
vita fisica. Essi dovevano pertanto essere toccati con ciò che vedevano
piuttosto che con ciò che non vedevano. È per questa ragione che Dio
parla con un linguaggio alla loro portata e, come a dei bambini, dà in
prospettiva ciò che li può soddisfare. Allora essi erano nel deserto. La
terra che Dio avrebbe loro dato era la Terra Promessa, meta delle loro
aspirazioni. Essi non desideravano di più, e Dio disse che ci avrebbero
vissuto a lungo, ossia che l'avrebbero posseduta a lungo se avessero
osservato i Suoi comandamenti.
Ma all'avvento di Gesù, le idee degli Ebrei erano più evolute. Era giunto il momento di dare loro un nutrimento meno rozzo. Egli li inizia alla vita spirituale dicendo: «Il mio regno non è di questo mondo, è là, e non sulla Terra, che voi riceverete la ricompensa delle vostre buone opere». Sotto queste parole, la Terra Promessa materiale si trasforma in una patria celeste. Così, quando li richiama all'osservanza del comandamento «Onora tuo padre e tua madre», non è più la Terra che promette loro, ma il Cielo (vedere cap. II e III di quest'opera).
Ma all'avvento di Gesù, le idee degli Ebrei erano più evolute. Era giunto il momento di dare loro un nutrimento meno rozzo. Egli li inizia alla vita spirituale dicendo: «Il mio regno non è di questo mondo, è là, e non sulla Terra, che voi riceverete la ricompensa delle vostre buone opere». Sotto queste parole, la Terra Promessa materiale si trasforma in una patria celeste. Così, quando li richiama all'osservanza del comandamento «Onora tuo padre e tua madre», non è più la Terra che promette loro, ma il Cielo (vedere cap. II e III di quest'opera).
Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?
5.
Poi entrò in una casa e la folla si radunò di nuovo, così che egli e i
suoi non potevano neppure mangiare. I suoi parenti, udito ciò, vennero
per prenderlo, perché dicevano: «Èfuori di
sé». (...) Giunsero sua madre e i suoi fratelli; e, fermatisi fuori, lo
mandarono a chiamare. Una folla gli stava seduta intorno, quando gli fu
detto: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle là fuori che ti cercano». Egli rispose loro: «Chi
è mia madre e chi sono i miei fratelli?» Girando lo sguardo su coloro
che gli sedevano intorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!
Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre». (Marco 3:20-21, 31-35; Matteo 12:46-50)
6. Certe parole, dette da
Gesù, sembrano strane e contrastano con la Sua bontà e la Sua
inalterabile benevolenza per tutti. I miscredenti non mancano di
servirsene come arma dicendo che si contraddiceva da se stesso. Un fatto
incontestabile è che la Sua dottrina ha per base essenziale, per pietra
miliare, la legge d'amore e di carità. E dunque non poteva Egli
distruggere da una parte ciò che aveva stabilito dall'altra, per cui si
deve trarre questa rigorosa conseguenza: se certe massime sono in
contraddizione con il principio, vuol dire che le parole che Gli vengono
attribuite o sono state mal riportate o mal comprese o non sono Sue.
7. Ci si stupisce con
ragione nel vedere, in questa circostanza, Gesù che dimostra tanta
indifferenza per i Suoi parenti e che, in qualche modo, rinnega Sua
madre.
Riguardo ai Suoi fratelli, si sa che essi non hanno mai avuto simpatia per Lui. Spiriti poco avanzati, non avevano per niente compreso la Sua missione. La Sua condotta, ai loro occhi, era bizzarra e i Suoi insegnamenti non li avevano per niente toccati, tanto che nessuno di loro fu Suo discepolo. Sembra persino che sostenessero, almeno fino a un certo punto, i pregiudizi dei Suoi nemici. È certo del resto che Lo accoglievano più come un estraneo che come un fratello, quando si presentava in famiglia. E san Giovanni dice giustamente (7:5): «Neppure i suoi fratelli credevano in Lui».
Quanto a Sua madre, nessuno potrà negare la sua tenerezza per il figlio. Ma si deve pur convenire che ella non si era fatta un'idea molto precisa della Sua missione, perché non la si è mai vista seguire i Suoi insegnamenti né rendergli testimonianza, come aveva fatto Giovanni Battista. La sollecitudine materna era per lei il sentimento dominante. Riguardo a Gesù, supporre che avesse rinnegato Sua madre sarebbe misconoscere il Suo carattere, poiché un tale pensiero non avrebbe mai potuto animare Colui che aveva detto: «Onora tuo padre e tua madre». Si deve dunque cercare un altro senso nelle Sue parole, espresse quasi sempre sotto metafora.
Gesù non trascurava nessuna occasione per dare un insegnamento. Approfittò dunque di quella che gli veniva offerta dall'arrivo della Sua famiglia, per stabilire la differenza che esiste fra la parentela di consanguineità e quella spirituale.
Riguardo ai Suoi fratelli, si sa che essi non hanno mai avuto simpatia per Lui. Spiriti poco avanzati, non avevano per niente compreso la Sua missione. La Sua condotta, ai loro occhi, era bizzarra e i Suoi insegnamenti non li avevano per niente toccati, tanto che nessuno di loro fu Suo discepolo. Sembra persino che sostenessero, almeno fino a un certo punto, i pregiudizi dei Suoi nemici. È certo del resto che Lo accoglievano più come un estraneo che come un fratello, quando si presentava in famiglia. E san Giovanni dice giustamente (7:5): «Neppure i suoi fratelli credevano in Lui».
Quanto a Sua madre, nessuno potrà negare la sua tenerezza per il figlio. Ma si deve pur convenire che ella non si era fatta un'idea molto precisa della Sua missione, perché non la si è mai vista seguire i Suoi insegnamenti né rendergli testimonianza, come aveva fatto Giovanni Battista. La sollecitudine materna era per lei il sentimento dominante. Riguardo a Gesù, supporre che avesse rinnegato Sua madre sarebbe misconoscere il Suo carattere, poiché un tale pensiero non avrebbe mai potuto animare Colui che aveva detto: «Onora tuo padre e tua madre». Si deve dunque cercare un altro senso nelle Sue parole, espresse quasi sempre sotto metafora.
Gesù non trascurava nessuna occasione per dare un insegnamento. Approfittò dunque di quella che gli veniva offerta dall'arrivo della Sua famiglia, per stabilire la differenza che esiste fra la parentela di consanguineità e quella spirituale.
La parentela di sangue e la parentela spirituale
8. I legami di sangue non
stabiliscono necessariamente i legami fra gli Spiriti. Il corpo procede
dal corpo, ma lo Spirito non procede dallo Spirito, perché lo Spirito
esisteva prima della formazione del corpo. Non è il padre che crea lo
Spirito di suo figlio, gli fornisce solo l'involucro corporeo, ma deve
provvedere al suo sviluppo intellettuale e morale per farlo progredire.
Gli Spiriti che si incarnano in una stessa famiglia, soprattutto fra parenti stretti, sono per lo più Spiriti che nutrono una simpatia reciproca, uniti da relazioni anteriori che si manifestano nei loro affetti durante la vita terrena. Ma può anche succedere che questi Spiriti siano completamente estranei gli uni agli altri, divisi da antipatie anteriori, e che si manifestino con il loro antagonismo anche sulla Terra, che servirà loro di prova. I veri legami familiari non sono dunque quelli della consanguineità, ma quelli della simpatia e della comunione di pensiero, che uniscono gli Spiriti prima, durante e dopo la loro incarnazione. Da qui ne consegue che due esseri di padri diversi possono essere più fratelli attraverso lo Spirito di quanto potrebbero esserlo attraverso il sangue. Possono interessarsi l'uno dell'altro, cercarsi, essere contenti di stare insieme, mentre due fratelli consanguinei possono respingersi, come si può notare tutti i giorni. È un problema morale che solo lo Spiritismo poteva risolvere per mezzo della pluralità delle esistenze (vedere cap. IV, n. 13 di quest'opera).
Ci sono dunque due tipi di famiglie: le famiglie unite da legami spirituali e le famiglie unite da legami corporei. Le prime, durature, si fortificano con la purificazione e si perpetuano nel mondo degli Spiriti attraverso la varie migrazioni dell'anima. Le seconde, fragili come la materia, si esauriscono con il tempo e sovente si dissolvono moralmente fin dalla vita attuale. È ciò che ha voluto far comprendere Gesù dicendo dei Suoi discepoli: «Eccomia madre e i miei fratelli», ossia la mia famiglia per i legami dello Spirito, perché «chiunque avrà fatto la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre».
L'ostilità dei Suoi fratelli è chiaramente espressa nel racconto di san Marco perché, dice, essi si proponevano di requisirlo con il pretesto che aveva perso la ragione. All'annuncio del loro arrivo, conoscendo i loro sentimenti nei Suoi riguardi, era naturale che Gesù dicesse parlando dei Suoi discepoli: «Ecco i miei veri fratelli», in senso spirituale. Sua madre si trovava con loro, ed Egli generalizza l'insegnamento, cosa che non implica minimamente che abbia preteso dire che la Sua madre fisica non lo era anche come Spirito, e che nutriva per lei solo dell'indifferenza. Il Suo comportamento, in altre circostanze, ha sufficientemente dimostrato il contrario.
Gli Spiriti che si incarnano in una stessa famiglia, soprattutto fra parenti stretti, sono per lo più Spiriti che nutrono una simpatia reciproca, uniti da relazioni anteriori che si manifestano nei loro affetti durante la vita terrena. Ma può anche succedere che questi Spiriti siano completamente estranei gli uni agli altri, divisi da antipatie anteriori, e che si manifestino con il loro antagonismo anche sulla Terra, che servirà loro di prova. I veri legami familiari non sono dunque quelli della consanguineità, ma quelli della simpatia e della comunione di pensiero, che uniscono gli Spiriti prima, durante e dopo la loro incarnazione. Da qui ne consegue che due esseri di padri diversi possono essere più fratelli attraverso lo Spirito di quanto potrebbero esserlo attraverso il sangue. Possono interessarsi l'uno dell'altro, cercarsi, essere contenti di stare insieme, mentre due fratelli consanguinei possono respingersi, come si può notare tutti i giorni. È un problema morale che solo lo Spiritismo poteva risolvere per mezzo della pluralità delle esistenze (vedere cap. IV, n. 13 di quest'opera).
Ci sono dunque due tipi di famiglie: le famiglie unite da legami spirituali e le famiglie unite da legami corporei. Le prime, durature, si fortificano con la purificazione e si perpetuano nel mondo degli Spiriti attraverso la varie migrazioni dell'anima. Le seconde, fragili come la materia, si esauriscono con il tempo e sovente si dissolvono moralmente fin dalla vita attuale. È ciò che ha voluto far comprendere Gesù dicendo dei Suoi discepoli: «Eccomia madre e i miei fratelli», ossia la mia famiglia per i legami dello Spirito, perché «chiunque avrà fatto la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre».
L'ostilità dei Suoi fratelli è chiaramente espressa nel racconto di san Marco perché, dice, essi si proponevano di requisirlo con il pretesto che aveva perso la ragione. All'annuncio del loro arrivo, conoscendo i loro sentimenti nei Suoi riguardi, era naturale che Gesù dicesse parlando dei Suoi discepoli: «Ecco i miei veri fratelli», in senso spirituale. Sua madre si trovava con loro, ed Egli generalizza l'insegnamento, cosa che non implica minimamente che abbia preteso dire che la Sua madre fisica non lo era anche come Spirito, e che nutriva per lei solo dell'indifferenza. Il Suo comportamento, in altre circostanze, ha sufficientemente dimostrato il contrario.
Istruzioni Degli Spiriti
L'ingratitudine dei figli e i legami familiari
9. L'ingratitudine
è uno dei frutti più diretti dell'egoismo e indigna sempre i cuori
onesti. Ma quella dei figli nei riguardi dei genitori ha carattere
ancora più odioso. È soprattutto da questo punto di vista che noi ci
accingeremo a considerarla per analizzarne le cause e gli effetti. Qui,
come ovunque, lo Spiritismo viene a gettare luce su uno dei problemi
dell'animo umano.
Quando lo Spirito lascia la Terra, esso porta con sé le passioni o le virtù inerenti alla sua natura e va nello spazio a perfezionarsi o a stazionarvi finché non avverte la volontà di vedere la luce. Alcuni sono dunque partiti portando con sé forti odi e insaziati desideri di vendetta. Ma ad alcuni di essi, più progrediti degli altri, è permesso un barlume di verità così da riconoscere i funesti effetti delle loro passioni. Ed è allora che prendono delle buone risoluzioni, comprendono che per arrivare a Dio c'è una sola parola d'ordine: carità. Però non c'è carità senza oblio degli oltraggi e delle ingiurie; non c'è carità con odio nel cuore e senza perdono.
Allora, con uno sforzo inaudito, essi guardano a quelli che hanno detestato sulla Terra. Ma a tale vista la loro animosità si risveglia. Si ribellano all'idea di perdonare, ancor più all'idea di abdicare a se stessi e si ribellano soprattutto all'idea di amare coloro che forse hanno distrutto la loro fortuna, il loro onore, la loro famiglia. Ciononostante il cuore di questi sfortunati è scosso. Esitano, fluttuano, agitati da sentimenti contrastanti. Se la buona risoluzione prevale, essi pregano Dio, implorano i buoni Spiriti di dar loro forza nel momento più decisivo della prova.
Infine, dopo alcuni anni di meditazione e di preghiera, lo Spirito approfitta di un corpo, che si sta preparando nella famiglia di colui che egli ha detestato, e domanda agli Spiriti, incaricati di trasmettere gli ordini supremi, di poter realizzare sulla Terra i destini di questo corpo che si sta formando. Quale sarà dunque la sua condotta in questa famiglia? Essa dipenderà dalla maggiore o minore costanza delle sue buone risoluzioni. Il continuo contatto con le creature che egli ha odiato è una prova terribile, sotto la quale può a volte soccombere, se la sua volontà non è abbastanza forte. Così, a seconda del prevalere della buona o cattiva risoluzione, sarà l'amico o il nemico di quelli in mezzo ai quali è chiamato a vivere. Così si spiegano certi odi, certe avversioni istintive che si notano in alcuni bambini e che nessun fatto precedente sembra giustificare. In effetti nulla, in questa esistenza, può aver provocato questa antipatia. Per trovarne la causa bisogna volgere gli occhi al passato.
O Spiritisti! Comprendete oggi il grande ruolo dell'umanità! Sappiate che, quando generate un corpo, l'anima che in lui si incarna viene dallo spazio per progredire. Prendete coscienza dei vostri doveri e mettete tutto il vostro amore per avvicinare quest'anima a Dio: è la missione che vi è stata affidata, e di cui voi riceverete la ricompensa se la compirete fedelmente. Le vostre cure e l'educazione che le darete concorreranno al suo perfezionamento e al suo benessere futuro. Riflettete sul fatto che a ciascun padre e a ciascuna madre Dio domanderà: “Che cosa avete fatto del bambino affidato alle vostre cure?» Se è rimasto indietro per colpa vostra, il vostro castigo consisterà nel vederlo fra gli Spiriti sofferenti, quando era proprio da voi che dipendeva la sua felicità. Allora sarete voi stessi, tormentati dai rimorsi, a domandare di riparare a questa colpa. Solleciterete una nuova incarnazione per voi e per lui, nella quale lo circonderete di cure migliori, e lui, pieno di riconoscenza, vi circonderà del suo amore.
Non respingete dunque il bambino in fasce che rifiuta sua madre né quello che vi ripaga con l'ingratitudine. Non è il caso che lo ha fatto così né è il caso che ve lo ha mandato. Un'intuizione imperfetta del passato si rivela, e da ciò deducete che l'uno o l'altro già ha molto odiato o già è stato molto offeso, che l'uno o l'altro è venuto per perdonare o per essere perdonato. Madri! Abbracciate dunque il figlio che vi causa dei dispiaceri e dite a voi stesse: «Uno dei due è stato colpevole». Comportatevi in modo da meritare i piaceri divini che Dio concede alla maternità, insegnando a questi figli che sono sulla Terra per perfezionarsi, amare e benedire. Ma, ahimè! Molte di voi, invece di cancellare, attraverso l'educazione, i cattivi principi innati dalle esistenze precedenti, trattengono e sviluppano questi stessi principi con colpevole debolezza o noncuranza. E più tardi il vostro cuore, amareggiato dall'ingratitudine dei vostri figli, sarà per voi, già in questa vita, l'inizio della vostra espiazione.
Il compito non è così difficile come voi potreste credere e non esige assolutamente la scienza del mondo. L'ignorante come il sapiente possono compierlo, e lo Spiritismo viene a facilitarlo facendoci conoscere le cause delle imperfezioni dell'anima umana.
Fin dalla culla il bambino manifesta gli istinti buoni o cattivi che porta dalla sua esistenza precedente. È necessario impegnarsi e studiarli. Tutti i mali hanno la loro origine nell'egoismo e nell'orgoglio. Osservate dunque attentamente il minimo segno che riveli il germe di questi vizi e impegnatevi a combatterli senza attendere che mettano radici profonde. Fate come il buon giardiniere che strappa l'erba cattiva man mano che la vede spuntare. Se voi lasciate sviluppare l'egoismo e l'orgoglio, dopo non stupitevi se sarete ripagati con l'ingratitudine. Quando dei genitori hanno fatto tutto quello che dovevano per il progresso morale dei loro figli e se, nonostante ciò, non dovessero ottenere buoni risultati, in tal caso non avrebbero niente da rimproverarsi, e la loro coscienza potrebbe stare in pace. Ma per il dolore molto naturale che essi provano a causa dell'insuccesso dei loro sforzi, Dio riserva una grande e immensa consolazione, data dalla certezza che si tratta solo di un ritardo — poiché sarà loro permesso di terminare in un'altra vita l'opera iniziata in questa — e che un giorno il figlio ingrato li ricompenserà con il suo amore (vedere cap. XIII, n. 19 di quest'opera).
Dio non sottopone nessuno a prove al di sopra delle forze di chi queste prove richiede, ma permette solo quelle che possono essere compiute. Se non ci si riesce, non è dunque la possibilità che manca, ma la volontà, perché tanti sono quelli che anziché resistere alle cattive passioni se ne compiacciono. È a costoro che sono riservati i pianti e i gemiti delle loro esistenze successive. Ma ammirate la bontà di Dio che non chiude mai la porta al pentito. Arriva infatti il giorno in cui il colpevole è stanco di soffrire, in cui il suo orgoglio viene infine dominato, ed è allora che Dio apre le Sue braccia paterne al figliol prodigo, che si è gettato ai Suoi piedi. Le forti prove, ascoltatemi bene, sono quasi sempre l'indice della fine della sofferenza e di un perfezionamento dello Spirito, quando sono accettate in nome di Dio. È un momento supremo per lo Spirito, ed è soprattutto lì che è importante non sbagliare lamentandosi, se non si vuole perdere il frutto della prova e dover ricominciare daccapo. Invece di lamentarvi, ringraziate Dio che vi offre l'occasione di vincere per darvi il premio della vittoria. Allora quando voi, usciti dalle tempeste del mondo terreno, entrerete nel mondo degli Spiriti, sarete acclamati come il soldato che esce vittorioso dalla battaglia.
Di tutte le prove, le più penose sono quelle che toccano il cuore. C'è chi sopporta con coraggio la miseria e le privazioni materiali, per soccombere poi sotto il peso dei dispiaceri familiari, straziato dall'ingratitudine dei suoi. Oh, che pungente angoscia quella! Ma che cosa può maggiormente spingere, in queste circostanze, al recupero del coraggio morale se non la conoscenza delle cause del male, se non la certezza che, se ci sono lunghi periodi di discordia, non ci sono però disperazioni eterne? In effetti, può forse volere Dio che le Sue creature soffrano in eterno? Che cosa c'è di più consolante, di più incoraggiante del pensare che dipende da se stessi, dai propri sforzi, abbreviare la sofferenza distruggendo in sé la causa del male? Ma, proprio per questo, non si deve fermare lo sguardo sulla Terra e vedere solo una esistenza. Ci si deve elevare, planare nell'infinito del passato e del futuro. Allora la grande giustizia di Dio si rivelerà al vostro sguardo e voi vi dedicherete alla vita con pazienza, perché vi spiegherete ciò che sulla Terra vi sembrava mostruoso, e le ferite che riceverete vi sembreranno solo dei graffi. In questo colpo d'occhio gettato sull'insieme, i legami familiari appaiono sotto la loro vera luce. Essi non sono i più fragili legami della materia che riuniscono i suoi membri, bensì i legami durevoli dello Spirito, che si perpetuano e si consolidano purificandosi, invece di frantumarsi in virtù della reincarnazione.
Gli Spiriti, che l'affinità dei gusti, l'identità del progresso morale e l'affetto spingono a riunirsi, tendono a formare delle famiglie. Questi stessi Spiriti, nelle loro migrazioni terrene, si cercano per raggrupparsi come fanno nello spazio. Da qui nascono le famiglie unite e omogenee. E se, nelle loro peregrinazioni sono momentaneamente separati, essi si ritrovano più tardi, felici dei loro nuovi progressi. Ma siccome non devono lavorare solo per se stessi, Dio permette che Spiriti meno avanzati vadano a incarnarsi in mezzo a loro, perché possano ricevere dei consigli e fruire dei buoni esempi a vantaggio del loro avanzamento. Ciò causa talvolta dei turbamenti in ambito familiare, ma qui sta la prova, qui il compito da eseguire. Accoglieteli dunque come fratelli, soccorreteli, e più tardi, nel mondo degli Spiriti, la famiglia sarà felice di aver salvato dei naufraghi che, a loro volta, potranno salvarne degli altri.
Quando lo Spirito lascia la Terra, esso porta con sé le passioni o le virtù inerenti alla sua natura e va nello spazio a perfezionarsi o a stazionarvi finché non avverte la volontà di vedere la luce. Alcuni sono dunque partiti portando con sé forti odi e insaziati desideri di vendetta. Ma ad alcuni di essi, più progrediti degli altri, è permesso un barlume di verità così da riconoscere i funesti effetti delle loro passioni. Ed è allora che prendono delle buone risoluzioni, comprendono che per arrivare a Dio c'è una sola parola d'ordine: carità. Però non c'è carità senza oblio degli oltraggi e delle ingiurie; non c'è carità con odio nel cuore e senza perdono.
Allora, con uno sforzo inaudito, essi guardano a quelli che hanno detestato sulla Terra. Ma a tale vista la loro animosità si risveglia. Si ribellano all'idea di perdonare, ancor più all'idea di abdicare a se stessi e si ribellano soprattutto all'idea di amare coloro che forse hanno distrutto la loro fortuna, il loro onore, la loro famiglia. Ciononostante il cuore di questi sfortunati è scosso. Esitano, fluttuano, agitati da sentimenti contrastanti. Se la buona risoluzione prevale, essi pregano Dio, implorano i buoni Spiriti di dar loro forza nel momento più decisivo della prova.
Infine, dopo alcuni anni di meditazione e di preghiera, lo Spirito approfitta di un corpo, che si sta preparando nella famiglia di colui che egli ha detestato, e domanda agli Spiriti, incaricati di trasmettere gli ordini supremi, di poter realizzare sulla Terra i destini di questo corpo che si sta formando. Quale sarà dunque la sua condotta in questa famiglia? Essa dipenderà dalla maggiore o minore costanza delle sue buone risoluzioni. Il continuo contatto con le creature che egli ha odiato è una prova terribile, sotto la quale può a volte soccombere, se la sua volontà non è abbastanza forte. Così, a seconda del prevalere della buona o cattiva risoluzione, sarà l'amico o il nemico di quelli in mezzo ai quali è chiamato a vivere. Così si spiegano certi odi, certe avversioni istintive che si notano in alcuni bambini e che nessun fatto precedente sembra giustificare. In effetti nulla, in questa esistenza, può aver provocato questa antipatia. Per trovarne la causa bisogna volgere gli occhi al passato.
O Spiritisti! Comprendete oggi il grande ruolo dell'umanità! Sappiate che, quando generate un corpo, l'anima che in lui si incarna viene dallo spazio per progredire. Prendete coscienza dei vostri doveri e mettete tutto il vostro amore per avvicinare quest'anima a Dio: è la missione che vi è stata affidata, e di cui voi riceverete la ricompensa se la compirete fedelmente. Le vostre cure e l'educazione che le darete concorreranno al suo perfezionamento e al suo benessere futuro. Riflettete sul fatto che a ciascun padre e a ciascuna madre Dio domanderà: “Che cosa avete fatto del bambino affidato alle vostre cure?» Se è rimasto indietro per colpa vostra, il vostro castigo consisterà nel vederlo fra gli Spiriti sofferenti, quando era proprio da voi che dipendeva la sua felicità. Allora sarete voi stessi, tormentati dai rimorsi, a domandare di riparare a questa colpa. Solleciterete una nuova incarnazione per voi e per lui, nella quale lo circonderete di cure migliori, e lui, pieno di riconoscenza, vi circonderà del suo amore.
Non respingete dunque il bambino in fasce che rifiuta sua madre né quello che vi ripaga con l'ingratitudine. Non è il caso che lo ha fatto così né è il caso che ve lo ha mandato. Un'intuizione imperfetta del passato si rivela, e da ciò deducete che l'uno o l'altro già ha molto odiato o già è stato molto offeso, che l'uno o l'altro è venuto per perdonare o per essere perdonato. Madri! Abbracciate dunque il figlio che vi causa dei dispiaceri e dite a voi stesse: «Uno dei due è stato colpevole». Comportatevi in modo da meritare i piaceri divini che Dio concede alla maternità, insegnando a questi figli che sono sulla Terra per perfezionarsi, amare e benedire. Ma, ahimè! Molte di voi, invece di cancellare, attraverso l'educazione, i cattivi principi innati dalle esistenze precedenti, trattengono e sviluppano questi stessi principi con colpevole debolezza o noncuranza. E più tardi il vostro cuore, amareggiato dall'ingratitudine dei vostri figli, sarà per voi, già in questa vita, l'inizio della vostra espiazione.
Il compito non è così difficile come voi potreste credere e non esige assolutamente la scienza del mondo. L'ignorante come il sapiente possono compierlo, e lo Spiritismo viene a facilitarlo facendoci conoscere le cause delle imperfezioni dell'anima umana.
Fin dalla culla il bambino manifesta gli istinti buoni o cattivi che porta dalla sua esistenza precedente. È necessario impegnarsi e studiarli. Tutti i mali hanno la loro origine nell'egoismo e nell'orgoglio. Osservate dunque attentamente il minimo segno che riveli il germe di questi vizi e impegnatevi a combatterli senza attendere che mettano radici profonde. Fate come il buon giardiniere che strappa l'erba cattiva man mano che la vede spuntare. Se voi lasciate sviluppare l'egoismo e l'orgoglio, dopo non stupitevi se sarete ripagati con l'ingratitudine. Quando dei genitori hanno fatto tutto quello che dovevano per il progresso morale dei loro figli e se, nonostante ciò, non dovessero ottenere buoni risultati, in tal caso non avrebbero niente da rimproverarsi, e la loro coscienza potrebbe stare in pace. Ma per il dolore molto naturale che essi provano a causa dell'insuccesso dei loro sforzi, Dio riserva una grande e immensa consolazione, data dalla certezza che si tratta solo di un ritardo — poiché sarà loro permesso di terminare in un'altra vita l'opera iniziata in questa — e che un giorno il figlio ingrato li ricompenserà con il suo amore (vedere cap. XIII, n. 19 di quest'opera).
Dio non sottopone nessuno a prove al di sopra delle forze di chi queste prove richiede, ma permette solo quelle che possono essere compiute. Se non ci si riesce, non è dunque la possibilità che manca, ma la volontà, perché tanti sono quelli che anziché resistere alle cattive passioni se ne compiacciono. È a costoro che sono riservati i pianti e i gemiti delle loro esistenze successive. Ma ammirate la bontà di Dio che non chiude mai la porta al pentito. Arriva infatti il giorno in cui il colpevole è stanco di soffrire, in cui il suo orgoglio viene infine dominato, ed è allora che Dio apre le Sue braccia paterne al figliol prodigo, che si è gettato ai Suoi piedi. Le forti prove, ascoltatemi bene, sono quasi sempre l'indice della fine della sofferenza e di un perfezionamento dello Spirito, quando sono accettate in nome di Dio. È un momento supremo per lo Spirito, ed è soprattutto lì che è importante non sbagliare lamentandosi, se non si vuole perdere il frutto della prova e dover ricominciare daccapo. Invece di lamentarvi, ringraziate Dio che vi offre l'occasione di vincere per darvi il premio della vittoria. Allora quando voi, usciti dalle tempeste del mondo terreno, entrerete nel mondo degli Spiriti, sarete acclamati come il soldato che esce vittorioso dalla battaglia.
Di tutte le prove, le più penose sono quelle che toccano il cuore. C'è chi sopporta con coraggio la miseria e le privazioni materiali, per soccombere poi sotto il peso dei dispiaceri familiari, straziato dall'ingratitudine dei suoi. Oh, che pungente angoscia quella! Ma che cosa può maggiormente spingere, in queste circostanze, al recupero del coraggio morale se non la conoscenza delle cause del male, se non la certezza che, se ci sono lunghi periodi di discordia, non ci sono però disperazioni eterne? In effetti, può forse volere Dio che le Sue creature soffrano in eterno? Che cosa c'è di più consolante, di più incoraggiante del pensare che dipende da se stessi, dai propri sforzi, abbreviare la sofferenza distruggendo in sé la causa del male? Ma, proprio per questo, non si deve fermare lo sguardo sulla Terra e vedere solo una esistenza. Ci si deve elevare, planare nell'infinito del passato e del futuro. Allora la grande giustizia di Dio si rivelerà al vostro sguardo e voi vi dedicherete alla vita con pazienza, perché vi spiegherete ciò che sulla Terra vi sembrava mostruoso, e le ferite che riceverete vi sembreranno solo dei graffi. In questo colpo d'occhio gettato sull'insieme, i legami familiari appaiono sotto la loro vera luce. Essi non sono i più fragili legami della materia che riuniscono i suoi membri, bensì i legami durevoli dello Spirito, che si perpetuano e si consolidano purificandosi, invece di frantumarsi in virtù della reincarnazione.
Gli Spiriti, che l'affinità dei gusti, l'identità del progresso morale e l'affetto spingono a riunirsi, tendono a formare delle famiglie. Questi stessi Spiriti, nelle loro migrazioni terrene, si cercano per raggrupparsi come fanno nello spazio. Da qui nascono le famiglie unite e omogenee. E se, nelle loro peregrinazioni sono momentaneamente separati, essi si ritrovano più tardi, felici dei loro nuovi progressi. Ma siccome non devono lavorare solo per se stessi, Dio permette che Spiriti meno avanzati vadano a incarnarsi in mezzo a loro, perché possano ricevere dei consigli e fruire dei buoni esempi a vantaggio del loro avanzamento. Ciò causa talvolta dei turbamenti in ambito familiare, ma qui sta la prova, qui il compito da eseguire. Accoglieteli dunque come fratelli, soccorreteli, e più tardi, nel mondo degli Spiriti, la famiglia sarà felice di aver salvato dei naufraghi che, a loro volta, potranno salvarne degli altri.
(Sant'Agostino, Parigi, 1862)
Capitolo XV - FUORI DELLA CARITÀ NON C'È SALVEZZA
Che cosa occorre per salvarsi. La parabola del buon Samaritano
1.
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli,
prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite
davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore
separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i
capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: «Venite,
voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato
preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da
mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste;
fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e
veniste a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando
mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e
ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti
abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo
visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?» E il re
risponderà loro: «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno
di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me». Allora dirà anche a
quelli della sua sinistra: «Andate via da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e
non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui
straniero e non mi accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in
prigione, e non mi visitaste». Allora anche questi gli risponderanno
dicendo: Signore, quando ti abbiamo visto aver, fame, o sete, o essere
straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo
assistito? Allora risponderà loro: «In verità vi dico che in quanto non
l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me».
Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna. (Matteo 25:31-46)
2. Ed
ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli
disse: Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?» Gesù gli
disse:«Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Egli rispose: «Ama
il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con
tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te
stesso». Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e
vivrai». Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio
prossimo? Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e
s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne
andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per
quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Così
pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato
opposto. Ma un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo
vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi
sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a
una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li
diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che
spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". Quale di questi tre
ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?
Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va, e
fa' anche tu la stessa cosa». (Luca 10:25-37)
3. Tutta la morale di Gesù
si riassume nella carità e nell'umiltà, ossia nelle due virtù contrarie
all'egoismo e all'orgoglio. In tutti i Suoi insegnamenti Egli indica
queste virtù come il cammino dell'eterna felicità: «Beati — dice — i
poveri di spirito, ossia gli umili, perché di loro è il regno dei cieli;
beati i puri di cuore; beati quelli che sono mansueti e miti; beati i
misericordiosi; amate il prossimo come voi stessi; fate agli altri
quello che vorreste fosse fatto a voi; amate i vostri nemici; perdonate
le offese se volete essere perdonati; fate il bene senza ostentazione;
giudicate voi stessi prima di giudicare gli altri». Umiltà e carità,
ecco ciò che Gesù non finisce di raccomandare e ciò di cui Egli stesso
dà l'esempio. Orgoglio ed egoismo, ecco ciò che non si stanca di
combattere. Ma fa di più che raccomandare solo la carità: la pone
nettamente, e in termini espliciti, come condizione assoluta della
felicità futura.
Nel quadro in cui Gesù ci mostra il giudizio universale si deve separare, come in molte altre cose, il figurato dalla metafora. A uomini come quelli cui si rivolgeva, incapaci di comprendere le questioni puramente spirituali, doveva presentare degli esempi concreti che colpissero e in grado di impressionare. Perché venissero meglio accettati, non doveva neppure allontanarsi troppo dalle idee del tempo. Quanto alla forma, riservava sempre al futuro la vera interpretazione delle Sue parole e dei punti sui quali non poteva spiegarsi chiaramente. Ma accanto alla parte complementare e descrittiva del quadro, c'è un'idea dominante: quella della felicità che attende il giusto e dell'infelicità riservata al malvagio.
Nel giudizio universale, quali sono le considerazioni su cui si fonda la sentenza? Su che cosa si basa l'inchiesta? Il giudice domanda forse se è stata osservata questa o quella formalità, questa o quella pratica esteriore? No, egli si limita ad appurare una sola cosa: la pratica della carità. E si pronuncia dicendo: «Voi, che avete assistito i vostri fratelli, passate a destra; voi che siete stati insensibili con loro, passate a sinistra». Si informa forse dell'ortodossia della fede? Fa distinzione fra chi crede in un modo e chi in un altro? No, perché Gesù colloca il Samaritano, considerato eretico, ma che porta amore per il prossimo, al di sopra dell'ortodosso che manca di carità. Gesù fa della carità non solo una condizione di salvezza, ma addirittura la sola condizione. Se ce ne fossero state altre da considerare, le avrebbe menzionate. Se pone la carità al primo posto fra le virtù, è perché essa conferma implicitamente tutte le altre: l'umiltà, la dolcezza, la benevolenza, l'indulgenza, la giustizia ecc., poiché la carità è la negazione assoluta dell'orgoglio e dell'egoismo.
Nel quadro in cui Gesù ci mostra il giudizio universale si deve separare, come in molte altre cose, il figurato dalla metafora. A uomini come quelli cui si rivolgeva, incapaci di comprendere le questioni puramente spirituali, doveva presentare degli esempi concreti che colpissero e in grado di impressionare. Perché venissero meglio accettati, non doveva neppure allontanarsi troppo dalle idee del tempo. Quanto alla forma, riservava sempre al futuro la vera interpretazione delle Sue parole e dei punti sui quali non poteva spiegarsi chiaramente. Ma accanto alla parte complementare e descrittiva del quadro, c'è un'idea dominante: quella della felicità che attende il giusto e dell'infelicità riservata al malvagio.
Nel giudizio universale, quali sono le considerazioni su cui si fonda la sentenza? Su che cosa si basa l'inchiesta? Il giudice domanda forse se è stata osservata questa o quella formalità, questa o quella pratica esteriore? No, egli si limita ad appurare una sola cosa: la pratica della carità. E si pronuncia dicendo: «Voi, che avete assistito i vostri fratelli, passate a destra; voi che siete stati insensibili con loro, passate a sinistra». Si informa forse dell'ortodossia della fede? Fa distinzione fra chi crede in un modo e chi in un altro? No, perché Gesù colloca il Samaritano, considerato eretico, ma che porta amore per il prossimo, al di sopra dell'ortodosso che manca di carità. Gesù fa della carità non solo una condizione di salvezza, ma addirittura la sola condizione. Se ce ne fossero state altre da considerare, le avrebbe menzionate. Se pone la carità al primo posto fra le virtù, è perché essa conferma implicitamente tutte le altre: l'umiltà, la dolcezza, la benevolenza, l'indulgenza, la giustizia ecc., poiché la carità è la negazione assoluta dell'orgoglio e dell'egoismo.
Il più grande comandamento
4. I
farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si
radunarono; e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per
metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran
comandamento?» Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il
grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il
tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta
la legge e i profeti». (Matteo 22:34-40)
5. Carità e umiltà, questa è
dunque la sola via della salvezza. Egoismo e orgoglio quella della
perdizione. Questo principio si trova formulato con termini precisi in
queste parole: «Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua anima e ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti». E
perché non ci fossero equivoci sull'interpretazione dell'amore di Dio e
del prossimo, Gesù aggiunse: «Ecco il secondo comandamento che è simile
al primo»; ossia che non si può veramente amare Dio senza amare il
prossimo, né amare il prossimo senza amare Dio. Dunque, tutto ciò che si
fa contro il prossimo è come se lo si facesse contro Dio. Non potendo
amare Dio senza praticare la carità verso il prossimo, tutti i doveri
dell'uomo si trovano riassunti in questa massima: Fuori della carità non c'è salvezza.
Necessità della carità secondo san Paolo
6.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi carità,
sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di
profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta
la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi carità, non sarei
nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi
il mio corpo a essere arso, e non avessi carità, non mi gioverebbe a
niente.
La carità è paziente, è benevola; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. (...) Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità. (I Corinzi 13:1-7, 13)
La carità è paziente, è benevola; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. (...) Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità. (I Corinzi 13:1-7, 13)
7. San Paolo aveva talmente ben compreso questa grande verità, che disse: «Se
parlassi la lingua degli angeli, se avessi il dono di profezia, se
conoscessi tutti i misteri; se avessi tutta la fede in modo da spostare i
monti, ma non avessi carità, non sarei nulla. Ora dunque queste tre
cose durano: fede, speranza e carità; ma la più grande di esse è la
carità». Egli pone così, senza equivoco, la carità persino al di
sopra della fede. Perché la carità è alla portata di tutti,
dell'ignorante e del sapiente, del ricco e del povero, e anche perché è
indipendente da tutte le fedi personali.
Egli fa di più: definisce la vera carità, la mostra, non solo nella beneficenza, ma anche nella riunione di tutte le qualità del cuore, nella bontà e nella benevolenza verso il prossimo.
Egli fa di più: definisce la vera carità, la mostra, non solo nella beneficenza, ma anche nella riunione di tutte le qualità del cuore, nella bontà e nella benevolenza verso il prossimo.
Fuori della Chiesa non c'è salvezza. Fuori della verità non c'è salvezza
8. Mentre la massima «Fuori della carità non c'è salvezza» si basa su un principio universale e apre a tutti i figli di Dio l'accesso alla felicità suprema, il dogma «Fuori della Chiesa nessuna salvezza» si basa non sulla fede fondamentale in Dio e sull'immortalità dell'anima, principio comune a tutte le religioni, ma sulla fede speciale nei dogmi particolari. Questo
dogma è esclusivo e assoluto. Anziché unire i figli di Dio, li divide.
Invece di stimolarli all'amore per i loro fratelli, mantiene e sancisce
l'animosità fra i seguaci dei vari culti, che si considerano
reciprocamente come maledetti per l'eternità, siano essi su questa Terra
parenti o amici. Disconoscendo la grande legge dell'uguaglianza davanti
alla tomba, li separa persino nel camposanto. La massima «Fuori della carità non c'è salvezza» è la
consacrazione del principio di uguaglianza davanti a Dio e della
libertà di coscienza. Con questa massima, per regola, tutti gli uomini
sono fratelli, e qualunque sia il loro modo di adorare il Creatore essi
si tendono la mano e pregano gli uni per gli altri. Con il principio «Fuori della Chiesa non c'è salvezza» si
scagliano anatemi, si perseguitano vivendo da nemici: il padre non
prega per il figlio né il figlio per il padre né l'amico per l'amico, e
si credono reciprocamente dei dannati senza ritorno. Questo principio è
dunque essenzialmente contrario agli insegnamenti di Cristo e alla legge
evangelica.
9. «Fuoridella verità non c'è salvezza» sarebbe l'equivalente di «Fuori della Chiesa non c'è salvezza», e
altrettanto esclusivo, perché non può esserci una sola setta che
pretende di avere il privilegio della verità. Qual è l'uomo che può
vantarsi di possederla tutta, quando il campo delle conoscenze si amplia
incessantemente, e le idee si rettificano ogni giorno che passa? La
verità assoluta è appannaggio solo degli Spiriti di ordine superiore, e
l'umanità terrena non può pretendere di possederla perché non le è dato
sapere tutto, può solo aspirare a una verità relativa e proporzionata al
suo avanzamento. Se Dio avesse espressamente fatto del possesso della
verità assoluta la condizione della felicità futura, ciò sarebbe
equivalso a un decreto di proscrizione generale, mentre la carità, anche
nella sua accezione più ampia, può essere praticata da tutti. Lo
Spiritismo, in accordo con il Vangelo, ammettendo che ci si può salvare
con qualsiasi fede se si osserva la legge di Dio, non dice
assolutamente: «Fuori dello Spiritismo non c'è salvezza»; e siccome non pretende ancora di insegnare tutta la verità, neppure dice: Fuori della verità non c'è salvezza», massima che dividerebbe invece di unire e perpetuerebbe gli antagonismi.
Istruzioni Degli Spiriti
Fuori della carità non c'è salvezza
10. Figli miei, la massima «Fuori della carità non c'è salvezza» racchiude
i destini degli uomini in Terra e in Cielo. Sulla. Terra perché
all'ombra di questo stendardo vivranno in pace; in Cielo, perché chi
l'avrà praticata troverà grazia al cospetto del Signore. Questo motto è
la fiaccola celeste, la colonna luminosa che guida l'uomo nel deserto
della vita per condurlo alla Terra Promessa. Essa brilla in Cielo come
un'aureola santa sulla fronte degli eletti, e sulla Terra essa è
impressa nel cuore di coloro ai quali Gesù dirà: «Andate a destra, voi i
benedetti dal Padre mio». Li riconoscerete dal profumo di carità che
essi spandono intorno a loro. Niente che esprima meglio il pensiero di
Gesù. Niente meglio di questa massima, di ordine divino, riassume i
doveri dell'uomo. Lo Spiritismo non potrebbe dimostrare in modo più
chiaro la sua origine se non dandola come regola, perché essa è il
riflesso del più puro Cristianesimo. Con tale guida, l'uomo non verrà
mai fuorviato. Applicatevi dunque, amici miei, a comprenderne il senso
profondo e le conseguenze, a cercarne tutte le possibili applicazioni da
parte vostra. Sottoponete tutte le vostre azioni al controllo della
carità, e la vostra coscienza vi corrisponderà. Non solamente eviterà
che facciate il male, ma vi farà fare il bene. Perché non basta una
virtù passiva, ci vuole una virtù attiva. Per fare il bene ci vuole
sempre l'intervento della volontà. Per non fare il male basta sovente
l'inerzia o l'indifferenza.
Amici miei, ringraziate Dio che vi ha permesso di poter fruire della luce dello Spiritismo, non perché solo quelli che la possiedono possono salvarsi, ma perché, aiutandovi a comprendere meglio gli insegnamenti di Cristo, essa fa di voi dei cristiani migliori. Fate sì che vedendovi si possa dire che un vero Spiritista e un vero Cristiano sono una sola e stessa cosa, perché tutti quelli che praticano la carità sono discepoli di Gesù a qualsiasi culto essi appartengano.
Amici miei, ringraziate Dio che vi ha permesso di poter fruire della luce dello Spiritismo, non perché solo quelli che la possiedono possono salvarsi, ma perché, aiutandovi a comprendere meglio gli insegnamenti di Cristo, essa fa di voi dei cristiani migliori. Fate sì che vedendovi si possa dire che un vero Spiritista e un vero Cristiano sono una sola e stessa cosa, perché tutti quelli che praticano la carità sono discepoli di Gesù a qualsiasi culto essi appartengano.
(Paolo Apostolo, Parigi, 1860)
Capitolo XVI NON SI PUÒ SERVIRE DIO E MAMMONA
Salvezza dei ricchi
1.
«Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà
l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non
potete servire Dio e Mammona.» (Luca 16:13)
2. Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che devo.fare di buono per avere la vita eterna?»
Gesù gli rispose: «Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno
solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».
«Quali?» gli chiese. E Gesù rispose: «Questi: non uccidere, non
commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo
padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso». E il giovane a
lui: «Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?»
Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dallo
ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi». Ma il
giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti
beni. E Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico in verità che
difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. E ripeto: è più
facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago,[1] che per
un ricco entrare nel regno di Dio». (Matteo, 19:16-24; Luca 18:18-25; Marco 10:17-25)
[1] Questa ardita metafora può sembrare un po' forzata, perché non si vede il rapporto fra un cammello e un ago. Il fatto è che in ebraico con la stessa parola si indicava la corda (gomena) e il cammello. Nella traduzione è stata dunque adottata quest'ultima accezione, ma è probabile che nella mente di Gesù fosse la prima. Oltre tutto sarebbe più logico.
[1] Questa ardita metafora può sembrare un po' forzata, perché non si vede il rapporto fra un cammello e un ago. Il fatto è che in ebraico con la stessa parola si indicava la corda (gomena) e il cammello. Nella traduzione è stata dunque adottata quest'ultima accezione, ma è probabile che nella mente di Gesù fosse la prima. Oltre tutto sarebbe più logico.
Guardarsi dall'avarizia
3. Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio .fratelloche divida con me l'eredità.» Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?»
Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché
non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua
vita». E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco
fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché
non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: "Questo farò: demolirò i
miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio
grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni
ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti'". Ma Dio
gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata;
e quello che hai preparato, di chi sarà?" Così è di chi accumula tesori
per sé e non è ricco davanti a Dio». (Luca 12:13-21)
Gesù in casa di Zaccheo
4.
Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Un uomo, di nome
Zaccheo, il quale era capo dei pubblicani ed era ricco, cercava di
vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era
piccolo di statura. Allora per vederlo, corse avanti, e salì sopra un
sicomoro, perché egli doveva passare per quella via. Quando Gesù giunse
in quel luogo, alzati gli occhi gli disse: «Zaccheo,
scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua». Egli si
affrettò a scendere e lo accolse con gioia. Veduto questo, tutti
mormoravano, dicendo: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!»
Ma Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco,
Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno
di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è
entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché
il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto».
(Luca 19:1-10)
Parabola del cattivo ricco
5. «C'era
un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si
divertiva splendidamente; e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che
stava alla porta di lui, pieno di ulceri, e bramoso di sfamarsi con
quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a
leccargli le ulceri. Avvenne che il povero morì e fu portato dagli
angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. E
nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano
Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: "Padre Abraamo, abbi pietà
di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per
rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma". Ma
Abraamo disse: "Figlio, ricordati che tu nella tua vita hai ricevuto i
tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è
consolato, e tu sei tormentato. Oltre a tutto questo, fra noi e voi è
posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a
voi non possano, né di là si passi da noi". Ed egli disse: "Ti prego,
dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque
fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in
questo luogo di tormento" Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti;
ascoltino quelli"'. Ed egli: "No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai
morti va a loro, si ravvedranno". Abraamo rispose: "Se non ascoltano
Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti
risuscita".» (Luca 16:19-31)
Parabola dei talenti
6. «Poiché
avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi
servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro
due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì.
Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare,
e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due talenti ne
guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una
buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo,
il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. Colui che
aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti,
dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho
guadagnati altri cinque". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo
buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte
cose: entra nella gioia del tuo Signore". Poi, si presentò anche quello
dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco,
ne ho guadagnati altri due". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo
buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte
cose; entra nella gioia del tuo Signore". Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore,
io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e
raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere
il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". Il suo padrone gli rispose:
"Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho
seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio
denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con
l'interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i
dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma
a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile,
gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei
denti".» ( Matteo 25:14-30)
Utilità provvidenziale della ricchezza
7.
La ricchezza sembrerebbe un ostacolo insormontabile per la salvezza di
quelli che la possiedono, così come si potrebbe dedurre da certe parole
di Gesù, se interpretate alla lettera e non secondo il loro spirito.
Dio, che la elargisce, avrebbe messo nelle mani di alcuni uno strumento
di perdizione senza appello, pensiero che è in contrasto con la logica.
La ricchezza è senza dubbio una prova molto rischiosa, più pericolosa
della miseria, per la forza trascinante, per le tentazioni cui sottopone
e per il fascino che esercita. È il massimo stimolo dell'orgoglio,
dell'egoismo e della vita dei sensi. È il laccio più potente che vincola
l'uomo alla Terra e fuorvia i pensieri dal Cielo. Produce una tale
vertigine che sovente vediamo colui che passa dalla miseria alla
ricchezza dimenticare subito sia la sua condizione precedente, sia
quelli che con lui avevano condivisa, sia quelli che lo avevano aiutato,
diventando perciò insensibile, egoista e futile. Ma, per quanto la
ricchezza renda il cammino più difficile, non è detto che lo renda
impossibile, e non possa essa diventare persino un mezzo di salvezza
nelle mani di colui che sappia farne buon uso, così come certi veleni
possono ristabilire la salute se vengono impiegati con discernimento.
Quando Gesù risponde al giovane, che gli domandava come guadagnare la vita eterna: «Va’, vendi ciò che hai e seguimi», non intendeva affatto dire che tutti devono spogliarsi di ciò che possiedono, e che la salvezza si ottiene solo a questo prezzo, ma intendeva dimostrare che l'eccessivo attaccamento ai beni terreni è un ostacolo alla salvezza. Infatti questo giovane si credeva a posto perché aveva osservato determinati comandamenti, ed era tuttavia restio all'idea di dover abbandonare i suoi beni. Il suo desiderio di ottenere la vita eterna non arrivava fino al sacrificio.
La proposta di Gesù era una prova decisiva per mettere in luce ciò che quel giovane pensava nel suo profondo. Senza dubbio egli poteva essere un perfetto e onesto uomo agli occhi del mondo, non fare torto a nessuno, non maledire il prossimo, non essere né vano né orgoglioso. Senza dubbio onorava il padre e la madre, ma non possedeva la vera carità, perché la sua virtù non arrivava fino all'abnegazione. Ecco ciò che Gesù ha voluto dimostrare: la messa in pratica del principio «Senza carità nessuna salvezza».
La conseguenza di queste parole, intese nel loro più rigoroso significato sarebbe l'abolizione della ricchezza in quanto nociva alla felicità futura e fonte di infiniti mali sulla Terra. Si tratterebbe inoltre di condannare il lavoro che può procurarla, conseguenza assurda, che ricondurrebbe l'uomo alla vita primitiva e che, proprio per questo, sarebbe in contraddizione con la legge del progresso, che è una legge di Dio.
Se la ricchezza è fonte di molti mali, se fomenta tante cattive passioni, se è causa persino di crimini, bisogna non riferirsi alla ricchezza in sé, ma all'uomo che ne abusa, come abusa di tutti i doni di Dio. A causa dell'abuso, l'uomo rende pernicioso quanto di più utile potrebbe esserci per lui. Questo è la conseguenza dello stato di inferiorità del mondo terreno. Se la ricchezza producesse solo del male, Dio non l'avrebbe messa sulla Terra. Spetta all'uomo ricavarne del bene. Se non è un elemento diretto del progresso morale è, senza tema di smentita, un potente elemento di progresso intellettuale.
Infatti, missione dell'uomo è lavorare per il miglioramento materiale del globo. Deve dissodare la terra, bonificarla, predisporla perché possa ricevere un giorno tutta la popolazione che la sua superficie comporta. E per nutrire questa popolazione che aumenta incessantemente, bisogna incrementare la produzione. Se la produzione di una regione è insufficiente, bisogna andare a cercarla altrove. Proprio per questo le relazioni fra popolo e popolo diventano una necessità. Per facilitarle è necessario abbattere gli ostacoli materiali che li dividono e rendere le comunicazioni più rapide. Per i lavori, che sono opera di secoli, l'uomo ha dovuto procurarsi dei materiali fin nelle viscere della terra. Ha cercato nella scienza il modo per impiegarli con maggiore sicurezza e rapidità. Ma per fare ciò gli ci sono volute delle risorse: la necessità ha fatto sì che la sua ricchezza crescesse, così come gli ha fatto scoprire le scienze. L'attività resa necessaria da questi lavori ha fatto crescere e sviluppare la sua intelligenza. Questa intelligenza, che si concentra dapprima nella soddisfazione dei beni materiali, l'aiuterà più tardi a comprendere le grandi verità morali. Essendo la ricchezza il primo mezzo di questa immensa realizzazione, possiamo ben dire che senza di essa non ci sarebbero i grandi lavori, le attività, gli stimoli, le ricerche. È dunque con ragione che la ricchezza viene considerata come un elemento di progresso.
Quando Gesù risponde al giovane, che gli domandava come guadagnare la vita eterna: «Va’, vendi ciò che hai e seguimi», non intendeva affatto dire che tutti devono spogliarsi di ciò che possiedono, e che la salvezza si ottiene solo a questo prezzo, ma intendeva dimostrare che l'eccessivo attaccamento ai beni terreni è un ostacolo alla salvezza. Infatti questo giovane si credeva a posto perché aveva osservato determinati comandamenti, ed era tuttavia restio all'idea di dover abbandonare i suoi beni. Il suo desiderio di ottenere la vita eterna non arrivava fino al sacrificio.
La proposta di Gesù era una prova decisiva per mettere in luce ciò che quel giovane pensava nel suo profondo. Senza dubbio egli poteva essere un perfetto e onesto uomo agli occhi del mondo, non fare torto a nessuno, non maledire il prossimo, non essere né vano né orgoglioso. Senza dubbio onorava il padre e la madre, ma non possedeva la vera carità, perché la sua virtù non arrivava fino all'abnegazione. Ecco ciò che Gesù ha voluto dimostrare: la messa in pratica del principio «Senza carità nessuna salvezza».
La conseguenza di queste parole, intese nel loro più rigoroso significato sarebbe l'abolizione della ricchezza in quanto nociva alla felicità futura e fonte di infiniti mali sulla Terra. Si tratterebbe inoltre di condannare il lavoro che può procurarla, conseguenza assurda, che ricondurrebbe l'uomo alla vita primitiva e che, proprio per questo, sarebbe in contraddizione con la legge del progresso, che è una legge di Dio.
Se la ricchezza è fonte di molti mali, se fomenta tante cattive passioni, se è causa persino di crimini, bisogna non riferirsi alla ricchezza in sé, ma all'uomo che ne abusa, come abusa di tutti i doni di Dio. A causa dell'abuso, l'uomo rende pernicioso quanto di più utile potrebbe esserci per lui. Questo è la conseguenza dello stato di inferiorità del mondo terreno. Se la ricchezza producesse solo del male, Dio non l'avrebbe messa sulla Terra. Spetta all'uomo ricavarne del bene. Se non è un elemento diretto del progresso morale è, senza tema di smentita, un potente elemento di progresso intellettuale.
Infatti, missione dell'uomo è lavorare per il miglioramento materiale del globo. Deve dissodare la terra, bonificarla, predisporla perché possa ricevere un giorno tutta la popolazione che la sua superficie comporta. E per nutrire questa popolazione che aumenta incessantemente, bisogna incrementare la produzione. Se la produzione di una regione è insufficiente, bisogna andare a cercarla altrove. Proprio per questo le relazioni fra popolo e popolo diventano una necessità. Per facilitarle è necessario abbattere gli ostacoli materiali che li dividono e rendere le comunicazioni più rapide. Per i lavori, che sono opera di secoli, l'uomo ha dovuto procurarsi dei materiali fin nelle viscere della terra. Ha cercato nella scienza il modo per impiegarli con maggiore sicurezza e rapidità. Ma per fare ciò gli ci sono volute delle risorse: la necessità ha fatto sì che la sua ricchezza crescesse, così come gli ha fatto scoprire le scienze. L'attività resa necessaria da questi lavori ha fatto crescere e sviluppare la sua intelligenza. Questa intelligenza, che si concentra dapprima nella soddisfazione dei beni materiali, l'aiuterà più tardi a comprendere le grandi verità morali. Essendo la ricchezza il primo mezzo di questa immensa realizzazione, possiamo ben dire che senza di essa non ci sarebbero i grandi lavori, le attività, gli stimoli, le ricerche. È dunque con ragione che la ricchezza viene considerata come un elemento di progresso.
Disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze
8. La disuguaglianza nella
distribuzione delle ricchezze è uno di quei problemi che si cerca di
risolvere, ma invano se si considera solo la vita presente. La prima
domanda che si presenta è questa: perché
non tutti gli uomini sono ugualmente ricchi? Non lo sono per una
ragione molto semplice: perché non tutti sono ugualmente intelligenti,
attivi e laboriosi per conquistarla, né sobri e previdenti per
conservarla. È d'altra parte matematicamente dimostrato che la
ricchezza ugualmente ripartita darebbe a ognuno una quota minima e
insufficiente e, ammettendo questa ripartizione, l'equilibrio verrebbe
rotto in breve tempo dalla diversità dei caratteri e delle attitudini. E
supponendola possibile e duratura, avendo ognuno appena di che vivere,
ne deriverebbe l'annullamento di tutti i grandi lavori che concorrono al
progresso e al benessere dell'umanità. E supponendo ancora che desse a
tutti il necessario, verrebbe comunque meno lo stimolo che spinge l'uomo
alle grandi scoperte e alle imprese utili. Se Dio la concentra in certi
settori, è perché da lì si diffonda in quantità sufficienti, secondo le
necessità.
Ammesso ciò, ci si domanda perché Dio dà la ricchezza a persone incapaci di farla fruttare per il bene di tutti. Ecco un'altra prova della saggezza e bontà di Dio. Dando all'uomo il libero arbitrio, Egli ha voluto che arrivasse, con la sua esperienza personale, a distinguere il bene dal male, e che la pratica del bene fosse il risultato dei suoi sforzi e della sua stessa volontà. L'uomo non deve essere fatalmente condotto né al bene né al male, altrimenti sarebbe solo uno strumento passivo e irresponsabile, come gli animali. La ricchezza è un mezzo per metterlo alla prova moralmente. Ma, poiché essa è allo stesso tempo un potente mezzo di azione per il progresso, Dio non vuole che rimanga a lungo improduttiva ed è per questa ragione che la trasferisce continuamente. Tutti devono possederla, per provare a servirsene e per dimostrare l'uso che ne sanno fare. Siccome è materialmente impossibile che tutti la possiedano nello stesso tempo, e poiché se tutti la possedessero nessuno lavorerebbe, e il miglioramento della Terra ne soffrirebbe, ognuno la possiede quando è il suo turno. Chi non la possiede oggi l'ha già posseduta o l'avrà in un'altra esistenza e chi l'ha oggi potrà non averla domani. Ci sono ricchi e poveri, perché Dio, essendo giusto, decide che ognuno a sua volta debba lavorare. La povertà è per gli uni la prova della pazienza e della rassegnazione; la ricchezza è per gli altri la prova della carità e dell'abnegazione.
Ci si duole con ragione nel vedere il pessimo uso che alcuni fanno della loro ricchezza, le ignobili passioni suscitate dalla cupidigia, e ci si domanda se Dio è giusto a dare la ricchezza a tali persone. È chiaro che, se l'uomo avesse una sola esistenza, niente giustificherebbe una tale ripartizione dei beni della Terra. Ma se, invece di limitare le proprie vedute alla vita presente, si considerasse l'insieme delle esistenze, si vedrebbe che tutto sta in equilibrio con giustizia. Stando così le cose, il povero non ha dunque più motivo di accusare la Provvidenza né di invidiare i ricchi, e i ricchi non hanno più di che gloriarsi per quanto possiedono. Se questi d'altro canto abusano delle ricchezze, non sarà né con i decreti né con le leggi suntuarie che si potrà limitare il superfluo e il lusso e rimediare al male. Le leggi possono momentaneamente cambiare l'apparenza, ma non possono cambiare il cuore. È per questo che le leggi hanno solo una durata temporanea e sono sempre seguite da una reazione sfrenata. L'origine del male si trova nell'egoismo e nell'orgoglio. Gli abusi, di qualsiasi natura, cesseranno da se stessi quando gli uomini si regoleranno in base alla legge della carità.
Ammesso ciò, ci si domanda perché Dio dà la ricchezza a persone incapaci di farla fruttare per il bene di tutti. Ecco un'altra prova della saggezza e bontà di Dio. Dando all'uomo il libero arbitrio, Egli ha voluto che arrivasse, con la sua esperienza personale, a distinguere il bene dal male, e che la pratica del bene fosse il risultato dei suoi sforzi e della sua stessa volontà. L'uomo non deve essere fatalmente condotto né al bene né al male, altrimenti sarebbe solo uno strumento passivo e irresponsabile, come gli animali. La ricchezza è un mezzo per metterlo alla prova moralmente. Ma, poiché essa è allo stesso tempo un potente mezzo di azione per il progresso, Dio non vuole che rimanga a lungo improduttiva ed è per questa ragione che la trasferisce continuamente. Tutti devono possederla, per provare a servirsene e per dimostrare l'uso che ne sanno fare. Siccome è materialmente impossibile che tutti la possiedano nello stesso tempo, e poiché se tutti la possedessero nessuno lavorerebbe, e il miglioramento della Terra ne soffrirebbe, ognuno la possiede quando è il suo turno. Chi non la possiede oggi l'ha già posseduta o l'avrà in un'altra esistenza e chi l'ha oggi potrà non averla domani. Ci sono ricchi e poveri, perché Dio, essendo giusto, decide che ognuno a sua volta debba lavorare. La povertà è per gli uni la prova della pazienza e della rassegnazione; la ricchezza è per gli altri la prova della carità e dell'abnegazione.
Ci si duole con ragione nel vedere il pessimo uso che alcuni fanno della loro ricchezza, le ignobili passioni suscitate dalla cupidigia, e ci si domanda se Dio è giusto a dare la ricchezza a tali persone. È chiaro che, se l'uomo avesse una sola esistenza, niente giustificherebbe una tale ripartizione dei beni della Terra. Ma se, invece di limitare le proprie vedute alla vita presente, si considerasse l'insieme delle esistenze, si vedrebbe che tutto sta in equilibrio con giustizia. Stando così le cose, il povero non ha dunque più motivo di accusare la Provvidenza né di invidiare i ricchi, e i ricchi non hanno più di che gloriarsi per quanto possiedono. Se questi d'altro canto abusano delle ricchezze, non sarà né con i decreti né con le leggi suntuarie che si potrà limitare il superfluo e il lusso e rimediare al male. Le leggi possono momentaneamente cambiare l'apparenza, ma non possono cambiare il cuore. È per questo che le leggi hanno solo una durata temporanea e sono sempre seguite da una reazione sfrenata. L'origine del male si trova nell'egoismo e nell'orgoglio. Gli abusi, di qualsiasi natura, cesseranno da se stessi quando gli uomini si regoleranno in base alla legge della carità.
Istruzioni Degli Spiriti
La vera proprietà
9. L'uomo
non possiede di suo se non quanto può portare via con sé da questo
mondo. Di ciò che trova arrivando e di ciò che lascia partendo egli
fruisce durante la sua permanenza sulla Terra. Ma, poiché è forzato a
lasciare tutto, egli ne ha solo l'usufrutto e non il possesso reale. Che
cosa possiede dunque? Niente di ciò che è destinato all'uso del corpo,
ma tutto ciò che è a uso dell'anima: l'intelligenza, le conoscenze, le
qualità morali. Ecco ciò che porta e riporta via con sé, ciò che nessuno
ha la facoltà di togliergli, ciò che gli servirà nell'Aldilà più ancora
che qui. Da lui dipende essere più ricco alla partenza che all'arrivo,
perché da ciò che avrà acquisito in bene dipende la sua posizione
futura. Quando qualcuno va in un paese lontano, mette in valigia le cose
necessarie per quel soggiorno, ma non si carica assolutamente di ciò
che è inutile. Fate dunque lo stesso riguardo alla vita futura e fate
provvista di tutto ciò che potrà servirvi là.
A un viaggiatore che arrivi in una locanda si dà una buona sistemazione se può pagare bene, a uno che ha poco da spendere si dà una sistemazione meno confortevole. Quanto a chi non ha niente, dormirà sulla paglia. Così è dell'uomo che arriva nel mondo degli Spiriti: il posto che gli verrà assegnato dipenderà dai suoi averi, ma non è con l'oro che potrà pagarlo. Non gli verrà certo domandato: «Quanto avevi sulla Terra? Quale posizione occupavi? Eri un principe o un operaio?» Ma gli si domanderà: «Che cosa hai riportato?» Non si calcolerà assolutamente il valore dei suoi beni né dei suoi titoli, ma la somma delle sue virtù. Ora, in base a questo computo, l'operaio può essere più ricco del principe. Invano quest'ultimo addurrà che prima della sua dipartita ha pagato la sua entrata nell'Aldilà con l'oro. Gli si risponderà: «Qui i posti non si comperano, si guadagnano con il bene che si è fatto. Con la moneta della Terra hai potuto comperare campi, case, palazzi; qui tutto si paga con la moneta del cuore. Sei ricco di queste qualità? Sii il benvenuto e vai ai primi posti, dove tutta la felicità ti attende. Sei povero di queste qualità? Vai all'ultimo posto, dove sarai trattato in ragione dei tuoi averi».
A un viaggiatore che arrivi in una locanda si dà una buona sistemazione se può pagare bene, a uno che ha poco da spendere si dà una sistemazione meno confortevole. Quanto a chi non ha niente, dormirà sulla paglia. Così è dell'uomo che arriva nel mondo degli Spiriti: il posto che gli verrà assegnato dipenderà dai suoi averi, ma non è con l'oro che potrà pagarlo. Non gli verrà certo domandato: «Quanto avevi sulla Terra? Quale posizione occupavi? Eri un principe o un operaio?» Ma gli si domanderà: «Che cosa hai riportato?» Non si calcolerà assolutamente il valore dei suoi beni né dei suoi titoli, ma la somma delle sue virtù. Ora, in base a questo computo, l'operaio può essere più ricco del principe. Invano quest'ultimo addurrà che prima della sua dipartita ha pagato la sua entrata nell'Aldilà con l'oro. Gli si risponderà: «Qui i posti non si comperano, si guadagnano con il bene che si è fatto. Con la moneta della Terra hai potuto comperare campi, case, palazzi; qui tutto si paga con la moneta del cuore. Sei ricco di queste qualità? Sii il benvenuto e vai ai primi posti, dove tutta la felicità ti attende. Sei povero di queste qualità? Vai all'ultimo posto, dove sarai trattato in ragione dei tuoi averi».
(Pascal, Ginevra, 1860)
10. I
beni della Terra appartengono a Dio che li dispensa a Suo piacimento, e
l'uomo ne è solo l'usufruttuario, l'amministratore più o meno
integerrimo e intelligente. I beni sono tanto poco proprietà individuale
dell'uomo, che Dio vanifica qualsiasi previsione, e la ricchezza sfugge
a chi crede di possederla per diritto.
Si dirà che ciò è comprensibile per la ricchezza ereditata, ma che non lo è per la ricchezza acquisita con il proprio lavoro. Senza dubbio: se una fortuna legittima esiste, è proprio quella che viene acquisita onestamente, perché una proprietà è legittimamente acquisita solo quando, per possederla, non si è fatto torto a nessuno. Gli verrà chiesto di dar conto del denaro guadagnato a danno di altri. Ma per quanto un uomo debba la sua fortuna solo a se stesso, per questo ne porterà via di più morendo? Le cure che impiega nel trasmetterla ai suoi discendenti non sono spesso inutili? Senza dubbio sì, perché se Dio non vuole che gli eredi la ricevano, niente potrà prevalere contro la Sua volontà. Può l'uomo usarne e abusarne impunemente, durante la sua vita, senza doverne rendere conto? No. Permettendogli di acquisire questi beni, Dio ha potuto volerlo ricompensare, in questa vita, dei suoi sforzi, del suo coraggio, della sua perseveranza. Ma se l'uomo se ne è servito solo per soddisfare i suoi sensi e il suo orgoglio, se la ricchezza è diventata motivo di caduta nelle sue mani, sarebbe stato meglio per lui non averla mai posseduta. Da un lato perde quello che ha guadagnato, dall'altro annulla il merito del suo lavoro e quando lascerà la Terra Dio gli dirà che ha già ricevuto la sua ricompensa.
Si dirà che ciò è comprensibile per la ricchezza ereditata, ma che non lo è per la ricchezza acquisita con il proprio lavoro. Senza dubbio: se una fortuna legittima esiste, è proprio quella che viene acquisita onestamente, perché una proprietà è legittimamente acquisita solo quando, per possederla, non si è fatto torto a nessuno. Gli verrà chiesto di dar conto del denaro guadagnato a danno di altri. Ma per quanto un uomo debba la sua fortuna solo a se stesso, per questo ne porterà via di più morendo? Le cure che impiega nel trasmetterla ai suoi discendenti non sono spesso inutili? Senza dubbio sì, perché se Dio non vuole che gli eredi la ricevano, niente potrà prevalere contro la Sua volontà. Può l'uomo usarne e abusarne impunemente, durante la sua vita, senza doverne rendere conto? No. Permettendogli di acquisire questi beni, Dio ha potuto volerlo ricompensare, in questa vita, dei suoi sforzi, del suo coraggio, della sua perseveranza. Ma se l'uomo se ne è servito solo per soddisfare i suoi sensi e il suo orgoglio, se la ricchezza è diventata motivo di caduta nelle sue mani, sarebbe stato meglio per lui non averla mai posseduta. Da un lato perde quello che ha guadagnato, dall'altro annulla il merito del suo lavoro e quando lascerà la Terra Dio gli dirà che ha già ricevuto la sua ricompensa.
(M., Spirito Protettore, Bruxelles, 1861)
Impiego della ricchezza
11.
Non si può servire Dio e Mammona. Tenetelo ben presente voi che siete
dominati dall'amore per l'oro, voi che vendereste l'anima per possedere
un tesoro, solo per il fatto che esso può elevarvi al di sopra degli
altri uomini e darvi il godimento delle passioni. No, voi non potete
servire Dio e Mammona! Se dunque voi sentite la vostra anima dominata
dalla cupidigia della carne, affrettatevi a scuotere il giogo che vi
opprime, perché Dio, giusto e severo, vi dirà: «Che cosa ne hai fatto,
amministratore infedele, dei beni che ti ho affidato? Questo potente
strumento delle buone opere tu l'hai usato solo per tua soddisfazione
personale».
Qual è dunque il migliore impiego della ricchezza? Cercate in queste parole, «Amatevi l'un l'altro», la soluzione del problema: qui sta il segreto del buon impiego delle proprie ricchezze. Chi è animato dall'amore per il prossimo ha la sua linea di condotta tracciata. L'impegno che Dio maggiormente gradisce è la carità, non quella carità fredda ed egoistica che consiste nel dispensare intorno a sé il superfluo di un'esistenza dorata, ma quella carità piena d'amore che va in cerca della sofferenza, che soccorre senza umiliare. Ricco, dai il tuo superfluo. Fai di più: dai un po' del tuo necessario, perché il tuo necessario è ancora un di più, ma dai con avvedutezza. Non respingere i lamenti per paura di essere ingannato, ma vai all'origine del male. Prima di tutto soccorri e poi informati, per vedere se un lavoro, dei consigli e persino l'affetto non sarebbero più efficaci della tua elemosina. Diffondi intorno a te, in abbondanza, l'amore di Dio, l'amore per il lavoro, l'amore per il prossimo. Poni le tue ricchezze su una base sicura e che ti porterà dei forti interessi: le buone opere. La ricchezza dell'intelligenza deve servirti come quella dell'oro: diffondi intorno a te i tesori dell'istruzione, spargi sui tuoi fratelli i tesori dell'amore, ed essi frutteranno.
Qual è dunque il migliore impiego della ricchezza? Cercate in queste parole, «Amatevi l'un l'altro», la soluzione del problema: qui sta il segreto del buon impiego delle proprie ricchezze. Chi è animato dall'amore per il prossimo ha la sua linea di condotta tracciata. L'impegno che Dio maggiormente gradisce è la carità, non quella carità fredda ed egoistica che consiste nel dispensare intorno a sé il superfluo di un'esistenza dorata, ma quella carità piena d'amore che va in cerca della sofferenza, che soccorre senza umiliare. Ricco, dai il tuo superfluo. Fai di più: dai un po' del tuo necessario, perché il tuo necessario è ancora un di più, ma dai con avvedutezza. Non respingere i lamenti per paura di essere ingannato, ma vai all'origine del male. Prima di tutto soccorri e poi informati, per vedere se un lavoro, dei consigli e persino l'affetto non sarebbero più efficaci della tua elemosina. Diffondi intorno a te, in abbondanza, l'amore di Dio, l'amore per il lavoro, l'amore per il prossimo. Poni le tue ricchezze su una base sicura e che ti porterà dei forti interessi: le buone opere. La ricchezza dell'intelligenza deve servirti come quella dell'oro: diffondi intorno a te i tesori dell'istruzione, spargi sui tuoi fratelli i tesori dell'amore, ed essi frutteranno.
(Cheverus, Bordeaux, 1861)
12.
Quando considero la brevità della vita, sono dolorosamente colpito
dall'incessante preoccupazione che ha come obiettivo la conquista del
benessere materiale, mentre si dedica poco o nessun tempo al
perfezionamento morale che deve contare per l'eternità. Si direbbe, a
vedere l'attività che viene svolta, che essa si riferisca a una
questione del più alto interesse per l'umanità, mentre si tratta solo di
porre l'uomo nella condizione di soddisfare dei bisogni secondari e la
vanità, o di consegnarlo a degli eccessi. Quante pene, preoccupazioni,
tormenti egli si dà! Quante notti insonni per rimpinguare una fortuna
più che sufficiente! Al massimo dell'assurdo, non è raro vedere certuni
che, per un amore smodato per la ricchezza e per i godimenti che essa
procura, si assoggettano a un lavoro penoso, si vantano di un'esistenza
detta di sacrificio e di merito, come se lavorassero per gli altri e non
per se stessi. Insensati! Credete dunque davvero che si terrà conto
delle cure e degli sforzi, la cui leva sono stati l'egoismo, la
cupidigia o l'orgoglio, mentre avete trascurato la cura del vostro
avvenire, anche come dovere che la solidarietà fraterna impone a tutti
quelli che fruiscono dei vantaggi della vita sociale? Voi avete avuto
cura solo del vostro corpo. Il suo benessere, i suoi piaceri sono stati
l'unico oggetto della vostra egoistica sollecitudine. Per il corpo, che
muore, voi avete trascurato il vostro Spirito, che vivrà sempre. Questo
padrone tenuto in tanta considerazione e tanto blandito è anche
diventato il vostro tiranno e comanda il vostro Spirito, che si fa suo
schiavo. Era forse questo lo scopo dell'esistenza che Dio vi ha donato?
(Uno Spirito protettore, Cracovia, 1861)
13.
Essendo l'uomo il depositario e l'amministratore dei beni che Dio ha
consegnato nelle sue mani, gli verrà domandato un rendiconto severo
dell'impiego che avrà fatto di quei beni, in virtù del suo libero
arbitrio. Il cattivo impiego consiste nell'essersene servito solo per
soddisfazione personale. Invece l'impiego è buono quando ne risulti
sempre anche un minimo bene per gli altri, e il merito sarà in
proporzione al sacrificio che esso ha comportato. La beneficenza è uno
dei modi di impiego della ricchezza: essa dà sollievo alla miseria
attuale, calma la fame, protegge dal freddo e dà un asilo a chi non ce
l'ha. Inoltre ha un dovere ugualmente imperioso, ugualmente meritorio,
che consiste nel prevenire la miseria. È in ciò che si configura
soprattutto la missione delle grandi fortune: attraverso i lavori di
tutti i generi che esse possono attivare. E anche se dovessero da questi
lavori trarre un legittimo profitto, il bene non sarebbe minore, perché
il lavoro sviluppa l'intelligenza ed esalta la dignità dell'uomo,
sempre fiero di poter dire che ha guadagnato il pane che lo nutre,
mentre l'elemosina lo umilia e degrada. La fortuna concentrata nelle
mani di uno solo deve essere come una sorgente d'acqua viva che spande
intorno fecondità e benessere. O voi ricchi, che impiegate la vostra
fortuna secondo le intenzioni del Signore! Il vostro cuore sarà il primo
a dissetarsi a questa sorgente benefica. Voi avrete in questa vita le
ineffabili gioie dell'anima in luogo delle gioie materiali dell'egoismo,
che lasciano il vuoto nel cuore. Il vostro nome sarà benedetto sulla
Terra, e quando la lascerete, il sovrano Maestro vi rivolgerà le parole
della parabola dei talenti: «Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore!» In
questa parabola, il servitore che sotterrò la moneta affidatagli, non è
forse l'immagine dell'avaro nelle cui mani la ricchezza è improduttiva?
Se però Gesù parla soprattutto di elemosina, è perché a quei tempi, nel
paese dove viveva, non si conosceva il lavoro, che le arti e
l'industria avrebbero creato in seguito, e nelle quali la ricchezza può
essere impiegata utilmente per il bene generale. A tutti quelli che
possono donare, poco o molto, io dirò dunque: «Fate l'elemosina quando
ciò sarà necessario ma, per quanto possibile, convertitela in salario,
affinché chi la riceve non arrossisca».
(Fénelon, Algeri, 1860)
Distacco dai beni terreni
14.
Io vengo, miei fratelli, miei amici, a portare il mio obolo per
aiutarvi a marciare coraggiosamente nel cammino del miglioramento nel
quale siete entrati. Siamo debitori gli uni verso gli altri, ed è solo
con un'unione sincera e fraterna fra Spiriti e incarnati che la
rigenerazione è possibile.
Il vostro amore per i beni terreni è uno dei più forti ostacoli al vostro avanzamento morale e spirituale. A causa di questo attaccamento al possesso, vanificate la vostra capacità di amare, concentrandola tutta sulle cose materiali. Siate sinceri: la ricchezza dà forse la felicità pura? Quando la vostra cassaforte è colma, non c'è sempre un certo vuoto nel vostro cuore? Al fondo di questo cesto di fiori, non c'è forse sempre nascosto un serpente? Io comprendo che un uomo, con un lavoro assiduo e onesto, avendo guadagnato una fortuna provi soddisfazione, ben giusta del resto. Ma fra questa soddisfazione, molto naturale e che Dio approva, a un attaccamento che assorbe ogni altro sentimento e neutralizza gli slanci del cuore, c'è una bella distanza. La stessa distanza che c'è fra la sordida avarizia e la prodigalità sconsiderata, due vizi fra i quali Dio colloca la carità, santa e salutare virtù, che insegna ai ricchi a dare senza ostentazione, affinché il povero riceva senza umiliazione.
Che la ricchezza venga dalla vostra famiglia o che l'abbiate guadagnata con il vostro lavoro, una cosa non dovete mai dimenticare: che tutto viene da Dio e tutto a Dio ritorna. Niente vi appartiene sulla Terra, neppure il vostro povero corpo: la morte ve ne spoglia come vi spoglia di tutti i beni materiali. Voi siete i depositari e non i proprietari, non ingannatevi. Dio vi ha fatto un prestito, voi dovete restituirlo, e il prestito viene concesso a condizione che almeno il superfluo vada a coloro che non hanno il necessario.
Un vostro amico vi presta una somma, se avete un minimo di onestà vi farete premura di restituirgliela e gli serberete riconoscenza. Bene: ecco la situazione di tutti gli uomini ricchi! Dio è l'amico celeste che ha prestato loro la ricchezza non domandando più solo amore e riconoscenza, ma esigendo anche che il ricco, a sua volta, doni ai poveri che sono figli Suoi quanto lui.
I beni che Dio vi ha affidato stimolano nei vostri cuori un'ardente e folle cupidigia. Quando vi attaccate smodatamente a una ricchezza passeggera e peritura come voi, non pensate che verrà il giorno in cui dovrete rendere conto al Signore di ciò che da Lui viene? Dimenticate forse che, con la ricchezza, voi siete investiti del carattere sacro di ministri della carità sulla Terra affinché ne siate gli intelligenti dispensatori? Chi siete dunque quando usate a vostro solo profitto ciò che vi è stato affidato, se non degli infedeli depositari? Che cosa nasce da questo oblio volontario dei vostri doveri? La morte, inflessibile e inesorabile, viene a strappare il velo sotto il quale voi vi nascondete e vi obbliga a render conto proprio allo stesso amico che vi aveva favorito e che in questo momento indossa per voi l'abito del giudice.
Invano sulla Terra cercate di illudervi da voi stessi, addolcendo col nome di virtù ciò che spesso è solamente egoismo. Quello che voi chiamate fare economia ed essere previdenti è solo cupidigia e avarizia, e la vostra generosità è solo prodigalità a vostro profitto. Un padre di famiglia, per esempio, astenendosi dal fare la carità, economizzerà, accumulerà oro su oro, e questo, dice lui, per lasciare ai suoi figli il più possibile ed evitar loro di cadere in miseria. Questo è molto giusto e paterno, ne convengo, non lo si può biasimare. Ma è sempre e solo questo lo scopo che lo guida? Non è sovente un compromesso con la propria coscienza per giustificare ai propri occhi e a quelli del mondo il suo personale attaccamento ai beni terreni? Tuttavia, pur ammettendo che l'amore paterno sia il suo unico movente, è forse questo un buon motivo per dimenticare i propri fratelli davanti a Dio? Posto che lui stesso ha già il superfluo, come gli potrebbe mai accadere di lasciare i suoi figli in miseria, se li privasse di un po' di questo superfluo? Non è dare loro una lezione di egoismo e indurire i loro cuori? Non è soffocare in loro l'amore per il prossimo? Padri e madri, voi siete in grande errore se credete di aumentare in questo modo l'amore dei vostri figli nei vostri confronti. Infatti, insegnando loro a essere egoisti con gli altri, voi insegnate loro a esserlo anche con voi.
Quando un uomo ha lavorato molto e ha accumulato beni con il sudore della fronte, voi sentirete spesso dire che quando i propri soldi sono guadagnati se ne comprende meglio il prezzo: niente di più vero. Ebbene! Questo uomo, che confessa di conoscere tutto il valore dei soldi, faccia la carità secondo le sue possibilità, avrà più meriti di chi, nato nell'abbondanza, ignora le dure fatiche del lavoro. Ma se invece questo stesso uomo, che si ricorda delle sue pene e delle sue fatiche, è egoista e duro con i poveri, è ben più colpevole degli altri, perché più si conoscono per esperienza personale i dolori nascosti della miseria, più si deve essere portati a dare sollievo agli altri.
Purtroppo l'uomo di potere porta sempre con sé un sentimento forte quanto l'attaccamento alla ricchezza: l'orgoglio. Non è raro vedere il nuovo ricco stordire lo sventurato, che implora il suo aiuto, con la storia delle sue fatiche e delle sue capacità e, anziché aiutarlo, terminare dicendogli: «Fai come ho fatto io». Per lui, la bontà di Dio non è affatto nella sua ricchezza. Il merito spetta tutto a lui. Il suo orgoglio pone una benda sui suoi occhi e tappi nelle sue orecchie. Con tutta la sua intelligenza e la sua capacità, non capisce che Dio può capovolgere la sua situazione con una sola parola.
Sperperare la propria fortuna non vuol dire non avere attaccamento ai beni terreni, si tratta invece di noncuranza e indifferenza. L'uomo, depositano di questi beni, non ha il diritto di sciuparli o di appropriarsene a proprio vantaggio. La prodigalità non è generosità, è sovente una forma di egoismo. Come colui che getti l'oro a piene mani per soddisfare un capriccio e non darebbe uno scudo per rendere un favore. Il non attaccamento ai beni terreni consiste nel dare alla ricchezza il suo giusto valore, nel sapersene servire a favore degli altri e non solo per se stessi, consiste nel non sacrificarle gli interessi per la vita futura, nel perderla senza reclamare qualora a Dio piaccia togliervela. Se, per dei rovesci imprevisti, voi diventaste un altro Giobbe, come lui, dite: «Signore, voi mi avete dato la ricchezza, voi me l'avete tolta, sia fatta la Vostra volontà». Ecco il vero non attaccamento. Siate innanzi tutto sottomessi. Abbiate fede in Colui che, avendovi dato e tolto, può rendere. Resistete con coraggio alla depressione e alla disperazione che paralizzano le vostre forze. Non dimenticate mai che, quando Dio vi colpirà, a fianco di una grande prova, Egli mette sempre una consolazione. Ma pensate soprattutto che ci sono dei beni infinitamente più preziosi di quelli della Terra, e questo pensiero vi aiuterà ad allontanarvi da questi ultimi. Dare meno valore a una cosa fa sì che si sia meno sensibili quando la si perde. L'uomo che si attacca ai beni della Terra è come il bambino che vede solo il momento presente. Chi non ci tiene è come l'adulto che vede le cose più importanti, perché comprende queste profetiche parole del Signore: «Il mio regno non è di questo mondo».
Il Signore non ordina assolutamente di spogliarsi di ciò che si possiede per ridursi all'accattonaggio volontario, perché in questo caso si diventa un peso per la società. Agire in questo modo vorrebbe dire comprendere male il non attaccamento ai beni terreni; è un egoismo di altro genere, perché è un affrancarsi dalle responsabilità che la ricchezza fa pesare su chi la possiede. Dio la concede a chi Egli ritiene capace di gestirla a profitto di tutti. Il ricco ha dunque una missione, missione che può rendere bella e profittevole; rigettare la ricchezza quando viene data da Dio, significa rinunciare al beneficio del bene che si può fare amministrandola con saggezza. Saper vivere senza di lei, quando non la si ha, saperla impiegare utilmente quando la si ha, saperla sacrificare quando ciò è necessario, è agire secondo le intenzioni del Signore. Colui che riceve in sorte ciò che il mondo chiama una buona fortuna, esclami: «Mio Dio, mi mandate un nuovo incarico, datemi la forza di compierlo secondo la Vostra santa volontà».
Ecco, amici miei, ciò che intendevo insegnarvi riguardo al non attaccamento ai beni terreni. Riassumo dicendo: «Sappiate accontentarvi di poco. Se siete poveri, non invidiate i ricchi, perché la ricchezza non è necessaria per la felicità. Se siete ricchi, non dimenticate che questi beni vi sono stati affidati, e che voi dovrete giustificarne l'impiego come in un conto di denaro avuto in prestito. Non siate dei depositari infedeli, mettendoli solo al servizio della soddisfazione del vostro orgoglio e della vostra sensualità. Non credetevi in diritto di disporre, per voi unicamente, di ciò che avete avuto solo in prestito e non in dono. Se voi non saprete restituire, non avrete più il diritto di chiedere e ricordatevi che chi dà ai poveri salda il debito che ha contratto con Dio».
Il vostro amore per i beni terreni è uno dei più forti ostacoli al vostro avanzamento morale e spirituale. A causa di questo attaccamento al possesso, vanificate la vostra capacità di amare, concentrandola tutta sulle cose materiali. Siate sinceri: la ricchezza dà forse la felicità pura? Quando la vostra cassaforte è colma, non c'è sempre un certo vuoto nel vostro cuore? Al fondo di questo cesto di fiori, non c'è forse sempre nascosto un serpente? Io comprendo che un uomo, con un lavoro assiduo e onesto, avendo guadagnato una fortuna provi soddisfazione, ben giusta del resto. Ma fra questa soddisfazione, molto naturale e che Dio approva, a un attaccamento che assorbe ogni altro sentimento e neutralizza gli slanci del cuore, c'è una bella distanza. La stessa distanza che c'è fra la sordida avarizia e la prodigalità sconsiderata, due vizi fra i quali Dio colloca la carità, santa e salutare virtù, che insegna ai ricchi a dare senza ostentazione, affinché il povero riceva senza umiliazione.
Che la ricchezza venga dalla vostra famiglia o che l'abbiate guadagnata con il vostro lavoro, una cosa non dovete mai dimenticare: che tutto viene da Dio e tutto a Dio ritorna. Niente vi appartiene sulla Terra, neppure il vostro povero corpo: la morte ve ne spoglia come vi spoglia di tutti i beni materiali. Voi siete i depositari e non i proprietari, non ingannatevi. Dio vi ha fatto un prestito, voi dovete restituirlo, e il prestito viene concesso a condizione che almeno il superfluo vada a coloro che non hanno il necessario.
Un vostro amico vi presta una somma, se avete un minimo di onestà vi farete premura di restituirgliela e gli serberete riconoscenza. Bene: ecco la situazione di tutti gli uomini ricchi! Dio è l'amico celeste che ha prestato loro la ricchezza non domandando più solo amore e riconoscenza, ma esigendo anche che il ricco, a sua volta, doni ai poveri che sono figli Suoi quanto lui.
I beni che Dio vi ha affidato stimolano nei vostri cuori un'ardente e folle cupidigia. Quando vi attaccate smodatamente a una ricchezza passeggera e peritura come voi, non pensate che verrà il giorno in cui dovrete rendere conto al Signore di ciò che da Lui viene? Dimenticate forse che, con la ricchezza, voi siete investiti del carattere sacro di ministri della carità sulla Terra affinché ne siate gli intelligenti dispensatori? Chi siete dunque quando usate a vostro solo profitto ciò che vi è stato affidato, se non degli infedeli depositari? Che cosa nasce da questo oblio volontario dei vostri doveri? La morte, inflessibile e inesorabile, viene a strappare il velo sotto il quale voi vi nascondete e vi obbliga a render conto proprio allo stesso amico che vi aveva favorito e che in questo momento indossa per voi l'abito del giudice.
Invano sulla Terra cercate di illudervi da voi stessi, addolcendo col nome di virtù ciò che spesso è solamente egoismo. Quello che voi chiamate fare economia ed essere previdenti è solo cupidigia e avarizia, e la vostra generosità è solo prodigalità a vostro profitto. Un padre di famiglia, per esempio, astenendosi dal fare la carità, economizzerà, accumulerà oro su oro, e questo, dice lui, per lasciare ai suoi figli il più possibile ed evitar loro di cadere in miseria. Questo è molto giusto e paterno, ne convengo, non lo si può biasimare. Ma è sempre e solo questo lo scopo che lo guida? Non è sovente un compromesso con la propria coscienza per giustificare ai propri occhi e a quelli del mondo il suo personale attaccamento ai beni terreni? Tuttavia, pur ammettendo che l'amore paterno sia il suo unico movente, è forse questo un buon motivo per dimenticare i propri fratelli davanti a Dio? Posto che lui stesso ha già il superfluo, come gli potrebbe mai accadere di lasciare i suoi figli in miseria, se li privasse di un po' di questo superfluo? Non è dare loro una lezione di egoismo e indurire i loro cuori? Non è soffocare in loro l'amore per il prossimo? Padri e madri, voi siete in grande errore se credete di aumentare in questo modo l'amore dei vostri figli nei vostri confronti. Infatti, insegnando loro a essere egoisti con gli altri, voi insegnate loro a esserlo anche con voi.
Quando un uomo ha lavorato molto e ha accumulato beni con il sudore della fronte, voi sentirete spesso dire che quando i propri soldi sono guadagnati se ne comprende meglio il prezzo: niente di più vero. Ebbene! Questo uomo, che confessa di conoscere tutto il valore dei soldi, faccia la carità secondo le sue possibilità, avrà più meriti di chi, nato nell'abbondanza, ignora le dure fatiche del lavoro. Ma se invece questo stesso uomo, che si ricorda delle sue pene e delle sue fatiche, è egoista e duro con i poveri, è ben più colpevole degli altri, perché più si conoscono per esperienza personale i dolori nascosti della miseria, più si deve essere portati a dare sollievo agli altri.
Purtroppo l'uomo di potere porta sempre con sé un sentimento forte quanto l'attaccamento alla ricchezza: l'orgoglio. Non è raro vedere il nuovo ricco stordire lo sventurato, che implora il suo aiuto, con la storia delle sue fatiche e delle sue capacità e, anziché aiutarlo, terminare dicendogli: «Fai come ho fatto io». Per lui, la bontà di Dio non è affatto nella sua ricchezza. Il merito spetta tutto a lui. Il suo orgoglio pone una benda sui suoi occhi e tappi nelle sue orecchie. Con tutta la sua intelligenza e la sua capacità, non capisce che Dio può capovolgere la sua situazione con una sola parola.
Sperperare la propria fortuna non vuol dire non avere attaccamento ai beni terreni, si tratta invece di noncuranza e indifferenza. L'uomo, depositano di questi beni, non ha il diritto di sciuparli o di appropriarsene a proprio vantaggio. La prodigalità non è generosità, è sovente una forma di egoismo. Come colui che getti l'oro a piene mani per soddisfare un capriccio e non darebbe uno scudo per rendere un favore. Il non attaccamento ai beni terreni consiste nel dare alla ricchezza il suo giusto valore, nel sapersene servire a favore degli altri e non solo per se stessi, consiste nel non sacrificarle gli interessi per la vita futura, nel perderla senza reclamare qualora a Dio piaccia togliervela. Se, per dei rovesci imprevisti, voi diventaste un altro Giobbe, come lui, dite: «Signore, voi mi avete dato la ricchezza, voi me l'avete tolta, sia fatta la Vostra volontà». Ecco il vero non attaccamento. Siate innanzi tutto sottomessi. Abbiate fede in Colui che, avendovi dato e tolto, può rendere. Resistete con coraggio alla depressione e alla disperazione che paralizzano le vostre forze. Non dimenticate mai che, quando Dio vi colpirà, a fianco di una grande prova, Egli mette sempre una consolazione. Ma pensate soprattutto che ci sono dei beni infinitamente più preziosi di quelli della Terra, e questo pensiero vi aiuterà ad allontanarvi da questi ultimi. Dare meno valore a una cosa fa sì che si sia meno sensibili quando la si perde. L'uomo che si attacca ai beni della Terra è come il bambino che vede solo il momento presente. Chi non ci tiene è come l'adulto che vede le cose più importanti, perché comprende queste profetiche parole del Signore: «Il mio regno non è di questo mondo».
Il Signore non ordina assolutamente di spogliarsi di ciò che si possiede per ridursi all'accattonaggio volontario, perché in questo caso si diventa un peso per la società. Agire in questo modo vorrebbe dire comprendere male il non attaccamento ai beni terreni; è un egoismo di altro genere, perché è un affrancarsi dalle responsabilità che la ricchezza fa pesare su chi la possiede. Dio la concede a chi Egli ritiene capace di gestirla a profitto di tutti. Il ricco ha dunque una missione, missione che può rendere bella e profittevole; rigettare la ricchezza quando viene data da Dio, significa rinunciare al beneficio del bene che si può fare amministrandola con saggezza. Saper vivere senza di lei, quando non la si ha, saperla impiegare utilmente quando la si ha, saperla sacrificare quando ciò è necessario, è agire secondo le intenzioni del Signore. Colui che riceve in sorte ciò che il mondo chiama una buona fortuna, esclami: «Mio Dio, mi mandate un nuovo incarico, datemi la forza di compierlo secondo la Vostra santa volontà».
Ecco, amici miei, ciò che intendevo insegnarvi riguardo al non attaccamento ai beni terreni. Riassumo dicendo: «Sappiate accontentarvi di poco. Se siete poveri, non invidiate i ricchi, perché la ricchezza non è necessaria per la felicità. Se siete ricchi, non dimenticate che questi beni vi sono stati affidati, e che voi dovrete giustificarne l'impiego come in un conto di denaro avuto in prestito. Non siate dei depositari infedeli, mettendoli solo al servizio della soddisfazione del vostro orgoglio e della vostra sensualità. Non credetevi in diritto di disporre, per voi unicamente, di ciò che avete avuto solo in prestito e non in dono. Se voi non saprete restituire, non avrete più il diritto di chiedere e ricordatevi che chi dà ai poveri salda il debito che ha contratto con Dio».
(Lacordaire, Constantine, 1863)
Trasmissione della ricchezza
15. Il
principio, in virtù del quale l'uomo non è che il depositario della
ricchezza che Dio gli permette di fruire nel corso della sua vita, gli
toglie il diritto di trasmetterla ai suoi discendenti?
L'uomo può tranquillamente trasmettere, alla sua morte, i beni di cui ha goduto durante la vita, perché l'effetto di questo diritto è sempre subordinato alla volontà di Dio che può, volendo, impedire ai suoi discendenti di fruirne. È così che si vedono crollare fortune che sembravano tra le più solide. La volontà dell'uomo per mantenere la sua ricchezza nella linea di discendenza è dunque impotente, ma ciò non gli impedisce di trasmettere il prestito che ha ricevuto, perché Dio glielo toglierà quando lo riterrà giusto.
L'uomo può tranquillamente trasmettere, alla sua morte, i beni di cui ha goduto durante la vita, perché l'effetto di questo diritto è sempre subordinato alla volontà di Dio che può, volendo, impedire ai suoi discendenti di fruirne. È così che si vedono crollare fortune che sembravano tra le più solide. La volontà dell'uomo per mantenere la sua ricchezza nella linea di discendenza è dunque impotente, ma ciò non gli impedisce di trasmettere il prestito che ha ricevuto, perché Dio glielo toglierà quando lo riterrà giusto.
(San Luigi, Parigi, 1860)
Capitolo XVII - SIATE PERFETTI
Caratteri della perfezione
1. Ma
io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono,
fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi
maltrattano e che vi perseguitano, affinché siate figli
del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole
sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli
ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non
fanno lo stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri
fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani
altrettanto? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro
celeste. (Matteo 5:44-48)
2. Poiché
Dio possiede la perfezione infinita in tutto, questa massima, “Siate
perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste», presa alla lettera fa
presupporre che si possa raggiungere la perfezione assoluta. Se alla
creatura fosse dato di essere tanto perfetta come il Creatore,
diventerebbe uguale, cosa inammissibile. Ma gli uomini ai quali Gesù si
rivolgeva non avrebbero certamente compreso questa sottigliezza.
Pertanto si limitò a presentare un modello dicendo loro di sforzarsi di
raggiungerlo.
È dunque necessario intendere con queste parole la perfezione relativa, quella di cui l'umanità è suscettibile di comprensione e che di più può avvicinarla alla Divinità. In che cosa consiste questa perfezione? Gesù lo dice: «Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e vi perseguitano». Egli dimostra con ciò che l'essenza della perfezione è la carità nella sua più ampia accezione, perché essa comporta la pratica di tutte le altre virtù.
Infatti, se si osservano le conseguenze di tutti i vizi e persino quelle dei semplici difetti, si riconoscerà che non ce n'è alcuno che non alteri tanto o poco che sia, il sentimento della carità, perché tutti i vizi traggono la loro origine dall'egoismo e dall'orgoglio, che della carità sono la negazione. Infatti tutto ciò che va ad alimentare in modo esagerato il sentimento dell'io distrugge, o quanto meno affievolisce, gli elementi della vera carità, che sono: la benevolenza, l'indulgenza, l'abnegazione e la dedizione. L'amore per il prossimo, portato fino all'amore per i propri nemici, non potendosi alleare con nessun difetto contrario alla carità è, proprio per questa ragione, sempre indizio di una superiorità morale maggiore o minore. Da ciò risulta che il grado della perfezione è in ragione della profondità di questo amore. È per questo che Gesù, dopo aver dato ai Suoi discepoli le regole della carità, relativamente a quanto essa ha di più sublime, disse loro: «Siate dunque perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste».
È dunque necessario intendere con queste parole la perfezione relativa, quella di cui l'umanità è suscettibile di comprensione e che di più può avvicinarla alla Divinità. In che cosa consiste questa perfezione? Gesù lo dice: «Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e vi perseguitano». Egli dimostra con ciò che l'essenza della perfezione è la carità nella sua più ampia accezione, perché essa comporta la pratica di tutte le altre virtù.
Infatti, se si osservano le conseguenze di tutti i vizi e persino quelle dei semplici difetti, si riconoscerà che non ce n'è alcuno che non alteri tanto o poco che sia, il sentimento della carità, perché tutti i vizi traggono la loro origine dall'egoismo e dall'orgoglio, che della carità sono la negazione. Infatti tutto ciò che va ad alimentare in modo esagerato il sentimento dell'io distrugge, o quanto meno affievolisce, gli elementi della vera carità, che sono: la benevolenza, l'indulgenza, l'abnegazione e la dedizione. L'amore per il prossimo, portato fino all'amore per i propri nemici, non potendosi alleare con nessun difetto contrario alla carità è, proprio per questa ragione, sempre indizio di una superiorità morale maggiore o minore. Da ciò risulta che il grado della perfezione è in ragione della profondità di questo amore. È per questo che Gesù, dopo aver dato ai Suoi discepoli le regole della carità, relativamente a quanto essa ha di più sublime, disse loro: «Siate dunque perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste».
L'uomo dabbene
3. Il vero uomo dabbene è
quello che pratica la legge della giustizia, dell'amore e della carità
nella sua purezza più grande. Se interroga la sua coscienza riguardo le
proprie azioni, si domanderà se ha minimamente violato questa legge, se
ha mai fatto del male, se ha fatto tutto il bene che poteva, se
ha trascurato volontariamente un'occasione per essere utile, se ha
qualcosa da rimproverarsi, se infine ha fatto agli altri tutto quello
che avrebbe voluto fosse stato fatto a lui.
Ha fede in Dio, nella Sua bontà, nella Sua giustizia e nella Sua saggezza. Sa che niente succede senza il Suo permesso e si sottomette in tutto alla Sua volontà.
Ha fede nell'avvenire. È per questo che pone i beni spirituali al di sopra dei beni temporali.
Sa che tutte le vicissitudini della vita, tutti i dolori e tutte le disillusioni sono delle prove o delle espiazioni e le accetta senza lamentarsi.
L'uomo dabbene, pervaso dal sentimento di carità e d'amore per il prossimo, fa il bene per il bene, senza attendersi un ritorno, ricambia con il bene il male ricevuto, prende la difesa del debole contro il forte e sacrifica sempre il suo interesse alla giustizia.
Trova soddisfazione nelle opere di bene che distribuisce, nei servizi che presta, nel cercare di fare felici le persone, nelle lacrime che asciuga, nella consolazione che dà agli afflitti. Il suo primo agire è pensare agli altri prima che a se stesso, cercare l'interesse degli altri prima del proprio. L'egoista, al contrario, calcola i profitti e le perdite di qualsiasi azione generosa.
È buono, umano e benevolo con tutti, senza distinzione di razza e di religione, perché vede in tutti gli uomini i suoi fratelli.
Rispetta negli altri qualsiasi convinzione sincera e non lancia anatemi contro chi non la pensa come lui.
In ogni circostanza la carità è la sua guida. Si dice che chi porta danno agli altri con parole malevole, che urta la sensibilità di qualcuno con il suo orgoglio e il suo disprezzo, che non indietreggia di fronte all'idea di causare una sofferenza, una contrarietà, anche minima, quando potrebbe evitarla, manca al dovere di amare il prossimo e non merita la clemenza del Signore.
L'uomo dabbene non ha né odio né rancore né desiderio di vendetta. Sull'esempio di Gesù, perdona e dimentica le offese e ricorda solo benefici, perché sa che gli sarà perdonato nella misura in cui lui stesso avrà perdonato.
È indulgente con le debolezze altrui, perché sa che lui stesso ha bisogno di indulgenza, e si ricorda di queste parole di Cristo: «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra».
Non si compiace nel cercare i difetti degli altri né a porli in evidenza. Se la necessità lo obbliga a questo, cerca sempre quanto di bene possa attenuare il male.
Prende in esame le sue imperfezioni e lavora senza sosta per combatterle. Impiega tutti gli sforzi per poter dire che il domani ha in sé qualcosa di meglio del giorno precedente.
Non cerca di far valere né se stesso né il suo talento a spese altrui. Cerca, al contrario, tutte le occasioni per far emergere ciò che di meglio c'è negli altri.
Non si vanta né della sua ricchezza né dei suoi vantaggi personali, perché sa che tutto quello che gli è stato dato può venirgli tolto.
Usa, ma assolutamente non abusa, dei beni che gli vengono concessi, perché sa che si tratta di un deposito di cui dovrà rendere conto, e che l'impiego più pregiudizievole che possa farne per se stesso è quello di servirsene per la soddisfazione delle passioni.
Se l'ordine sociale ha messo degli uomini alle sue dipendenze, li tratta con bontà e benevolenza, perché sono uguali a lui davanti a Dio. Fa uso della sua autorità per elevarli moralmente e non per schiacciarli con il suo orgoglio ed evita tutto ciò che potrebbe rendere più penosa la loro posizione di subalterni.
Il subordinato, da parte sua, comprende i doveri che la sua condizione comporta e si fa scrupolo di adempierli coscienziosamente. (vedere al n. 9 di questo cap.)
L'uomo dabbene, infine, rispetta tutti i diritti assegnati dalle leggi di natura ai suoi simili, come vorrebbe fossero rispettati nei suoi confronti.
Questo non è l'elenco di tutte le qualità che distinguono l'uomo dabbene, ma chiunque si sforzi di possederle è sul cammino che conduce a tutte le altre.
Ha fede in Dio, nella Sua bontà, nella Sua giustizia e nella Sua saggezza. Sa che niente succede senza il Suo permesso e si sottomette in tutto alla Sua volontà.
Ha fede nell'avvenire. È per questo che pone i beni spirituali al di sopra dei beni temporali.
Sa che tutte le vicissitudini della vita, tutti i dolori e tutte le disillusioni sono delle prove o delle espiazioni e le accetta senza lamentarsi.
L'uomo dabbene, pervaso dal sentimento di carità e d'amore per il prossimo, fa il bene per il bene, senza attendersi un ritorno, ricambia con il bene il male ricevuto, prende la difesa del debole contro il forte e sacrifica sempre il suo interesse alla giustizia.
Trova soddisfazione nelle opere di bene che distribuisce, nei servizi che presta, nel cercare di fare felici le persone, nelle lacrime che asciuga, nella consolazione che dà agli afflitti. Il suo primo agire è pensare agli altri prima che a se stesso, cercare l'interesse degli altri prima del proprio. L'egoista, al contrario, calcola i profitti e le perdite di qualsiasi azione generosa.
È buono, umano e benevolo con tutti, senza distinzione di razza e di religione, perché vede in tutti gli uomini i suoi fratelli.
Rispetta negli altri qualsiasi convinzione sincera e non lancia anatemi contro chi non la pensa come lui.
In ogni circostanza la carità è la sua guida. Si dice che chi porta danno agli altri con parole malevole, che urta la sensibilità di qualcuno con il suo orgoglio e il suo disprezzo, che non indietreggia di fronte all'idea di causare una sofferenza, una contrarietà, anche minima, quando potrebbe evitarla, manca al dovere di amare il prossimo e non merita la clemenza del Signore.
L'uomo dabbene non ha né odio né rancore né desiderio di vendetta. Sull'esempio di Gesù, perdona e dimentica le offese e ricorda solo benefici, perché sa che gli sarà perdonato nella misura in cui lui stesso avrà perdonato.
È indulgente con le debolezze altrui, perché sa che lui stesso ha bisogno di indulgenza, e si ricorda di queste parole di Cristo: «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra».
Non si compiace nel cercare i difetti degli altri né a porli in evidenza. Se la necessità lo obbliga a questo, cerca sempre quanto di bene possa attenuare il male.
Prende in esame le sue imperfezioni e lavora senza sosta per combatterle. Impiega tutti gli sforzi per poter dire che il domani ha in sé qualcosa di meglio del giorno precedente.
Non cerca di far valere né se stesso né il suo talento a spese altrui. Cerca, al contrario, tutte le occasioni per far emergere ciò che di meglio c'è negli altri.
Non si vanta né della sua ricchezza né dei suoi vantaggi personali, perché sa che tutto quello che gli è stato dato può venirgli tolto.
Usa, ma assolutamente non abusa, dei beni che gli vengono concessi, perché sa che si tratta di un deposito di cui dovrà rendere conto, e che l'impiego più pregiudizievole che possa farne per se stesso è quello di servirsene per la soddisfazione delle passioni.
Se l'ordine sociale ha messo degli uomini alle sue dipendenze, li tratta con bontà e benevolenza, perché sono uguali a lui davanti a Dio. Fa uso della sua autorità per elevarli moralmente e non per schiacciarli con il suo orgoglio ed evita tutto ciò che potrebbe rendere più penosa la loro posizione di subalterni.
Il subordinato, da parte sua, comprende i doveri che la sua condizione comporta e si fa scrupolo di adempierli coscienziosamente. (vedere al n. 9 di questo cap.)
L'uomo dabbene, infine, rispetta tutti i diritti assegnati dalle leggi di natura ai suoi simili, come vorrebbe fossero rispettati nei suoi confronti.
Questo non è l'elenco di tutte le qualità che distinguono l'uomo dabbene, ma chiunque si sforzi di possederle è sul cammino che conduce a tutte le altre.
I buoni Spiritisti
4. Lo Spiritismo ben
compreso, ma soprattutto vivamente sentito, conduce spontaneamente ai
sopraddetti risultati, che caratterizzano il vero Spiritista, così come
il vero Cristiano, essendo l'uno e l'altro un tutt'uno. Lo Spiritismo
non instaura nessuna nuova morale, ma facilita negli uomini la
comprensione e la pratica della morale di Gesù, procurando una fede
solida e chiara a quelli che dubitano o vacillano.
Però, molti di quelli che credono nelle manifestazioni spiritiste non ne comprendono né le conseguenze né la portata morale o, se le comprendono, non le applicano a se stessi. Da che cosa dipende? Da un'assenza di rigore della dottrina? No, perché essa non contiene né allegorie né un linguaggio figurato che possa dar luogo a errate interpretazioni. La chiarezza è la sua stessa essenza, ed è ciò che costituisce la sua forza, perché va dritta all'intelletto. Non ha niente di misterioso, e i suoi seguaci non sono in possesso di alcun segreto tenuto nascosto alla gente comune.
Per comprenderla è dunque necessaria un'intelligenza fuori dal comune? No, perché ci sono uomini di notevole intelligenza che non la comprendono, mentre ci sono intelligenze comuni, persino di giovani appena usciti dall'adolescenza, che l'apprendono con ammirevole precisione nei minimi dettagli. Ciò deriva dal fatto che la parte, per così dire, materiale della scienza richiede solo gli occhi per osservarla, mentre la parte essenziale dello Spiritismo comporta un certo grado di sensibilità, che si può chiamare maturità del senso morale, maturità indipendente dall'età e dal grado di istruzione perché corrisponde soprattutto allo sviluppo dello Spirito incarnato.
In alcuni, i legami con la materia sono ancora troppo tenaci per permettere allo Spirito di liberarsi delle cose della Terra. Le nebbie che lo avvolgono gli impediscono la visione dell'infinito. È per questo che essi non rompono con le loro preferenze né con le loro abitudini, non comprendendo che c'è qualcosa di meglio di quello che posseggono. Il credere negli Spiriti è per loro un semplice fatto, ma modifica solo poco o niente le loro tendenze istintive. In una parola, vedono solo un raggio di luce, insufficiente per orientarli e dar loro quella forte ispirazione in grado di vincere le loro inclinazioni. Si attaccano più ai fenomeni che alla morale, che gli sembra banale e monotona. Domandano agli Spiriti di iniziarli subito ai nuovi misteri, senza chiedersi se si sono resi degni di essere introdotti nei segreti del Creatore. Sono gli Spiritisti imperfetti, alcuni dei quali restano per strada, o si allontanano dai loro fratelli di fede, perché indietreggiano di fronte all'obbligo di migliorare se stessi, ossia riservano le loro simpatie per coloro che condividono le loro debolezze o le loro prevenzioni. Comunque, l'accettazione dei principi della dottrina è un primo passo che renderà il secondo più facile in un'altra esistenza.
Chi può, a buon diritto, qualificarsi come un vero e sincero Spiritista si trova a un grado superiore di avanzamento morale. Lo Spirito già domina con maggiore completezza la materia e ha una percezione più chiara del futuro. I principi della Dottrina Spiritista fanno vibrare in lui le fibre delle sensibilità che rimangono mute negli altri. In una parola, è stato colpito nel profondo del cuore: per questo la sua fede è incrollabile. Quello è come il musicista che si commuove per certe melodie, mentre questo sente solo il suono. Il vero Spiritista si riconosce dalla sua trasformazione morale e dagli sforzi che fa per dominare le cattive inclinazioni. Mentre l'uno si compiace del proprio limitato orizzonte, l'altro, comprendendo che c'è qualcosa di meglio, si sforza di staccarsi da quell'orizzonte e ci riesce quando ha una ferma volontà.
Però, molti di quelli che credono nelle manifestazioni spiritiste non ne comprendono né le conseguenze né la portata morale o, se le comprendono, non le applicano a se stessi. Da che cosa dipende? Da un'assenza di rigore della dottrina? No, perché essa non contiene né allegorie né un linguaggio figurato che possa dar luogo a errate interpretazioni. La chiarezza è la sua stessa essenza, ed è ciò che costituisce la sua forza, perché va dritta all'intelletto. Non ha niente di misterioso, e i suoi seguaci non sono in possesso di alcun segreto tenuto nascosto alla gente comune.
Per comprenderla è dunque necessaria un'intelligenza fuori dal comune? No, perché ci sono uomini di notevole intelligenza che non la comprendono, mentre ci sono intelligenze comuni, persino di giovani appena usciti dall'adolescenza, che l'apprendono con ammirevole precisione nei minimi dettagli. Ciò deriva dal fatto che la parte, per così dire, materiale della scienza richiede solo gli occhi per osservarla, mentre la parte essenziale dello Spiritismo comporta un certo grado di sensibilità, che si può chiamare maturità del senso morale, maturità indipendente dall'età e dal grado di istruzione perché corrisponde soprattutto allo sviluppo dello Spirito incarnato.
In alcuni, i legami con la materia sono ancora troppo tenaci per permettere allo Spirito di liberarsi delle cose della Terra. Le nebbie che lo avvolgono gli impediscono la visione dell'infinito. È per questo che essi non rompono con le loro preferenze né con le loro abitudini, non comprendendo che c'è qualcosa di meglio di quello che posseggono. Il credere negli Spiriti è per loro un semplice fatto, ma modifica solo poco o niente le loro tendenze istintive. In una parola, vedono solo un raggio di luce, insufficiente per orientarli e dar loro quella forte ispirazione in grado di vincere le loro inclinazioni. Si attaccano più ai fenomeni che alla morale, che gli sembra banale e monotona. Domandano agli Spiriti di iniziarli subito ai nuovi misteri, senza chiedersi se si sono resi degni di essere introdotti nei segreti del Creatore. Sono gli Spiritisti imperfetti, alcuni dei quali restano per strada, o si allontanano dai loro fratelli di fede, perché indietreggiano di fronte all'obbligo di migliorare se stessi, ossia riservano le loro simpatie per coloro che condividono le loro debolezze o le loro prevenzioni. Comunque, l'accettazione dei principi della dottrina è un primo passo che renderà il secondo più facile in un'altra esistenza.
Chi può, a buon diritto, qualificarsi come un vero e sincero Spiritista si trova a un grado superiore di avanzamento morale. Lo Spirito già domina con maggiore completezza la materia e ha una percezione più chiara del futuro. I principi della Dottrina Spiritista fanno vibrare in lui le fibre delle sensibilità che rimangono mute negli altri. In una parola, è stato colpito nel profondo del cuore: per questo la sua fede è incrollabile. Quello è come il musicista che si commuove per certe melodie, mentre questo sente solo il suono. Il vero Spiritista si riconosce dalla sua trasformazione morale e dagli sforzi che fa per dominare le cattive inclinazioni. Mentre l'uno si compiace del proprio limitato orizzonte, l'altro, comprendendo che c'è qualcosa di meglio, si sforza di staccarsi da quell'orizzonte e ci riesce quando ha una ferma volontà.
Parabola della semina
5.
In quel giorno Gesù, uscito di casa, si mise a sedere presso il mare; e
una grande.folla si radunò intorno a lui; cosicché egli, salito su una
barca, vi sedette; e tutta la folla stava sulla riva. Egli insegnò loro
molte cose in parabole, dicendo: «Il seminatore uscì a seminare. Mentre
seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e
la mangiarono. Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta
terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma, levatosi
il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. Un'altra cadde tra
le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra cadde nella
buona terra e portò .frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per
uno. Chi ha orecchi per udire oda.» (Matteo 13:1-9)
«Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. Ma quello che ha ricevuto il seme in buona terra, è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta». (Matteo 13:18-23)
«Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. Ma quello che ha ricevuto il seme in buona terra, è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta». (Matteo 13:18-23)
6. La parabola della semina
rappresenta perfettamente i vari aspetti esistenti circa il modo di
mettere a profitto gli insegnamenti del Vangelo. In effetti tante sono
le persone per le quali l'insegnamento è solo lettera morta che,
esattamente come la semenza, cade sulla roccia e non produce frutti.
Ciò trova un'applicazione, non meno logica, nelle differenti categorie di Spiritisti. Non è forse, questa parabola, l'emblema di coloro che, attratti solo dai fenomeni materiali, non ne traggono nessuna conseguenza perché li vedono solo come oggetto di curiosità? Non simbolizza forse quelli che cercano solo l'aspetto appariscente delle comunicazioni degli Spiriti e si interessano solo a ciò che soddisfa la loro immaginazione, ma che, dopo averli intesi, continuano a essere freddi e indifferenti come prima? Non simbolizza forse quelli che trovano i consigli molto buoni e li apprezzano, ma si aspettano che siano gli altri ad applicarli e non essi stessi? O quelli infine per i quali gli insegnamenti sono come i semi caduti sulla terra fertile e producono dei frutti?
Ciò trova un'applicazione, non meno logica, nelle differenti categorie di Spiritisti. Non è forse, questa parabola, l'emblema di coloro che, attratti solo dai fenomeni materiali, non ne traggono nessuna conseguenza perché li vedono solo come oggetto di curiosità? Non simbolizza forse quelli che cercano solo l'aspetto appariscente delle comunicazioni degli Spiriti e si interessano solo a ciò che soddisfa la loro immaginazione, ma che, dopo averli intesi, continuano a essere freddi e indifferenti come prima? Non simbolizza forse quelli che trovano i consigli molto buoni e li apprezzano, ma si aspettano che siano gli altri ad applicarli e non essi stessi? O quelli infine per i quali gli insegnamenti sono come i semi caduti sulla terra fertile e producono dei frutti?
Istruzioni Degli Spiriti
Il dovere
7. Il
dovere è un obbligo morale, prima verso noi stessi, poi verso gli
altri. Il dovere è la legge della vita e lo incontriamo nelle
circostanze meno importanti, come nelle azioni più elevate. Io voglio
parlare, qui, solo del dovere morale e non di quello che si riferisce
alle professioni.
Nell'ordine dei sentimenti, il dovere è molto difficile da compiersi perché si trova in antagonismo con le seduzioni dell'interesse e del cuore. Le sue vittorie non hanno testimoni, e le sue sconfitte non subiscono repressioni. Il dovere intimo dell'uomo è lasciato al suo libero arbitrio. Pungolo della coscienza, questa guardiana della probità interiore, lo avverte e lo sostiene, ma rimane sovente impotente di fronte alle sottigliezze della passione. Il dovere del cuore, fedelmente osservato, eleva l'uomo. Ma questo dovere come può essere definito? Dove comincia? Dove termina? Il dovere inizia precisamente nel punto in cui voi minacciate la felicità o la tranquillità del vostro prossimo, e termina laddove voi non vorreste veder varcare quel limite riguardo a voi stessi.
Dio ha creato tutti gli uomini uguali di fronte al dolore. Piccoli o grandi, ignoranti o colti, tutti soffrono per le stesse cause, affinché ognuno stimi con giudizio il male che può fare. Lo stesso criterio non vale per il bene, infinitamente più vario nelle sue manifestazioni. L'uguaglianza di fronte al dolore è una sublime provvidenza di Dio, che vuole che i Suoi figli, istruiti dall'esperienza comune, non commettano il male prendendo a pretesto la non conoscenza delle sue conseguenze.
Il dovere è la summa pratica di tutte le speculazioni morali, è una fortezza dell'anima che affronta le angosce della lotta. Esso è austero e docile, pronto a piegarsi alle varie complicazioni, ma rimane inflessibile di fronte alle tentazioni. L'uomo che compie il suo dovere ama Dio più delle sue creature, e le creature più di se stesso. È allo stesso tempo giudice e schiavo della sua stessa causa.
Il dovere è la più bella gemma della ragione. Esso la mette in risalto come i figli mettono in risalto la loro madre. L'uomo deve amare il dovere, non perché lo preservi dai mali della vita, ai quali l'umanità non può sottrarsi, ma per dare all'anima il vigore necessario al suo sviluppo.
Il dovere cresce e si irradia in forma elevata in ognuna delle tappe superiori dell'umanità. L'obbligo morale della creatura verso Dio non finisce mai e deve riflettere le virtù dell'Eterno, che non accetta un abbozzo imperfetto, perché vuole che la bellezza della Sua opera risplenda davanti a Lui.
Nell'ordine dei sentimenti, il dovere è molto difficile da compiersi perché si trova in antagonismo con le seduzioni dell'interesse e del cuore. Le sue vittorie non hanno testimoni, e le sue sconfitte non subiscono repressioni. Il dovere intimo dell'uomo è lasciato al suo libero arbitrio. Pungolo della coscienza, questa guardiana della probità interiore, lo avverte e lo sostiene, ma rimane sovente impotente di fronte alle sottigliezze della passione. Il dovere del cuore, fedelmente osservato, eleva l'uomo. Ma questo dovere come può essere definito? Dove comincia? Dove termina? Il dovere inizia precisamente nel punto in cui voi minacciate la felicità o la tranquillità del vostro prossimo, e termina laddove voi non vorreste veder varcare quel limite riguardo a voi stessi.
Dio ha creato tutti gli uomini uguali di fronte al dolore. Piccoli o grandi, ignoranti o colti, tutti soffrono per le stesse cause, affinché ognuno stimi con giudizio il male che può fare. Lo stesso criterio non vale per il bene, infinitamente più vario nelle sue manifestazioni. L'uguaglianza di fronte al dolore è una sublime provvidenza di Dio, che vuole che i Suoi figli, istruiti dall'esperienza comune, non commettano il male prendendo a pretesto la non conoscenza delle sue conseguenze.
Il dovere è la summa pratica di tutte le speculazioni morali, è una fortezza dell'anima che affronta le angosce della lotta. Esso è austero e docile, pronto a piegarsi alle varie complicazioni, ma rimane inflessibile di fronte alle tentazioni. L'uomo che compie il suo dovere ama Dio più delle sue creature, e le creature più di se stesso. È allo stesso tempo giudice e schiavo della sua stessa causa.
Il dovere è la più bella gemma della ragione. Esso la mette in risalto come i figli mettono in risalto la loro madre. L'uomo deve amare il dovere, non perché lo preservi dai mali della vita, ai quali l'umanità non può sottrarsi, ma per dare all'anima il vigore necessario al suo sviluppo.
Il dovere cresce e si irradia in forma elevata in ognuna delle tappe superiori dell'umanità. L'obbligo morale della creatura verso Dio non finisce mai e deve riflettere le virtù dell'Eterno, che non accetta un abbozzo imperfetto, perché vuole che la bellezza della Sua opera risplenda davanti a Lui.
(Lazare, Parigi, 1863)
La virtù
8.
La virtù, al suo più alto livello, è l'insieme di tutte le qualità
essenziali che costituiscono l'uomo dabbene. Essere buono, caritatevole,
laborioso, sobrio, modesto, queste sono le qualità dell'uomo virtuoso.
Purtroppo esse sono sovente accompagnate da piccoli difetti morali che
le alterano e le sminuiscono. Chi ostenta le sue virtù non è un
virtuoso, perché gli manca la qualità principale, ossia la modestia.
Egli ha anzi un vizio completamente opposto ossia l'orgoglio. La virtù
veramente degna di questo nome non ama mettersi in mostra. La si
intuisce, ma essa si rifugia nell'oscurità e fugge dall'ammirazione
delle masse. San Vincenzo de' Paoli era un virtuoso, il degno curato
d'Ars era un virtuoso, e molti altri, poco noti al mondo, ma conosciuti
da Dio. Tutti questi uomini dabbene ignoravano di essere essi stessi dei
virtuosi. Si lasciavano condurre dalla corrente delle loro sante
ispirazioni e praticavano il bene con totale disinteresse e un completo
oblio di se stessi.
È alla virtù così compresa e praticata che io vi invito, figli miei. È a questa virtù veramente cristiana e veramente spiritista che io vi invito a consacrarvi. Ma allontanate dai vostri cuori il pensiero dell'orgoglio, della vanità e dell'amor proprio, che sempre privano di valore tutte le più belle qualità. Non imitate l'uomo che si pone come modello e vanta lui stesso le sue qualità per tutte le orecchie compiacenti. Questa virtù ostentata nasconde sovente una quantità di piccole meschinità e di odiose viltà.
In pratica, l'uomo che si esalta da solo, che innalza un monumento alla sua stessa virtù, annulla per questo stesso fatto tutti i meriti effettivi che può avere. Ma che dire di colui il cui valore è solo quello di apparire quanto non è? Io voglio pur ammettere che l'uomo che fa il bene senta nel profondo del cuore un'intima soddisfazione, ma quando questa soddisfazione si esteriorizza per ricevere degli elogi degenera in amor proprio.
O voi tutti, che la fede spiritista ha riscaldato con i suoi raggi e che sapete quanto l'uomo sia lontano dalla perfezione, non commettete mai una simile stoltezza. La virtù è una grazia che io auguro a tutti gli Spiritisti sinceri, ma io dirò loro: «Meglio meno virtù con modestia che tante con orgoglio. È per l'orgoglio che le generazioni. l'una dopo l'altra, si sono perdute, ed è con l'umiltà che esse dovranno riscattarsi un giorno».
È alla virtù così compresa e praticata che io vi invito, figli miei. È a questa virtù veramente cristiana e veramente spiritista che io vi invito a consacrarvi. Ma allontanate dai vostri cuori il pensiero dell'orgoglio, della vanità e dell'amor proprio, che sempre privano di valore tutte le più belle qualità. Non imitate l'uomo che si pone come modello e vanta lui stesso le sue qualità per tutte le orecchie compiacenti. Questa virtù ostentata nasconde sovente una quantità di piccole meschinità e di odiose viltà.
In pratica, l'uomo che si esalta da solo, che innalza un monumento alla sua stessa virtù, annulla per questo stesso fatto tutti i meriti effettivi che può avere. Ma che dire di colui il cui valore è solo quello di apparire quanto non è? Io voglio pur ammettere che l'uomo che fa il bene senta nel profondo del cuore un'intima soddisfazione, ma quando questa soddisfazione si esteriorizza per ricevere degli elogi degenera in amor proprio.
O voi tutti, che la fede spiritista ha riscaldato con i suoi raggi e che sapete quanto l'uomo sia lontano dalla perfezione, non commettete mai una simile stoltezza. La virtù è una grazia che io auguro a tutti gli Spiritisti sinceri, ma io dirò loro: «Meglio meno virtù con modestia che tante con orgoglio. È per l'orgoglio che le generazioni. l'una dopo l'altra, si sono perdute, ed è con l'umiltà che esse dovranno riscattarsi un giorno».
(François, Nicolas, Madeleine, Parigi, 1863)
I superiori e gli inferiori
9. L'autorità,
come la ricchezza, è una delega di cui, chi ne è investito, dovrà
render conto. Non crediate che gli sia stata data per procurargli il
vano piacere di comandare né, tanto meno, come erroneamente crede la
maggior parte dei potenti della Terra, che essa sia un diritto, una
proprietà. D'altronde, Dio prova loro costantemente che non è né l'una
né l'altra cosa, perché gliela toglie a Lui piacendo. Se fosse un
privilegio legato alla persona, sarebbe inalienabile. Nessuno può dunque
dire che una cosa gli appartiene, dal momento che gli può essere tolta
senza il suo consenso. Dio concede l'autorità a titolo di missione o di
prova quando lo ritiene opportuno, e allo stesso modo gliela toglie.
Chiunque sia depositario di una autorità, di qualsiasi portata essa sia, dal padrone sul suo dipendente fino al sovrano sul suo popolo, non deve fingere di non sapere che è responsabile di anime, poiché risponderà del buono o del cattivo orientamento che egli avrà dato ai suoi subalterni. E gli errori che costoro potranno aver commesso,
i vizi dai quali si saranno lasciati trascinare a causa di questo orientamento o dei cattivi esempi, ricadranno su di lui. Raccoglierà, invece, i frutti del suo impegno se li avrà condotti al bene. Ogni uomo ha sulla Terra una missione piccola o grande, e qualunque essa sia, è sempre data a fin di bene. Falsarne, dunque, il vero significato vuol dire farla fallire.
Se Dio domanda al ricco: «Che facesti della fortuna che nelle tue mani avrebbe dovuto essere una sorgente che spandeva fecondità intorno a sé?», domanderà anche a chi è investito di una qualsiasi autorità: «Che uso hai fatto di questa autorità? Quali mali hai fermato? Quale progresso hai portato a compimento? Se io ti ho dato dei subordinati, non è stato per renderli schiavi della tua volontà né docili strumenti dei tuoi capricci o della tua ambizione. Io ti ho fatto forte e ti ho consegnato dei deboli perché tu li sostenessi e li aiutassi a salire verso di me».
Il superiore che, investito di autorità, segue le parole di Cristo, non disprezza nessuno dei suoi sottoposti, perché sa che le differenze sociali non hanno importanza davanti a Dio. Lo Spiritismo gli insegna che, se oggi alcuni sono ai suoi ordini, essi hanno potuto comandarlo in passato o lo potranno in futuro, e sarà allora trattato come lui stesso ha trattato loro.
Se il superiore ha dei doveri da rispettare, l'inferiore dal canto suo non ne ha di meno sacri. Se quest'ultimo è Spiritista, la sua coscienza gli dirà ancor meglio che non è dispensato dai suoi doveri, anche qualora il suo superiore non dovesse rispettare i propri, perché sa che non si deve rendere male per male, e che gli errori degli uni non autorizzano gli errori degli altri. Se egli subisce una certa condizione, senza dubbio sa che se la merita, perché lui stesso potrebbe aver abusato un tempo della sua autorità e sa che deve a sua volta soffrire i disagi che ha fatto soffrire agli altri. Se è obbligato a subire una certa situazione, anziché trovarne una migliore, lo Spiritismo gli insegna a rassegnarsi, quale prova d'umiltà necessaria al suo avanzamento. È guidato nella sua condotta dal suo credo e si comporta come vorrebbe che i suoi dipendenti si comportassero se fosse lui il capo. Proprio per questo è più zelante nell'adempiere i suoi obblighi, perché comprende che qualsiasi negligenza sul lavoro affidatogli è un danno per colui che lo rimunera e al quale deve il suo tempo e il suo impegno. In una parola, egli è sollecitato dal sentimento del dovere, che gli viene dalla sua fede e dalla certezza che ogni deviazione dal retto cammino è un debito che dovrà pagare più tardi.
Chiunque sia depositario di una autorità, di qualsiasi portata essa sia, dal padrone sul suo dipendente fino al sovrano sul suo popolo, non deve fingere di non sapere che è responsabile di anime, poiché risponderà del buono o del cattivo orientamento che egli avrà dato ai suoi subalterni. E gli errori che costoro potranno aver commesso,
i vizi dai quali si saranno lasciati trascinare a causa di questo orientamento o dei cattivi esempi, ricadranno su di lui. Raccoglierà, invece, i frutti del suo impegno se li avrà condotti al bene. Ogni uomo ha sulla Terra una missione piccola o grande, e qualunque essa sia, è sempre data a fin di bene. Falsarne, dunque, il vero significato vuol dire farla fallire.
Se Dio domanda al ricco: «Che facesti della fortuna che nelle tue mani avrebbe dovuto essere una sorgente che spandeva fecondità intorno a sé?», domanderà anche a chi è investito di una qualsiasi autorità: «Che uso hai fatto di questa autorità? Quali mali hai fermato? Quale progresso hai portato a compimento? Se io ti ho dato dei subordinati, non è stato per renderli schiavi della tua volontà né docili strumenti dei tuoi capricci o della tua ambizione. Io ti ho fatto forte e ti ho consegnato dei deboli perché tu li sostenessi e li aiutassi a salire verso di me».
Il superiore che, investito di autorità, segue le parole di Cristo, non disprezza nessuno dei suoi sottoposti, perché sa che le differenze sociali non hanno importanza davanti a Dio. Lo Spiritismo gli insegna che, se oggi alcuni sono ai suoi ordini, essi hanno potuto comandarlo in passato o lo potranno in futuro, e sarà allora trattato come lui stesso ha trattato loro.
Se il superiore ha dei doveri da rispettare, l'inferiore dal canto suo non ne ha di meno sacri. Se quest'ultimo è Spiritista, la sua coscienza gli dirà ancor meglio che non è dispensato dai suoi doveri, anche qualora il suo superiore non dovesse rispettare i propri, perché sa che non si deve rendere male per male, e che gli errori degli uni non autorizzano gli errori degli altri. Se egli subisce una certa condizione, senza dubbio sa che se la merita, perché lui stesso potrebbe aver abusato un tempo della sua autorità e sa che deve a sua volta soffrire i disagi che ha fatto soffrire agli altri. Se è obbligato a subire una certa situazione, anziché trovarne una migliore, lo Spiritismo gli insegna a rassegnarsi, quale prova d'umiltà necessaria al suo avanzamento. È guidato nella sua condotta dal suo credo e si comporta come vorrebbe che i suoi dipendenti si comportassero se fosse lui il capo. Proprio per questo è più zelante nell'adempiere i suoi obblighi, perché comprende che qualsiasi negligenza sul lavoro affidatogli è un danno per colui che lo rimunera e al quale deve il suo tempo e il suo impegno. In una parola, egli è sollecitato dal sentimento del dovere, che gli viene dalla sua fede e dalla certezza che ogni deviazione dal retto cammino è un debito che dovrà pagare più tardi.
(François, Nicolas, Madeleine e cardinale Morlot, Parigi, 1863)
L'uomo nel mondo
10. Un
sentimento di pietà deve sempre accendere l'animo di coloro che si
riuniscono sotto gli occhi del Signore e implorano l'assistenza dei
buoni Spiriti. Purificate dunque i vostri cuori. Non lasciate che vi
dimorino pensieri mondani o futili. Elevate il vostro spirito verso
coloro che voi implorate, affinché essi, trovando in voi disposizioni
favorevoli, possano gettare a profusione il seme che deve germogliare
nei vostri cuori e produrre i frutti di giustizia e carità.
Non crediate però che nello spronarvi incessantemente alla preghiera e all'evocazione mentale, vogliamo spingervi a vivere una vita mistica che vi sottragga alle leggi della società dove voi siete destinati a vivere. No. Vivete con gli uomini della vostra epoca come devono vivere gli uomini. Ma, se rinuncerete alle necessità e anche alle banalità del quotidiano, fatelo con un sentimento di purezza da cui trarre santificazione.
Se siete chiamati a entrare in contatto con uomini i cui Spiriti sono di natura differente e di carattere opposto, non urtate nessuno di coloro con i quali vi trovate. Siate lieti, siate felici, ma di una letizia data dalla coscienza serena, dalla felicità dell'erede del Cielo, che conta i giorni che lo separano dal godere della sua eredità.
La virtù non consiste nell'assumere un aspetto severo e funereo, nel rifiutare i piaceri che la vostra condizione umana vi consente. È sufficiente riferire tutte le azioni della vita al Creatore, che questa vita vi ha dato. È sufficiente, quando si inizia o si conclude un'opera, levare il pensiero al Creatore e invocare, in un impeto dell'animo, sia la Sua protezione per riuscire, sia la sua benedizione per l'opera compiuta. Qualunque cosa facciate, risalite alla fonte di tutte le cose. Non fate mai niente senza che il pensiero di Dio non venga a purificare e santificare le vostre azioni.
La perfezione si trova tutta, come disse Cristo, nella pratica della carità senza limiti, poiché i doveri della carità si estendono a tutte le classi sociali, dalle più basse alle più alte. L'uomo che vivesse isolato non avrebbe l'opportunità di esercitare la carità. Solo nel contatto con i propri simili, nelle lotte più difficili, l'uomo trova l'occasione di esercitarla. Colui che si isola si priva volontariamente del più potente mezzo per perfezionarsi. Non avendo da pensare che a se stesso, la sua vita è quella di un egoista (vedere cap. V, n. 26 di quest'opera).
Non pensate dunque che per vivere in comunicazione costante con noi, per vivere sotto l'occhio del Signore, sia necessario indossare il cilicio e coprirsi di cenere. No, una volta ancora no. Siate felici seguendo le necessità del vivere umano, ma che nella vostra felicità non entri mai né un pensiero né un atto che possa offendere Dio o far provare vergogna a quelli che vi amano e vi guidano. Dio è amore e benedice coloro che amano santamente.
Non crediate però che nello spronarvi incessantemente alla preghiera e all'evocazione mentale, vogliamo spingervi a vivere una vita mistica che vi sottragga alle leggi della società dove voi siete destinati a vivere. No. Vivete con gli uomini della vostra epoca come devono vivere gli uomini. Ma, se rinuncerete alle necessità e anche alle banalità del quotidiano, fatelo con un sentimento di purezza da cui trarre santificazione.
Se siete chiamati a entrare in contatto con uomini i cui Spiriti sono di natura differente e di carattere opposto, non urtate nessuno di coloro con i quali vi trovate. Siate lieti, siate felici, ma di una letizia data dalla coscienza serena, dalla felicità dell'erede del Cielo, che conta i giorni che lo separano dal godere della sua eredità.
La virtù non consiste nell'assumere un aspetto severo e funereo, nel rifiutare i piaceri che la vostra condizione umana vi consente. È sufficiente riferire tutte le azioni della vita al Creatore, che questa vita vi ha dato. È sufficiente, quando si inizia o si conclude un'opera, levare il pensiero al Creatore e invocare, in un impeto dell'animo, sia la Sua protezione per riuscire, sia la sua benedizione per l'opera compiuta. Qualunque cosa facciate, risalite alla fonte di tutte le cose. Non fate mai niente senza che il pensiero di Dio non venga a purificare e santificare le vostre azioni.
La perfezione si trova tutta, come disse Cristo, nella pratica della carità senza limiti, poiché i doveri della carità si estendono a tutte le classi sociali, dalle più basse alle più alte. L'uomo che vivesse isolato non avrebbe l'opportunità di esercitare la carità. Solo nel contatto con i propri simili, nelle lotte più difficili, l'uomo trova l'occasione di esercitarla. Colui che si isola si priva volontariamente del più potente mezzo per perfezionarsi. Non avendo da pensare che a se stesso, la sua vita è quella di un egoista (vedere cap. V, n. 26 di quest'opera).
Non pensate dunque che per vivere in comunicazione costante con noi, per vivere sotto l'occhio del Signore, sia necessario indossare il cilicio e coprirsi di cenere. No, una volta ancora no. Siate felici seguendo le necessità del vivere umano, ma che nella vostra felicità non entri mai né un pensiero né un atto che possa offendere Dio o far provare vergogna a quelli che vi amano e vi guidano. Dio è amore e benedice coloro che amano santamente.
(Uno Spirito Protettore, Bordeaux, 1863)
Aver cura del corpo e dello spirito
11.
La perfezione morale consiste forse nel martirizzare il corpo? Per
risolvere questo problema, mi rifaccio a principi elementari e comincio
col dimostrare la necessità di curare il corpo che, nell'alternanza di
salute e malattia, influisce in modo molto importante sull'anima, che
dev'essere considerata come prigioniera nella carne. Affinché questa
prigioniera possa vivere, agire e persino concedersi le illusioni della
libertà, il corpo deve essere sano, in forma e vigoroso. Seguiamo questo
confronto: eccoli in perfetto stato tutti e due. Che cosa devono fare,
tutti e due, per mantenere l'equilibrio fra le loro attitudini e i loro
bisogni così diversi?
Ecco due sistemi: quello degli asceti che vogliono annullare il corpo, e quello dei materialisti che vogliono annullare l'anima: due violenze, pressoché insensate sia l'una che l'altra. A fianco di queste due grandi correnti pullula la numerosa schiera degli indifferenti che, senza convinzione e senza passione, amano tiepidamente e gioiscono modestamente. Dove sta dunque la saggezza? Dov'è dunque la scienza del vivere? Né dall'una né dall'altra parte. E questo grande problema resterebbe completamente irrisolto se lo Spiritismo non venisse in aiuto di coloro che cercano la soluzione dimostrando i rapporti che esistono fra il corpo e l'anima, e affermando che, poiché sono necessari l'uno all'altra, bisogna aver cura di tutti e due. Amate dunque la vostra anima, ma curate anche il vostro corpo, strumento dell'anima. Ignorare i bisogni che sono indicati dalla natura stessa, è ignorare la legge di Dio. Non punite il corpo per gli errori che il vostro libero arbitrio gli ha fatto commettere, di cui peraltro non è responsabile, così come il cavallo mal guidato non è responsabile degli incidenti che ha causato. Sareste forse più perfetti se, pur martirizzando il corpo, voi non diventaste né meno egoisti né meno orgogliosi e neppure un po' più caritatevoli con il vostro prossimo? No, la perfezione non consiste in questo. Essa è tutta nel rinnovamento che voi farete subire al vostro Spirito. Piegatelo, sottomettetelo, umiliatelo, mortificatelo: è il mezzo per renderlo docile alla volontà di Dio e il solo che conduca alla perfezione.
Ecco due sistemi: quello degli asceti che vogliono annullare il corpo, e quello dei materialisti che vogliono annullare l'anima: due violenze, pressoché insensate sia l'una che l'altra. A fianco di queste due grandi correnti pullula la numerosa schiera degli indifferenti che, senza convinzione e senza passione, amano tiepidamente e gioiscono modestamente. Dove sta dunque la saggezza? Dov'è dunque la scienza del vivere? Né dall'una né dall'altra parte. E questo grande problema resterebbe completamente irrisolto se lo Spiritismo non venisse in aiuto di coloro che cercano la soluzione dimostrando i rapporti che esistono fra il corpo e l'anima, e affermando che, poiché sono necessari l'uno all'altra, bisogna aver cura di tutti e due. Amate dunque la vostra anima, ma curate anche il vostro corpo, strumento dell'anima. Ignorare i bisogni che sono indicati dalla natura stessa, è ignorare la legge di Dio. Non punite il corpo per gli errori che il vostro libero arbitrio gli ha fatto commettere, di cui peraltro non è responsabile, così come il cavallo mal guidato non è responsabile degli incidenti che ha causato. Sareste forse più perfetti se, pur martirizzando il corpo, voi non diventaste né meno egoisti né meno orgogliosi e neppure un po' più caritatevoli con il vostro prossimo? No, la perfezione non consiste in questo. Essa è tutta nel rinnovamento che voi farete subire al vostro Spirito. Piegatelo, sottomettetelo, umiliatelo, mortificatelo: è il mezzo per renderlo docile alla volontà di Dio e il solo che conduca alla perfezione.
(Georges, Spirito Protettore, Parigi, 1863)
Capitolo XVIII - MOLTI SONO I CHIAMATI, MA POCHI GLI ELETTI
Parabola del banchetto di nozze
1.
Gesù ricominciò a parlare loro in parabole, dicendo: «E regno dei cieli è
simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio. Mandò i suoi
servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire.
Mandò una seconda volta altri servi, dicendo: "Dite agli invitati: Io ho
preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono
ammazzati; tutto è pronto; venite alle nozze". Ma quelli, non
curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo commercio;
altri poi, presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero. Allora
il re si adirò, mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a
bruciare la loro città. Quindi disse ai suoi servi: "Te nozze sono
pronte, ma gli invitati non ne erano degni. Andate dunque ai crocicchi
delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete". E quei servi,
usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e
buoni; e la sala delle nozze fu piena di commensali. Ora il re entrò per
vedere quelli che erano a tavola e notò là un uomo che non aveva
l'abito di nozze. E gli disse: "Amico, come sei entrato qui senza avere
un abito di nozze?" E costui rimase con la bocca chiusa. Allora il re
disse ai servitori: "Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di
fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti". Poiché molti sono i
chiamati, ma pochi gli eletti». (Matteo 22:1-14)
2. Il
non credente sorride a questa parabola, che gli sembra di una ingenuità
puerile, poiché non comprende che ci possa essere tanta difficoltà per
partecipare a un banchetto e ancora meno che gli invitati spingano la
loro resistenza fino al punto di massacrare gli inviati del padrone di
casa. «Leparabole — dice l'incredulo — sono senza dubbio delle metafore,
ma non devono uscire dai limiti della verosimiglianza».
Si può dire altrettanto di tutte le allegorie, delle favole più ingegnose, se non le si spoglia del loro involucro per cercarne il significato nascosto. Gesù si ispirava alle usanze più comuni della vita e adattava le sue parabole ai costumi e al carattere del popolo al quale si rivolgeva. La maggior parte di esse aveva lo scopo di introdurre nelle masse il concetto di vita spirituale. Sovente il senso non appare intelligibile solo perché non si parte da questo punto di vista.
In questa parabola, Gesù paragona il Regno dei Cieli, dove tutto è gioia e felicità, a un banchetto nuziale. Riguardo ai primi invitati, Egli fa allusione agli Ebrei che Dio aveva chiamato per primi alla conoscenza della sua legge. Gli inviati del re sono i profeti che erano andati a esortare i Giudei a seguire la via della vera felicità. Ma le loro parole erano poco ascoltate, i loro ammonimenti venivano disprezzati e molti dei profeti furono persino massacrati, come i servitori della parabola. Gli invitati che si scusano, dovendo prendersi cura dei campi o dei loro affari, sono l'emblema delle persone del mondo che, assorbite dalle cose terrene, sono indifferenti alle cose celesti.
C'era una credenza, presso i Giudei di allora, secondo la quale il loro popolo avrebbe dovuto acquisire la supremazia su tutti gli altri. In effetti, non aveva forse Dio promesso ad Abramo che la sua posterità avrebbe coperto tutta la Terra? Ma come sempre, tenendo conto della forma e non della sostanza, essi credettero a una dominazione effettiva in senso materiale.
Prima della venuta di Cristo, a eccezione degli Ebrei, tutti i popoli erano idolatri e politeisti. Se qualche uomo superiore concepì l'idea dell'unità divina, questa idea restò allo stato di opinione personale, ma in nessun luogo venne accettata come verità fondamentale, se non da parte di qualche iniziato, che nascondeva la sua conoscenza sotto un velo di mistero, impenetrabile per le masse. Gli Ebrei furono i primi a praticare pubblicamente il monoteismo. È a loro che Dio trasmise la Sua legge, prima attraverso Mosè, poi attraverso Gesù. È da questo piccolo focolare che è partita la luce che si sarebbe diffusa in tutto il mondo, che avrebbe trionfato sul paganesimo e dato ad Abramo una posterità spirituale «numerosa come le stelle del firmamento».
Ma i Giudei, benché rigettassero l'idolatria, trascurarono la legge morale, per rivolgersi alla più facile pratica del culto esteriore. Il male era al culmine. La nazione, dominata dai Romani, era dilaniata dalle fazioni, divisa dalle sette. La miscredenza stessa era penetrata persino nei templi. Fu allora che apparve Gesù, inviato per ricordare loro l'osservanza della legge e aprire i nuovi orizzonti della vita futura. Invitati per primi al grande banchetto della fede universale, essi respinsero la parola del celeste Messia, e Lo sacrificarono. È così che persero il frutto che avrebbero raccolto di loro iniziativa.
Sarebbe tuttavia ingiusto accusare tutto il popolo di questo stato di cose. La responsabilità ricade soprattutto sui Farisei e sui Sadducei che rovinarono la nazione a causa dell'orgoglio e del fanatismo degli uni e della miscredenza degli altri. Sono soprattutto loro che Gesù equipara agli invitati che rifiutarono di recarsi al pranzo di nozze. Aggiunge poi che il re, vedendo ciò, fece invitare tutti quelli che si trovavano nei crocevia, buoni e cattivi, intendendo con questo che il verbo andava predicato a tutti gli altri popoli, pagani e idolatri, e che quelli che l'avessero accettato sarebbero stati ammessi al banchetto al posto dei primi invitati.
Ma non basta essere invitati. Non basta dirsi Cristiani né sedersi a tavola, per prendere parte al celeste banchetto. Bisogna innanzi tutto, ed è condizione primaria, essere vestiti con abiti nuziali, ossia avere la purezza di cuore e praticare la legge secondo lo spirito. Ora, questa legge si trova tutta in queste parole: «Fuori della carità non c'è salvezza» Ma fra tutti quelli che intendono la parola divina, quanto pochi sono quelli che la custodiscono e la mettono in pratica! Ben pochi si rendono degni di entrare nel regno dei Cieli! È per questo che Gesù dice: «Moltisono i chiamati, ma pochi gli eletti».
Si può dire altrettanto di tutte le allegorie, delle favole più ingegnose, se non le si spoglia del loro involucro per cercarne il significato nascosto. Gesù si ispirava alle usanze più comuni della vita e adattava le sue parabole ai costumi e al carattere del popolo al quale si rivolgeva. La maggior parte di esse aveva lo scopo di introdurre nelle masse il concetto di vita spirituale. Sovente il senso non appare intelligibile solo perché non si parte da questo punto di vista.
In questa parabola, Gesù paragona il Regno dei Cieli, dove tutto è gioia e felicità, a un banchetto nuziale. Riguardo ai primi invitati, Egli fa allusione agli Ebrei che Dio aveva chiamato per primi alla conoscenza della sua legge. Gli inviati del re sono i profeti che erano andati a esortare i Giudei a seguire la via della vera felicità. Ma le loro parole erano poco ascoltate, i loro ammonimenti venivano disprezzati e molti dei profeti furono persino massacrati, come i servitori della parabola. Gli invitati che si scusano, dovendo prendersi cura dei campi o dei loro affari, sono l'emblema delle persone del mondo che, assorbite dalle cose terrene, sono indifferenti alle cose celesti.
C'era una credenza, presso i Giudei di allora, secondo la quale il loro popolo avrebbe dovuto acquisire la supremazia su tutti gli altri. In effetti, non aveva forse Dio promesso ad Abramo che la sua posterità avrebbe coperto tutta la Terra? Ma come sempre, tenendo conto della forma e non della sostanza, essi credettero a una dominazione effettiva in senso materiale.
Prima della venuta di Cristo, a eccezione degli Ebrei, tutti i popoli erano idolatri e politeisti. Se qualche uomo superiore concepì l'idea dell'unità divina, questa idea restò allo stato di opinione personale, ma in nessun luogo venne accettata come verità fondamentale, se non da parte di qualche iniziato, che nascondeva la sua conoscenza sotto un velo di mistero, impenetrabile per le masse. Gli Ebrei furono i primi a praticare pubblicamente il monoteismo. È a loro che Dio trasmise la Sua legge, prima attraverso Mosè, poi attraverso Gesù. È da questo piccolo focolare che è partita la luce che si sarebbe diffusa in tutto il mondo, che avrebbe trionfato sul paganesimo e dato ad Abramo una posterità spirituale «numerosa come le stelle del firmamento».
Ma i Giudei, benché rigettassero l'idolatria, trascurarono la legge morale, per rivolgersi alla più facile pratica del culto esteriore. Il male era al culmine. La nazione, dominata dai Romani, era dilaniata dalle fazioni, divisa dalle sette. La miscredenza stessa era penetrata persino nei templi. Fu allora che apparve Gesù, inviato per ricordare loro l'osservanza della legge e aprire i nuovi orizzonti della vita futura. Invitati per primi al grande banchetto della fede universale, essi respinsero la parola del celeste Messia, e Lo sacrificarono. È così che persero il frutto che avrebbero raccolto di loro iniziativa.
Sarebbe tuttavia ingiusto accusare tutto il popolo di questo stato di cose. La responsabilità ricade soprattutto sui Farisei e sui Sadducei che rovinarono la nazione a causa dell'orgoglio e del fanatismo degli uni e della miscredenza degli altri. Sono soprattutto loro che Gesù equipara agli invitati che rifiutarono di recarsi al pranzo di nozze. Aggiunge poi che il re, vedendo ciò, fece invitare tutti quelli che si trovavano nei crocevia, buoni e cattivi, intendendo con questo che il verbo andava predicato a tutti gli altri popoli, pagani e idolatri, e che quelli che l'avessero accettato sarebbero stati ammessi al banchetto al posto dei primi invitati.
Ma non basta essere invitati. Non basta dirsi Cristiani né sedersi a tavola, per prendere parte al celeste banchetto. Bisogna innanzi tutto, ed è condizione primaria, essere vestiti con abiti nuziali, ossia avere la purezza di cuore e praticare la legge secondo lo spirito. Ora, questa legge si trova tutta in queste parole: «Fuori della carità non c'è salvezza» Ma fra tutti quelli che intendono la parola divina, quanto pochi sono quelli che la custodiscono e la mettono in pratica! Ben pochi si rendono degni di entrare nel regno dei Cieli! È per questo che Gesù dice: «Moltisono i chiamati, ma pochi gli eletti».
La porta stretta
3. Entrate
per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che
conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa.
Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e
pochi sono quelli che la trovano. (Matteo 7:13-14)
4.
Un tale gli disse: «Signore, sono pochi i salvati?» Ed egli disse loro:
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché io vi dico che molti
cercheranno di entrare e non potranno. Quando il padrone di casa si
alzerà e chiuderà la porta, voi, stando di fuori, comincerete a bussare
alla porta, dicendo: "Signore, aprici". Ed egli vi risponderà: "Io non
so da dove venite". Allora comincerete a dire. "Noi abbiamo mangiato e
bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!" Ed egli
dirà: "Io vi dico che non so da dove venite, Allontanatevi da me, voi
tutti, malfattori". Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando
vedrete Abraamo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e
voi ne sarete buttati fuori. E ne verranno da oriente e da occidente, da
settentrione e da mezzogiorno, e staranno a tavola nel regno di Dio.
Ecco, vi sono degli ultimi che saranno primi e dei primi che saranno
ultimi». (Luca 13:23-30)
5. La
porta della perdizione è larga, perché le cattive passioni sono
numerose e la via del male è frequentata dalla maggioranza. Quella della
salvezza è stretta, perché l'uomo che vuole varcarla deve fare grandi
sforzi su se stesso per vincere le cattive tendenze, cosa a cui pochi si
rassegnano. È il completamento della massima «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti».
Tale è lo stato attuale dell'umanità terrena, poiché, essendo la Terra un mondo di espiazione, il male vi predomina; ma quando sarà trasformata, il cammino del bene sarà il più frequentato. Queste parole devono dunque essere intese in senso relativo e non in senso assoluto. Se tale dovesse essere lo stato normale dell'umanità, Dio avrebbe volontariamente votato alla perdizione la grande maggioranza delle Sue creature; ipotesi inammissibile, dal momento che si riconosce che Dio è somma giustizia e somma bontà.
Ma di quali colpe questa umanità si sarebbe potuta rendere responsabile per meritare una sorte così triste, nel suo presente e nel suo futuro, se essa era tutta relegata sulla Terra, e se l'anima non aveva altre esistenze? Perché tante traversie disseminate lungo il suo cammino? Perché questa porta così stretta da permettere di superarla solo a un piccolo numero, se la sorte dell'anima è fissata definitivamente dopo la morte? È così, con la concezione di un'unica esistenza, che ci si trova incessantemente in contraddizione con se stessi e con la giustizia di Dio. Con la preesistenza dell'anima e la pluralità dei mondi, l'orizzonte si amplia, si fa luce sui punti oscuri della fede, il presente, il futuro e il passato sono tra loro strettamente legati. Solamente così si può comprendere tutta la profondità, tutta la verità e tutta la saggezza delle massime di Cristo.
Tale è lo stato attuale dell'umanità terrena, poiché, essendo la Terra un mondo di espiazione, il male vi predomina; ma quando sarà trasformata, il cammino del bene sarà il più frequentato. Queste parole devono dunque essere intese in senso relativo e non in senso assoluto. Se tale dovesse essere lo stato normale dell'umanità, Dio avrebbe volontariamente votato alla perdizione la grande maggioranza delle Sue creature; ipotesi inammissibile, dal momento che si riconosce che Dio è somma giustizia e somma bontà.
Ma di quali colpe questa umanità si sarebbe potuta rendere responsabile per meritare una sorte così triste, nel suo presente e nel suo futuro, se essa era tutta relegata sulla Terra, e se l'anima non aveva altre esistenze? Perché tante traversie disseminate lungo il suo cammino? Perché questa porta così stretta da permettere di superarla solo a un piccolo numero, se la sorte dell'anima è fissata definitivamente dopo la morte? È così, con la concezione di un'unica esistenza, che ci si trova incessantemente in contraddizione con se stessi e con la giustizia di Dio. Con la preesistenza dell'anima e la pluralità dei mondi, l'orizzonte si amplia, si fa luce sui punti oscuri della fede, il presente, il futuro e il passato sono tra loro strettamente legati. Solamente così si può comprendere tutta la profondità, tutta la verità e tutta la saggezza delle massime di Cristo.
Coloro che dicono "Signore, Signore!"
6.
Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma
chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in
quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo
e in nome tuo cacciato demoni e fatto in nome tuo molte opere potenti?
Allora dichiarerò loro: "Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da
me, malfattori!"». (Matteo 7:2123)
7.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà
paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la
roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno
soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era
fondata sulla roccia. E chiunque ascolta queste mie parole e non le
mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la
sua casa sulla sabbia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i
venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa, ed essa è
caduta e la sua rovina è stata grande.» (Matteo 7:24-27; Luca 6:46-49)
8. Chi
dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così
insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi
li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei
cieli. (Matteo 5:19)
9. Tutti quelli che
riconoscono la missione di Gesù dicono: «Signore, Signore!» Ma a che
cosa serve chiamarLo Maestro o Signore se non si seguono i Suoi
precetti? Sono forse dei Cristiani quelli che Lo onorano con atti
esteriori di devozione e allo stesso tempo glorificano l'orgoglio,
l'egoismo, la cupidigia e tutte le loro passioni? Sono forse Suoi
discepoli quelli che passano la giornata a pregare e non sono né
migliori né più caritatevoli né più indulgenti con i loro simili? No.
Come i Farisei, essi hanno la preghiera sulle labbra ma non nel cuore.
Con le apparenze possono imporsi agli uomini, ma non a Dio. Invano
diranno a Gesù: «Signore, abbiamo profetizzato, ossia insegnato in
Vostro nome, abbiamo cacciato il demonio in Vostro nome; abbiamo
mangiato e bevuto con Voi». Ed Egli risponderà: «Nonso chi voi siate,
allontanatevi da me, voi che commettete delle cose inique, che smentite
con il vostro operato quel che dite, che calunniate il vostro prossimo,
che spogliate le vedove e che commettete adulterio. Allontanatevi da me,
voi il cui cuore distilla odio e fiele, voi che spargete il sangue dei
vostri fratelli in mio nome, voi che fate scorrere lacrime anziché
asciugarle. Per voi ci saranno pianti e digrignar di denti, perché il
Regno di Dio è per quelli che sono docili, umili e caritatevoli. Non
sperate di mitigare la giustizia del Signore con tutte le vostre parole e
le vostre genuflessioni. La sola via che vi si schiuda per trovare la
grazia davanti a Lui è la pratica sincera della legge dell'amore e della
carità».
Le parole di Gesù sono eterne, perché sono la verità. Esse sono non soltanto la salvaguardia della vita celeste, ma anche la garanzia della pace, della tranquillità e della stabilità nelle cose della vita terrena. Per questo tutte le istituzioni umane, politiche, sociali e religiose, che porranno le basi su queste parole, saranno stabili come la casa edificata sulla roccia, e gli uomini le conserveranno perché vi troveranno la loro felicità. Ma quelle istituzioni che violeranno le Sue parole saranno come la casa costruita sulla sabbia: il vento delle rivoluzioni e il fiume del progresso le abbatteranno.
Le parole di Gesù sono eterne, perché sono la verità. Esse sono non soltanto la salvaguardia della vita celeste, ma anche la garanzia della pace, della tranquillità e della stabilità nelle cose della vita terrena. Per questo tutte le istituzioni umane, politiche, sociali e religiose, che porranno le basi su queste parole, saranno stabili come la casa edificata sulla roccia, e gli uomini le conserveranno perché vi troveranno la loro felicità. Ma quelle istituzioni che violeranno le Sue parole saranno come la casa costruita sulla sabbia: il vento delle rivoluzioni e il fiume del progresso le abbatteranno.
A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto
10. Quel
servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato
né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma
colui che non l'ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne
riceverà poche. A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi
molto è stato affidato, tanto più si richiederà. (Luca 12:47-48)
11.
Gesù disse: «Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio,
affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino
ciechi». Alcuni farisei, che erano con lui, udirono queste cose e gli
dissero: «Siamo ciechi anche noi?» Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane». (Giovanni 9:39-41)
12. Queste massime trovano
la loro applicazione soprattutto nell'insegnamento degli Spiriti.
Chiunque conosca i precetti di Cristo è sicuramente colpevole se non li
mette in pratica. Ma oltre a non essere abbastanza diffuso il Vangelo
che li contiene, se non nelle sette cristiane, anche fra i loro
appartenenti, quanti coloro che non lo leggono e fra quelli che lo
leggono quanti coloro che non lo comprendono! Ne consegue che le parole
stesse di Gesù sono per la maggior parte perdute.
L'insegnamento degli Spiriti, che ripropone queste massime sotto forme diverse, che le sviluppa e commenta perché siano alla portata di tutti, ha questo di particolare: non è affatto circoscritto, e tutti, letterati o illetterati, credenti o non credenti, Cristiani o no, possono riceverlo poiché gli Spiriti comunicano ovunque. Nessuno di coloro che ricevono gli insegnamenti degli Spiriti, direttamente o per interposta persona, può addurre il pretesto di ignorare questi insegnamenti, né può addurre la scusa di mancare di istruzione, né attribuire la causa di ciò alla poca chiarezza delle metafore. Chi dunque non mette a profitto i precetti per migliorarsi, chi li apprezza come cose interessanti e curiose senza tuttavia che il suo cuore ne sia toccato, chi non diventa un po' meno vacuo, meno orgoglioso, meno egoista, meno attaccato ai beni materiali, né migliore verso il suo prossimo è tanto più colpevole quanto più ha avuto modo di conoscere la verità.
I medium che ottengono buone comunicazioni sono ancora più condannabili se persistono nel male. Infatti sovente scrivono la loro stessa condanna e, se non fossero accecati dall'orgoglio, riconoscerebbero che è a loro che gli Spiriti si rivolgono. Ma invece di rivolgere a se stessi la lezione che scrivono, o che vedono scrivere, il loro unico pensiero è applicarla agli altri, realizzando così queste parole di Gesù: «Perchéguardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?». (vedere cap. X, n. 9 di quest'opera).
Con queste altre parole: «Se foste ciechi, voi non avreste alcun peccato», Gesù intende dire che la colpevolezza è in ragione dei lumi che si possiedono. Ora, i Farisei, che avevano la pretesa di essere — e in effetti lo erano — la parte più istruita della nazione, agli occhi di Dio erano oggetto di riprovazione più del popolo ignorante. E lo stesso accade oggigiorno.
Agli Spiritisti verrà dunque domandato molto, perché molto hanno ricevuto, per contro molto sarà dato a quelli che avranno tratto profitto dagli insegnamenti.
Il primo pensiero di tutti gli Spiritisti sinceri dev'essere quello di cercare, fra i consigli dati dagli Spiriti, se non ci sia qualcosa che possa riguardarli.
Lo Spiritismo viene a moltiplicare il numero dei chiamati e, attraverso la fede che infonde, moltiplicherà anche il numero degli eletti.
L'insegnamento degli Spiriti, che ripropone queste massime sotto forme diverse, che le sviluppa e commenta perché siano alla portata di tutti, ha questo di particolare: non è affatto circoscritto, e tutti, letterati o illetterati, credenti o non credenti, Cristiani o no, possono riceverlo poiché gli Spiriti comunicano ovunque. Nessuno di coloro che ricevono gli insegnamenti degli Spiriti, direttamente o per interposta persona, può addurre il pretesto di ignorare questi insegnamenti, né può addurre la scusa di mancare di istruzione, né attribuire la causa di ciò alla poca chiarezza delle metafore. Chi dunque non mette a profitto i precetti per migliorarsi, chi li apprezza come cose interessanti e curiose senza tuttavia che il suo cuore ne sia toccato, chi non diventa un po' meno vacuo, meno orgoglioso, meno egoista, meno attaccato ai beni materiali, né migliore verso il suo prossimo è tanto più colpevole quanto più ha avuto modo di conoscere la verità.
I medium che ottengono buone comunicazioni sono ancora più condannabili se persistono nel male. Infatti sovente scrivono la loro stessa condanna e, se non fossero accecati dall'orgoglio, riconoscerebbero che è a loro che gli Spiriti si rivolgono. Ma invece di rivolgere a se stessi la lezione che scrivono, o che vedono scrivere, il loro unico pensiero è applicarla agli altri, realizzando così queste parole di Gesù: «Perchéguardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?». (vedere cap. X, n. 9 di quest'opera).
Con queste altre parole: «Se foste ciechi, voi non avreste alcun peccato», Gesù intende dire che la colpevolezza è in ragione dei lumi che si possiedono. Ora, i Farisei, che avevano la pretesa di essere — e in effetti lo erano — la parte più istruita della nazione, agli occhi di Dio erano oggetto di riprovazione più del popolo ignorante. E lo stesso accade oggigiorno.
Agli Spiritisti verrà dunque domandato molto, perché molto hanno ricevuto, per contro molto sarà dato a quelli che avranno tratto profitto dagli insegnamenti.
Il primo pensiero di tutti gli Spiritisti sinceri dev'essere quello di cercare, fra i consigli dati dagli Spiriti, se non ci sia qualcosa che possa riguardarli.
Lo Spiritismo viene a moltiplicare il numero dei chiamati e, attraverso la fede che infonde, moltiplicherà anche il numero degli eletti.
Istruzioni Degli Spiriti
A chi ha sarà dato
13. Allora i discepoli si avvicinarono e gli dissero: «Perché
parli loro in parabole? Egli rispose loro: Perché a voi è dato di
conoscere i misteri del regno dei cieli; ma a loro non è dato. Perché a
chiunque ha sarà dato, e sarà nell'abbondanza; ma a chiunque non ha sarà
tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole; perché,
vedendo, non vedono; e udendo, non odono né comprendono. E si adempie in
loro la profezia d'Isaia che dice: "Udrete con i vostri orecchi e non
comprenderete; guarderete con i vostri occhi e non vedrete"». (Matteo 13:10-14)
14.
Diceva loro ancora: Badate a ciò che udite. Con la misura con la quale
misurate sarete misurati pure voi; e a voi sarà dato anche di più;
poiché a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».
(Marco 4:24-25)
15. «A
chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».
Meditate su questo grande insegnamento che sovente è sembrato un
paradosso. Chi ha ricevuto è colui che possiede il senso della parola
divina. Egli ha ricevuto in quanto ha cercato di rendersene degno e in
quanto il Signore, nel Suo amore misericordioso, incoraggia i suoi
sforzi, che tendono al bene. Questi sforzi, poderosi e continui attirano
la grazia del Signore. Essi sono come una calamita che attiri
progressivamente a sé i miglioramenti e le abbondanti grazie, che vi
mettono in grado di scalare la montagna santa, sulla cui sommità c'è il
riposo dopo lo sforzo.
«Si toglie a chi non ha niente, o a chi ha poco». Prendete ciò come una contraddizione figurata. Dio non toglie alle Sue creature il bene che si è degnato di dar loro. Uomini ciechi e sordi! Aprite la vostra intelligenza e i vostri cuori, guardate con il vostro spirito, intendete con la vostra anima e non interpretate in modo così grossolanamente ingiusto le parole di Colui che ha fatto risplendere ai vostri occhi la giustizia del Signore. Non è Dio che toglie a chi aveva poco ricevuto, è lo stesso Spirito che, prodigo e indifferente, non sa conservare ciò che ha né sa accrescere, fecondandolo, l'obolo caduto nel suo cuore.
Chi non coltiva il campo, guadagnato da suo padre con il lavoro, e che ha ereditato, vede questo campo coprirsi di erbe parassite. È forse suo padre, allora, che gli toglie il raccolto ch'egli non ha voluto preparare? Se ha lasciato che il seminato, destinato a germogliare nel campo, morisse per mancanza di cure, può incolpare suo padre se il campo non produce? No e poi no! Invece di muovere a suo padre, che aveva preparato tutto per lui, l'accusa di riprendersi i suoi doni, che accusi il vero autore delle sue disgrazie e, pentito e operoso, si metta all'opera con coraggio. Dissodi il terreno sterile con lo sforzo della sua volontà, lo lavori in profondità con l'aiuto del pentimento e della speranza, getti con fiducia la semenza che avrà sceltobuona fra quella cattiva, la innaffi con il suo amore e la sua carità, e Dio, il. Dio d'amore e di carità, darà a colui che già ha ricevuto. Vedrà allora i suoi sforzi coronati dal successo, e un seme produrne cento e un altro produrne mille. Coraggio, lavoratori, prendete i vostri rastrelli e i vostri aratri, nobilitate i vostri cuori ed estirpatene il loglio, seminate il buon grano che il Signore vi affida, e la rugiada dell'amore ne farà germogliare i frutti della carità.
«Si toglie a chi non ha niente, o a chi ha poco». Prendete ciò come una contraddizione figurata. Dio non toglie alle Sue creature il bene che si è degnato di dar loro. Uomini ciechi e sordi! Aprite la vostra intelligenza e i vostri cuori, guardate con il vostro spirito, intendete con la vostra anima e non interpretate in modo così grossolanamente ingiusto le parole di Colui che ha fatto risplendere ai vostri occhi la giustizia del Signore. Non è Dio che toglie a chi aveva poco ricevuto, è lo stesso Spirito che, prodigo e indifferente, non sa conservare ciò che ha né sa accrescere, fecondandolo, l'obolo caduto nel suo cuore.
Chi non coltiva il campo, guadagnato da suo padre con il lavoro, e che ha ereditato, vede questo campo coprirsi di erbe parassite. È forse suo padre, allora, che gli toglie il raccolto ch'egli non ha voluto preparare? Se ha lasciato che il seminato, destinato a germogliare nel campo, morisse per mancanza di cure, può incolpare suo padre se il campo non produce? No e poi no! Invece di muovere a suo padre, che aveva preparato tutto per lui, l'accusa di riprendersi i suoi doni, che accusi il vero autore delle sue disgrazie e, pentito e operoso, si metta all'opera con coraggio. Dissodi il terreno sterile con lo sforzo della sua volontà, lo lavori in profondità con l'aiuto del pentimento e della speranza, getti con fiducia la semenza che avrà sceltobuona fra quella cattiva, la innaffi con il suo amore e la sua carità, e Dio, il. Dio d'amore e di carità, darà a colui che già ha ricevuto. Vedrà allora i suoi sforzi coronati dal successo, e un seme produrne cento e un altro produrne mille. Coraggio, lavoratori, prendete i vostri rastrelli e i vostri aratri, nobilitate i vostri cuori ed estirpatene il loglio, seminate il buon grano che il Signore vi affida, e la rugiada dell'amore ne farà germogliare i frutti della carità.
(Uno Spirito amico, Bordeaux, 1862)
Il Cristiano si riconosce dalle sue opere
16. «Non chiunque mi dice: "Signore, Signore!" entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.»
Ascoltate queste parole del Maestro, voi tutti che rifiutate la Dottrina Spiritista come se fosse opera del demonio. Aprite le orecchie. Il momento di intendere è arrivato.
Basta indossare la divisa del Signore per essere un fedele servitore? Basta dire: 4o sono Cristiano» per seguire Cristo? Cercate i veri Cristiani. Voi li riconoscerete dalle loro opere. «Un buon albero non può portare dei cattivi frutti, né un cattivo albero può portare dei buoni frutti». «Tutti gli alberi che non portano dei buoni frutti vengono abbattuti e bruciati». Ecco le parole del Maestro. Discepoli di Cristo, comprendetele bene. Quali sono i frutti che deve portare l'albero del Cristianesimo, forte albero i cui rami frondosi diffondono la loro ombra su una parte del mondo, ma che non hanno ancora posto al riparo tutti quelli che devono radunarsi intorno a lui? I frutti dell'albero della vita sono frutti di vita, di speranza e di fede. Il Cristianesimo, così come si configura da secoli, predica sempre queste divine virtù, cerca di dispensare i suoi frutti, ma troppo pochi sono quelli che li raccolgono! L'albero è sempre buono, ma sono i giardinieri a essere cattivi. Essi l'hanno coltivato a loro piacere, l'hanno voluto modellare secondo le loro necessità, l'hanno tagliato, rimpicciolito, mutilato. I suoi rami resi sterili non portano frutti cattivi, semplicemente non ne portano più. Il viandante assetato quando si ferma alla sua ombra per cercare il frutto della speranza che deve ridargli forza e coraggio, nota solo rami aridi che preannunciano la tempesta. Invano chiede il frutto della vita all'albero della vita: le foglie, rinsecchite cadono ai suoi piedi. La mano dell'uomo le ha talmente maneggiate da bruciarle.
Aprite dunque le orecchie e il cuore, miei benamati! Coltivate questo albero della vita i cui frutti danno la vita eterna. Colui che l'ha piantato vi invita a curarlo con amore, e vedrete che di nuovo e abbondantemente vi darà questi frutti divini. Conservatelo così come Cristo ve l'ha donato: non mutilatelo. La sua immensa ombra vuole estendersi su tutto l'universo: non tagliate i suoi rami. I suoi frutti benefici cadono in abbondanza per dissetare lo stanco viandante che vuole raggiungere la meta. Non raccogliete questi frutti per immagazzinarli e lasciarli marcire in modo che non servano più a nessuno.
Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti». È che ci sono accaparratori del pane della vita, così come ce ne sono del pane materiale. Non mettetevi fra questi. L'albero che porta buoni frutti deve spargerli ovunque. Andate dunque a cercare quelli che sono assetati, conduceteli sotto le fronde dell'albero e dividete con loro il riparo che esso offre. «Non si raccoglie l'uva dalle spine». Fratelli miei, allontanatevi da coloro che vi chiamano per mostrarvi i rovi del cammino e seguite quelli che vi conducono all'ombra dell'albero della vita.
Il divino Salvatore, il giusto per eccellenza, l'ha detto, e le Sue parole non scorreranno via: «Non chiunque che mi dice: "Signore, Signore!" entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli».
Che il Signore delle benedizioni vi benedica; che il Dio della luce vi illumini; che l'albero della vita dispensi su di voi frutti in abbondanza! Credete e pregate.
Ascoltate queste parole del Maestro, voi tutti che rifiutate la Dottrina Spiritista come se fosse opera del demonio. Aprite le orecchie. Il momento di intendere è arrivato.
Basta indossare la divisa del Signore per essere un fedele servitore? Basta dire: 4o sono Cristiano» per seguire Cristo? Cercate i veri Cristiani. Voi li riconoscerete dalle loro opere. «Un buon albero non può portare dei cattivi frutti, né un cattivo albero può portare dei buoni frutti». «Tutti gli alberi che non portano dei buoni frutti vengono abbattuti e bruciati». Ecco le parole del Maestro. Discepoli di Cristo, comprendetele bene. Quali sono i frutti che deve portare l'albero del Cristianesimo, forte albero i cui rami frondosi diffondono la loro ombra su una parte del mondo, ma che non hanno ancora posto al riparo tutti quelli che devono radunarsi intorno a lui? I frutti dell'albero della vita sono frutti di vita, di speranza e di fede. Il Cristianesimo, così come si configura da secoli, predica sempre queste divine virtù, cerca di dispensare i suoi frutti, ma troppo pochi sono quelli che li raccolgono! L'albero è sempre buono, ma sono i giardinieri a essere cattivi. Essi l'hanno coltivato a loro piacere, l'hanno voluto modellare secondo le loro necessità, l'hanno tagliato, rimpicciolito, mutilato. I suoi rami resi sterili non portano frutti cattivi, semplicemente non ne portano più. Il viandante assetato quando si ferma alla sua ombra per cercare il frutto della speranza che deve ridargli forza e coraggio, nota solo rami aridi che preannunciano la tempesta. Invano chiede il frutto della vita all'albero della vita: le foglie, rinsecchite cadono ai suoi piedi. La mano dell'uomo le ha talmente maneggiate da bruciarle.
Aprite dunque le orecchie e il cuore, miei benamati! Coltivate questo albero della vita i cui frutti danno la vita eterna. Colui che l'ha piantato vi invita a curarlo con amore, e vedrete che di nuovo e abbondantemente vi darà questi frutti divini. Conservatelo così come Cristo ve l'ha donato: non mutilatelo. La sua immensa ombra vuole estendersi su tutto l'universo: non tagliate i suoi rami. I suoi frutti benefici cadono in abbondanza per dissetare lo stanco viandante che vuole raggiungere la meta. Non raccogliete questi frutti per immagazzinarli e lasciarli marcire in modo che non servano più a nessuno.
Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti». È che ci sono accaparratori del pane della vita, così come ce ne sono del pane materiale. Non mettetevi fra questi. L'albero che porta buoni frutti deve spargerli ovunque. Andate dunque a cercare quelli che sono assetati, conduceteli sotto le fronde dell'albero e dividete con loro il riparo che esso offre. «Non si raccoglie l'uva dalle spine». Fratelli miei, allontanatevi da coloro che vi chiamano per mostrarvi i rovi del cammino e seguite quelli che vi conducono all'ombra dell'albero della vita.
Il divino Salvatore, il giusto per eccellenza, l'ha detto, e le Sue parole non scorreranno via: «Non chiunque che mi dice: "Signore, Signore!" entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli».
Che il Signore delle benedizioni vi benedica; che il Dio della luce vi illumini; che l'albero della vita dispensi su di voi frutti in abbondanza! Credete e pregate.
(Siméon, Bordeaux, 1863)
Capitolo XIX - LA FEDE SPOSTA LE MONTAGNE
Potenza della fede
1.
Quando tornarono tra la folla, un uomo gli si avvicinò e, gettandosi in
ginocchio davanti a lui, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio,
perché è lunatico e soffre molto; spesso, infatti, cade nel fuoco e
spesso nell'acqua. L'ho condotto dai tuoi discepoli ma non l'hanno
potuto guarire». Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino
a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da
me». Gesù sgridò il demonio e quello uscì dal ragazzo, che da quel
momento fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte,
gli chiesero: Perché non l'abbiamo potuto cacciare noi?» Gesù rispose
loro: A causa della vostra poca fede; perché in verità io vi dico: se
avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte:
"Passa da qui a là", e passerà; e niente vi sarà impossibile». (Matteo 17:14 20)
2. È sostanzialmente certo
che la fiducia nelle proprie forze ci rende capaci di realizzare cose
materiali che non riusciamo a fare quando dubitiamo di noi stessi. Ma
qui è unicamente in senso morale che queste parole devono essere intese.
In breve, le montagne che la fede sposta sono le difficoltà, le
resistenze, la cattiva volontà che si riscontra fra gli uomini proprio
quando si tratta delle cose migliori. I pregiudizi correnti, gli
interessi materiali, l'egoismo, la cecità del fanatismo, le passioni
orgogliose sono altrettante montagne che ostacolano il cammino di
chiunque lavori al progresso dell'umanità. La fede salda dà
perseveranza, energia e quelle risorse che fanno vincere gli ostacoli,
nelle piccole come nelle grandi cose. La fede vacillante dà incertezza
ed esitazione, elementi di cui approfittano gli avversari che dobbiamo
combattere. Ma tale fede non cerca neppure i mezzi per vincere perché
non crede di poter vincere.
3. Con altro significato, la
fede è anche quella che si ha nel compiere una cosa, la certezza cioè
di raggiungere lo scopo. In questo caso essa dà una specie di lucidità
che fa prevedere, nel pensiero, la meta verso la quale si tende e i
mezzi per arrivarci, cosicché chi la possiede procede, per così dire, a
colpo sicuro. Nell'uno e nell'altro caso, essa può far compiere grandi
cose.
La fede vera e sincera è sempre serena. Essa dà quella pazienza che mette in condizione di attendere perché, poggiando sull'intelligenza e sulla comprensione delle cose, rende certi di raggiungere lo scopo prefissato. La fede dubbiosa avverte la propria fragilità e, quando è stimolata dall'interesse, diventa agitata e crede di poter supplire alla forza con la violenza. La calma nella lotta è sempre un segno di energia e di fiducia. La violenza, al contrario, è prova di debolezza e di mancanza di fiducia in se stessi.
La fede vera e sincera è sempre serena. Essa dà quella pazienza che mette in condizione di attendere perché, poggiando sull'intelligenza e sulla comprensione delle cose, rende certi di raggiungere lo scopo prefissato. La fede dubbiosa avverte la propria fragilità e, quando è stimolata dall'interesse, diventa agitata e crede di poter supplire alla forza con la violenza. La calma nella lotta è sempre un segno di energia e di fiducia. La violenza, al contrario, è prova di debolezza e di mancanza di fiducia in se stessi.
4. Ci si deve guardare dal
confondere la fede con la presunzione. La vera fede si affianca
all'umiltà. Chi la possiede mette la sua fiducia in Dio più che in se
stesso perché sa che, da semplice strumento della volontà di Dio, nulla
può senza di Lui. È per questo che i buoni Spiriti gli vengono in aiuto.
La presunzione, più che debole fede, è orgoglio, e l'orgoglio viene
sempre punito, prima o poi, dalla delusione e dai fallimenti che gli
vengono inflitti.
5.
La potenza della fede ha un'applicazione diretta e speciale nell'azione
magnetica. Attraverso la fede l'uomo agisce sul fluido, agente
universale. Ne modifica le qualità e gli dà un impulso, per così dire,
irresistibile. Ecco perché chi unisce a un grande e normale potere
fluidico una fede ardente può, con la sola volontà volta al bene,
operare quei fenomeni insoliti di guarigione, e altri ancora, che un
tempo passavano per dei prodigi e che altro non sono che le conseguenze
di una legge naturale. Tale il motivo per cui Gesù dice ai Suoi
apostoli: «Se voi non l'avete guarito, è a causa della vostra poca
fede».
La fede religiosa. Condizione della fede incrollabile.
6. Dal punto di vista
religioso, la fede è la credenza in quei dogmi particolari che
costituiscono le differenti religioni, poiché tutte le religioni hanno i
loro articoli di fede. Sotto questo aspetto, la fede può essere ragionata o cieca. La
fede cieca non esamina niente, accetta senza verifica il falso come il
vero e inciampa a ogni passo contro l'evidenza e la ragione. Spinta
all'eccesso, porta al fanatismo. Quando la
fede poggia sull'errore, prima o poi crolla. Quella che ha per base la
verità è la sola che si assicura il futuro, perché non ha niente da
temere dal progresso della conoscenza, giacché ciò che è vero al buio lo è ugualmente in pieno giorno. Ogni religione ha la pretesa di avere il possesso esclusivo della verità, ma imporre la fede cieca su una questione di credenza vuol dire ammettere la propria impossibilità di dimostrare che si ha ragione.
7. Comunemente si dice che la fede non si comanda, per
cui molti sostengono di non essere colpevoli se non hanno fede. Senza
dubbio la fede non è cosa che possa comandarsi, ma è ancora più giusto
dire: la fede non si impone. No, non si
comanda ma si acquisisce, e non c'è nessuno a cui venga negata, neppure
ai più refrattari. Noi parliamo delle verità spirituali fondamentali e
non di questo o quel credo in particolare. Non spetta alla fede andare
dalle persone, sono loro che devono andare dalla fede e, se la cercano
sinceramente, la trovano. Tenete dunque per certo che quanti dicono:
«Non domanderemmo di meglio che credere, ma non lo possiamo» lo dicono a
parole ma non con il cuore, perché dicendo ciò si tappano le orecchie.
Comunque, le prove non mancano intorno a loro. Perché allora si
rifiutano di vederle? Per alcuni è indifferenza, per altri è il timore
di essere obbligati a cambiare le proprie abitudini. Per i più è
l'orgoglio che si rifiuta di riconoscere una potenza superiore, perché
dovrebbero poi riverirla.
In certe persone la fede sembra in qualche modo innata e basta una scintilla per accenderla. Questa facilità nell'assimilare le verità spirituali è il segno evidente di progressi anteriori. In altre persone, al contrario, queste verità vengono assimilate con difficoltà, segno altrettanto evidente di una natura in ritardo. Le prime avevano già creduto e compreso e portano con sé, rinascendo, l'intuizione di quello che hanno saputo: la loro educazione si è già realizzata. Le seconde hanno tutto da apprendere: la loro educazione è ancora da compiersi. Questa avverrà e, se non sarà terminata in questa esistenza, lo sarà in un'altra.
La resistenza di chi non crede, bisogna convenirne, sovente dipende più dal modo in cui gli vengono proposte le cose che da lui stesso. Per la fede ci vuole una base, e questa base è la comprensione di ciò in cui si deve credere. Per credere non basta vedere, bisogna soprattutto comprendere. La fede cieca non appartiene più a questi tempi. Pertanto, è esattamente il dogma della fede cieca a creare oggi il maggior numero di miscredenti, perché la si vuole imporre ed esige dall'uomo la rinuncia alle sue prerogative più preziose: l'uso della ragione e del libero arbitrio. È contro questa fede soprattutto che si irrigidisce il miscredente, il che dimostra che la fede non si può imporre. Non ammettendo delle prove, essa lascia nello spirito un vuoto da cui nasce il dubbio. La fede ragionata, quella che poggia sui fatti e sulla logica, non lascia dietro di sé nessuna ombra di dubbio. Si crede perché si ha la certezza e si ha questa certezza solo quando si è compreso. Ecco perché non crolla: perché non c'è fede incrollabile se non quella che può guardare la ragione faccia a faccia in tutte le età dell'umanità.
È a questo risultato che lo Spiritismo conduce, trionfando così anche sull'incredulità, tutte le volte che non s'imbatte nell'opposizione deliberata e interessata.
In certe persone la fede sembra in qualche modo innata e basta una scintilla per accenderla. Questa facilità nell'assimilare le verità spirituali è il segno evidente di progressi anteriori. In altre persone, al contrario, queste verità vengono assimilate con difficoltà, segno altrettanto evidente di una natura in ritardo. Le prime avevano già creduto e compreso e portano con sé, rinascendo, l'intuizione di quello che hanno saputo: la loro educazione si è già realizzata. Le seconde hanno tutto da apprendere: la loro educazione è ancora da compiersi. Questa avverrà e, se non sarà terminata in questa esistenza, lo sarà in un'altra.
La resistenza di chi non crede, bisogna convenirne, sovente dipende più dal modo in cui gli vengono proposte le cose che da lui stesso. Per la fede ci vuole una base, e questa base è la comprensione di ciò in cui si deve credere. Per credere non basta vedere, bisogna soprattutto comprendere. La fede cieca non appartiene più a questi tempi. Pertanto, è esattamente il dogma della fede cieca a creare oggi il maggior numero di miscredenti, perché la si vuole imporre ed esige dall'uomo la rinuncia alle sue prerogative più preziose: l'uso della ragione e del libero arbitrio. È contro questa fede soprattutto che si irrigidisce il miscredente, il che dimostra che la fede non si può imporre. Non ammettendo delle prove, essa lascia nello spirito un vuoto da cui nasce il dubbio. La fede ragionata, quella che poggia sui fatti e sulla logica, non lascia dietro di sé nessuna ombra di dubbio. Si crede perché si ha la certezza e si ha questa certezza solo quando si è compreso. Ecco perché non crolla: perché non c'è fede incrollabile se non quella che può guardare la ragione faccia a faccia in tutte le età dell'umanità.
È a questo risultato che lo Spiritismo conduce, trionfando così anche sull'incredulità, tutte le volte che non s'imbatte nell'opposizione deliberata e interessata.
Parabola dell'albero di fico disseccato
8. Il
giorno seguente, quando furono usciti da Betania, egli ebbe fame.
Veduto di lontano un fico, che aveva delle foglie, andò a vedere se vi
trovasse qualche cosa; ma avvicinatosi al fico, non vi trovò niente
altro che foglie; perché non era la stagione dei fichi. Gesù,
rivolgendosi al .fico, gli disse: «Nessuno mangi mai più, frutto da te!»
E i suoi discepoli udirono. (...) La mattina, passando, videro il fico
seccato fin dalle radici. Pietro, ricordatosi, gli disse: Maestro, vedi,
il fico che tu maledicesti è seccato». Gesù rispose e disse loro:
«Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico che chi dirà a questo monte:
"Togliti di là e gettati nel mare", se non dubita in cuor suo, ma crede
che quel che dice avverrà, gli sarà fatto». (Marco 11:12-14, 20-23)
9. L'albero di fico
disseccato è il simbolo delle persone che hanno solo l'apparenza del
bene, ma che in realtà non producono niente di buono. È il simbolo degli
oratori dotati più di forma che di sostanza. Le loro parole hanno uno
splendore che accarezza gli orecchi, ma quando le si analizza non vi si
trova niente di buono per il cuore. Dopo averle intese, ci si domanda
quale vantaggio se ne sia tratto.
È pure l'emblema di tutti quelli che hanno i mezzi per essere utili ma non si rendono utili. È l'emblema di tutte le utopie, di tutti i sistemi vuoti, di tutte le dottrine senza solide basi. Ciò che manca, per lo più, è la vera fede, è la fede feconda, la fede che scuote le fibre del cuore, in una parola, la fede che sposta le montagne. Sono alberi che hanno foglie ma non frutti. È per questo che Gesù li condanna alla sterilità, e giorno verrà in cui saranno disseccati fino alle radici. Ossia, tutti i sistemi, tutte le dottrine, che non avranno prodotto nessun bene per l'umanità, cadranno nel nulla. Giorno verrà in cui tutti gli individui intenzionalmente inutili, responsabili di non aver messo in atto le risorse di cui disponevano, saranno trattati come l'albero di fico disseccato.
È pure l'emblema di tutti quelli che hanno i mezzi per essere utili ma non si rendono utili. È l'emblema di tutte le utopie, di tutti i sistemi vuoti, di tutte le dottrine senza solide basi. Ciò che manca, per lo più, è la vera fede, è la fede feconda, la fede che scuote le fibre del cuore, in una parola, la fede che sposta le montagne. Sono alberi che hanno foglie ma non frutti. È per questo che Gesù li condanna alla sterilità, e giorno verrà in cui saranno disseccati fino alle radici. Ossia, tutti i sistemi, tutte le dottrine, che non avranno prodotto nessun bene per l'umanità, cadranno nel nulla. Giorno verrà in cui tutti gli individui intenzionalmente inutili, responsabili di non aver messo in atto le risorse di cui disponevano, saranno trattati come l'albero di fico disseccato.
10. I medium sono gli
interpreti degli Spiriti. Essi suppliscono agli organi materiali di cui
gli Spiriti non dispongono, per trasmetterci le loro istruzioni, e per
questo sono dotati di facoltà mirate a questo scopo. In questi tempi di
rinnovamento sociale, essi svolgono una missione particolare: sono come
alberi, devono dare il nutrimento spirituale ai loro fratelli. Per
questo si moltiplicano, affinché il nutrimento sia abbondante. Se ne
trovano dappertutto, in tutti i luoghi, in tutti gli strati sociali, fra
i ricchi e i poveri, fra i grandi e i piccoli, affinché non ci siano
più dei diseredati, e per dimostrare agli uomini che tutti sono chiamati. Ma
se essi dirottano la preziosa facoltà che è stata loro accordata dal
suo scopo provvidenziale, se se ne servono per cose futili o nocive, se
la mettono al servizio di interessi mondani, se invece di frutti sani ne
danno di malsani, se rifiutano di rendersi utili per gli altri, se non
ne traggono profitto per se stessi migliorandosi, allora essi sono come
l'albero di fico sterile, e Dio toglierà loro quel dono, che diventa
inutile nelle loro mani: la semenza che non sanno far fruttare. E li
lascerà diventare preda dei cattivi Spiriti.
Istruzioni Degli Spiriti
La fede, madre della speranza e della carità
11.
La fede, per essere proficua, deve essere attiva, non deve impigrirsi.
Madre di tutte le virtù che conducono a Dio, essa deve vegliare
attentamente sullo sviluppo delle sue proprie figlie.
La speranza e la carità sono una conseguenza della fede. Queste tre virtù formano una triade inscindibile. Non è forse la fede che alimenta la nostra speranza di veder compiersi le promesse del Signore? Infatti, se non si ha fede, che cosa ci si può attendere? Non è forse la fede che dà l'amore? Perché, se non si ha fede, quale riconoscenza ci sarà e, di conseguenza, quale amore?
La fede, divina ispirazione di Dio, risveglia tutti i nobili istinti che conducono l'uomo al bene, è la base della rigenerazione. Bisogna dunque che questa base sia salda e duratura, perché se il minimo dubbio viene a scuoterla, che ne sarà dell'edificio che si è costruito sopra? Edificate dunque questa costruzione su stabili fondamenta. Che la vostra fede sia più forte dei sofismi e dello scherno dei miscredenti, perché la fede che non sa sfidare l'irrisione degli uomini non è vera fede.
La fede sincera fa proseliti e si diffonde, viene comunicata a quelli che non ce l'hanno o che addirittura non vorrebbero averla e trova parole persuasive che vanno all'anima. La fede apparente invece ha solo parole altisonanti che generano freddezza e indifferenza. Predicate con l'esempio della vostra fede per trasmetterla agli uomini. Predicate con l'esempio delle vostre opere per mostrare loro il merito della fede. Predicate con il vostro spirito incrollabile per mostrare loro la fiducia che fortifica e mette in grado di affrontare tutte le vicissitudini della vita.
Abbiate dunque la fede in tutto ciò che essa ha di bello e di buono, nella sua purezza, nel suo raziocinio. Non accettate la fede senza verifica, figlia cieca dell'accecamento. Amate Dio, ma sappiate perché Lo amate. Credete nelle Sue promesse, ma sappiate perché ci credete. Seguite i nostri consigli, ma rendetevi conto della meta che noi vi indichiamo e dei mezzi che noi vi porgiamo per raggiungerla. Credete e sperate senza mai perdere le forze: i miracoli sono l'opera della fede.
La speranza e la carità sono una conseguenza della fede. Queste tre virtù formano una triade inscindibile. Non è forse la fede che alimenta la nostra speranza di veder compiersi le promesse del Signore? Infatti, se non si ha fede, che cosa ci si può attendere? Non è forse la fede che dà l'amore? Perché, se non si ha fede, quale riconoscenza ci sarà e, di conseguenza, quale amore?
La fede, divina ispirazione di Dio, risveglia tutti i nobili istinti che conducono l'uomo al bene, è la base della rigenerazione. Bisogna dunque che questa base sia salda e duratura, perché se il minimo dubbio viene a scuoterla, che ne sarà dell'edificio che si è costruito sopra? Edificate dunque questa costruzione su stabili fondamenta. Che la vostra fede sia più forte dei sofismi e dello scherno dei miscredenti, perché la fede che non sa sfidare l'irrisione degli uomini non è vera fede.
La fede sincera fa proseliti e si diffonde, viene comunicata a quelli che non ce l'hanno o che addirittura non vorrebbero averla e trova parole persuasive che vanno all'anima. La fede apparente invece ha solo parole altisonanti che generano freddezza e indifferenza. Predicate con l'esempio della vostra fede per trasmetterla agli uomini. Predicate con l'esempio delle vostre opere per mostrare loro il merito della fede. Predicate con il vostro spirito incrollabile per mostrare loro la fiducia che fortifica e mette in grado di affrontare tutte le vicissitudini della vita.
Abbiate dunque la fede in tutto ciò che essa ha di bello e di buono, nella sua purezza, nel suo raziocinio. Non accettate la fede senza verifica, figlia cieca dell'accecamento. Amate Dio, ma sappiate perché Lo amate. Credete nelle Sue promesse, ma sappiate perché ci credete. Seguite i nostri consigli, ma rendetevi conto della meta che noi vi indichiamo e dei mezzi che noi vi porgiamo per raggiungerla. Credete e sperate senza mai perdere le forze: i miracoli sono l'opera della fede.
(Joseph, Spirito Protettore, Bordeaux, 1862)
La fede divina e la fede umana
12.
Nell'uomo, la fede è il sentimento innato dei suoi destini futuri. È la
coscienza ch'egli ha delle sue immense facoltà, il cui germe è stato
depositato in lui, dapprima allo stato latente e che poi egli dovrà far
germogliare e crescere con la sua volontà attiva.
Finora la fede è stata intesa solo dal punto di vista religioso, perché Cristo l'ha preannunciata come potente leva spirituale, e si è visto in Lui solo il capo di una religione. Ma Cristo, che ha compiuto dei miracoli materiali, ha dimostrato, con questi stessi miracoli, ciò che l'uomo può quando ha fede, ossia la volontà di volere, e la certezza che questa volontà può da se stessa realizzarsi. Gli apostoli, sul Suo esempio, non hanno forse compiuto dei miracoli? Ora, che cosa erano questi miracoli se non effetti naturali, la cui causa era sconosciuta agli uomini di allora, ma che in gran parte oggi si spiega e completamente si comprenderà con lo studio dello Spiritismo e del magnetismo?
La fede è umana e divina, a seconda che l'uomo applichi le sue facoltà alle necessità terrene o alle sue aspirazioni celesti e future. L'uomo di genio che persegue la realizzazione di qualche grande
impresa ha successo se ha fede, perché avverte in se stesso che può e deve riuscirci, e questa certezza gli dà una forza immensa. L'uomo dabbene, che crede nel suo futuro celeste e vuole riempire la sua vita di azioni nobili e belle, attinge la forza necessaria dalla sua fede, dalla certezza della felicità che lo attende, e anche in questo caso si compiono miracoli di carità, di dedizione e di abnegazione. Infine, con la fede, non ci sono più cattive tendenze che non si riescano a vincere.
Il magnetismo è una delle più grandi prove della potenza della fede messa in atto. È con la fede che il magnetismo guarisce e genera quegli strani fenomeni che un tempo erano considerati dei miracoli.
Lo ripeto, la fede è umana e divina. Se tutti gli incarnati fossero ben persuasi della forza che hanno in se stessi e se volessero mettere la loro volontà al servizio di questa forza, sarebbero capaci di compiere ciò che finora è stato chiamato prodigio e che altro non è, invece, che lo sviluppo di facoltà umane.
Finora la fede è stata intesa solo dal punto di vista religioso, perché Cristo l'ha preannunciata come potente leva spirituale, e si è visto in Lui solo il capo di una religione. Ma Cristo, che ha compiuto dei miracoli materiali, ha dimostrato, con questi stessi miracoli, ciò che l'uomo può quando ha fede, ossia la volontà di volere, e la certezza che questa volontà può da se stessa realizzarsi. Gli apostoli, sul Suo esempio, non hanno forse compiuto dei miracoli? Ora, che cosa erano questi miracoli se non effetti naturali, la cui causa era sconosciuta agli uomini di allora, ma che in gran parte oggi si spiega e completamente si comprenderà con lo studio dello Spiritismo e del magnetismo?
La fede è umana e divina, a seconda che l'uomo applichi le sue facoltà alle necessità terrene o alle sue aspirazioni celesti e future. L'uomo di genio che persegue la realizzazione di qualche grande
impresa ha successo se ha fede, perché avverte in se stesso che può e deve riuscirci, e questa certezza gli dà una forza immensa. L'uomo dabbene, che crede nel suo futuro celeste e vuole riempire la sua vita di azioni nobili e belle, attinge la forza necessaria dalla sua fede, dalla certezza della felicità che lo attende, e anche in questo caso si compiono miracoli di carità, di dedizione e di abnegazione. Infine, con la fede, non ci sono più cattive tendenze che non si riescano a vincere.
Il magnetismo è una delle più grandi prove della potenza della fede messa in atto. È con la fede che il magnetismo guarisce e genera quegli strani fenomeni che un tempo erano considerati dei miracoli.
Lo ripeto, la fede è umana e divina. Se tutti gli incarnati fossero ben persuasi della forza che hanno in se stessi e se volessero mettere la loro volontà al servizio di questa forza, sarebbero capaci di compiere ciò che finora è stato chiamato prodigio e che altro non è, invece, che lo sviluppo di facoltà umane.
(Uno Spirito protettore, Parigi, 1863)
Capitolo XX - GLI OPERAI DELL'ULTIMA ORA
1.
'il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale, sul far del
giorno, uscì a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua
vigna. Si accordò con i lavoratori per un denaro al giorno e li mandò
nella sua vigna. Uscì di nuovo verso l'ora terza, ne vide altri che se
ne stavano sulla piazza disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi
nella vigna e vi darò quello che sarà giusto". Ed essi andarono. Poi,
uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. Uscito verso
l'undicesima, ne trovò degli altri in piazza e disse loro: "Perché ve
ne state qui tutto il giorno inoperosi?" Essi gli dissero: "Perché
nessuno ci ha presi a giornata". Egli disse loro: "Andate anche voi
nella vigna". Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore:
"Chiama i lavoratori e dà loro la paga, cominciando dagli ultimi fino
ai primi". Allora vennero quelli dell'undicesima ora e ricevettero un
denaro ciascuno. Venuti i primi, pensavano di ricevere di più; ma ebbero
anch'essi un denaro per ciascuno. Perciò, nel riceverlo, mormoravano
contro il padrone di casa dicendo: "Questi ultimi hanno fatto un'ora
sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della
giornata e sofferto il caldo". Ma egli, rispondendo a uno di loro,
disse: "Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me
per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest'ultimo
quanto a te. Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di
mal occhio che io sia buono?" Così gli ultimi saranno primi e i primi
ultimi» (Matteo 20:1-16. Vedere anche, in questa opera, cap. XVIII, n. 1: "Parabola del banchetto di nozze").
Istruzioni Degli Spiriti
Gli ultimi saranno i primi
2. L'operaio
dell'ultima ora ha diritto al salario, ma bisogna che con buona volontà
si sia tenuto a disposizione del padrone che doveva ingaggiarlo, e che
questo ritardo, quindi, non sia frutto della sua pigrizia o della sua
cattiva volontà. Ha diritto al salario perché fin dall'alba attendeva
impazientemente colui che alla fine lo avrebbe chiamato all'opera: egli
era laborioso, solo che gli mancava il lavoro.
Ma se avesse rifiutato il lavoro a qualsiasi ora del giorno, se avesse detto: «Prendiamo tempo, il riposo mi si confà, quando suonerà l'ultima ora, sarà giunto allora il tempo per pensare al salario della giornata. Che m'importa di questo padrone che non conosco e che non amo? Più tardi è, meglio è». Costui, amici miei, non riceverebbe il salario del lavoratore, ma quello della pigrizia.
Che dire, poi, di quello che, invece di aspettare semplicemente, avesse impiegato le ore destinate al lavoro a commettere atti riprovevoli, che avesse bestemmiato Dio, sparso il sangue dei suoi fratelli, gettato discordia nelle famiglie, rovinato uomini fiduciosi, abusato dell'innocente e che si fosse infine immerso in tutte le ignominie dell'umanità? Che ne sarà dunque di costui? Gli basterà dire all'ultima ora: “Signore, ho impiegato male il mio tempo; prendetemi fino alla fine della giornata, affinché io faccia un poco, molto poco, del mio compito, e datemi il salario dell'operaio di buona volontà»? No, no. Il padrone gli dirà: «Non ho lavoro per te, al momento, perché hai sprecato il tuo tempo. Hai dimenticato ciò che avevi appreso, tu non sai più lavorare nella mia vigna. Ricomincia dunque a imparare di nuovo e quando sarai meglio disposto, verrai da me, e io ti aprirò il mio vasto campo, e tu potrai lavorarvi in qualsiasi ora del giorno».
Buoni Spiritisti, miei benamati, voi tutti siete operai dell'ultima ora. Peccherebbe d'orgoglio chi dicesse: «Ho incominciato l'opera all'alba e la terminerò solo al tramonto». Tutti voi siete venuti quando siete stati chiamati, chi prima, chi dopo, per la reincarnazione di cui portate la catena. Ma da quanti secoli il Signore vi ha chiamati alla Sua vigna senza che voi siate voluti entrarvi! Ecco arrivato il momento di ricevere il salario. Impiegate bene l'ora che vi resta e non dimenticate mai che la vostra esistenza, per lunga che possa sembrare, è un momento assolutamente effimero nell'immensità dei tempi che formano per voi l'eternità.
Ma se avesse rifiutato il lavoro a qualsiasi ora del giorno, se avesse detto: «Prendiamo tempo, il riposo mi si confà, quando suonerà l'ultima ora, sarà giunto allora il tempo per pensare al salario della giornata. Che m'importa di questo padrone che non conosco e che non amo? Più tardi è, meglio è». Costui, amici miei, non riceverebbe il salario del lavoratore, ma quello della pigrizia.
Che dire, poi, di quello che, invece di aspettare semplicemente, avesse impiegato le ore destinate al lavoro a commettere atti riprovevoli, che avesse bestemmiato Dio, sparso il sangue dei suoi fratelli, gettato discordia nelle famiglie, rovinato uomini fiduciosi, abusato dell'innocente e che si fosse infine immerso in tutte le ignominie dell'umanità? Che ne sarà dunque di costui? Gli basterà dire all'ultima ora: “Signore, ho impiegato male il mio tempo; prendetemi fino alla fine della giornata, affinché io faccia un poco, molto poco, del mio compito, e datemi il salario dell'operaio di buona volontà»? No, no. Il padrone gli dirà: «Non ho lavoro per te, al momento, perché hai sprecato il tuo tempo. Hai dimenticato ciò che avevi appreso, tu non sai più lavorare nella mia vigna. Ricomincia dunque a imparare di nuovo e quando sarai meglio disposto, verrai da me, e io ti aprirò il mio vasto campo, e tu potrai lavorarvi in qualsiasi ora del giorno».
Buoni Spiritisti, miei benamati, voi tutti siete operai dell'ultima ora. Peccherebbe d'orgoglio chi dicesse: «Ho incominciato l'opera all'alba e la terminerò solo al tramonto». Tutti voi siete venuti quando siete stati chiamati, chi prima, chi dopo, per la reincarnazione di cui portate la catena. Ma da quanti secoli il Signore vi ha chiamati alla Sua vigna senza che voi siate voluti entrarvi! Ecco arrivato il momento di ricevere il salario. Impiegate bene l'ora che vi resta e non dimenticate mai che la vostra esistenza, per lunga che possa sembrare, è un momento assolutamente effimero nell'immensità dei tempi che formano per voi l'eternità.
(Constantin, Spirito Protettore, Bordeaux, 1863)
3.
Gesù prediligeva la semplicità dei simboli. Nel Suo incisivo
linguaggio, gli operai giunti alla prima ora sono i profeti, Mosè e
tutti i precursori che hanno segnato le diverse tappe del progresso,
proseguite, nel corso dei secoli, dagli apostoli, dai martiri, dai Padri
della Chiesa, dai sapienti, dai filosofi e infine dagli Spiritisti.
Questi, giunti per ultimi, sono stati annunciati e predetti fin dalla
venuta del Messia e riceveranno la stessa ricompensa. Che dico? Una
ricompensa ancora più alta. Essendo giunti per ultimi, gli Spiritisti
fruiscono del lavoro intellettuale dei loro predecessori, perché l'uomo
deve ereditare dall'uomo e perché i loro lavori, con i relativi
risultati, sono collettivi: Dio benedice la solidarietà. Molti fra di
loro, appartenenti alle epoche passate, rivivono oggi, o rivivranno
domani, per completare l'opera iniziata allora. Più di un patriarca, più
di un profeta, più di un discepolo di Cristo, più di un propagatore
della fede cristiana si trova fra loro. Ma, più illuminati e più
avanzati, lavorano non più alla base, ma al coronamento dell'edificio:
il loro salario dunque sarà proporzionato al merito dell'opera.
La reincarnazione, questo bel dogma, immortala e determina la filiazione spirituale. Lo Spirito, chiamato a rendere conto del suo mandato terreno, comprende la continuità del compito interrotto, ma sempre ripreso. Vede e sente che ha colto al volo il pensiero dei suoi precursori, così rientra in lizza, maturato dall'esperienza, per progredire ancora. E tutti, operai della prima e dell'ultima ora, gli occhi ben aperti sulla profonda giustizia di Dio, non si lamentano più ma si mettono ad adorarLo.
Questo è uno dei veri sensi di questa parabola che, come tutte quelle che Gesù ha indirizzato alla folla, racchiude il germe del futuro e anche, sotto tutte le forme e le immagini, la rivelazione di questa magnifica unità — che armonizza tra di loro tutti gli elementi dell'universo —, di questa solidarietà, che unisce tutti gli esseri presenti a quelli passati e futuri.
La reincarnazione, questo bel dogma, immortala e determina la filiazione spirituale. Lo Spirito, chiamato a rendere conto del suo mandato terreno, comprende la continuità del compito interrotto, ma sempre ripreso. Vede e sente che ha colto al volo il pensiero dei suoi precursori, così rientra in lizza, maturato dall'esperienza, per progredire ancora. E tutti, operai della prima e dell'ultima ora, gli occhi ben aperti sulla profonda giustizia di Dio, non si lamentano più ma si mettono ad adorarLo.
Questo è uno dei veri sensi di questa parabola che, come tutte quelle che Gesù ha indirizzato alla folla, racchiude il germe del futuro e anche, sotto tutte le forme e le immagini, la rivelazione di questa magnifica unità — che armonizza tra di loro tutti gli elementi dell'universo —, di questa solidarietà, che unisce tutti gli esseri presenti a quelli passati e futuri.
(Henri Heine, Parigi, 1863)
Missione degli Spiritisti
4. Non
sentite forse già agitarsi la tempesta che deve investire il vecchio
mondo e inghiottire nel nulla la somma delle iniquità terrene? Ah!
Benedite il Signore voi che avete messo la vostra fede nella Sua sovrana
giustizia, voi che, nuovi apostoli del credo rivelato dalle voci
profetiche superiori, andate predicando il nuovo dogma della reincarnazione e
della elevazione degli Spiriti, a seconda che abbiano bene o male
compiuto la loro missione e sopportato le loro prove terrene.
Non vacillate! Le lingue di fuoco sono sopra le vostre teste. O veri adepti dello Spiritismo, voi siete gli eletti del Signore! Andate e predicate la parola divina. Giunta è l'ora in cui voi dovete sacrificare alla sua diffusione le vostre abitudini, i vostri impegni, le vostre vane occupazioni. Andate e predicate: gli Spiriti, dall'alto, sono con voi. Certamente voi parlerete a gente che non vorrà assolutamente ascoltare la voce del Signore, perché questa voce li richiama incessantemente all'abnegazione. Voi predicherete il disinteresse agli avari, l'astinenza ai viziosi, la mitezza sia ai tiranni domestici sia ai despoti: parole perdute, lo so. Ma che importa? Dovete bagnare con il vostro sudore il terreno che dovrete seminare, perché esso darà frutti e produrrà solo con gli sforzi continui della vanga e dell'aratro evangelici. Andate e predicate!
Sì, voi tutti, uomini di buona fede, che avete coscienza della vostra pochezza vedendo i mondi nello spazio infinito, partite in crociata contro l'ingiustizia e la malvagità. Andate e rovesciate il culto del vitello d'oro, ogni giorno sempre più invadente. Andate, Dio è alla vostra guida. Uomini semplici e ignoranti, le vostre lingue diventeranno sciolte e potrete parlare come nessun oratore ha mai parlato. Andate e predicate, e le folle attente raccoglieranno con gioia le vostre parole di consolazione, fraternità, speranza e pace.
Nulla importano le insidie che verranno gettate sul vostro cammino! I lupi soltanto verranno presi nella tagliola, perché il pastore saprà difendere le sue pecore dai macellai sacrificatori.
Andate, uomini grandi davanti a Dio, che, più felici di San Tommaso, credete senza chiedere di verificare e accettate i fatti della medianità proprio quando voi stessi non siete riusciti a ottenerla. Andate, lo Spirito di Dio vi guida.
Vai dunque avanti, legione imponente per la tua fede! E i grandi eserciti dei miscredenti svaniranno di fronte a te come le nebbie del mattino ai primi raggi del sole.
La fede è la virtù che sposta le montagne, ve l'ha detto Gesù, ma più pesanti delle più pesanti montagne, giacciono nel cuore degli uomini le impurità e tutti i vizi delle impurità. Partite dunque coraggiosamente per spostare questa montagna di ingiustizie, che le generazioni future dovranno conoscere solo come leggenda, così come voi conoscete solo approssimativamente i tempi anteriori alla civiltà pagana.
Sì, gli sconvolgimenti morali e filosofici stanno per esplodere in ogni angolo del globo. Prossima è l'ora in cui la luce divina apparirà sui due mondi.
Andate pertanto a portare la parola divina ai grandi che non l'apprezzeranno, ai saggi che esigeranno prove, ai semplici e agli umili che l'accetteranno, perché soprattutto fra i martiri del lavoro — questo riscatto terreno — troverete entusiasmo e fede. Andate, essi riceveranno con gioia, ringraziando e lodando Dio, la consolazione divina che loro offrirete. E chinando la fronte renderanno grazie per le afflizioni che la Terra ha loro riservato.
Si armi la vostra falange di determinazione e coraggio! All'opera! L'aratro è pronto e il terreno predisposto: arate!
Andate e ringraziate Dio per il glorioso compito che vi ha affidato. Ma attenzione: fra i chiamati allo Spiritismo, molti si perderanno per strada! State attenti, dunque, durante il vostro cammino, e cercate la verità.
Domanderete: «Se fra i chiamati allo Spiritismo, molti si perdono per strada, come riconoscere quelli che si trovano nel giusto cammino?» Risponderemo: «Potete riconoscerli dall'insegnamento e dalla messa in pratica dei veri principi della carità, dalle consolazioni che elargiscono agli afflitti, dall'amore che donano al prossimo, dalle loro rinunce, dalla dedizione verso gli altri. Potete riconoscerli, infine, dalla vittoria dei loro principi, perché Dio vuole che la Sua legge trionfi. Quelli che la seguono sono gli eletti che vinceranno. Quelli, invece, che falsano lo spirito di questa legge, per soddisfare la loro vanità e la loro ambizione, verranno sbaragliati».
Non vacillate! Le lingue di fuoco sono sopra le vostre teste. O veri adepti dello Spiritismo, voi siete gli eletti del Signore! Andate e predicate la parola divina. Giunta è l'ora in cui voi dovete sacrificare alla sua diffusione le vostre abitudini, i vostri impegni, le vostre vane occupazioni. Andate e predicate: gli Spiriti, dall'alto, sono con voi. Certamente voi parlerete a gente che non vorrà assolutamente ascoltare la voce del Signore, perché questa voce li richiama incessantemente all'abnegazione. Voi predicherete il disinteresse agli avari, l'astinenza ai viziosi, la mitezza sia ai tiranni domestici sia ai despoti: parole perdute, lo so. Ma che importa? Dovete bagnare con il vostro sudore il terreno che dovrete seminare, perché esso darà frutti e produrrà solo con gli sforzi continui della vanga e dell'aratro evangelici. Andate e predicate!
Sì, voi tutti, uomini di buona fede, che avete coscienza della vostra pochezza vedendo i mondi nello spazio infinito, partite in crociata contro l'ingiustizia e la malvagità. Andate e rovesciate il culto del vitello d'oro, ogni giorno sempre più invadente. Andate, Dio è alla vostra guida. Uomini semplici e ignoranti, le vostre lingue diventeranno sciolte e potrete parlare come nessun oratore ha mai parlato. Andate e predicate, e le folle attente raccoglieranno con gioia le vostre parole di consolazione, fraternità, speranza e pace.
Nulla importano le insidie che verranno gettate sul vostro cammino! I lupi soltanto verranno presi nella tagliola, perché il pastore saprà difendere le sue pecore dai macellai sacrificatori.
Andate, uomini grandi davanti a Dio, che, più felici di San Tommaso, credete senza chiedere di verificare e accettate i fatti della medianità proprio quando voi stessi non siete riusciti a ottenerla. Andate, lo Spirito di Dio vi guida.
Vai dunque avanti, legione imponente per la tua fede! E i grandi eserciti dei miscredenti svaniranno di fronte a te come le nebbie del mattino ai primi raggi del sole.
La fede è la virtù che sposta le montagne, ve l'ha detto Gesù, ma più pesanti delle più pesanti montagne, giacciono nel cuore degli uomini le impurità e tutti i vizi delle impurità. Partite dunque coraggiosamente per spostare questa montagna di ingiustizie, che le generazioni future dovranno conoscere solo come leggenda, così come voi conoscete solo approssimativamente i tempi anteriori alla civiltà pagana.
Sì, gli sconvolgimenti morali e filosofici stanno per esplodere in ogni angolo del globo. Prossima è l'ora in cui la luce divina apparirà sui due mondi.
Andate pertanto a portare la parola divina ai grandi che non l'apprezzeranno, ai saggi che esigeranno prove, ai semplici e agli umili che l'accetteranno, perché soprattutto fra i martiri del lavoro — questo riscatto terreno — troverete entusiasmo e fede. Andate, essi riceveranno con gioia, ringraziando e lodando Dio, la consolazione divina che loro offrirete. E chinando la fronte renderanno grazie per le afflizioni che la Terra ha loro riservato.
Si armi la vostra falange di determinazione e coraggio! All'opera! L'aratro è pronto e il terreno predisposto: arate!
Andate e ringraziate Dio per il glorioso compito che vi ha affidato. Ma attenzione: fra i chiamati allo Spiritismo, molti si perderanno per strada! State attenti, dunque, durante il vostro cammino, e cercate la verità.
Domanderete: «Se fra i chiamati allo Spiritismo, molti si perdono per strada, come riconoscere quelli che si trovano nel giusto cammino?» Risponderemo: «Potete riconoscerli dall'insegnamento e dalla messa in pratica dei veri principi della carità, dalle consolazioni che elargiscono agli afflitti, dall'amore che donano al prossimo, dalle loro rinunce, dalla dedizione verso gli altri. Potete riconoscerli, infine, dalla vittoria dei loro principi, perché Dio vuole che la Sua legge trionfi. Quelli che la seguono sono gli eletti che vinceranno. Quelli, invece, che falsano lo spirito di questa legge, per soddisfare la loro vanità e la loro ambizione, verranno sbaragliati».
(Éraste, angelo custode del medium, Parigi, 1863)
Gli operai del Signore
5. Voi
state entrando nell'era in cui si compiranno le profezie riferentesi
alla trasformazione dell'umanità. Felici saranno coloro che avranno
lavorato nel campo del Signore con disinteresse e mossi solo dalla
carità! Le loro giornate di lavoro saranno pagate cento volte di più di
quanto avranno sperato. Felici saranno coloro che avranno detto ai loro
fratelli: «Fratelli, lavoriamo insieme e uniamo i nostri sforzi affinché
il padrone trovi il lavoro finito al suo ritorno». E allora il padrone
dirà loro: «Venite a me, voi che siete dei buoni servitori, voi che
avete fatto tacere le vostre gelosie e le vostre discordie per non
pregiudicare l'operato!» Ma infelici coloro che, a causa dei loro
dissensi, avranno ritardato l'ora della raccolta, poiché la tempesta
verrà e saranno investiti dai turbini! Grideranno: «Grazia! Grazia!» Ma
il Signore dirà loro: «Perché domandate grazia, voi che non avete avuto
pietà dei vostri fratelli e che avete rifiutato di tender loro la mano,
voi che avete oppresso il debole anziché sostenerlo? Perché domandate
grazia, voi che avete cercato la vostra ricompensa nelle gioie terrene e
nelle soddisfazioni del vostro orgoglio? Voi l'avete già ricevuta la
vostra ricompensa, proprio come l'avete voluta. Non domandate altro. Le
ricompense celesti sono per quelli che non avranno domandato le
ricompense della Terra».
Dio fa in questo momento il computo dei Suoi servitori fedeli, indicando quelli che hanno avuto solo l'apparenza della dedizione, affinché non debbano indebitamente appropriarsi del salario dei servitori coraggiosi. Infatti è a quelli che non si tirano indietro di fronte ai loro doveri che Egli affiderà gli incarichi più difficili, nella grande opera di rigenerazione attraverso lo Spiritismo. Si realizzeranno così queste parole: «I primi saranno gli ultimi, e gli ultimi saranno i primi nel Regno dei Cieli!»
Dio fa in questo momento il computo dei Suoi servitori fedeli, indicando quelli che hanno avuto solo l'apparenza della dedizione, affinché non debbano indebitamente appropriarsi del salario dei servitori coraggiosi. Infatti è a quelli che non si tirano indietro di fronte ai loro doveri che Egli affiderà gli incarichi più difficili, nella grande opera di rigenerazione attraverso lo Spiritismo. Si realizzeranno così queste parole: «I primi saranno gli ultimi, e gli ultimi saranno i primi nel Regno dei Cieli!»
(Lo Spirito della Verità, Parigi, 1862)
Capitolo XXI - CI SARANNO FALSI CRISTI E FALSI PROFETI
Si riconosce l'albero dai suoi frutti
1. Non
c'è infatti albero buono che faccia frutto cattivo, né vi è albero
cattivo che faccia frutto buono; perché ogni albero si riconosce dal
proprio frutto; infatti non si colgono fichi dalle spine, né si
vendemmia uva dai rovi. L'uomo buono dal buono tesoro del suo cuore tira
fiori il bene; e l'uomo malvagio, dal malvagio tesoro tira fuori il
male; perché dall'abbondanza del cuore parla la sua bocca. (Luca 6:43-45)
2. «Guardatevi
dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma
dentro son lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie
forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa
frutti buoni, ma l'albero cattivo fa frutti cattivi. Un albero buono non
può fare frutti cattivi, né un albero cattivo far frutti buoni. Ogni
albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Li
riconoscerete dunque dai loro frutti.» (Matteo 7:15 20)
3. Gesù
rispose loro: «Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno
nel mio nome, dicendo: lo sono il Cristo". E ne sedurranno molli. (...)
Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. Poiché l'iniquità
aumenterà, l'amore dei più si raffredderà. Ma chi avrà perseverato sino
alla fine sarà salvato». (...) «Allora, se qualcuno vi dice: Cristo è
qui", oppure: "È là", non lo credete; perché sorgeranno falsi cristi e
falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse
possibile, anche gli eletti». (Matteo 24:45, 11 13, 23-24; Marco 13:5-6, 21-22)
Missione dei profeti
4. In genere si attribuisce ai profeti il dono di predire il futuro, per cui la parola profezia e predizione sono divenuti sinonimi. Nel senso evangelico, la parola profeta ha
un significato più vasto e si riferisce a tutti gli inviati di Dio con
la missione di istruire gli uomini e di rivelare le cose nascoste e i
misteri della vita spirituale. Un uomo può dunque essere un profeta
senza, per questo, dover fare delle predizioni. Questa l'idea dei Giudei
ai tempi di Gesù, è in ciò va ricercato il motivo per cui, quando fu
portato davanti al grande sacerdote Caifa, gli Scribi e gli Anziani,
riuniti in assemblea, gli sputarono in faccia, lo percossero con pugni e
schiaffi e gli dissero: »Cristo, facci delle profezie e dicci chi ti ha
percosso». Comunque, ci sono stati dei profeti che hanno avuto il dono
della preveggenza, sia per intuizione sia per rivelazione della
Provvidenza, al fine di dare agli uomini degli avvertimenti. Siccome
queste predizioni si avverarono, il dono del predire è stato inteso come
uno degli attributi del profeta.
Prodigi dei falsi profeti
5. «Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti». Queste
parole danno il vero senso della parola "prodigio". Nell'accezione
teologica, i prodigi e i miracoli sono fenomeni eccezionali, fuori dalle
leggi della natura. Le leggi della natura, essendo opera esclusivamente
di Dio, possono senza dubbio essere da Lui modificate, qualora lo
voglia. Ma il semplice buon senso ci dice che Egli non può aver dato a
degli esseri inferiori e perversi un potere uguale al Suo e, ancor meno,
il diritto di disfare ciò che Egli ha fatto. Gesù non può aver
consacrato un tale principio. Se, dunque, secondo il senso che si
attribuisce a queste parole, lo Spirito del male ha il potere di fare
dei prodigi in modo tale da ingannare anche gli eletti, ne deriva che,
potendo essi fare ciò che Dio fa, i prodigi e i miracoli non sono
privilegio esclusivo degli inviati di Dio né provano alcunché, dal
momento che nulla distingue i miracoli dei santi dai miracoli del
demonio. Bisogna perciò dare un significato più logico a queste parole.
Agli occhi del popolo ignorante, qualsiasi fenomeno, la cui causa sia sconosciuta, passa per soprannaturale, meraviglioso e miracoloso. Una volta conosciuta la causa, però, si riconosce che un fenomeno, per straordinario che possa sembrare, altro non è che l'applicazione di una legge della natura. Avviene così che il cerchio dei fatti soprannaturali si restringe man mano che si amplia quello della scienza. In tutti i tempi vi sono stati individui che hanno utilizzato, a vantaggio della loro ambizione, del loro interesse e del loro potere, alcune conoscenze che possedevano, al fine di attribuirsi poteri cosiddetti sovrumani o una pretesa missione divina. Sono costoro falsi cristi e falsi profeti. La diffusione delle scienze li scredita sempre più. È per questo che il loro numero diminuisce man mano che gli uomini si istruiscono. Il fatto di attuare ciò che, agli occhi di certuni, passa per prodigio, non è assolutamente segno di una missione divina, poiché può risultare da una conoscenza che chiunque può acquisire, o da facoltà organiche speciali, che i più indegni così come i più degni possono possedere. Il vero profeta si riconosce da caratteri più seri ed esclusivamente morali.
Agli occhi del popolo ignorante, qualsiasi fenomeno, la cui causa sia sconosciuta, passa per soprannaturale, meraviglioso e miracoloso. Una volta conosciuta la causa, però, si riconosce che un fenomeno, per straordinario che possa sembrare, altro non è che l'applicazione di una legge della natura. Avviene così che il cerchio dei fatti soprannaturali si restringe man mano che si amplia quello della scienza. In tutti i tempi vi sono stati individui che hanno utilizzato, a vantaggio della loro ambizione, del loro interesse e del loro potere, alcune conoscenze che possedevano, al fine di attribuirsi poteri cosiddetti sovrumani o una pretesa missione divina. Sono costoro falsi cristi e falsi profeti. La diffusione delle scienze li scredita sempre più. È per questo che il loro numero diminuisce man mano che gli uomini si istruiscono. Il fatto di attuare ciò che, agli occhi di certuni, passa per prodigio, non è assolutamente segno di una missione divina, poiché può risultare da una conoscenza che chiunque può acquisire, o da facoltà organiche speciali, che i più indegni così come i più degni possono possedere. Il vero profeta si riconosce da caratteri più seri ed esclusivamente morali.
Assolutamente non credete a tutti gli Spiriti
6.
Carissimi, non credete a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere
se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo. (I Giovanni 4:1)
7. I
fenomeni spiritisti, lungi dal dar credito ai falsi cristi e ai falsi
profeti, come qualcuno cerca di sostenere, vengono al contrario a dar
loro l'ultimo colpo. Non domandate allo Spiritismo né miracoli né
prodigi, perché esso dichiara formalmente che non ne genera
assolutamente. Come la Fisica, la Chimica, l'Astronomia, la Geologia
sono venute a rivelare le leggi del mondo materiale, così lo Spiritismo è
venuto a rivelare altre leggi finora sconosciute, quelle che reggono i
rapporti del mondo fisico con il mondo spirituale e che, come quelle
della scienza, sono egualmente leggi naturali. Dando la spiegazione di
un certo ordine di fenomeni finora incompresi, esso distrugge ciò che
ancora restava nel campo del fantastico. Dunque chi fosse tentato di
esplorare questi fenomeni a proprio vantaggio, facendosi passare per un
messia di Dio, non potrebbe abusare a lungo della credulità altrui e
verrebbe ben presto smascherato. D'altra parte, come è stato detto,
questi fenomeni, in sé e per sé, non provano niente: la missione si
dimostra con effetti morali che non è dato produrre al primo venuto. È
questo uno dei risultati dello sviluppo della scienza spiritista, la
quale, indagando sulle cause di certi fenomeni, solleva il velo su un
alto numero di misteri. Quanti preferiscono il buio alla luce sono i
soli ad avere interesse a combatterla, ma la verità è come il sole: essa
dissipa le nebbie più fitte.
Lo Spiritismo viene per svelare un'altra categoria, ben più dannosa, di falsi cristi e di falsi profeti, che si trovano non fra gli uomini, bensì fra i disincarnati. È quella degli Spiriti ingannatori, ipocriti, orgogliosi e falsi sapienti che, dalla Terra, sono passati nel mondo erratico e si nascondono sotto venerabili nomi per cercare, grazie alla maschera con cui si coprono, di rendere credibili le loro idee, spesso fra le più assurde e bizzarre. Prima che i rapporti medianici fossero conosciuti, essi esercitavano la loro azione in modo meno evidente, attraverso l'ispirazione, la medianità incosciente, uditiva o parlante. Considerevole è il numero di coloro che, in epoche diverse, ma in questi ultimi tempi soprattutto, hanno dato a intendere d'essere degli antichi profeti, Cristo, Maria madre di Cristo e persino Dio stesso. San Giovanni ci avverte del pericolo costituito da costoro, quando dice: «Carissimi, non credete a ogni Spirito, ma provate gli Spiriti per sapere se sono da Dio, perché molti falsi profeti sono sorti dal mondo». Lo Spiritismo ci dà i mezzi per individuarli, indicandoci le caratteristiche per mezzo delle quali si riconoscono i buoni Spiriti, caratteristiche sempre morali e mai materiali.[1] È soprattutto alla distinzione fra buoni e cattivi Spiriti che si possono riferire queste parole di Gesù: «Ogni albero si riconosce dal proprio frutto: un albero buono non può fare frutti cattivi né un albero cattivo far frutti buoni». Si giudicano gli Spiriti dalla qualità delle loro opere, così come gli alberi dalla qualità dei loro frutti.
Lo Spiritismo viene per svelare un'altra categoria, ben più dannosa, di falsi cristi e di falsi profeti, che si trovano non fra gli uomini, bensì fra i disincarnati. È quella degli Spiriti ingannatori, ipocriti, orgogliosi e falsi sapienti che, dalla Terra, sono passati nel mondo erratico e si nascondono sotto venerabili nomi per cercare, grazie alla maschera con cui si coprono, di rendere credibili le loro idee, spesso fra le più assurde e bizzarre. Prima che i rapporti medianici fossero conosciuti, essi esercitavano la loro azione in modo meno evidente, attraverso l'ispirazione, la medianità incosciente, uditiva o parlante. Considerevole è il numero di coloro che, in epoche diverse, ma in questi ultimi tempi soprattutto, hanno dato a intendere d'essere degli antichi profeti, Cristo, Maria madre di Cristo e persino Dio stesso. San Giovanni ci avverte del pericolo costituito da costoro, quando dice: «Carissimi, non credete a ogni Spirito, ma provate gli Spiriti per sapere se sono da Dio, perché molti falsi profeti sono sorti dal mondo». Lo Spiritismo ci dà i mezzi per individuarli, indicandoci le caratteristiche per mezzo delle quali si riconoscono i buoni Spiriti, caratteristiche sempre morali e mai materiali.[1] È soprattutto alla distinzione fra buoni e cattivi Spiriti che si possono riferire queste parole di Gesù: «Ogni albero si riconosce dal proprio frutto: un albero buono non può fare frutti cattivi né un albero cattivo far frutti buoni». Si giudicano gli Spiriti dalla qualità delle loro opere, così come gli alberi dalla qualità dei loro frutti.
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[1] Vedere, per la distinzione degli spiriti, Il libro dei Medium, cap. XXIV e seg.
Istruzioni Degli Spiriti
I falsi profeti
8. Se
vi dicono: «Cristo è qui», non andateci ma, al contrario, state in
guardia, perché i falsi profeti saranno numerosi. Ma non vedete che le
foglie del fico cominciano ad appassire? Non vedete che i loro numerosi
germogli attendono la stagione della fioritura? E Cristo non vi ha forse
detto: «Ogni albero si riconosce dal proprio frutto?» Se dunque i
frutti sono amari, voi ne dedurrete che l'albero è cattivo; ma se sono
dolci e salutari, voi direte: «Niente di così puro potrebbe uscire da un
ceppo cattivo».
È così, fratelli miei, che dovete giudicare: sono le opere che dovete esaminare. Se quelli che si dicono investiti di potere divino sono accompagnati da tutti i segni di una simile missione, ossia possiedono al grado più elevato le virtù cristiane ed eterne — la carità, l'amore, l'indulgenza, la bontà che concilia tutti i cuori — se alle parole fanno seguire i fatti, allora voi potrete dire: «Costoro sono veramente gli inviati del Signore»».
Ma diffidate delle parole suadenti, diffidate degli Scribi e dei Farisei che in pubblico predicano con lunghe vesti. Diffidate di coloro che pretendono di avere il solo monopolio dell'unica verità!
No, no, assolutamente Cristo non è là! Coloro ch'Egli invia a predicare la Sua santa dottrina e a rigenerare il Suo popolo saranno, sull'esempio del Maestro, soprattutto gentili e umili di cuore. Coloro che devono, con il loro esempio e i loro consigli, salvare l'umanità che precipita verso la perdizione, vagando in cammini tortuosi, costoro saranno soprattutto modesti e umili. Tutti quelli che rivelano un sia pur minimo orgoglio, fuggiteli come lebbra che infetta tutto ciò con cui viene a contatto. Ricordatevi che ogni creatura porta sulla sua fronte, ma soprattutto nei suoi atti, il sigillo della sua grandezza o della sua decadenza.
Andate dunque, miei benamati figli, camminate senza tentennamenti, senza scopi reconditi, nel cammino benedetto che avete intrapreso. Procedete, procedete, sempre senza timore, allontanate coraggiosamente tutto ciò che potrebbe intralciare la vostra marcia verso la meta eterna. Viaggiatori, voi starete ancora per ben poco tempo nelle tenebre e nelle afflizioni delle prove, se i vostri cuori si lasceranno guidare da questa dolce dottrina, che viene a rivelarvi le leggi eterne e a soddisfare tutte le aspirazioni della vostra anima riguardo all'ignoto. Già da adesso voi potrete dare corpo a queste immagini leggere che vedete passare nei vostri sogni e che, fugaci, non potevano che affascinare il vostro spirito, senza però dire niente al vostro cuore. Ora, miei amati, la morte è scomparsa per cedere il posto all'angelo radioso che voi conoscete, l'angelo del rincontro e del ricongiungimento! Ora, voi, che avete ben realizzato il compito assegnatovi dal Creatore, di nulla più potete aver paura, perché Egli è padre e perdona sempre ai Suoi figli smarriti, che invocano misericordia. Proseguite dunque, avanzate incessantemente! Che la vostra bandiera sia quella del progresso, del progresso continuo in tutte le cose, finché infine arriverete alla meta felice, dove vi attendono tutti quelli che vi hanno preceduti.
(Louis, Bordeaux, 1861)È così, fratelli miei, che dovete giudicare: sono le opere che dovete esaminare. Se quelli che si dicono investiti di potere divino sono accompagnati da tutti i segni di una simile missione, ossia possiedono al grado più elevato le virtù cristiane ed eterne — la carità, l'amore, l'indulgenza, la bontà che concilia tutti i cuori — se alle parole fanno seguire i fatti, allora voi potrete dire: «Costoro sono veramente gli inviati del Signore»».
Ma diffidate delle parole suadenti, diffidate degli Scribi e dei Farisei che in pubblico predicano con lunghe vesti. Diffidate di coloro che pretendono di avere il solo monopolio dell'unica verità!
No, no, assolutamente Cristo non è là! Coloro ch'Egli invia a predicare la Sua santa dottrina e a rigenerare il Suo popolo saranno, sull'esempio del Maestro, soprattutto gentili e umili di cuore. Coloro che devono, con il loro esempio e i loro consigli, salvare l'umanità che precipita verso la perdizione, vagando in cammini tortuosi, costoro saranno soprattutto modesti e umili. Tutti quelli che rivelano un sia pur minimo orgoglio, fuggiteli come lebbra che infetta tutto ciò con cui viene a contatto. Ricordatevi che ogni creatura porta sulla sua fronte, ma soprattutto nei suoi atti, il sigillo della sua grandezza o della sua decadenza.
Andate dunque, miei benamati figli, camminate senza tentennamenti, senza scopi reconditi, nel cammino benedetto che avete intrapreso. Procedete, procedete, sempre senza timore, allontanate coraggiosamente tutto ciò che potrebbe intralciare la vostra marcia verso la meta eterna. Viaggiatori, voi starete ancora per ben poco tempo nelle tenebre e nelle afflizioni delle prove, se i vostri cuori si lasceranno guidare da questa dolce dottrina, che viene a rivelarvi le leggi eterne e a soddisfare tutte le aspirazioni della vostra anima riguardo all'ignoto. Già da adesso voi potrete dare corpo a queste immagini leggere che vedete passare nei vostri sogni e che, fugaci, non potevano che affascinare il vostro spirito, senza però dire niente al vostro cuore. Ora, miei amati, la morte è scomparsa per cedere il posto all'angelo radioso che voi conoscete, l'angelo del rincontro e del ricongiungimento! Ora, voi, che avete ben realizzato il compito assegnatovi dal Creatore, di nulla più potete aver paura, perché Egli è padre e perdona sempre ai Suoi figli smarriti, che invocano misericordia. Proseguite dunque, avanzate incessantemente! Che la vostra bandiera sia quella del progresso, del progresso continuo in tutte le cose, finché infine arriverete alla meta felice, dove vi attendono tutti quelli che vi hanno preceduti.
Caratteri del vero profeta
9. Guardatevi dai falsi profeti. Questa
raccomandazione è utile in tutti i tempi, ma soprattutto nei momenti di
transizione in cui, come in questo, si elabora una trasformazione
dell'umanità. In momenti come questi, infatti, stuoli di ambiziosi e
impostori si proclamano riformatori e messia. È di fronte a questi
impostori che bisogna stare in guardia ed è dovere di tutti gli uomini
onesti smascherarli. Senza dubbio voi vi domanderete come si può
riconoscerli. Ed eccovi i loro connotati.
Il comando di un'armata si affida solo a un generale che sia abile e in grado di guidarla. Credete dunque che Dio sia meno prudente degli uomini? State pur certi ch'Egli affida le missioni importanti solo a quelli che ritiene capaci di compierle, perché le grandi missioni sono fardelli pesanti che piegherebbero uomini che fossero troppo deboli. Come in tutte le cose il maestro deve saperne di più dell'allievo. Per far avanzare l'umanità moralmente e intellettualmente, ci vogliono degli uomini superiori per intelligenza e moralità! È per questo che ci sono sempre degli Spiriti già molto avanzati, che hanno fatto le loro prove in altre esistenze e che si incarnano con questo scopo. Infatti se, nell'ambiente nel quale devono agire, non risultano superiori, la loro azione sarà nulla.
Ciò posto, converrete che il vero missionario di Dio deve giustificare la sua missione con la sua superiorità, le sue virtù e con il risultato e l'influenza moralizzatrice delle sue opere. Traete ancora quest'altra conseguenza: se, per carattere, virtù e intelligenza, egli è al di sotto del ruolo che si attribuisce, o del personaggio sotto cui si cela, è solo un istrione di basso rango che non sa neppure copiare il suo modello.
Ma c'è un'altra considerazione da fare ed è questa: la maggioranza dei veri missionari di Dio non sa di esserlo. Essi compiono ciò a cui sono chiamati dalla forza del loro genio, sostenuti dalla potenza occulta che li ispira e li guida a loro insaputa, ma senza un disegno prestabilito. In una parola, il vero profeta si rivela con i suoi atti cosicché sono gli altri a scoprirlo; mentre il falso profeta si propone lui stesso come inviato di Dio. Il primo è umile e modesto, il secondo orgoglioso e pieno di sé. Parla con supponenza e, come tutti i bugiardi, sembra sempre temere di non essere creduto.
Quanti di questi impostori abbiamo visto! Alcuni si facevano passare per apostoli di Cristo, altri per Cristo stesso e, vergogna dell'umanità, hanno trovato persone tanto credulone da dar credito a simili infamie. Comunque, una considerazione molto semplice dovrebbe aprire gli occhi ai più ciechi: se Cristo si reincarnasse sulla Terra, verrebbe con tutta la Sua potenza e tutte le Sue virtù; a meno che non si voglia ammettere, il che sarebbe assurdo, che è degenerato. Ora, se voi toglieste a Dio anche uno solo dei Suoi attributi, non avreste più Dio. Se voi toglieste una sola delle virtù di Cristo, voi non avreste più Cristo. Quelli che si fanno passare per Cristo hanno forse tutte le Sue virtù? Qui sta il problema. Guardate, indagate nei loro pensieri e valutate i loro atti, e riconoscerete che essi mancano soprattutto delle qualità distintive del Cristo, l'umiltà e la carità, mentre hanno ciò che Egli non aveva, la cupidigia e l'orgoglio. Notate, d'altra parte, che ci sono in questo momento, e in differenti paesi, molti che asseriscono di essere Cristo, come ci sono molti che asseriscono di essere Elia, san Giovanni o san Pietro e che ovviamente non possono essere tutti veritieri. Tenete per certo che ci sono persone che vanno in cerca dei creduloni e trovano vantaggioso vivere a spese di quelli che li ascoltano.
Diffidate dunque dei falsi profeti, soprattutto in tempi di rinnovamento, perché molti impostori si diranno inviati da Dio. Essi soddisfano la loro vanità sulla Terra, ma una terribile giustizia li attende. Potete esserne certi.
(Éraste, Parigi, 1862)Il comando di un'armata si affida solo a un generale che sia abile e in grado di guidarla. Credete dunque che Dio sia meno prudente degli uomini? State pur certi ch'Egli affida le missioni importanti solo a quelli che ritiene capaci di compierle, perché le grandi missioni sono fardelli pesanti che piegherebbero uomini che fossero troppo deboli. Come in tutte le cose il maestro deve saperne di più dell'allievo. Per far avanzare l'umanità moralmente e intellettualmente, ci vogliono degli uomini superiori per intelligenza e moralità! È per questo che ci sono sempre degli Spiriti già molto avanzati, che hanno fatto le loro prove in altre esistenze e che si incarnano con questo scopo. Infatti se, nell'ambiente nel quale devono agire, non risultano superiori, la loro azione sarà nulla.
Ciò posto, converrete che il vero missionario di Dio deve giustificare la sua missione con la sua superiorità, le sue virtù e con il risultato e l'influenza moralizzatrice delle sue opere. Traete ancora quest'altra conseguenza: se, per carattere, virtù e intelligenza, egli è al di sotto del ruolo che si attribuisce, o del personaggio sotto cui si cela, è solo un istrione di basso rango che non sa neppure copiare il suo modello.
Ma c'è un'altra considerazione da fare ed è questa: la maggioranza dei veri missionari di Dio non sa di esserlo. Essi compiono ciò a cui sono chiamati dalla forza del loro genio, sostenuti dalla potenza occulta che li ispira e li guida a loro insaputa, ma senza un disegno prestabilito. In una parola, il vero profeta si rivela con i suoi atti cosicché sono gli altri a scoprirlo; mentre il falso profeta si propone lui stesso come inviato di Dio. Il primo è umile e modesto, il secondo orgoglioso e pieno di sé. Parla con supponenza e, come tutti i bugiardi, sembra sempre temere di non essere creduto.
Quanti di questi impostori abbiamo visto! Alcuni si facevano passare per apostoli di Cristo, altri per Cristo stesso e, vergogna dell'umanità, hanno trovato persone tanto credulone da dar credito a simili infamie. Comunque, una considerazione molto semplice dovrebbe aprire gli occhi ai più ciechi: se Cristo si reincarnasse sulla Terra, verrebbe con tutta la Sua potenza e tutte le Sue virtù; a meno che non si voglia ammettere, il che sarebbe assurdo, che è degenerato. Ora, se voi toglieste a Dio anche uno solo dei Suoi attributi, non avreste più Dio. Se voi toglieste una sola delle virtù di Cristo, voi non avreste più Cristo. Quelli che si fanno passare per Cristo hanno forse tutte le Sue virtù? Qui sta il problema. Guardate, indagate nei loro pensieri e valutate i loro atti, e riconoscerete che essi mancano soprattutto delle qualità distintive del Cristo, l'umiltà e la carità, mentre hanno ciò che Egli non aveva, la cupidigia e l'orgoglio. Notate, d'altra parte, che ci sono in questo momento, e in differenti paesi, molti che asseriscono di essere Cristo, come ci sono molti che asseriscono di essere Elia, san Giovanni o san Pietro e che ovviamente non possono essere tutti veritieri. Tenete per certo che ci sono persone che vanno in cerca dei creduloni e trovano vantaggioso vivere a spese di quelli che li ascoltano.
Diffidate dunque dei falsi profeti, soprattutto in tempi di rinnovamento, perché molti impostori si diranno inviati da Dio. Essi soddisfano la loro vanità sulla Terra, ma una terribile giustizia li attende. Potete esserne certi.
I falsi profeti dell'erraticità
10.
I falsi profeti non sono solamente fra gli incarnati. Essi si trovano
anche, e in numero ben più grande, fra gli Spiriti, quelli orgogliosi,
che sotto le false sembianze dell'amore e della carità creano conflitti e
ritardano l'opera emancipatrice dell'umanità, ostacolandola con i loro
sistemi assurdi, attraverso i medium di cui si servono. E per illudere
meglio quelli di cui vogliono abusare, per dare più importanza alle loro
teorie, si fanno avanti, e senza scrupolo, con nomi che gli uomini
pronunciano solo con rispetto.
Sono loro che fomentano l'antagonismo nei gruppi, che spingono gli uni a isolarsi dagli altri e a guardarsi con odio. Solo questo basterebbe per smascherarli. Agendo così, infatti, danno da se stessi la più formale smentita riguardo a ciò che pretendono di essere. Ciechi dunque sono gli uomini che si lasciano prendere in una trappola così grossolana.
Ma ci sono ben altri mezzi per riconoscerli. Gli Spiriti, dell'ordine al quale essi dicono di appartenere, devono essere non solamente molto buoni ma anche eminentemente razionali. Ebbene, passate i loro sistemi al vaglio della ragione e del buon senso e vedrete che cosa ne resterà. Converrete allora con me che, tutte le volte che uno Spirito indica, come rimedio ai mali dell'umanità o come mezzo per arrivare alla sua trasformazione, cose utopiche e impraticabili, misure puerili e ridicole oppure quando formula un sistema contraddetto dalle più comuni nozioni della scienza, questo Spirito non può essere che ignorante e bugiardo.
D'altro canto siate certi che, se la verità non sempre è apprezzata come tale dai singoli individui, essa lo è sempre dal buon senso delle masse. E anche questo è un efficace criterio. Se due principi si contraddicono, voi avrete la misura del loro valore intrinseco cercando quello che trova più largo riscontro e approvazione. Sarebbe illogico, in effetti, ammettere che una dottrina, il cui numero di adepti diminuisse, fisse più vera di quella che li vedesse aumentare. Dio, volendo che la verità arrivi a tutti, non la relega in un cerchio ristretto: la fa sorgere in diversi punti, affinché ovunque la luce sia a fianco delle tenebre.
Respingete senza pietà tutti quegli Spiriti che si propongono come consiglieri esclusivi, predicando la divisione e l'isolamento. Sono quasi sempre Spiriti vanitosi e mediocri, che tendono a imporsi agli uomini deboli e creduloni, ai quali ammanniscono elogi esagerati al fine di ammaliarli e tenerli sotto il loro dominio. Sono generalmente Spiriti assetati di potere che, essendo stati despoti pubblici o privati durante la loro vita, vogliono ancora avere delle vittime da tiranneggiare dopo la morte. In generale diffidate delle comunicazioni che si caratterizzano per il misticismo e la stravaganza, o che prescrivono cerimonie e pratiche bizzarre. In questi casi il sospetto è legittimo.
D'altra parte siate pur certi che, quando una verità dev'essere rivelata all'umanità, essa è, per così dire, istantaneamente comunicata a tutti i gruppi seri, che hanno medium seri, e non al tale o talaltro gruppo, escludendone altri. Nessuno può essere un medium perfetto se è ossessionato. E c'è ossessione manifesta quando un medium è adatto a ricevere soltanto le comunicazioni di uno Spirito speciale, per quanto in alto egli pretenda di collocarsi. Di conseguenza, tutti i medium, tutti i gruppi, che si credono privilegiati per delle comunicazioni che solo essi possono ricevere, e che, d'altra parte, sono sottoposti a pratiche che sfiorano la superstizione, sono senza dubbio sotto l'azione di un'ossessione tra le più caratteristiche, soprattutto quando lo Spirito dominatore si gloria attribuendosi un nome che tutti, Spiriti e incarnati, dobbiamo onorare e rispettare non permettendo che venga compromesso a ogni istante.
È incontestabile che, sottoponendo al tiro incrociato della ragione e della logica tutti i dati e tutte le comunicazioni degli Spiriti, sarà facile rigettare ciò che è assurdo ed errato. Un medium può essere affascinato e un gruppo ingannato, ma il controllo severo di altri gruppi, la scienza acquisita e l'alta autorità morale dei capi dei gruppi, le comunicazioni dei principali medium, che ricevono un sigillo di logica e di autenticità dai nostri Spiriti migliori, faranno rapidamente giustizia di questi dettati astuti e menzogneri emanati da una turba di Spiriti ingannatori o malvagi.
Sono loro che fomentano l'antagonismo nei gruppi, che spingono gli uni a isolarsi dagli altri e a guardarsi con odio. Solo questo basterebbe per smascherarli. Agendo così, infatti, danno da se stessi la più formale smentita riguardo a ciò che pretendono di essere. Ciechi dunque sono gli uomini che si lasciano prendere in una trappola così grossolana.
Ma ci sono ben altri mezzi per riconoscerli. Gli Spiriti, dell'ordine al quale essi dicono di appartenere, devono essere non solamente molto buoni ma anche eminentemente razionali. Ebbene, passate i loro sistemi al vaglio della ragione e del buon senso e vedrete che cosa ne resterà. Converrete allora con me che, tutte le volte che uno Spirito indica, come rimedio ai mali dell'umanità o come mezzo per arrivare alla sua trasformazione, cose utopiche e impraticabili, misure puerili e ridicole oppure quando formula un sistema contraddetto dalle più comuni nozioni della scienza, questo Spirito non può essere che ignorante e bugiardo.
D'altro canto siate certi che, se la verità non sempre è apprezzata come tale dai singoli individui, essa lo è sempre dal buon senso delle masse. E anche questo è un efficace criterio. Se due principi si contraddicono, voi avrete la misura del loro valore intrinseco cercando quello che trova più largo riscontro e approvazione. Sarebbe illogico, in effetti, ammettere che una dottrina, il cui numero di adepti diminuisse, fisse più vera di quella che li vedesse aumentare. Dio, volendo che la verità arrivi a tutti, non la relega in un cerchio ristretto: la fa sorgere in diversi punti, affinché ovunque la luce sia a fianco delle tenebre.
Respingete senza pietà tutti quegli Spiriti che si propongono come consiglieri esclusivi, predicando la divisione e l'isolamento. Sono quasi sempre Spiriti vanitosi e mediocri, che tendono a imporsi agli uomini deboli e creduloni, ai quali ammanniscono elogi esagerati al fine di ammaliarli e tenerli sotto il loro dominio. Sono generalmente Spiriti assetati di potere che, essendo stati despoti pubblici o privati durante la loro vita, vogliono ancora avere delle vittime da tiranneggiare dopo la morte. In generale diffidate delle comunicazioni che si caratterizzano per il misticismo e la stravaganza, o che prescrivono cerimonie e pratiche bizzarre. In questi casi il sospetto è legittimo.
D'altra parte siate pur certi che, quando una verità dev'essere rivelata all'umanità, essa è, per così dire, istantaneamente comunicata a tutti i gruppi seri, che hanno medium seri, e non al tale o talaltro gruppo, escludendone altri. Nessuno può essere un medium perfetto se è ossessionato. E c'è ossessione manifesta quando un medium è adatto a ricevere soltanto le comunicazioni di uno Spirito speciale, per quanto in alto egli pretenda di collocarsi. Di conseguenza, tutti i medium, tutti i gruppi, che si credono privilegiati per delle comunicazioni che solo essi possono ricevere, e che, d'altra parte, sono sottoposti a pratiche che sfiorano la superstizione, sono senza dubbio sotto l'azione di un'ossessione tra le più caratteristiche, soprattutto quando lo Spirito dominatore si gloria attribuendosi un nome che tutti, Spiriti e incarnati, dobbiamo onorare e rispettare non permettendo che venga compromesso a ogni istante.
È incontestabile che, sottoponendo al tiro incrociato della ragione e della logica tutti i dati e tutte le comunicazioni degli Spiriti, sarà facile rigettare ciò che è assurdo ed errato. Un medium può essere affascinato e un gruppo ingannato, ma il controllo severo di altri gruppi, la scienza acquisita e l'alta autorità morale dei capi dei gruppi, le comunicazioni dei principali medium, che ricevono un sigillo di logica e di autenticità dai nostri Spiriti migliori, faranno rapidamente giustizia di questi dettati astuti e menzogneri emanati da una turba di Spiriti ingannatori o malvagi.
(Éraste, discepolo di san Paolo, Parigi, 1862)
(Vedere, in quest'opera, il paragrafo II dell'Introduzione: "Controllo universale dell'insegnamento degli Spiriti" — E, inoltre, ne Il libro dei medium, il cap. XXIII, "Dell'ossessione").
Geremia e i falsi profeti
11.
Così parla il Signore degli eserciti: «Non ascoltate le parole dei
profeti che vi profetizzano; essi vi nutrono di cose vane; vi espongono
le visioni del proprio cuore, e non ciò che proviene dalla bocca del
Signore. Dicono a quelli che mi disprezzano: Signore ha detto:
Avretepace"; e a tutti quelli che camminano seguendo la caparbietà del
proprio cuore: "Nessun male vi colpirà"; infatti chi ha assistito al
consiglio del Signore, chi ha visto, chi ha udito la sua parola? Chi ha
prestato orecchio alla sua parola e l'ha udita?» (...) «Io non ho
mandato quei profeti; ed essi corrono; io non ho parlato a loro, ed essi
profetizzano». (...) «Io ho udito ciò che dicono i profeti che
profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: "Ho avuto un sogno! Ho
avuto un sogno!" Fino a quando durerà questo? Hanno essi in mente,
questi profeti che profetizzano menzogne, questi profeti dell'inganno
del loro cuore». (...) «Se questo popolo o un profeta o un sacerdote ti
domandano: "Qual è l'oracolo del Signore?" Tu risponderai loro: 'Ecco
l'oracolo: Io vi rigetterò, dice il Signore"». (Geremia 23:16-18, 21, 25-26, 33)
È su questo passaggio del profeta Geremia che vi intratterrò, amici miei. Dio, parlando attraverso la sua bocca dice: «Vi espongono le visioni del proprio cuore». Queste parole indicano chiaramente che già a quell'epoca i ciarlatani e gli esaltati abusavano del dono della profezia. Abusavano, di conseguenza, della fede semplice e quasi cieca del popolo predicendo, per denaro, cose buone e gradevoli. Questo genere di inganno era molto diffuso fra i Giudei, ed è facile comprendere che il povero popolo, nell'impossibilità di distinguere, data la sua ignoranza, i buoni dai cattivi, era sempre più o meno vittima di questi cosiddetti profeti, che altro non erano che degli impostori e dei fanatici. C'è forse qualcosa di più significativo di queste parole: «Io non ho mandato quei profeti; ed essi corrono; io non ho parlato a loro, ed essi profetizzano»? Più oltre dice: «Io ho udito ciò che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: Ho avuto un sogno! Ho avuto un sogno!» E indica così uno dei modi usati per sondare la fiducia che si aveva in loro. La moltitudine, sempre credulona, non pensava affatto di verificare la veridicità dei loro sogni o delle loro visioni. Trovava tutto ciò naturale e invitava tutti questi profeti a parlare.
Dopo le parole del profeta, ascoltate i saggi consigli dell'apostolo san Giovanni, quando dice: «Non credete a ogni spirito, ma provate gli spiriti per saper se sono da Dio», perché fra gli invisibili ci sono anche Spiriti che si divertono a fare delle vittime, quando se ne presenti l'occasione. I beffati sono, ovviamente, i medium che non prendono sufficienti precauzioni. Qui sta senza dubbio il maggior ostacolo contro cui molti si scontrano, soprattutto quando sono novizi dello Spiritismo. Si tratta di una prova dove possono trionfare solo se agiscono con molta prudenza. Imparate dunque, prima di tutto, a distinguere i buoni Spiriti da quelli malvagi, affinché non diventiate voi stessi falsi profeti.
(Luoz, Spirito Protettore, Carlsruhe, 1861)È su questo passaggio del profeta Geremia che vi intratterrò, amici miei. Dio, parlando attraverso la sua bocca dice: «Vi espongono le visioni del proprio cuore». Queste parole indicano chiaramente che già a quell'epoca i ciarlatani e gli esaltati abusavano del dono della profezia. Abusavano, di conseguenza, della fede semplice e quasi cieca del popolo predicendo, per denaro, cose buone e gradevoli. Questo genere di inganno era molto diffuso fra i Giudei, ed è facile comprendere che il povero popolo, nell'impossibilità di distinguere, data la sua ignoranza, i buoni dai cattivi, era sempre più o meno vittima di questi cosiddetti profeti, che altro non erano che degli impostori e dei fanatici. C'è forse qualcosa di più significativo di queste parole: «Io non ho mandato quei profeti; ed essi corrono; io non ho parlato a loro, ed essi profetizzano»? Più oltre dice: «Io ho udito ciò che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: Ho avuto un sogno! Ho avuto un sogno!» E indica così uno dei modi usati per sondare la fiducia che si aveva in loro. La moltitudine, sempre credulona, non pensava affatto di verificare la veridicità dei loro sogni o delle loro visioni. Trovava tutto ciò naturale e invitava tutti questi profeti a parlare.
Dopo le parole del profeta, ascoltate i saggi consigli dell'apostolo san Giovanni, quando dice: «Non credete a ogni spirito, ma provate gli spiriti per saper se sono da Dio», perché fra gli invisibili ci sono anche Spiriti che si divertono a fare delle vittime, quando se ne presenti l'occasione. I beffati sono, ovviamente, i medium che non prendono sufficienti precauzioni. Qui sta senza dubbio il maggior ostacolo contro cui molti si scontrano, soprattutto quando sono novizi dello Spiritismo. Si tratta di una prova dove possono trionfare solo se agiscono con molta prudenza. Imparate dunque, prima di tutto, a distinguere i buoni Spiriti da quelli malvagi, affinché non diventiate voi stessi falsi profeti.
Capitolo XXII - QUELLO CHE DIO HA UNITO L'UOMO NON LO SEPARI
Indissolubilità del matrimonio
1.
Dei farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova dicendo: È
lecito mandar via la propria moglie per un motivo qualsiasi? Ed egli
rispose loro: «Non avete letto che il
Creatore, da principio li creò maschio e femmina e che disse: "Perciò
l'uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due
saranno una sola carne"? Così non sono più due, ma una sola carne;
quello dunque che Dio ha unito, l'uomo non lo separi». Essi gli dissero:
«Perché dunque Mosè comandò di scriverle un atto di ripudio e di
mandarla via?» Gesù disse loro: «Fu per la
durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre
mogli; ma da principio non era così. Ma io vi dico che chiunque manda
via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa
un'altra, commette adulterio». (Matteo 19:3-9)
2. Di immutabile vi è solo
ciò che viene da Dio. Tutto ciò che è opera dell'uomo è soggetto a
cambiamento. Le leggi della natura sono le stesse in tutti i tempi e in
tutti i luoghi; le leggi umane, invece, cambiano secondo i tempi, i
luoghi e il progresso dell'intelligenza. Nel matrimonio, ciò che è
d'ordine divino è proprio l'unione dei sessi, che sono atti a realizzare
il rinnovamento degli esseri che muoiono. Ma le condizioni che regolano
questa unione sono di carattere talmente umano che non ci sono in tutto
il mondo, e neppure nella Cristianità, due paesi le cui leggi siano
completamente uguali e non c'è neppure un paese le cui leggi non abbiano
subito dei cambiamenti con il tempo. Ne deriva che, alla luce della
legge civile, ciò che è legittimo in un paese e in un certo periodo
della sua storia, è adulterio in altro paese e in altro tempo. Questo
perché le leggi civili hanno come scopo quello di regolare gli interessi
delle famiglie, e perché questi interessi variano secondo i costumi e i
bisogni locali. Così, per esempio, in certi paesi il matrimonio
religioso è il solo legittimo, in altri ancora, è necessario anche
quello civile, in altri, infine, il solo matrimonio civile è
sufficiente.
3. Ma nell'unione dei sessi,
accanto alla legge divina materiale, comune a tutti gli esseri viventi,
c'è un'altra legge, immutabile come tutte le leggi di Dio ed
esclusivamente morale, che è la legge dell'amore. Dio ha voluto che gli
esseri fossero uniti, non solo con i legami della carne, ma anche con
quelli dell'anima, affinché il mutuo affetto dei genitori si
trasmettesse ai figli, e affinché fossero due, anziché uno solo, ad
amarli, curarli e farli progredire. Nelle condizioni ordinarie del
matrimonio, si è tenuto conto della legge d'amore? Assolutamente no! Ciò
di cui si tiene conto non è l'affetto di due esseri, che un reciproco
sentimento attira l'uno verso l'altro, poiché il più delle volte questo
affetto si infrange. Ciò che si cerca non è la soddisfazione del cuore,
ma quella dell'orgoglio, della vanità, della cupidigia,' in una parola,
la soddisfazione di tutti gli interessi materiali. Quando, sulla base di
questi interessi, tutto funziona, si dice che il matrimonio è un buon
matrimonio. E, quando le borse sono ben bilanciate, si dice che anche
gli sposi sono ben assortiti e devono perciò essere molto felici.
Ma né la legge civile né gli impegni che essa determina possono supplire alla legge d'amore, se non è questa a presiedere l'unione. Ne deriva che sovente ciò che si è unito forzatamente si separa da se stesso, che il giuramento pronunciato ai piedi dell'altare diventa uno spergiuro se pronunciato come se fosse una formula d'uso. Da qui le unioni infelici che finiscono col diventare delittuose. Doppia infelicità che si potrebbe evitare se, nelle condizioni del matrimonio, non si trascurasse la sola legge che lo rende legittimo agli occhi di Dio: la legge d'amore. Quando Dio ha detto: «I due saranno una sola carne» e quando Gesù ha detto: «Quello dunque che Dio ha unito l'uomo non lo separi», ciò si deve intendere secondo la legge immutabile di Dio e non secondo la legge mutevole degli uomini.
4. La
legge civile è dunque superflua? Bisogna ritornare al matrimonio
secondo natura? No certamente. La legge civile ha lo scopo di regolare i
rapporti sociali e gli interessi delle famiglie secondo le esigenze
della civilizzazione. Ecco perché è utile, necessaria, ma mutevole. Essa
deve essere previdente, perché l'uomo civilizzato non può vivere come
il selvaggio, ma nulla, assolutamente nulla, impedisce che essa sia il
corollario della legge di Dio. Gli ostacoli alla realizzazione della
legge divina vengono dai pregiudizi e non dalla legge civile. Questi
pregiudizi, ancora molto vivi, hanno già perso il loro potere presso i
popoli avanzati e spariranno con il progresso morale, che alla fine
aprirà gli occhi degli uomini sull'infinità di mali, colpe e anche
crimini, che derivano da unioni contratte in funzione dei soli interessi
materiali. Ci si domanderà un giorno se sia più umano, più caritatevole
e più morale inchiodare l'uno all'altra due esseri che non possono
vivere insieme piuttosto che rendere loro la libertà. E quel giorno ci
si domanderà anche se la prospettiva di una unione indissolubile non
aumenti il numero delle unioni irregolari.
Il divorzio
5. Il divorzio è una legge
umana la cui finalità è quella di separare legalmente chi è separato di
fatto. Tale legge non è affatto contraria alla legge di Dio, poiché pone
riparo a ciò che gli uomini hanno fatto e si applica solo nel caso in
cui non si sia tenuto conto della legge divina. Se essa fosse contraria
alla legge divina, la stessa Chiesa sarebbe obbligata a considerare come
prevaricatori quei suoi capi che, con la propria autorità e in nome
della religione, hanno in più di una circostanza imposto il divorzio.
Doppia prevaricazione, allora, in quanto fatta solo per un interesse
temporale e non per soddisfare la legge d'amore.
Ma lo stesso Gesù non considera assolutamente il matrimonio indissolubile. Non dice forse: «Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli»? Questo significa che, dai tempi di Mosè, il mutuo affetto non era lo scopo unico del matrimonio, e la separazione poteva diventare necessaria. Ma Gesù aggiunge: «Da principio non era così», volendo intendere con queste parole che all'origine dell'umanità, quando gli uomini non erano ancora pervertiti dall'egoismo e dall'orgoglio e vivevano secondo la legge di Dio, le unioni fondate sulla simpatia, e non sulla vanità e l'ambizione, non davano luogo a ripudio.
Gesù va oltre specificando il caso in cui il ripudio può aver luogo, in caso cioè di adulterio. Ora, l'adulterio non esiste là dove c'è un affetto reciproco sincero. Egli vieta a tutti, è vero, di sposare una donna ripudiata, ma bisogna tener conto dei costumi e del carattere degli uomini del suo tempo. La legge mosaica, in questo caso, prescriveva la lapidazione dell'adultera. Volendo abolire questa barbara usanza, ci voleva per lo meno una pena, e la si trova nel marchio ignominioso dell'interdizione da un secondo matrimonio. È in un certo senso una legge civile che va a sostituire un'altra legge civile ma che, come tutte le leggi di questa natura, avrebbe dovuto subire la prova del tempo.
Ma lo stesso Gesù non considera assolutamente il matrimonio indissolubile. Non dice forse: «Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli»? Questo significa che, dai tempi di Mosè, il mutuo affetto non era lo scopo unico del matrimonio, e la separazione poteva diventare necessaria. Ma Gesù aggiunge: «Da principio non era così», volendo intendere con queste parole che all'origine dell'umanità, quando gli uomini non erano ancora pervertiti dall'egoismo e dall'orgoglio e vivevano secondo la legge di Dio, le unioni fondate sulla simpatia, e non sulla vanità e l'ambizione, non davano luogo a ripudio.
Gesù va oltre specificando il caso in cui il ripudio può aver luogo, in caso cioè di adulterio. Ora, l'adulterio non esiste là dove c'è un affetto reciproco sincero. Egli vieta a tutti, è vero, di sposare una donna ripudiata, ma bisogna tener conto dei costumi e del carattere degli uomini del suo tempo. La legge mosaica, in questo caso, prescriveva la lapidazione dell'adultera. Volendo abolire questa barbara usanza, ci voleva per lo meno una pena, e la si trova nel marchio ignominioso dell'interdizione da un secondo matrimonio. È in un certo senso una legge civile che va a sostituire un'altra legge civile ma che, come tutte le leggi di questa natura, avrebbe dovuto subire la prova del tempo.
Capitolo XXIII - STRANA MORALE
Chi non odia suo padre e sua madre
1. Or molta gente andava con lui; ed egli, rivolto verso la folla, disse:
«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». (...) «Così dunque ognuno di voi che non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo». (Luca 14:25-27, 33)
«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». (...) «Così dunque ognuno di voi che non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo». (Luca 14:25-27, 33)
2. «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me.» (Matteo 10:37)
3.
Certe parole, molto rare del resto, suonano così strane sulla bocca di
Gesù, che istintivamente se ne rifiuta il senso letterale, ma la
magnificenza della Sua dottrina non ne subisce alcun danno. Scritti dopo
la morte — poiché nessuno dei Vangeli è stato scritto quando Gesù era
in vita — possiamo credere che, in questo caso la sostanza del Suo
pensiero non è stata ben resa o, cosa non meno probabile, il significato
originario ha potuto subire delle alterazioni passando da un idioma
all'altro. È sufficiente che un errore sia stato fatto all'inizio,
perché esso si ripeta nelle edizioni successive, come si osserva molto
spesso nei fatti riguardanti la Storia.
Il verbo odiare, nella frase di san Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre», rientra in questo caso. Non c'è nessuno che abbia pensato di attribuirlo a Gesù. Sarebbe dunque superfluo discuterne e ancor meno cercare di giustificarlo. Bisognerebbe prima sapere se l'ha pronunciato e, in caso affermativo, sapere se, nella lingua in cui si esprimeva, questo termine avesse la stessa valenza che ha nella nostra. In questo passaggio di san Giovanni: «Chi odia la sua vita in questo mondo la conserva per la vita eterna», è certo che non esprime l'idea che noi le attribuiamo.
La lingua ebraica non era ricca e aveva molte parole con più significati. Tale è il caso, per esempio, della parola che nella Genesi designa le fasi della creazione e serviva allo stesso tempo per esprimere sia un periodo di tempo qualsiasi sia la rivoluzione diurna. Da ciò, più tardi, la sua traduzione con la parola giorno e la credenza che il mondo fosse stato creato in sei giorni, ossia sei volte ventiquattro ore. Tale è ancora il caso delle parole cammello e corda, perché le corde erano fatte con peli di cammello, e che è stata tradotta con cammello nell'allegoria della cruna dell'ago (vedere cap. XVI, n. 2 di quest'opera).[1]
D'altra parte bisogna considerare anche i costumi e il carattere di un popolo, che influiscono sulla natura particolare della sua lingua. Senza questa conoscenza, il senso vero di certe parole sfugge. Da una lingua all'altra, la stessa parola può avere una maggiore o minore efficacia, può essere ingiuriosa o blasfema nell'una e insignificante nell'altra, secondo l'idea che le si attribuisce. Nella stessa lingua, poi, certe parole perdono il loro valore a qualche secolo di distanza. Per questo una traduzione rigorosamente letterale non sempre rende perfettamente il pensiero e, affinché sia fedele, bisogna a volte impiegare non il termine corrispondente, ma delle parole equivalenti o delle perifrasi.
Queste osservazioni trovano un'applicazione speciale soprattutto nell'interpretazione delle Sacre Scritture e dei Vangeli in particolare. Se non si tiene conto del contesto nel quale viveva Gesù, si è esposti al fraintendimento del valore di certe espressioni e di certi fatti, a causa dell'abitudine che si ha di rapportare gli altri a se stessi. Stando così le cose, bisogna dunque privare la parola odiare dell'accezione moderna, essendo contraria allo spirito dell'insegnamento di Gesù (vedere anche cap. XIV, n. 5 e segg., di quest'opera).
Il verbo odiare, nella frase di san Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre», rientra in questo caso. Non c'è nessuno che abbia pensato di attribuirlo a Gesù. Sarebbe dunque superfluo discuterne e ancor meno cercare di giustificarlo. Bisognerebbe prima sapere se l'ha pronunciato e, in caso affermativo, sapere se, nella lingua in cui si esprimeva, questo termine avesse la stessa valenza che ha nella nostra. In questo passaggio di san Giovanni: «Chi odia la sua vita in questo mondo la conserva per la vita eterna», è certo che non esprime l'idea che noi le attribuiamo.
La lingua ebraica non era ricca e aveva molte parole con più significati. Tale è il caso, per esempio, della parola che nella Genesi designa le fasi della creazione e serviva allo stesso tempo per esprimere sia un periodo di tempo qualsiasi sia la rivoluzione diurna. Da ciò, più tardi, la sua traduzione con la parola giorno e la credenza che il mondo fosse stato creato in sei giorni, ossia sei volte ventiquattro ore. Tale è ancora il caso delle parole cammello e corda, perché le corde erano fatte con peli di cammello, e che è stata tradotta con cammello nell'allegoria della cruna dell'ago (vedere cap. XVI, n. 2 di quest'opera).[1]
D'altra parte bisogna considerare anche i costumi e il carattere di un popolo, che influiscono sulla natura particolare della sua lingua. Senza questa conoscenza, il senso vero di certe parole sfugge. Da una lingua all'altra, la stessa parola può avere una maggiore o minore efficacia, può essere ingiuriosa o blasfema nell'una e insignificante nell'altra, secondo l'idea che le si attribuisce. Nella stessa lingua, poi, certe parole perdono il loro valore a qualche secolo di distanza. Per questo una traduzione rigorosamente letterale non sempre rende perfettamente il pensiero e, affinché sia fedele, bisogna a volte impiegare non il termine corrispondente, ma delle parole equivalenti o delle perifrasi.
Queste osservazioni trovano un'applicazione speciale soprattutto nell'interpretazione delle Sacre Scritture e dei Vangeli in particolare. Se non si tiene conto del contesto nel quale viveva Gesù, si è esposti al fraintendimento del valore di certe espressioni e di certi fatti, a causa dell'abitudine che si ha di rapportare gli altri a se stessi. Stando così le cose, bisogna dunque privare la parola odiare dell'accezione moderna, essendo contraria allo spirito dell'insegnamento di Gesù (vedere anche cap. XIV, n. 5 e segg., di quest'opera).
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[1] Non odit in latino e Kaï o miseï in greco non vuol dire odia, ma ama meno. Ciò che esprime il verbo greco miseïn è espresso ancor meglio dal verbo ebraico, del quale dev'essersi servito Gesù. Non significa solamente odiare, ma amare meno, non amare tanto quanto, tanto come un altro.
Nel dialetto siriano che, a quanto pare, Gesù usava più frequentemente,
questo significato è ancora più accentuato. È in questo senso che è
stato usato nella Genesi (29:30-31): «E Giacobbe amò Rachele più di Lea,
(...) e il Signore vedendo che Lea era odiata...» È evidente che il vero significato è meno amata,
ed è così che bisogna tradurre. In molti altri passaggi ebraici, e
soprattutto siriani, lo stesso verbo viene impiegato nel senso di non amare tanto quanto un altro, e sarebbe un controsenso tradurre con odiare,
che ha un'altra e ben precisa accezione. Il testo di san Matteo,
d'altra parte, elimina ogni difficoltà. (Nota di M. A. Pezzani)
Abbandonare il proprio padre, la propria madre e i propri figli
4.
«E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre,
o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto,
ed erediterà la vita eterna.» (Matteo 19:29)
5. Pietro
disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo
seguito». Ed egli disse loro: «Vi dico in verità che non c'è nessuno che
abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amor
del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo
tempo, e nell'età futura la vita eterna». (Luca 18:28-30)
6.
Un altro ancora gli disse: «Ti seguirò, Signore, ma lasciami prima
salutare quelli di casa mia». Ma Gesù gli disse: «Nessuno che abbia
messo la mano all'aratro e poi volga lo sguardo indietro, è adatto per
il regno di Dio" (Luca 9:61-62)
Senza discutere le parole, qui si tratta di scoprire il concetto, che è evidentemente questo: "Gli interessi della vita futura stanno al di sopra di tutti gli interessi e di tutte le considerazioni umane", perché il concetto della vita futura è in accordo con il fondamento della dottrina di Gesù, mentre l'idea di una rinuncia alla propria famiglia ne sarebbe la negazione.
D'altra parte non abbiamo noi forse sotto gli occhi l'applicazione di queste massime nel sacrificio degli interessi e degli affetti familiari a favore della patria? Si biasima forse un figlio che lascia il padre, la madre, i fratelli, la moglie, i figli, per andare a difendere il proprio paese? Non gli si rende, al contrario, merito per essersi lasciato strappare dal focolare domestico, dall'abbraccio degli amici, per compiere un sacrosanto dovere? Ci sono dunque doveri al di sopra di altri. La legge non fa forse obbligo alla figlia di lasciare i suoi genitori per seguire suo marito? Nel mondo sono infiniti i casi in cui le separazioni più penose sono inevitabili. Ma non per questo gli affetti si spezzano. La lontananza non diminuisce né il rispetto né la dovuta sollecitudine verso i propri genitori né la tenerezza per i propri figli. Si vede dunque che, anche se prese alla lettera, salvo la parola odiare, queste parole non sarebbero la negazione né del comandamentoche prescrive di onorare il padre e la madre, né del sentimento di tenerezza paterna. Ciò, a maggior ragione, se se ne considera lo spirito. La finalità di queste espressioni era di mostrare, con un'iperbole, quanto è imperioso il dovere di preoccuparsi della vita futura.
Esse dovevano d'altra parte essere meno scioccanti presso un popolo e in un'epoca in cui, secondo quei costumi, i legami familiari erano meno sentiti che in una civiltà moralmente più avanzata. Questi legami, più deboli presso i popoli primitivi, si fortificano con lo svilupparsi della sensibilità e del senso morale. La separazione stessa è necessaria al progresso. E ciò riguarda le famiglie come le razze, che si imbastardiscono se non ci sono degli incroci, se non si inseriscono le une nelle altre. È una legge di natura, tanto nell'interesse del progresso morale quanto in quello del progresso psichico.
Le cose non sono qui esaminate che dal punto di vista terreno. Lo Spiritismo ce le fa vedere più dall'alto, mostrandoci che i veri legami affettivi sono quelli dello Spirito e non quelli fisici, che questi legami non vengono spezzati né dalla separazione né dalla morte del corpo e che essi si fortificano nella vita spirituale con la purificazione dello Spirito. Verità consolante, questa, che dà una grande forza per sopportare le vicissitudini della vita (vedere anche il cap. IV, n. 18 e il cap. XIV, n. 18 di quest'opera).
Senza discutere le parole, qui si tratta di scoprire il concetto, che è evidentemente questo: "Gli interessi della vita futura stanno al di sopra di tutti gli interessi e di tutte le considerazioni umane", perché il concetto della vita futura è in accordo con il fondamento della dottrina di Gesù, mentre l'idea di una rinuncia alla propria famiglia ne sarebbe la negazione.
D'altra parte non abbiamo noi forse sotto gli occhi l'applicazione di queste massime nel sacrificio degli interessi e degli affetti familiari a favore della patria? Si biasima forse un figlio che lascia il padre, la madre, i fratelli, la moglie, i figli, per andare a difendere il proprio paese? Non gli si rende, al contrario, merito per essersi lasciato strappare dal focolare domestico, dall'abbraccio degli amici, per compiere un sacrosanto dovere? Ci sono dunque doveri al di sopra di altri. La legge non fa forse obbligo alla figlia di lasciare i suoi genitori per seguire suo marito? Nel mondo sono infiniti i casi in cui le separazioni più penose sono inevitabili. Ma non per questo gli affetti si spezzano. La lontananza non diminuisce né il rispetto né la dovuta sollecitudine verso i propri genitori né la tenerezza per i propri figli. Si vede dunque che, anche se prese alla lettera, salvo la parola odiare, queste parole non sarebbero la negazione né del comandamentoche prescrive di onorare il padre e la madre, né del sentimento di tenerezza paterna. Ciò, a maggior ragione, se se ne considera lo spirito. La finalità di queste espressioni era di mostrare, con un'iperbole, quanto è imperioso il dovere di preoccuparsi della vita futura.
Esse dovevano d'altra parte essere meno scioccanti presso un popolo e in un'epoca in cui, secondo quei costumi, i legami familiari erano meno sentiti che in una civiltà moralmente più avanzata. Questi legami, più deboli presso i popoli primitivi, si fortificano con lo svilupparsi della sensibilità e del senso morale. La separazione stessa è necessaria al progresso. E ciò riguarda le famiglie come le razze, che si imbastardiscono se non ci sono degli incroci, se non si inseriscono le une nelle altre. È una legge di natura, tanto nell'interesse del progresso morale quanto in quello del progresso psichico.
Le cose non sono qui esaminate che dal punto di vista terreno. Lo Spiritismo ce le fa vedere più dall'alto, mostrandoci che i veri legami affettivi sono quelli dello Spirito e non quelli fisici, che questi legami non vengono spezzati né dalla separazione né dalla morte del corpo e che essi si fortificano nella vita spirituale con la purificazione dello Spirito. Verità consolante, questa, che dà una grande forza per sopportare le vicissitudini della vita (vedere anche il cap. IV, n. 18 e il cap. XIV, n. 18 di quest'opera).
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti
7. A un altro disse: «Seguimi».
Ed egli rispose: «Permettimi di andare prima a seppellire mio padre».
Ma Gesù gli disse: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; ma tu
va' ad annunziare il regno di Dio». (Luca 9:59-60)
8. Che cosa possono
significare le parole «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti»?
Le considerazioni precedenti dimostrano innanzitutto che, nella
circostanza in cui sono state pronunciate, esse non possono esprimere un
rimprovero nei riguardi di colui che riteneva un dovere di pietà
filiale andare a seppellire il proprio padre. Esse racchiudono, invece,
un significato profondo che solo una conoscenza più completa della vita
spirituale poteva far comprendere.
La vita spirituale, in effetti, è la vera vita, è la vita normale dello Spirito. L'esistenza terrena è solo transitoria e passeggera, una specie di morte, se paragonata allo splendore e all'attività della vita spirituale. Il corpo è solo un abito grossolano che riveste temporaneamente lo Spirito, una vera catena che lo blocca alle zolle della Terra e di cui è felice di liberarsi. Il rispetto che si ha per i morti non si riferisce alla materia, ma, attraverso il ricordo, allo Spirito assente. Esso è analogo a quello che si ha per gli oggetti appartenuti al morto, che egli ha toccato, e che quanti a lui affezionati custodiscono come reliquie. E quello che costui non poteva comprendere da solo, Gesù glielo insegna dicendogli: «Non preoccuparti del corpo, ma prenditi cura piuttosto dello Spirito. Va' e insegna il Regno di Dio, va' e di' agli uomini che la loro patria non è sulla Terra, ma in Cielo, perché solo là si trova la vera vita».
La vita spirituale, in effetti, è la vera vita, è la vita normale dello Spirito. L'esistenza terrena è solo transitoria e passeggera, una specie di morte, se paragonata allo splendore e all'attività della vita spirituale. Il corpo è solo un abito grossolano che riveste temporaneamente lo Spirito, una vera catena che lo blocca alle zolle della Terra e di cui è felice di liberarsi. Il rispetto che si ha per i morti non si riferisce alla materia, ma, attraverso il ricordo, allo Spirito assente. Esso è analogo a quello che si ha per gli oggetti appartenuti al morto, che egli ha toccato, e che quanti a lui affezionati custodiscono come reliquie. E quello che costui non poteva comprendere da solo, Gesù glielo insegna dicendogli: «Non preoccuparti del corpo, ma prenditi cura piuttosto dello Spirito. Va' e insegna il Regno di Dio, va' e di' agli uomini che la loro patria non è sulla Terra, ma in Cielo, perché solo là si trova la vera vita».
Non sono venuto a metter pace, ma spada
9. «Non
pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a
metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il . figlio da suo
padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici
dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua». (Matteo 10:34-36)
10. «Io
sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra; e che mi resta da
desiderare, se già è acceso? Vi è un battesimo del quale devo essere
battezzato; e sono angosciato finché non sia compiuto! Voi pensate che
io sia venuto a portar pace sulla terra? No, vi dico, ma piuttosto
divisione; perché, da ora in avanti, se vi sono cinque persone in una
casa, saranno divise tre contro due e due contro tre; saranno divisi il
padre contro il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la
figlia e la figlia contro la madre; la suocera contro la nuora e la
nuora contro la suocera.» (Luca 12:49-53)
11. È proprio Gesù, la
personificazione della dolcezza e della bontà, Colui che non cessò mai
di predicare l'amore per il prossimo, che ha potuto dire «Non sono
venuto a metter pace, ma spada; perché sono venuto a dividere il figlio
da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera. Io sono
venuto a gettare il fuoco sulla Terra, e ho premura ch'esso si accenda»?
Queste parole non sono in flagrante contraddizione con il Suo
insegnamento? Non è blasfemo attribuirgli un linguaggio da conquistatore
sanguinario e devastatore? No, non c'è né bestemmia né contraddizione
in queste parole, perché fu proprio Lui che le pronunciò, ed esse
testimoniano la Sua sublime saggezza. Accade però che la forma, alquanto
equivoca, non renda esattamente il suo pensiero, il che porta a
ingannarsi sul vero significato delle parole in questione. Prese alla
lettera, esse tenderebbero a trasformare la Sua missione, integralmente
di pace, in una missione di turbamenti e discordie, cosa assurda che il
buon senso fa scartare, perché Gesù non poteva smentirsi (vedere cap.
XIV, n. 6 di quest'opera).
12. Tutte le idee nuove
incontrano necessariamente un'opposizione, e non c'è una sola idea che
si sia affermata senza lotte. Ora, in casi come questi, la resistenza è
sempre commisurata all'importanza dei risultati previsti, perché
più l'idea è grande, maggiormente urta degli interessi. Se essa invece è
notoriamente falsa, se la si giudica senza conseguenze, nessuno se ne
preoccupa e la si lascia passare, sapendo che non ha futuro. Ma se essa è
vera, se essa poggia su solide basi, se se ne intravede il suo
avvenire, un segreto presentimento avverte i suoi antagonisti che essa è
un danno per loro e per l'ordine delle cose che sono interessati a
mantenere. È per questo che essi infieriscono sulla nuova idea e sui
suoi sostenitori.
La misura dell'importanza e delle conseguenze di una idea nuova si evidenzia dall'emozione che essa suscita al suo apparire, dalla violenza dell'opposizione che essa solleva, e dal grado e dal persistere della collera dei suoi avversari.
La misura dell'importanza e delle conseguenze di una idea nuova si evidenzia dall'emozione che essa suscita al suo apparire, dalla violenza dell'opposizione che essa solleva, e dal grado e dal persistere della collera dei suoi avversari.
13. Gesù veniva a proclamare
una dottrina che scalzava alla base tutti gli abusi perpetrati dai
Farisei, dagli Scribi e dai sacerdoti del Suo tempo. Così lo fecero
morire credendo di uccidere l'idea con la morte dell'uomo. Ma l'idea è
sopravvissuta perché era vera ed è cresciuta perché era nei disegni di
Dio. Uscita da un'oscura borgata della Giudea, andò a piantare la sua
bandiera proprio nella capitale del mondo pagano, di fronte ai suoi
nemici più accaniti, a coloro che avevano più interesse a combatterla,
perché rovesciava delle credenze secolari, alle quali molti tenevano
molto più per interesse che per convinzione. Là, lotte ancora più
terribili attendevano i suoi apostoli. Innumerevoli furono le vittime,
ma l'idea crebbe sempre e uscì trionfante perché superava, in quanto a
verità, quelle precedenti.
14. Bisogna tener presente
che il Cristianesimo è arrivato quando il Paganesimo era al suo tramonto
e si dibatteva contro i lumi della ragione. Formalmente lo si praticava
ancora, ma la credenza era ormai scomparsa, ed esso era sostenuto dai
soli interessi personali. Ora, l'interesse è tenace e non cede mai
all'evidenza. Quanto più i ragionamenti che gli vengono opposti sono
categorici, quanto più chiaramente gli si mostrano i suoi errori, tanto
più si irrita. Sa benissimo di essere in errore, ma non è questo che lo
tocca, perché la vera fede non alberga nel suo animo. Ciò che
maggiormente teme è la luce che apre gli occhi ai ciechi. L'errore gli è
anzi di vantaggio, ed è per questo che vi si aggrappa e lo difende.
Socrate non aveva forse, lui stesso, diffuso una dottrina analoga, fino a un certo punto, a quella di Cristo? Perché dunque non prevalse allora, presso un popolo fra i più intelligenti della Terra? Fu perché non era ancora giunto il tempo. Egli seminava in una terra non arata. Il paganesimo non si era ancora sufficientemente consumato. Cristo ricevette la Sua missione provvidenziale nel momento propizio. Non tutti gli uomini del Suo tempo erano all'altezza delle idee cristiane, ma c'era un clima generale, un'attitudine più diffusa per assimilarle, perché si incominciava a sentire il vuoto che le credenze volgari lasciavano nell'anima. Socrate e Platone avevano aperto la via e predisposto gli Spiriti (vedere nell'Introduzione a quest'opera, il par. IV: "Socrate e Platone, precursori dell'idea cristiana e dello Spiritismo").
Socrate non aveva forse, lui stesso, diffuso una dottrina analoga, fino a un certo punto, a quella di Cristo? Perché dunque non prevalse allora, presso un popolo fra i più intelligenti della Terra? Fu perché non era ancora giunto il tempo. Egli seminava in una terra non arata. Il paganesimo non si era ancora sufficientemente consumato. Cristo ricevette la Sua missione provvidenziale nel momento propizio. Non tutti gli uomini del Suo tempo erano all'altezza delle idee cristiane, ma c'era un clima generale, un'attitudine più diffusa per assimilarle, perché si incominciava a sentire il vuoto che le credenze volgari lasciavano nell'anima. Socrate e Platone avevano aperto la via e predisposto gli Spiriti (vedere nell'Introduzione a quest'opera, il par. IV: "Socrate e Platone, precursori dell'idea cristiana e dello Spiritismo").
15. Sfortunatamente gli
adepti della nuova dottrina non s'intesero sulla interpretazione delle
parole del Maestro, per la maggior parte dissimulate da allegorie e
figure retoriche. Da ciò nacquero, fin dall'inizio, le numerose sette
che pretendevano, tutte, di possedere la verità esclusiva, e che più di
diciotto secoli non hanno potuto mettere d'accordo. Dimenticando il più
importante dei divini precetti, di cui Gesù aveva fatto la pietra
angolare del Suo edificio e la condizione espressa della salvezza —
carità, fraternità e amore per il prossimo —, queste sette si
rilanciavano l'anatema e si scagliavano le une contro le altre. Le più
forti schiacciavano le più deboli, soffocandole nel sangue, nelle
torture e nelle fiamme del rogo. I Cristiani, vincitori del Paganesimo,
da perseguitati divennero persecutori. È con il ferro e con il fuoco che
hanno piantato la croce dell'agnello senza macchia nei due mondi. È un
fatto provato che le guerre di religione sono state le più crudeli e
hanno fatto più vittime delle guerre politiche e che in nessun'altra
sono stati commessi atti più atroci e barbari.
La colpa sta forse nella dottrina di Cristo? Certamente no, perché essa condanna formalmente qualsiasi violenza. Ha forse Egli detto in qualche caso ai Suoi discepoli: «Andate, ammazzate, massacrate, bruciate quelli che non credono come voi credete?» No, perché invece ha loro detto: ,,Tutti gli uomini sono fratelli, e Dio è sovranamente misericordioso; amate il vostro prossimo; amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi perseguitano». Ha ancora detto loro: «Chi di spada ferisce, di spada perisce». La responsabilità non è dunque della dottrina di Gesù, ma di quelli che l'hanno falsamente interpretata e ne hanno fatto uno strumento per servire le loro passioni; di quelli che hanno travisato queste parole: Il mio Regno non è di questo mondo».
Gesù, nella Sua profonda saggezza, aveva previsto ciò che sarebbe successo, ma queste cose erano inevitabili, perché attinenti al livello inferiore della natura umana, che non poteva trasformarsi da un momento all'altro. Bisognava che il Cristianesimo passasse per questa lunga e crudele prova di diciotto secoli per dimostrare tutta la sua potenza. Infatti, malgrado tutto il male commesso in suo nome, ne è uscito puro. Mai è stato chiamato in causa; il biasimo è sempre ricaduto su coloro che ne hanno abusato. A ogni atto di intolleranza, si è sempre detto: «Se il cristianesimo fosse stato compreso meglio e meglio praticato, ciò non sarebbe successo».
La colpa sta forse nella dottrina di Cristo? Certamente no, perché essa condanna formalmente qualsiasi violenza. Ha forse Egli detto in qualche caso ai Suoi discepoli: «Andate, ammazzate, massacrate, bruciate quelli che non credono come voi credete?» No, perché invece ha loro detto: ,,Tutti gli uomini sono fratelli, e Dio è sovranamente misericordioso; amate il vostro prossimo; amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi perseguitano». Ha ancora detto loro: «Chi di spada ferisce, di spada perisce». La responsabilità non è dunque della dottrina di Gesù, ma di quelli che l'hanno falsamente interpretata e ne hanno fatto uno strumento per servire le loro passioni; di quelli che hanno travisato queste parole: Il mio Regno non è di questo mondo».
Gesù, nella Sua profonda saggezza, aveva previsto ciò che sarebbe successo, ma queste cose erano inevitabili, perché attinenti al livello inferiore della natura umana, che non poteva trasformarsi da un momento all'altro. Bisognava che il Cristianesimo passasse per questa lunga e crudele prova di diciotto secoli per dimostrare tutta la sua potenza. Infatti, malgrado tutto il male commesso in suo nome, ne è uscito puro. Mai è stato chiamato in causa; il biasimo è sempre ricaduto su coloro che ne hanno abusato. A ogni atto di intolleranza, si è sempre detto: «Se il cristianesimo fosse stato compreso meglio e meglio praticato, ciò non sarebbe successo».
16. Quando Gesù disse: «Voi
pensate che io sia venuto a portar pace sulla Terra? No, vi dico, ma
piuttosto divisione», il Suo pensiero era questo:
«Non crediate che la mia dottrina si affermi pacificamente. Essa porterà lotte sanguinose, per le quali il mio nome sarà un pretesto, perché gli uomini non mi avranno compreso o non avranno voluto comprendermi. I fratelli, separati dai loro credo, sguaineranno la spada gli uni contro gli altri, e la divisione regnerà anche fra i membri di una stessa famiglia, per avere essi una diversa fede. Io sono venuto a gettare fuoco sulla Terra, per ripulirla degli errori e dei pregiudizi, così come si appicca il fuoco a un campo per distruggerne le erbe cattive. E sono impaziente che il fuoco divampi affinché la purificazione sia più sollecita, e da questo conflitto la verità esca trionfante. Alla guerra succederà la pace; all'odio di parte la fraternità universale; alle tenebre del fanatismo la luce della fede illuminata. Allora, quando il campo sarà preparato, io vi manderò il Consolatore, lo Spirito di Verità, che verrà a ristabilire tutte le cose. Facendo cioè conoscere il vero senso delle mie parole — che gli uomini più progrediti potranno infine comprendere — egli metterà fine alla lotta fratricida che divide il figli di uno stesso Dio. Stanchi infine di un combattimento senza esito, che lascia dietro di sé solo desolazione e porta turbamento perfino in seno alle famiglie, gli uomini riconosceranno dove stanno i loro veri interessi per questo mondo e per quell'altro. Vedranno allora da che parte stanno gli amici e da quale i nemici della loro pace. Tutti verranno a rifugiarsi sotto la stessa bandiera, quella della carità, e le cose saranno ristabilite sulla Terra secondo la verità e i principi che vi ho insegnato.»
«Non crediate che la mia dottrina si affermi pacificamente. Essa porterà lotte sanguinose, per le quali il mio nome sarà un pretesto, perché gli uomini non mi avranno compreso o non avranno voluto comprendermi. I fratelli, separati dai loro credo, sguaineranno la spada gli uni contro gli altri, e la divisione regnerà anche fra i membri di una stessa famiglia, per avere essi una diversa fede. Io sono venuto a gettare fuoco sulla Terra, per ripulirla degli errori e dei pregiudizi, così come si appicca il fuoco a un campo per distruggerne le erbe cattive. E sono impaziente che il fuoco divampi affinché la purificazione sia più sollecita, e da questo conflitto la verità esca trionfante. Alla guerra succederà la pace; all'odio di parte la fraternità universale; alle tenebre del fanatismo la luce della fede illuminata. Allora, quando il campo sarà preparato, io vi manderò il Consolatore, lo Spirito di Verità, che verrà a ristabilire tutte le cose. Facendo cioè conoscere il vero senso delle mie parole — che gli uomini più progrediti potranno infine comprendere — egli metterà fine alla lotta fratricida che divide il figli di uno stesso Dio. Stanchi infine di un combattimento senza esito, che lascia dietro di sé solo desolazione e porta turbamento perfino in seno alle famiglie, gli uomini riconosceranno dove stanno i loro veri interessi per questo mondo e per quell'altro. Vedranno allora da che parte stanno gli amici e da quale i nemici della loro pace. Tutti verranno a rifugiarsi sotto la stessa bandiera, quella della carità, e le cose saranno ristabilite sulla Terra secondo la verità e i principi che vi ho insegnato.»
17. Lo Spiritismo viene a
realizzare, al tempo determinato, le promesse di Cristo. Ciononostante
non può farlo senza prima aver annullato gli abusi. Come Gesù, esso
incontra sui suoi passi l'orgoglio, l'egoismo, l'ambizione, la
cupidigia, il cieco fanatismo che, assediati nella loro ultima trincea,
tentano di sbarrargli il cammino, gli creano degli ostacoli e lo
perseguitano. È per questo che deve anch'esso combattere. Ma il tempo
delle lotte e delle persecuzioni sanguinose è passato. Quelle che lo
Spiritismo dovrà affrontare sono tutte di ordine morale, e la fine è
prossima. Le prime sono durate secoli, queste dureranno solo alcuni anni
perché la luce, anziché partire da un solo focolare, scaturisce da
tutti i punti del globo e più velocemente aprirà gli occhi dei ciechi.
18. Queste parole di Gesù
devono essere dunque intese riguardo alle discordie che Egli prevedeva
che la Sua dottrina avrebbe sollevato, riguardo ai conflitti momentanei
che ne sarebbero stati le conseguenze, riguardo alle lotte che essa
avrebbe dovuto sostenere prima di affermarsi, così come fu per gli Ebrei
prima che si stabilissero nella Terra Promessa. Queste parole non vanno
cioè intese come un disegno predeterminato, da parte Sua, di seminare
disordine e confusione. Il male sarebbe venuto dagli uomini e non da
Lui. La Sua posizione era quella del medico che guarisce, ma le cui cure
provocano una reazione salutare, rimuovendo gli umori malsani del
malato.
Capitolo XXIV - NON METTETE LA FIACCOLA SOTTO IL MOGGIO
Perché Gesù parla sotto forma di parabola
1. E
non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si
mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. (Matteo 5:15)
2.
«Nessuno accende una lampada e poi la copre con un vaso, o la mette
sotto il letto; anzi la mette sul candeliere, perché chi entra veda la
luce. Poiché non c'è nulla di nascosto che non debba manifestarsi, né di
segreto che non debba essere conosciuto e venire alla luce.» (Luca 8:16-17)
3. Allora i discepoli si avvicinarono e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?» Egli rispose loro: «Perché
a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli; ma a loro non è
dato. Perché a chiunque ha sarà dato, e sarà nell'abbondanza; ma a
chiunque non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in
parabole, perché, vedendo, non vedono; e udendo, non odono né
comprendono. E si adempie in loro la profezia d'Isaia che dice: "Udrete
con i vostri orecchi e non comprenderete; guarderete con i vostri occhi e
non vedrete perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile:
sono diventati duri d'orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non
rischiare di vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi, e di
comprendere con il cuore e di convertirsi, perché io li guarisca"». (Matteo 13:10-15)
4. Ci si stupisce nel sentir
dire da Gesù che non bisogna mettere la fiaccola sotto il moggio,
mentre Egli stesso nasconde continuamente il senso delle Sue parole
sotto il velo dell'allegoria che non può essere compresa da tutti. Egli
si spiega dicendo: Parlo loro in parabole,
perché, vedendo, non vedono e udendo, non odono né comprendono; perché a
voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è
dato». Pertanto, con il popolo si comporta come con i bambini le cui
idee non sono ancora sviluppate. Così indica il vero significato della
massima: »Nessuno accende
una lampada e poi la copre con un vaso, o la mette sotto il letto; anzi
la mette sul candeliere, perché chi entra veda la luce». Essa non
significa che si deve rivelare sconsideratamente tutto. Ogni
insegnamento dev'essere proporzionale all'intelligenza di colui cui
viene rivolto, perché alcuni potrebbero venire abbagliati da una luce
troppo viva senza peraltro esserne illuminati.
Capita agli uomini in generale come ai singoli individui. Le generazioni hanno la loro infanzia, la loro gioventù e la loro età matura. Ogni cosa deve venire a tempo debito e il grano seminato fuori stagione non fruttifica. Ma ciò che la prudenza comanda di tacere momentaneamente deve prima o poi essere precisato perché, arrivati a un certo grado di sviluppo, gli uomini ricercano essi stessi la luce viva: l'oscurità li opprime. Gli uomini, avendo ricevuto da Dio l'intelligenza per comprendere e per orientarsi nelle cose della Terra e del Cielo, vogliono ragionare sulla loro fede. È proprio questo il momento in cui non bisogna mettere la fiaccola sotto il moggio perché senza la luce della ragione, la fede si indebolisce (vedere cap. XIX, n. 7 di quest'opera).
Capita agli uomini in generale come ai singoli individui. Le generazioni hanno la loro infanzia, la loro gioventù e la loro età matura. Ogni cosa deve venire a tempo debito e il grano seminato fuori stagione non fruttifica. Ma ciò che la prudenza comanda di tacere momentaneamente deve prima o poi essere precisato perché, arrivati a un certo grado di sviluppo, gli uomini ricercano essi stessi la luce viva: l'oscurità li opprime. Gli uomini, avendo ricevuto da Dio l'intelligenza per comprendere e per orientarsi nelle cose della Terra e del Cielo, vogliono ragionare sulla loro fede. È proprio questo il momento in cui non bisogna mettere la fiaccola sotto il moggio perché senza la luce della ragione, la fede si indebolisce (vedere cap. XIX, n. 7 di quest'opera).
5. Se dunque, nella Sua
previdente saggezza, la Provvidenza non rivela le verità che
gradualmente, essa le scopre man mano che l'umanità si mostra matura per
riceverle. Le tiene cioè da parte e non sotto il moggio. Ma gli uomini
detentori di tali verità le nascondono, per la maggior parte del tempo,
al volgo solo allo scopo di dominarlo. Questi sono, in realtà, quelli
che mettono la fiaccola sotto il moggio. È così che tutte le religioni
hanno i loro misteri di cui interdicono le verifiche. Ma mentre queste
religioni sono rimaste indietro, la scienza e l'intelligenza hanno
proseguito nel loro cammino e squarciato il velo misterioso. Il volgo,
diventato adulto, ha voluto andare a fondo delle cose e ha rigettato
dalla sua fede tutto ciò che era contrario a quanto verificato.
Non possono esserci dei misteri assoluti in questo campo, e con ragione Gesù afferma che non c'è niente di segreto che non possa essere conosciuto. Tutto ciò che è nascosto sarà scoperto un giorno, e ciò che l'uomo non può ancora comprendere sulla Terra gli verrà successivamente svelato nei mondi più avanzati, quando sarà purificato. Quaggiù si perde ancora nella nebbia.
Non possono esserci dei misteri assoluti in questo campo, e con ragione Gesù afferma che non c'è niente di segreto che non possa essere conosciuto. Tutto ciò che è nascosto sarà scoperto un giorno, e ciò che l'uomo non può ancora comprendere sulla Terra gli verrà successivamente svelato nei mondi più avanzati, quando sarà purificato. Quaggiù si perde ancora nella nebbia.
6. Ci si domanda quale
profitto potesse trarre il popolo da questa infinità di parabole il cui
senso gli rimaneva nascosto. Bisogna notare che Gesù si è espresso in
forma di parabola solo sulle questioni in qualche modo astratte della
Sua dottrina. Ma, essendosi riferito alla carità verso il prossimo e
all'umiltà come a palesi condizioni di salvezza, tutto ciò che ha detto a
questo riguardo è perfettamente chiaro, esplicito e senza ambiguità.
Doveva essere così, perché riguardava una regola di condotta, regola che
tutti avrebbero dovuto comprendere per poterla osservare. Questo era
l'essenziale per la moltitudine ignorante alla quale Egli si limitava a
dire: «Ecco che cosa bisogna fare per guadagnarsi il Regno dei Cieli».
Sulle rimanenti questioni sviluppava il Suo pensiero solo con i Suoi
discepoli che, essendo più avanzati moralmente e intellettualmente,
aveva potuto iniziare alle verità più astratte. È per questo che dice: «A chiunque ha sarà dato, e sarà nell'abbondanza» (vedere cap. XVIII, n. 15 di quest'opera).
Ciononostante, anche con i Suoi apostoli, Gesù è restato nel vago su molti punti, la cui completa comprensione era rimandata a tempi successivi. Sono proprio questi punti che hanno dato luogo a interpretazioni così diverse, finché la Scienza da un lato e lo Spiritismo dall'altro non sono venuti a rivelare le nuove leggi di natura, che ne hanno fatto comprendere il vero significato.
Ciononostante, anche con i Suoi apostoli, Gesù è restato nel vago su molti punti, la cui completa comprensione era rimandata a tempi successivi. Sono proprio questi punti che hanno dato luogo a interpretazioni così diverse, finché la Scienza da un lato e lo Spiritismo dall'altro non sono venuti a rivelare le nuove leggi di natura, che ne hanno fatto comprendere il vero significato.
7. Lo Spiritismo viene oggi a
gettar luce su gran parte di questi puntioscuri. Ciononostante non la
getta a caso. Gli Spiriti procedono nelle loro istruzioni con
un'ammirevole prudenza. Solo in tempi successivi e per gradi hanno
affrontato le varie parti oggi conosciute della dottrina. Ed è così che
le altre parti verranno rivelate: man mano che si presenteranno le
giuste occasioni per farle uscire dall'ombra. Se Egli avesse presentato
la dottrina nella sua interezza fin dall'inizio, essa sarebbe stata
compresa solo da un numero esiguo di individui e avrebbe persino
sbigottito quelli che non erano preparati, cosa che avrebbe nuociuto
alla sua diffusione. Se dunque gli Spiriti non dicono ancora tutto
apertamente, non è perché nella dottrina ci sono dei misteri riservati
ai privilegiati, o perché vogliono mettere la fiaccola sotto il moggio,
ma perché ogni cosa deve avvenire al momento opportuno. Essi lasciano a
un'idea il tempo di maturare e di diffondersi, prima di presentarne
un'altra e agli avvenimenti quello di prepararne l'accoglimento.
Non andate dai Gentili
8. Questi
sono i dodici che Gesù mandò, dando loro queste istruzioni: Non andate
tra i pagani e non entrate in nessuna città dei Samaritani, ma andate
piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele. Andando,
predicate e dite: "Il regno dei cieli è vicino"». (Matteo 10:5-7)
9. Gesù dimostra in varie
circostanze che le Sue idee non sono affatto circoscritte al popolo
giudaico, ma abbracciano tutta l'umanità. Se dunque Egli ha detto ai
Suoi apostoli di non andare dai Pagani, non è stato perché fosse
contrario alla conversione di costoro, cosa che sarebbe stata poco
caritatevole, ma perché i Giudei, che credevano nel Dio unico e
attendevano il Messia, erano preparati, attraverso la legge di Mosè e
dai profeti, a ricevere la Sua parola. Presso i Pagani invece, mancando
la base stessa, tutto era da fare, e gli apostoli non erano ancora
abbastanza istruiti per un compito così oneroso. È per questo che ha
detto loro: «Andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele»; ossia,
andate a seminare in un terreno già dissodato, sapendo bene che la
conversione dei Gentili sarebbe avvenuta a suo tempo. In effetti è nel
centro stesso del paganesimo che più tardi gli apostoli sarebbero andati
a piantare la croce.
10. Queste parole possono
applicarsi agli adepti e a coloro che diffondono lo Spiritismo. Gli
increduli sistematici, gli sbeffeggiatori ostinati, gli avversari
interessati sono per loro quello che i Gentili erano per gli apostoli.
Sul loro esempio, essi dovranno cercare i loro seguaci prima di tutto
fra la gente di buona volontà, fra quelli che desiderano la luce, e fra
quelli in cui già si trova un germe fecondo. E il loro numero è così
grande, che non c'è bisogno di perdere tempo con quelli che rifiutano di
vedere e di udire e che tanto più si irrigidiscono, per orgoglio,
quanto più sembra si dia importanza alla loro conversione. Meglio aprire
gli occhi a cento ciechi che desiderano vedere chiaro, che a uno solo
che si compiace di stare al buio, perché questo significherebbe
aumentare notevolmente il numero dei sostenitori della causa. Lasciare
gli altri per conto loro non è indifferenza ma buona politica. Il loro
turno verrà quando saranno dominati dall'opinione generale e quando
sentiranno continuamente ripetere la stessa cosa intorno a sé. Allora
crederanno di accettare l'idea volontariamente e da se stessi e non
sotto la pressione di un individuo. Infine accade per le idee come per
le sementi: non possono germogliare né prima della stagione né in un
terreno che non sia stato predisposto. È per questo che è meglio
attendere il tempo propizio e coltivare prima quelle che già
germogliano, evitando di fallire con le altre facendo su di loro troppa
pressione.
Ai tempi di Gesù, a causa delle idee ristrette e materiali dell'epoca, tutto era circoscritto e localizzato. La casa di Israele era un piccolo popolo, i Gentili erano delle piccole comunità dei dintorni. Oggi le idee si universalizzano e si spiritualizzano. La luce nuova non è privilegio di nessuna nazione. Per lei non ci sono più barriere, essa ha il suo focolare ovunque e tutti gli uomini sono fratelli. Né i Gentili sono più un determinato popolo, ma un'opinione che si incontra dappertutto, e la cui verità trionfa a poco a poco, come il Cristianesimo ha trionfato sul Paganesimo. Non si combatte più con le armi di guerra, ma con la forza dell'idea.
Ai tempi di Gesù, a causa delle idee ristrette e materiali dell'epoca, tutto era circoscritto e localizzato. La casa di Israele era un piccolo popolo, i Gentili erano delle piccole comunità dei dintorni. Oggi le idee si universalizzano e si spiritualizzano. La luce nuova non è privilegio di nessuna nazione. Per lei non ci sono più barriere, essa ha il suo focolare ovunque e tutti gli uomini sono fratelli. Né i Gentili sono più un determinato popolo, ma un'opinione che si incontra dappertutto, e la cui verità trionfa a poco a poco, come il Cristianesimo ha trionfato sul Paganesimo. Non si combatte più con le armi di guerra, ma con la forza dell'idea.
Non sono i sani che hanno bisogno del medico
11.
Mentre Gesù era a tavola in casa di Matteo, molti pubblicani e
"peccatori" vennero e si misero a tavola con Gesù e con i suoi
discepoli. I farisei, veduto ciò, dicevano ai suoi discepoli: «Perché il
vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?» Ma Gesù,
avendoli uditi, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma
i malati». (Matteo 9:10-12)
12. Gesù si rivolgeva
soprattutto ai poveri e ai derelitti, perché sono loro che hanno più
bisogno di consolazione; ai ciechi docili e di buona fede, perché
chiedono di vedere, e non agli orgogliosi che credono di possedere tutta
la luce e di non aver bisogno di niente (vedere, nell'Introduzione,
paragr. 3, voce Pubblicani e Gabellieri).
Queste parole, come tante altre, trovano la loro applicazione nello Spiritismo. Ci si stupisce a volte che la medianità venga accordata a persone indegne e, per questo, capaci di farne un cattivo uso. Sembra, si è soliti dire, che una facoltà così preziosa dovrebbe essere esclusivo attributo dei più meritevoli.
Diciamo, prima di tutto, che la medianità attiene a una disposizione organica di cui ogni uomo può essere dotato, così come è dotato della vista, dell'udito e della parola. Non c'è una sola di queste facoltà di cui l'uomo, in virtù del suo libero arbitrio, non possa abusare, e se Dio avesse concesso la parola, per esempio, solo a quelli incapaci di dire cose cattive, ci sarebbero più muti che parlanti. Dio ha dato all'uomo delle facoltà. Lo lascia libero di fruirne, ma punisce sempre quelli che di tali facoltà abusano.
Se il potere di comunicare con gli Spiriti fosse dato solo ai più degni, chi oserebbe pretenderlo? D'altra parte come stabilire il confine fra degno e indegno? La medianità viene data senza discriminazioni, affinché gli Spiriti possano portare la luce in tutte le categorie, in tutte le classi della società, presso i poveri e presso i ricchi, presso i saggi per fortificarli nel bene, presso i viziosi per correggerli. Questi ultimi non sono forse dei malati che hanno bisogno del medico? Perché Dio, che non vuole la morte del peccatore, dovrebbe privarlo del soccorso che può toglierlo dal fango? I buoni Spiriti vengono in aiuto del peccatore, e i loro consigli, ch'egli riceve direttamente, sono tali da impressionarlo più vivamente che se li ricevesse per vie traverse. Dio, nella Sua bontà, per risparmiargli la fatica di andare a cercare la luce lontano, gliela pone nelle mani. Non sarebbe egli ben più colpevole se non vi badasse? Potrà mai scusarsi adducendo una sua ignoranza, quando avrà scritto di suo pugno, visto con i suoi occhi, udito Con le sue orecchie e pronunciato con la sua bocca la sua condanna? Se non ne trae vantaggio, allora verrà punito con la perdita o la degenerazione della sua facoltà, di cui i cattivi Spiriti approfitteranno per ossessionarlo e ingannarlo, senza pregiudizio delle vere afflizioni con cui Dio colpisce i Suoi servitori indegni e i cuori induriti dall'orgoglio e dall'egoismo.
D'altra parte la medianità non implica necessariamente contatti abituali con gli Spiriti superiori. È semplicemente un'attitudine, che serve da strumento più o meno flessibile per gli Spiriti in generale. Il buon medium non è dunque colui che comunica facilmente, ma colui che è "simpatico" ai buoni Spiriti ed è assistito soltanto da loro. È solamente in questo senso che l'eccellenza delle qualità morali è di assoluta importanza nella medianità.
Queste parole, come tante altre, trovano la loro applicazione nello Spiritismo. Ci si stupisce a volte che la medianità venga accordata a persone indegne e, per questo, capaci di farne un cattivo uso. Sembra, si è soliti dire, che una facoltà così preziosa dovrebbe essere esclusivo attributo dei più meritevoli.
Diciamo, prima di tutto, che la medianità attiene a una disposizione organica di cui ogni uomo può essere dotato, così come è dotato della vista, dell'udito e della parola. Non c'è una sola di queste facoltà di cui l'uomo, in virtù del suo libero arbitrio, non possa abusare, e se Dio avesse concesso la parola, per esempio, solo a quelli incapaci di dire cose cattive, ci sarebbero più muti che parlanti. Dio ha dato all'uomo delle facoltà. Lo lascia libero di fruirne, ma punisce sempre quelli che di tali facoltà abusano.
Se il potere di comunicare con gli Spiriti fosse dato solo ai più degni, chi oserebbe pretenderlo? D'altra parte come stabilire il confine fra degno e indegno? La medianità viene data senza discriminazioni, affinché gli Spiriti possano portare la luce in tutte le categorie, in tutte le classi della società, presso i poveri e presso i ricchi, presso i saggi per fortificarli nel bene, presso i viziosi per correggerli. Questi ultimi non sono forse dei malati che hanno bisogno del medico? Perché Dio, che non vuole la morte del peccatore, dovrebbe privarlo del soccorso che può toglierlo dal fango? I buoni Spiriti vengono in aiuto del peccatore, e i loro consigli, ch'egli riceve direttamente, sono tali da impressionarlo più vivamente che se li ricevesse per vie traverse. Dio, nella Sua bontà, per risparmiargli la fatica di andare a cercare la luce lontano, gliela pone nelle mani. Non sarebbe egli ben più colpevole se non vi badasse? Potrà mai scusarsi adducendo una sua ignoranza, quando avrà scritto di suo pugno, visto con i suoi occhi, udito Con le sue orecchie e pronunciato con la sua bocca la sua condanna? Se non ne trae vantaggio, allora verrà punito con la perdita o la degenerazione della sua facoltà, di cui i cattivi Spiriti approfitteranno per ossessionarlo e ingannarlo, senza pregiudizio delle vere afflizioni con cui Dio colpisce i Suoi servitori indegni e i cuori induriti dall'orgoglio e dall'egoismo.
D'altra parte la medianità non implica necessariamente contatti abituali con gli Spiriti superiori. È semplicemente un'attitudine, che serve da strumento più o meno flessibile per gli Spiriti in generale. Il buon medium non è dunque colui che comunica facilmente, ma colui che è "simpatico" ai buoni Spiriti ed è assistito soltanto da loro. È solamente in questo senso che l'eccellenza delle qualità morali è di assoluta importanza nella medianità.
Il coraggio della fede
13.
Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui
davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti
agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei
cieli. (Matteo 10:32-33)
14.
Perché se uno ha vergogna di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo
avrà vergogna di lui, quando verrà nella gloria sua e del Padre e dei
santi angeli. (Luca 9:26)
15. Il coraggio delle
proprie opinioni ha sempre meritato la stima dagli uomini, perché è una
prova di dignità affrontare i pericoli, le persecuzioni, le
contraddizioni e anche i semplici dileggi, ai quali si espone quasi
sempre chi non ha paura di confessare apertamente delle idee che non
sono approvate da tutti. Qui, come in tutte le cose, il merito è
commisurato alle circostanze e all'importanza del risultato. È sempre
segno di debolezza indietreggiare di fronte alle conseguenze delle
proprie opinioni rinnegandole, ma ci sono casi in cui la codardia è
tanto grande quanto quella di fuggire nel momento del combattimento.
Gesù condanna questa codardia dal particolare punto di vista della Sua dottrina dicendo che, se qualcuno arrossisce per le Sue parole, anche Lui arrossirà. Rinnegherà chi l'avrà rinnegato, mentre riconoscerà davanti al Padre Suo che è nei Cieli chi Lo riconoscerà di fronte agli uomini. In altri termini: coloro che avranno paura di confessarsi discepoli della verità, non sono degni di essere ammessi nei regno della verità. Essi perderanno il beneficio della loro fede, perché è una fede egoistica, che conservano per se stessi, ma che nascondono per paura che porti loro danno in questo mondo. Coloro invece che, mettendo la verità al di sopra dei loro interessi materiali, la proclamano apertamente, lavorano allo stesso tempo per il loro avvenire e per quello degli altri.
Gesù condanna questa codardia dal particolare punto di vista della Sua dottrina dicendo che, se qualcuno arrossisce per le Sue parole, anche Lui arrossirà. Rinnegherà chi l'avrà rinnegato, mentre riconoscerà davanti al Padre Suo che è nei Cieli chi Lo riconoscerà di fronte agli uomini. In altri termini: coloro che avranno paura di confessarsi discepoli della verità, non sono degni di essere ammessi nei regno della verità. Essi perderanno il beneficio della loro fede, perché è una fede egoistica, che conservano per se stessi, ma che nascondono per paura che porti loro danno in questo mondo. Coloro invece che, mettendo la verità al di sopra dei loro interessi materiali, la proclamano apertamente, lavorano allo stesso tempo per il loro avvenire e per quello degli altri.
16. Lo stesso accadrà ai
seguaci dello Spiritismo, perché la loro dottrina altro non è che lo
sviluppo e l'applicazione di quella del Vangelo. Anche a loro sono
rivolte le parole di Cristo. Essi seminano sulla Terra ciò che
raccoglieranno nella vita spirituale: là raccoglieranno i frutti del
loro coraggio o della loro debolezza.
Portare la propria croce. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà
17.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno, e quando vi scacceranno da
loro, e vi insulteranno e metteranno al bando il vostro nome come
malvagio, a motivo del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno e
saltate di gioia, perché, ecco, il vostro premio è grande nei cieli;
perché i padri loro facevano lo stesso ai profeti. (Luca 6:22-23)
18.
Chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Se uno vuoi
venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua
vita per amor mio e del vangelo, la salverà. E che giova all'uomo se
guadagna tutto il mondo e perde l'anima sua?» (Marco 8:34-36; Matteo 10:38-39; Giovanni 12:25-26; Luca 9:23-25)
19. «Beati voi», dice Gesù, «quando
gli uomini vi odieranno, e quando vi scacceranno da loro, e vi
insulteranno a causa del Figlio dell'uomo perché, ecco, il vostro premio
è grande nei Cieli». Queste parole possono essere tradotte così:
Siate felici quando degli uomini, per cattivo volere nei vostri
riguardi, vi offrono l'occasione di dimostrare la sincerità della vostra
fede, perché il male che vi fanno torna a vostro vantaggio.
Compiangeteli dunque per la loro cecità, e non malediteli.
Dopo aggiunge: «Se uno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua». Ossia sopporti coraggiosamente le tribolazioni che la Sua fede gli arrecherà. Perché colui che vorrà salvare la sua vita e i suoi beni rinunciando a me, perderà i vantaggi del Regno dei Cieli. Coloro, invece, che avranno perso tutto su questa Terra, anche la vita per il trionfo della verità, riceveranno nella vita futura il premio del loro coraggio, della loro perseveranza e della loro abnegazione. Ma a quelli che sacrificano i beni celesti per le soddisfazioni terrene, Dio dice: Voi avete già ricevuto la vostra ricompensa».
Dopo aggiunge: «Se uno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua». Ossia sopporti coraggiosamente le tribolazioni che la Sua fede gli arrecherà. Perché colui che vorrà salvare la sua vita e i suoi beni rinunciando a me, perderà i vantaggi del Regno dei Cieli. Coloro, invece, che avranno perso tutto su questa Terra, anche la vita per il trionfo della verità, riceveranno nella vita futura il premio del loro coraggio, della loro perseveranza e della loro abnegazione. Ma a quelli che sacrificano i beni celesti per le soddisfazioni terrene, Dio dice: Voi avete già ricevuto la vostra ricompensa».
Capitolo XXV - CERCATE ETROVERETE
Aiutati, e il cielo ti aiuterà
1.
«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;
perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi
bussa. Qual è l'uomo tra di voi, il quale, se il figlio gli chiede un
pane, gli dia una pietra? Oppure se gli chiede un pesce, gli dia un
serpente? Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai
vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose
buone a quelli che gliele domandano!» (Matteo 7:7-11)
2. Dal punto di vista terreno, la massima cercate e troverete è analoga ad aiutati, e il cielo ti aiuterà. È il principio della legge del lavoro e, di conseguenza, della legge del progresso. Perché il progresso è prodotto dal lavoro e perché il lavoro mette in azione le forze dell' intelligenza.
Agli albori dell'umanità, l'uomo impiega l'intelligenza solo nella ricerca del nutrimento e dei mezzi per mettersi al riparo dalle intemperie e per difendersi dai nemici. Ma Dio ha dato a lui qualcosa di più che agli animali, ossia il desiderio incessante di progredire. È questo desiderio che lo spinge alla ricerca dei mezzi per migliorare le sue condizioni, che lo porta alle scoperte, alle invenzioni, al perfezionamento della scienza, poiché è la scienza che gli procura ciò di cui necessita. Attraverso le ricerche, la sua intelligenza si evolve e la sua morale si purifica. Ai bisogni materiali seguono quelli dello spirito. Dopo il nutrimento materiale, ci vuole quello spirituale. Ed è così che l'uomo passa dallo stato selvaggio a quello della civilizzazione.
Ma il progresso che ogni uomo compie singolarmente durante la sua vita è ben poca cosa, persino impercettibile per la maggior parte di essi. Come potrebbe allora l'umanità progredire senza la preesistenza e la resistenza dell'anima? Se le anime se ne andassero ogni giorno senza più ritornare, l'umanità si rinnoverebbe incessantemente, con gli elementi primitivi, e tornerebbe a dover fare tutto e impararetutto. Pertanto non si spiegherebbe perché l'uomo è oggi più avanzato che nelle prime età del mondo se dovesse a ogni nascita ricominciare daccapo tutti i lavori intellettuali. L'anima, al contrario, ritorna con il suo bagaglio di progresso compiuto, acquisendone ogni volta di più. Essa passa così, gradualmente, dalla barbarie alla civilizzazione materiale e da questa alla civilizzazione morale (vedere cap. IV, n. 17 di quest'opera).
Agli albori dell'umanità, l'uomo impiega l'intelligenza solo nella ricerca del nutrimento e dei mezzi per mettersi al riparo dalle intemperie e per difendersi dai nemici. Ma Dio ha dato a lui qualcosa di più che agli animali, ossia il desiderio incessante di progredire. È questo desiderio che lo spinge alla ricerca dei mezzi per migliorare le sue condizioni, che lo porta alle scoperte, alle invenzioni, al perfezionamento della scienza, poiché è la scienza che gli procura ciò di cui necessita. Attraverso le ricerche, la sua intelligenza si evolve e la sua morale si purifica. Ai bisogni materiali seguono quelli dello spirito. Dopo il nutrimento materiale, ci vuole quello spirituale. Ed è così che l'uomo passa dallo stato selvaggio a quello della civilizzazione.
Ma il progresso che ogni uomo compie singolarmente durante la sua vita è ben poca cosa, persino impercettibile per la maggior parte di essi. Come potrebbe allora l'umanità progredire senza la preesistenza e la resistenza dell'anima? Se le anime se ne andassero ogni giorno senza più ritornare, l'umanità si rinnoverebbe incessantemente, con gli elementi primitivi, e tornerebbe a dover fare tutto e impararetutto. Pertanto non si spiegherebbe perché l'uomo è oggi più avanzato che nelle prime età del mondo se dovesse a ogni nascita ricominciare daccapo tutti i lavori intellettuali. L'anima, al contrario, ritorna con il suo bagaglio di progresso compiuto, acquisendone ogni volta di più. Essa passa così, gradualmente, dalla barbarie alla civilizzazione materiale e da questa alla civilizzazione morale (vedere cap. IV, n. 17 di quest'opera).
3. Se Dio avesse affrancato
l'uomo dal lavoro materiale, le sue membra sarebbero atrofizzate; se
l'avesse affrancato dal lavoro intellettuale, il suo spirito sarebbe
rimasto all'età dell'infanzia, allo stato di istinto animale. Ecco
perché ha fatto sì che il lavoro diventasse per lui una necessità. Ha
detto agli uomini: cercate e troverete, lavorate e produrrete, in questo modo sarete figli delle vostre opere, ne avrete il merito e sarete ricompensati per quanto avrete fatto.
4. È in applicazione a
questo principio che gli Spiriti non risparmiano all'uomo la fatica
della ricerca. Se gli portassero scoperte e invenzioni già fatte e
bell'e pronte per essere impiegate, egli non dovrebbe far altro che
prendere ciò che gli viene messo tra le mani, senza darsi né la pena di
doversi abbassare a raccoglierle né quella di dover pensare. Se così
fosse, i più pigri potrebbero arricchirsi, e i più ignoranti diventare
sapienti a buon mercato, e gli uni e gli altri si prenderebbero il
merito di quanto non avrebbero assolutamente fatto. No, gli
Spiriti non vengono assolutamente ad affrancare l'uomo dalla legge del
lavoro, ma per mostrargli la meta cui deve tendere e la via che ve lo
conduce, dicendogli: «Cammina e arriverai. Incontrerai dei macigni sul
tuo cammino: stai in guardia e allontanali da te. Noi ti daremo la forza
necessaria, se tu vorrai impiegarla» (Il libro dei Medium, cap. XXVI, n. 291 e segg.)
5. Dal punto di vista
morale, queste parole di Gesù significano: domandate la luce che deve
illuminare la vostra rotta, e vi sarà data; domandate la forza di
resistere al male, e l'avrete; domandate l'assistenza dei buoni Spiriti,
ed essi si metteranno al vostro fianco e, come l'angelo di Tobia, vi
serviranno come guide. Domandate dei buoni consigli, e non vi saranno
mai rifiutati; bussate alla nostra porta, e vi sarà aperta. Ma domandate
sinceramente, con fede, fervore e fiducia. Presentatevi con umiltà e
non con arroganza, altrimenti sarete abbandonati a voi stessi, e le
cadute stesse che voi farete saranno la punizione del vostro orgoglio.
Tale è il senso delle parole: «Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto».
Tale è il senso delle parole: «Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto».
Osservate gli uccelli del cielo
6. «Non
fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e
dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né
tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano.
Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore.
Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita?
E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede?
Non siate dunque in ansia dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
Cercate prima il regno e la giustizia di .Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.» (Matteo 6:19-21, 25-34)
Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita?
E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede?
Non siate dunque in ansia dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
Cercate prima il regno e la giustizia di .Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.» (Matteo 6:19-21, 25-34)
7. Queste parole prese alla
lettera sarebbero la negazione di ogni previdenza, di ogni lavoro e, di
conseguenza, di ogni progresso. Con tale principio, l'uomo si ridurrebbe
a un'attesa passiva, e le sue forze fisiche e intellettuali
rimarrebbero inattive. Se questa fosse stata la sua condizione normale
sulla Terra, non sarebbe mai uscito dallo stato primitivo, e se oggi ne
facesse la sua legge, non gli rimarrebbe altro che vivere senza fare
niente. È evidente che tale non può essere stato il pensiero di Gesù,
perché sarebbe in contraddizione con quanto ha detto in altre occasioni e
con le leggi stesse della natura. Dio ha creato l'uomo senza vestiti e
senza riparo, ma gli ha dato l'intelligenza per poterseli procurare
(vedere cap. XIV, n. 6; cap. XXV, n. 2 di quest'opera).
Si deve dunque vedere in queste parole una poetica allegoria della Provvidenza, che non abbandona mai quanti ripongono in lei la loro fiducia, però vuole che gli uomini facciano la loro parte. Quand'essa non venga in aiuto con un soccorso materiale, ispira le idee con le quali si trova il modo di trarsi d'impaccio (vedere cap. XXVII, n. 8 di quest'opera).
Dio conosce i nostri bisogni e predispone secondo necessità. Ma l'uomo, incostante nei suoi desideri, non sempre sa accontentarsi di quello che ha. Il necessario non gli basta, gli ci vuole il superfluo. È allora che la Provvidenza lo abbandona a se stesso. Sovente è infelice proprio a causa di se stesso e per non aver dato retta alla voce che lo avvertiva attraverso la sua coscienza. Dio lascia che ne subisca le conseguenze, affinché ciò gli serva di lezione per il futuro (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
Si deve dunque vedere in queste parole una poetica allegoria della Provvidenza, che non abbandona mai quanti ripongono in lei la loro fiducia, però vuole che gli uomini facciano la loro parte. Quand'essa non venga in aiuto con un soccorso materiale, ispira le idee con le quali si trova il modo di trarsi d'impaccio (vedere cap. XXVII, n. 8 di quest'opera).
Dio conosce i nostri bisogni e predispone secondo necessità. Ma l'uomo, incostante nei suoi desideri, non sempre sa accontentarsi di quello che ha. Il necessario non gli basta, gli ci vuole il superfluo. È allora che la Provvidenza lo abbandona a se stesso. Sovente è infelice proprio a causa di se stesso e per non aver dato retta alla voce che lo avvertiva attraverso la sua coscienza. Dio lascia che ne subisca le conseguenze, affinché ciò gli serva di lezione per il futuro (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
8. La Terra produce
abbastanza per nutrire tutti i suoi abitanti, quando gli uomini sapranno
amministrare i beni che essa dà, secondo le leggi di giustizia, carità e
amore per il prossimo. Quando la fraternità regnerà fra i vari popoli,
come fra le province di uno stesso impero, il superfluo momentaneo
dell'uno supplirà alla carenza momentanea dell'altro, e ognuno avrà il
necessario. Il ricco si considererà allora come un uomo che possieda una
grande quantità di sementi; se le spargerà nel terreno, produrranno
cento volte di più per lui e per gli altri. Ma se se ne nutre lui solo,
se sciupa e lascia perdere ciò che avanza, questi semi non produrranno
niente, e non ce ne sarà per tutti. Se li chiude nel suo granaio, i
vermi li mangeranno. È per questo che Gesù ha detto: «Non fatevi tesori sulla Terra, perché sono perituri; ma fatevi dei tesori in Cielo, perché sono eterni» In
altri termini, non date maggiore importanza ai beni materiali piuttosto
che ai beni spirituali, e sappiate sacrificare i primi a vantaggio dei
secondi (vedere cap. XVI, n. 7 e segg. di quest'opera).
Non è con le leggi che si stabiliscono la carità e la fraternità. Se esse non si trovano nel cuore, l'egoismo le soffocherà sempre. Introdurle è opera dello Spiritismo.
Non è con le leggi che si stabiliscono la carità e la fraternità. Se esse non si trovano nel cuore, l'egoismo le soffocherà sempre. Introdurle è opera dello Spiritismo.
Non preoccupatevi di possedere dell'oro
9.
Non provvedetevi d'oro, né d'argento, né di rame nelle vostre cinture,
né di sacca da viaggio, né di due tuniche, né di calzari, né di bastone,
perché l'operaio è degno del suo nutrimento. (Matteo 10:9-10)
10.
In qualunque città o villaggio sarete entrati, informatevi se vi sia là
qualcuno degno di ospitarvi, e abitate da lui finché partirete. Quando
entrerete nella casa, salutate. Se quella casa ne è degna, venga la
vostra pace su di essa; se invece non ne è degna, la vostra pace torni a
voi. Se qualcuno non vi riceve né ascolta le vostre parole, uscendo da
quella casa o da quella città, scotete la polvere dai vostri piedi. In
verità vi dico che il paese di Sodoma e di Gomorra, nel giorni del
giudizio, sarà trattato con meno rigore di quella città. (Matteo 10:11-15)
11. Queste parole, che Gesù
rivolgeva ai Suoi apostoli, quando li inviò ad annunciare per la prima
volta la buona novella, non avevano nulla di strano a quell'epoca. Esse
erano conformi ai costumi patriarcali dell'Oriente, dove il viandante
veniva sempre accolto sotto la tenda. Ma allora i viandanti erano rari.
Presso i popoli moderni l'incremento della circolazione ha imposto nuovi
costumi, ed esempi sul genere di quelli dei tempi antichi si possono
trovare in contrade sperdute, non ancora raggiunte dai grandi
spostamenti. E se Gesù ritornasse oggi, non potrebbe più dire ai Suoi
apostoli: «Mettetevi in viaggio senza provviste».
Oltre al senso letterale, queste parole hanno un senso morale molto profondo. Gesù in questo modo insegnava ai Suoi discepoli ad avere fiducia nella Provvidenza. Inoltre, non possedendo costoro niente, non potevano suscitare la cupidigia in coloro che li accoglievano. Era un modo per distinguere i caritatevoli dagli egoisti. È per questo ch'Egli dice loro: «Informatevi se vi sia là qualcuno degno di ospitarvi, e abitate da lui finché partirete»; ossia abbastanza umano da ospitare chi non ha di che pagare, perché questo sarà quello degno di ascoltare le vostre parole. È dalla sua carità che lo riconoscerete.
Quanto a coloro che non vorranno né riceverli né ascoltarli, ha forse Egli detto ai Suoi apostoli di maledirli, di imporsi a loro, di usare la violenza e la forza per convertirli? No. Ha semplicemente detto loro di andarsene altrove e di cercare altrove gente di buona volontà.
Così, oggi, lo Spiritismo dice ai suoi seguaci: «Non fate pressione su nessuna coscienza, non costringete nessuno a lasciare il proprio credo per adottare il vostro e non lanciate anatemi su quelli che non pensano come voi. Accogliete quelli che vengono a voi e lasciate in pace quelli che vi rifiutano». Ricordatevi delle parole di Cristo: «Un tempo il regno dei cieli era preso a forza, oggi con la dolcezza» (vedere cap. IV, nn. 10 e 11 di quest'opera).
Oltre al senso letterale, queste parole hanno un senso morale molto profondo. Gesù in questo modo insegnava ai Suoi discepoli ad avere fiducia nella Provvidenza. Inoltre, non possedendo costoro niente, non potevano suscitare la cupidigia in coloro che li accoglievano. Era un modo per distinguere i caritatevoli dagli egoisti. È per questo ch'Egli dice loro: «Informatevi se vi sia là qualcuno degno di ospitarvi, e abitate da lui finché partirete»; ossia abbastanza umano da ospitare chi non ha di che pagare, perché questo sarà quello degno di ascoltare le vostre parole. È dalla sua carità che lo riconoscerete.
Quanto a coloro che non vorranno né riceverli né ascoltarli, ha forse Egli detto ai Suoi apostoli di maledirli, di imporsi a loro, di usare la violenza e la forza per convertirli? No. Ha semplicemente detto loro di andarsene altrove e di cercare altrove gente di buona volontà.
Così, oggi, lo Spiritismo dice ai suoi seguaci: «Non fate pressione su nessuna coscienza, non costringete nessuno a lasciare il proprio credo per adottare il vostro e non lanciate anatemi su quelli che non pensano come voi. Accogliete quelli che vengono a voi e lasciate in pace quelli che vi rifiutano». Ricordatevi delle parole di Cristo: «Un tempo il regno dei cieli era preso a forza, oggi con la dolcezza» (vedere cap. IV, nn. 10 e 11 di quest'opera).
Capitolo XXVI - GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO GRATUITAMENTE DATE
Il dono di guarire
1.
Guarite gli ammalati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi,
scacciate i demoni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. (Matteo 10:8)
2. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» dice
Gesù ai Suoi discepoli. Con questo precetto Egli stabilisce di non fare
assolutamente pagare ciò per cui essi stessi non hanno pagato. Ora, ciò
che essi avevano ricevuto gratuitamente era la facoltà di guarire i
malati e quella di cacciare i demoni, ossia gli Spiriti cattivi. Questo
dono è stato loro dato gratuitamente da Dio per dare sollievo a quelli
che soffrono e per aiutarli a diffondere la fede. E ha loro precisato di
non fare di tale dono assolutamente né commercio né oggetto di
speculazione né mezzo per vivere.
Preghiere pagate
3.
Mentre tutto il popolo lo ascoltava, egli disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dagli Scribi, i quali passeggiano volentieri in lunghe
vesti, amano essere salutati nelle piazze e avere i primi posti nelle
sinagoghe e nei conviti; essi divorano le case delle vedove e fanno
lunghe preghiere per mettersi in mostra. Costoro riceveranno una
condanna maggiore» (Luca 20:45-47; Marco 12:38-40; Matteo 23:14)
4. Gesù dice anche: «Non fate assolutamente pagare le vostre preghiere. Guardatevi dagli Scribi che divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere»; ossia
s'impossessano delle loro fortune. La preghiera è un atto di carità,
uno slancio del cuore. Far pagare quelle che si rivolgono a Dio per
conto di altri significa essere degli intermediari salariati, e la
preghiera diventa allora una formula la cui durata è proporzionale alla
somma pagata. Ora, è possibile che Dio commisuri le sue grazie secondo
il numero delle parole? Se sono necessarie molte preghiere, perché dirne
poche, o addirittura nessuna, per chi non può pagare? Questa è mancanza
di carità. Se una sola preghiera basta, il di più è inutile. Perché
dunque farlo pagare? È una prevaricazione.
Dio non vende i benefici, ch'Egli concede. Perché dunque chi non ne è neppure l'erogatore né può garantirne il conseguimento, dovrebbe farsi pagare una richiesta che può essere senza esito? Dio non può subordinare a una somma di denaro un atto di clemenza, di bontà o di giustizia che si implora dalla Sua misericordia. Altrimenti ne conseguirebbe che, se la somma non venisse pagata o fosse insufficiente, la giustizia, la bontà e la clemenza di Dio verrebbero annullate. La ragione, il buon senso e la logica ci dicono che Dio, perfezione assoluta, non può delegare a creature imperfette il diritto di applicare un prezzo alla Sua giustizia. La giustizia di Dio è come il sole: la sua luce si spande su tutti, sul povero come sul ricco. Se si considera immorale commerciare le grazie di un sovrano sulla Terra, è forse più lecito vendere quelle del sovrano dell'Universo?
Le preghiere pagate hanno un altro inconveniente: chi le compera si ritiene quasi sempre dispensato dal pregare lui stesso, perché si considera come esonerato dal momento che ha dato i suoi soldi.
Si sa che gli Spiriti sono colpiti dal fervore del pensiero di quelli che si rivolgono a loro. Quale può essere il fervore di chi, pagando, affida l'incarico a una terza persona perché preghi in sua vece? Quale può essere il fervore di questa terza persona quando essa delega il mandato a un'altra, e questa a un'altra ancora, e via di seguito? Non significa forse abbassare l'efficacia della preghiera a livello di moneta corrente?
Dio non vende i benefici, ch'Egli concede. Perché dunque chi non ne è neppure l'erogatore né può garantirne il conseguimento, dovrebbe farsi pagare una richiesta che può essere senza esito? Dio non può subordinare a una somma di denaro un atto di clemenza, di bontà o di giustizia che si implora dalla Sua misericordia. Altrimenti ne conseguirebbe che, se la somma non venisse pagata o fosse insufficiente, la giustizia, la bontà e la clemenza di Dio verrebbero annullate. La ragione, il buon senso e la logica ci dicono che Dio, perfezione assoluta, non può delegare a creature imperfette il diritto di applicare un prezzo alla Sua giustizia. La giustizia di Dio è come il sole: la sua luce si spande su tutti, sul povero come sul ricco. Se si considera immorale commerciare le grazie di un sovrano sulla Terra, è forse più lecito vendere quelle del sovrano dell'Universo?
Le preghiere pagate hanno un altro inconveniente: chi le compera si ritiene quasi sempre dispensato dal pregare lui stesso, perché si considera come esonerato dal momento che ha dato i suoi soldi.
Si sa che gli Spiriti sono colpiti dal fervore del pensiero di quelli che si rivolgono a loro. Quale può essere il fervore di chi, pagando, affida l'incarico a una terza persona perché preghi in sua vece? Quale può essere il fervore di questa terza persona quando essa delega il mandato a un'altra, e questa a un'altra ancora, e via di seguito? Non significa forse abbassare l'efficacia della preghiera a livello di moneta corrente?
I mercanti cacciati dal tempio
5. Vennero
a Gerusalemme e Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare coloro
che vendevano e compravano nel tempio; rovesciò le tavole dei
cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi; e non permetteva a
nessuno di portare oggetti attraverso il tempio. E insegnava, dicendo
loro: «Non è scritto: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per
tutte le genti?" Ma voi ne avete fatto un covo di ladroni». I capi dei
sacerdoti e gli scribi udirono queste cose e cercavano il modo di farlo
morire. Infatti avevano paura di lui, perché tutta la folla era piena
d'ammirazione per il suo insegnamento. (Marco 11:15-18; Matteo 21:12-13)
6. Gesù ha cacciato i mercanti dal tempio. Con ciò Egli condanna il traffico delle cose sacre sotto qualsiasi forma. Dio
non vende né la Sua benedizione né il perdono né l'entrata nel Regno
dei Cieli. L'uomo non ha quindi il diritto di farli pagare.
Medianità gratuita
7. I medium di oggi — poiché
anche gli apostoli avevano facoltà medianiche — hanno anch'essi
ricevuto da Dio un dono gratuito, quello cioè di essere interpreti degli
Spiriti per istruire gli uomini, per mostrar loro la via del bene e
condurli alla fede, e non certo per vendere delle parole che a loro non
appartengono, perché non sono il prodotto né del loro pensiero né delle loro ricerche né del loro lavoro personale. Dio
vuole che la luce arrivi a tutti, non vuole che il povero ne sia
privato e possa dire: «Non ho la fede perché non ho potuto pagarla. Non
ho avuto la consolazione di ricevere gli incoraggiamenti e le
testimonianze d'affetto di quelli di cui soffro la dipartita, perché
sono povero. Ecco perché la medianità non è assolutamente un privilegio e
si trova ovunque. Farla pagare sarebbe dunque come fuorviarla dal suo
scopo provvidenziale.
8. Chiunque conosca le
condizioni nelle quali i buoni Spiriti comunicanola loro avversione per
tutto ciò che denoti un interesse egoistico e sappia come basti poco per
allontanarli, non potrà mai ammettere che degli Spiriti superiori siano
a disposizione del primo che li invochi a un tanto per assemblea. Il
semplice buon senso respinge tale pensiero. D'altra parte non è forse
anche una profanazione evocare, in cambio di denaro, gli esseri che
rispettiamo e che ci sono cari? Senza dubbio ci potrebbero pur essere
delle manifestazioni, ma chi garantirebbe che essi sono sinceri? Gli
Spiriti leggeri, bugiardi, astuti e tutta la moltitudine degli Spiriti
inferiori, molto poco scrupolosi, si presentano sempre e sempre sono
pronti a rispondere a chi porge domande, senza troppo preoccuparsi della
verità. Chi, dunque, vuole delle comunicazioni serie deve innanzitutto
richiederle seriamente, assicurandosi poi sulla natura delle relazioni
tra il medium e gli esseri del mondo spirituale. Ora, la prima
condizione per conciliarsi la benevolenza dei buoni Spiriti è l'umiltà,
seguita dalla dedizione e dal più assoluto disinteresse morale e materiale.
9. Accanto alla questione
morale, si presenta un'effettiva considerazione non meno importante, che
attiene alla natura stessa della facoltà. La medianità seria non può
essere e non sarà mai una professione, non solo perché verrebbe
screditata moralmente, collocando i medium sullo stesso piano di quelli
che predicono il futuro, ma anche perché le si oppone un ostacolo
materiale: si tratta di una facoltà essenzialmente mobile, fugace e
variabile, sulla cui durata nessuno può contare. Questo costituirebbe,
per chi decidesse di ricorrervi, un mezzo economico assolutamente
incerto, poiché potrebbe venirgli a mancare nel momento in cui gli fosse
più necessario. Altro è un talento acquisito attraverso lo studio e il
lavoro e che, proprio per questo, è una vera proprietà dalla quale è
naturalmente permesso trarre vantaggio. Ma la medianità non è né un'arte
né un talento. È per questo che non può diventare una professione. Essa
esiste solo con il concorso degli Spiriti. Se questi Spiriti vengono a
mancare, la medianità cessa di esistere. Può sussistere l'attitudine, ma
la sua pratica viene annullata. Non c'è un solo medium al mondo che
possa garantire il conseguimento di un fenomeno spiritista a un dato
momento. Esercitare la medianità vuol dunque dire disporre di una cosa
che non si padroneggia veramente. Affermare il contrario vuol dire
ingannare chi paga. Inoltre non è di se stessi che si dispone, ma degli
Spiriti e delle anime dei morti, il cui aiuto viene messo in vendita. La
sola idea ripugna istintivamente. Questo commercio, degenerato in
abuso, sfruttato da ciarlataneria, ignoranza, credulità e superstizione,
ha motivato la presa di posizione di Mosè. Lo Spiritismo contemporaneo,
che ha compreso il lato serio del problema mettendo al bando questo
sfruttamento, ha elevato la medianità a rango di missione (vedere Il libro dei Medium, cap. XXVIII; Il Cielo e l'Inferno, cap. XI).
10. La medianità è una cosa
sacra, che deve essere praticata santamente e religiosamente. E se c'è
un genere di medianità che richiede tale condizione in modo ancor più
rigoroso, questa è proprio la medianità guaritrice. Il medico offre il
frutto dei suoi studi, conseguiti a prezzo di sacrifici spesso faticosi.
Il magnetizzatore dà il suo stesso fluido spesso a prezzo della sua
salute: medico e magnetizzatore possono applicare una parcella. Il
medium guaritore trasmette il fluido salutare dei buoni Spiriti: egli
non ha il diritto di metterlo in vendita. Gesù e gli apostoli, benché
poveri, non facevano assolutamente pagare le guarigioni che operavano.
Chi dunque non ha di che vivere cerchi le sue risorse economiche altrove, ma non nella medianità. Dedichi alla medianità, se necessario, il tempo libero di cui può materialmente disporre. Gli Spiriti terranno conto della sua dedizione e dei suoi sacrifici, mentre si allontaneranno da coloro che cercano di fare della medianità un mezzo per la loro ascesa sociale.
Chi dunque non ha di che vivere cerchi le sue risorse economiche altrove, ma non nella medianità. Dedichi alla medianità, se necessario, il tempo libero di cui può materialmente disporre. Gli Spiriti terranno conto della sua dedizione e dei suoi sacrifici, mentre si allontaneranno da coloro che cercano di fare della medianità un mezzo per la loro ascesa sociale.
Capitolo XXVII - DOMANDATE EVI SARÀ DATO
Qualità della preghiera
1. Quando
pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando
in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti
dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno.
Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta,
rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che
vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Nel pregare non usate
troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi
per il gran numero delle loro parole. Non fate dunque come loro, poiché
il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele
chiediate. (Matteo 6:5 8)
2. «Quando
vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate
affinché il Padre vostro, che è nei cieli, vi perdoni le vostre colpe.
Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli
perdonerà le vostre colpe.» (Marco 11:25-26)
3. Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due
uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l'altro
pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O
Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri,
ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte
alla settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo". Ma il
pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi
al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: "O Dio, abbi pietà di me,
peccatore!" Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato,
piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi
si abbassa sarà innalzato». (Luca 18: 9-14)
4. Le qualità della preghiera sono da Gesù chiaramente definite. «Quando pregate — dice — non
pregate stando in piedi nelle sinagoghee agli angoli delle piazze per
essere visti dagli uomini. Ma, quando pregate, rivolgete la preghiera al
Padre vostro che è nel segreto. Nel pregare non usate troppe parole,
pensando di essere esauditi per il gran numero delle parole, poiché il
Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele
chiediate. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro
qualcuno, perdonatelo». La preghiera, infatti, non sarebbe gradita a
Dio se non partisse da un cuore purificato da tutti i sentimenti
contrari alla carità. Pregate infine con umiltà, come il Pubblicano, e
non con ostentazione, come il Fariseo. Esaminate i vostri difetti e non
le vostre qualità e, se vi confrontate con gli altri, cercate ciò che
c'è di male in voi (vedere cap. X, nn. 7 e 8 di quest'opera).
Efficacia della preghiera
5. Perciò vi dico: tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le riceverete, e voi le otterrete. (Marco 11:24)
6. Ci sono persone che
contestano l'efficacia della preghiera e si basano sul principio secondo
il quale, poiché Dio conosce i nostri bisogni, è superfluo farglieli
conoscere. Queste persone aggiungono ancora che, essendo tutto
nell'universo sottomesso a leggi eterne, i nostri voti non possono
cambiare i decreti di Dio.
Senza dubbio ci sono delle leggi naturali e immutabili che Dio non può abrogare secondo il capriccio di ognuno. Ma da qui a credere che tutte le circostanze della vita siano alla mercé della fatalità, la distanza è grande. Se così fosse, l'uomo sarebbe solo uno strumento passivo, senza libero arbitrio e senza iniziativa. In questa ipotesi, non gli rimarrebbe che chinare la testa sotto i colpi del destino, senza cercare di evitarli. Egli, perciò, non avrebbe dovuto cercare di deviare il fulmine. Dio non gli ha certo dato il raziocinio e l'intelligenza per non servirsene, la volontà per non volere, l'attività per restarsene inattivo. Essendo l'uomo libero di agire in un senso o nell'altro, le sue azioni hanno, per lui e per gli altri, delle conseguenze subordinate a ciò ch'egli fa o non fa. Grazie alla sua iniziativa, ci sono dunque dei fatti che sfuggono necessariamente alla fatalità e che non vanificano l'armonia delle leggi universali più di quanto l'anticipo o il ritardo di un pendolo non vanifichi la legge che presiede al suo movimento. Dio può dunque accogliere certe domande senza derogare all'immutabilità delle leggi che reggono l'insieme, rimanendo la Sua adesione sempre subordinata alla Sua volontà.
Senza dubbio ci sono delle leggi naturali e immutabili che Dio non può abrogare secondo il capriccio di ognuno. Ma da qui a credere che tutte le circostanze della vita siano alla mercé della fatalità, la distanza è grande. Se così fosse, l'uomo sarebbe solo uno strumento passivo, senza libero arbitrio e senza iniziativa. In questa ipotesi, non gli rimarrebbe che chinare la testa sotto i colpi del destino, senza cercare di evitarli. Egli, perciò, non avrebbe dovuto cercare di deviare il fulmine. Dio non gli ha certo dato il raziocinio e l'intelligenza per non servirsene, la volontà per non volere, l'attività per restarsene inattivo. Essendo l'uomo libero di agire in un senso o nell'altro, le sue azioni hanno, per lui e per gli altri, delle conseguenze subordinate a ciò ch'egli fa o non fa. Grazie alla sua iniziativa, ci sono dunque dei fatti che sfuggono necessariamente alla fatalità e che non vanificano l'armonia delle leggi universali più di quanto l'anticipo o il ritardo di un pendolo non vanifichi la legge che presiede al suo movimento. Dio può dunque accogliere certe domande senza derogare all'immutabilità delle leggi che reggono l'insieme, rimanendo la Sua adesione sempre subordinata alla Sua volontà.
7. Sarebbe illogico dedurre dalla massima, «Tutte le cose, che voi domanderete pregando, voi le otterrete», che
è sufficiente domandare per ottenere. Così come sarebbe ingiusto
accusare la Provvidenza se essa non accoglie tutte le richieste che le
vengono rivolte, dal momento che la Provvidenza sa meglio di noi ciò che
per noi è bene. Proprio come avviene quando un padre saggio rifiuta al
figlio le cose contrarie all'interesse di quest'ultimo. L'uomo,
generalmente, vede solo il presente. Ora, se la sofferenza è utile per
la sua felicità futura, Dio lo lascerà soffrire, come il chirurgo lascia
soffrire il malato per un'operazione che deve portarlo alla guarigione.
Ciò che Dio gli accorderà, se si rivolge a Lui con fiducia, è il coraggio, la pazienza e la rassegnazione. Ciò che gli concede ancora sono i mezzi per superare le difficoltà, con l'aiuto delle idee che gli fa suggerire dai buoni Spiriti, lasciandogliene così il merito. Dio assiste quelli che si aiutano da soli, secondo la massima "Aiutati che il Cielo ti aiuterà", e non quelli che si aspettano tutto dall'aiuto altrui, senza fare uso delle loro stesse facoltà. Ma per lo più si preferisce essere soccorsi da un miracolo senza dover sobbarcarsi a una qualsiasi fatica (vedere cap. XXV, n. 1 e segg. di quest'opera).
Ciò che Dio gli accorderà, se si rivolge a Lui con fiducia, è il coraggio, la pazienza e la rassegnazione. Ciò che gli concede ancora sono i mezzi per superare le difficoltà, con l'aiuto delle idee che gli fa suggerire dai buoni Spiriti, lasciandogliene così il merito. Dio assiste quelli che si aiutano da soli, secondo la massima "Aiutati che il Cielo ti aiuterà", e non quelli che si aspettano tutto dall'aiuto altrui, senza fare uso delle loro stesse facoltà. Ma per lo più si preferisce essere soccorsi da un miracolo senza dover sobbarcarsi a una qualsiasi fatica (vedere cap. XXV, n. 1 e segg. di quest'opera).
8. Facciamo un esempio. Un
uomo si perde nel deserto, soffre terribilmente la sete, si sente venir
meno e si lascia cadere a terra. Prega Dio di assisterlo e attende. Ma
nessun angelo viene a portargli da bere. Ciononostante uno Spirito buono
gli suggerisce di alzarsi e di seguire uno
dei sentieri che si trovano davanti a lui. Allora, con movimento
meccanico, l'uomo raccoglie le sue forze, si alza e cammina alla
ventura. Giunto su un'altura, scopre in lontananza un ruscello alla cui
vista riprende coraggio. Se ha fede griderà: «Grazie, mio Dio, del
pensiero che mi avete ispirato e della forza che mi avete dato». Se non
ha fede, dirà: «Che bell'idea ho avuto! Che fortuna ho
avuto a prendere il sentiero di destra anziché quello di sinistra. Il
caso serve pure qualche volta! Mi compiaccio per il mio coraggio e per non essermi lasciato abbattere!»
Ma, si dirà, perché lo Spirito buono non gli ha detto chiaramente: «Segui questo sentiero e in fondo troverai ciò di cui hai bisogno?» Perché non gli si è mostrato per guidarlo e sostenerlo nel suo momento di debolezza? In questo modo l'avrebbe convinto dell'intervento della Provvidenza. Prima di tutto per insegnargli che bisogna aiutarsi da se stessi e fare uso delle proprie forze. In secondo luogo, attraverso l'incertezza, Dio verifica la fiducia in Lui e la sottomissione alla Sua volontà. Quest'uomo si trovava nella condizione di un bambino che cade: se scorge qualcuno, grida e aspetta che vengano a rialzarlo; se non vede nessuno si sforza e cerca di alzarsi da solo.
Se l'angelo che accompagnava Tobia gli avesse detto: «Io sono mandato da Dio per guidarti nel tuo viaggio e preservarti da ogni danno», Tobia non avrebbe avuto nessun merito perché, fidandosi del suo compagno, non avrebbe avuto neppure bisogno di pensare: è per questo che l'angelo si è fatto riconoscere solo al ritorno.
Ma, si dirà, perché lo Spirito buono non gli ha detto chiaramente: «Segui questo sentiero e in fondo troverai ciò di cui hai bisogno?» Perché non gli si è mostrato per guidarlo e sostenerlo nel suo momento di debolezza? In questo modo l'avrebbe convinto dell'intervento della Provvidenza. Prima di tutto per insegnargli che bisogna aiutarsi da se stessi e fare uso delle proprie forze. In secondo luogo, attraverso l'incertezza, Dio verifica la fiducia in Lui e la sottomissione alla Sua volontà. Quest'uomo si trovava nella condizione di un bambino che cade: se scorge qualcuno, grida e aspetta che vengano a rialzarlo; se non vede nessuno si sforza e cerca di alzarsi da solo.
Se l'angelo che accompagnava Tobia gli avesse detto: «Io sono mandato da Dio per guidarti nel tuo viaggio e preservarti da ogni danno», Tobia non avrebbe avuto nessun merito perché, fidandosi del suo compagno, non avrebbe avuto neppure bisogno di pensare: è per questo che l'angelo si è fatto riconoscere solo al ritorno.
Azione della preghiera. Trasmissione del pensiero
9. La preghiera è
un'invocazione attraverso cui ci si mette in relazione mentale con
l'essere al quale ci si rivolge. Essa può avere per oggetto una
richiesta, un ringraziamento o una glorificazione. Si può pregare per se
stessi o per altri, per i vivi o per i morti. Le preghiere indirizzate a
Dio vengono udite dagli Spiriti incaricati della realizzazione della
Sua volontà; quelle indirizzate ai buoni Spiriti vengono anch'esse
riportate a Dio. Quando ci si rivolge ad altri esseri anziché a Dio, è
solo a titolo di intermediari, di intercessori, perché niente può essere
fatto senza la volontà di Dio.
10. Lo Spiritismo ci fa
comprendere l'azione della preghiera, spiegando le modalità di
trasmissione del pensiero, sia che l'essere pregato venga al nostro
appello, sia che il nostro pensiero giunga a lui. Per rendersi conto di
ciò che succede in certe circostanze, bisogna immaginare tutti gli
esseri, incarnati e disincarnati, immersi nel fluido universale che
occupa lo spazio, così come su questa Terra lo siamo noi nell'atmosfera.
Questo fluido riceve un impulso dalla volontà, che è il veicolo del
pensiero, come l'aria è il veicolo del suono, con la differenza che le
vibrazioni dell'aria sono circoscritte, mentre quelle del fluido
universale si estendono all'infinito. Perciò, quando il pensiero viene
diretto a un essere qualsiasi, sulla Terra o nello spazio, da incarnato a
disincarnato o da disincarnato a incarnato, una corrente fluidica si
stabilisce dall'uno all'altro, trasmettendo il pensiero come l'aria
trasmette il suono.
La forza della corrente è commisurata a quelle del pensiero e della volontà. È così che la preghiera viene captata dagli Spiriti, in qualsiasi posto essi si trovino, è così che gli Spiriti comunicano fra di loro, è così che ci trasmettono le loro ispirazioni, ed è così che si stabiliscono dei rapporti a distanza fra gli incarnati.
Questa spiegazione è rivolta soprattutto a quelli che non con prendono l'utilità della preghiera puramente mistica, la quale non riguarda assolutamente la preghiera a fini pratici, ma ha lo scopo di rendere intelligibili i suoi effetti, dimostrando che essa può avere un'azione diretta ed effettiva. Non per questo essa resta meno subordinata alla volontà di Dio, giudice supremo di tutte le cose, il solo che può rendere la sua azione efficace.
La forza della corrente è commisurata a quelle del pensiero e della volontà. È così che la preghiera viene captata dagli Spiriti, in qualsiasi posto essi si trovino, è così che gli Spiriti comunicano fra di loro, è così che ci trasmettono le loro ispirazioni, ed è così che si stabiliscono dei rapporti a distanza fra gli incarnati.
Questa spiegazione è rivolta soprattutto a quelli che non con prendono l'utilità della preghiera puramente mistica, la quale non riguarda assolutamente la preghiera a fini pratici, ma ha lo scopo di rendere intelligibili i suoi effetti, dimostrando che essa può avere un'azione diretta ed effettiva. Non per questo essa resta meno subordinata alla volontà di Dio, giudice supremo di tutte le cose, il solo che può rendere la sua azione efficace.
11. Con la preghiera, l'uomo
attrae a sé il concorso dei buoni Spiriti, che vengono a sostenerlo
nelle sue buone risoluzioni e gli ispirano buoni pensieri. Egli
acquisisce così la forza morale necessaria per vincere le difficoltà e
ritornare sulla retta via, qualora se ne fosse allontanato. In questo
modo può allontanare i mali che attirerebbe con i suoi errori. Un uomo,
per esempio, vede la sua salute pregiudicata dagli eccessi da lui
commessi e si porta dietro, fino alla fine dei suoi giorni, una vita di
sofferenza. Ha il diritto di lamentarsi se non ottiene la guarigione?
No, perché avrebbe potuto trovare nella preghiera la forza per resistere
alle tentazioni.
12. Se dividessimo in due
parti i mali della vita — nell'una i mali che l'uomo non può evitare e
nell'altra le tribolazioni di cui è egli stesso causa, dovuti
innanzitutto alla sua incuria e ai suoi eccessi (vedere cap. V, n. 4 di
quest'opera) — si noterà che quest'ultima parte supera di molto la prima
per numero di mali. È dunque perfettamente evidente che l'uomo è
l'autore della maggior parte delle sue afflizioni e che potrebbe
evitarle se agisse sempre con saggezza e prudenza.
È pure certo che queste miserie sono il risultato delle nostre infrazioni alle leggi di Dio, e che, se noi osservassimo puntualmente queste leggi, saremmo perfettamente felici. Se, inoltre, non superassimo i limiti del necessario nella soddisfazione dei nostri bisogni, non contrarremmo le malattie che sono la conseguenza dei nostri eccessi e non incorreremmo nelle tribolazioni che esse comportano. Se poi mettessimo dei limiti alla nostra ambizione, non vivremmo nel timore della rovina. Se non volessimo salire più in alto di quanto possiamo, non avremmo paura di cadere. Se fossimo umili, non subiremmo le delusioni dell'orgoglio ferito. Se praticassimo la legge della carità, non saremmo né maldicenti né invidiosi né gelosi ed eviteremmo le dispute e i contrasti. Se non facessimo del male a nessuno, non ne temeremmo la vendetta ecc.
Ammettiamo pure che l'uomo nulla possa sugli altri mali e che qualsiasi preghiera fosse superflua per preservarsene, non sarebbe già molto essersi liberato di quelli originati da lui stesso? Ora, a questo punto l'azione della preghiera si comprende agevolmente, perché essa ha per effetto di evocare l'ispirazione salutare dei buoni Spiriti, di domandar loro la forza per resistere ai cattivi pensieri, la cui attuazione può esserci funesta. In questo caso, non è il male che essi allontanano da noi, ma allontanano noi stessi dal cattivo pensiero che può causare il male. Essi non contravvengono in nessun modo ai decreti di Dio né minimamente sospendono il corso delle leggi della natura. Semplicemente ci impediscono di infrangerle, guidando id nostro libero arbitrio. Ma lo fanno a nostra insaputa, in modo occulto, per non limitare la nostra volontà. L'uomo si trova allora nella posizione di chi sollecita i buoni consigli e li mette in pratica, ma è sempre libero di seguirli oppure no. Dio vuole che sia così, per lasciargli la responsabilità dei suoi atti e il merito della scelta fra il bene e il male. È in questo caso che l'uomo è sempre certo di ottenere ciò che chiede, se lo chiede con fervore. È in questo caso soprattutto che si possono applicare le parole: «Domandate e vi sarà dato».
L'efficacia della preghiera, anche se ridotta a queste dimensioni, non produrrebbe forse già un grandissimo risultato? È stato riservato allo Spiritismo di dimostrarci la sua azione mediante la rivelazione dei rapporti esistenti fra il mondo fisico e quello spirituale. Ma non solo a questo si limitano gli effetti della preghiera.
La preghiera è raccomandata da tutti gli Spiriti. Rinunciare alla preghiera significa disconoscere la bontà di Dio, significa rinunciare alla loro assistenza per noi stessi, al bene che si può loro fare per gli altri.
È pure certo che queste miserie sono il risultato delle nostre infrazioni alle leggi di Dio, e che, se noi osservassimo puntualmente queste leggi, saremmo perfettamente felici. Se, inoltre, non superassimo i limiti del necessario nella soddisfazione dei nostri bisogni, non contrarremmo le malattie che sono la conseguenza dei nostri eccessi e non incorreremmo nelle tribolazioni che esse comportano. Se poi mettessimo dei limiti alla nostra ambizione, non vivremmo nel timore della rovina. Se non volessimo salire più in alto di quanto possiamo, non avremmo paura di cadere. Se fossimo umili, non subiremmo le delusioni dell'orgoglio ferito. Se praticassimo la legge della carità, non saremmo né maldicenti né invidiosi né gelosi ed eviteremmo le dispute e i contrasti. Se non facessimo del male a nessuno, non ne temeremmo la vendetta ecc.
Ammettiamo pure che l'uomo nulla possa sugli altri mali e che qualsiasi preghiera fosse superflua per preservarsene, non sarebbe già molto essersi liberato di quelli originati da lui stesso? Ora, a questo punto l'azione della preghiera si comprende agevolmente, perché essa ha per effetto di evocare l'ispirazione salutare dei buoni Spiriti, di domandar loro la forza per resistere ai cattivi pensieri, la cui attuazione può esserci funesta. In questo caso, non è il male che essi allontanano da noi, ma allontanano noi stessi dal cattivo pensiero che può causare il male. Essi non contravvengono in nessun modo ai decreti di Dio né minimamente sospendono il corso delle leggi della natura. Semplicemente ci impediscono di infrangerle, guidando id nostro libero arbitrio. Ma lo fanno a nostra insaputa, in modo occulto, per non limitare la nostra volontà. L'uomo si trova allora nella posizione di chi sollecita i buoni consigli e li mette in pratica, ma è sempre libero di seguirli oppure no. Dio vuole che sia così, per lasciargli la responsabilità dei suoi atti e il merito della scelta fra il bene e il male. È in questo caso che l'uomo è sempre certo di ottenere ciò che chiede, se lo chiede con fervore. È in questo caso soprattutto che si possono applicare le parole: «Domandate e vi sarà dato».
L'efficacia della preghiera, anche se ridotta a queste dimensioni, non produrrebbe forse già un grandissimo risultato? È stato riservato allo Spiritismo di dimostrarci la sua azione mediante la rivelazione dei rapporti esistenti fra il mondo fisico e quello spirituale. Ma non solo a questo si limitano gli effetti della preghiera.
La preghiera è raccomandata da tutti gli Spiriti. Rinunciare alla preghiera significa disconoscere la bontà di Dio, significa rinunciare alla loro assistenza per noi stessi, al bene che si può loro fare per gli altri.
13. Nell'acconsentire alla
richiesta che Gli viene indirizzata, Dio sovente dimostra di voler
ricompensare l'intenzione, la devozione e la fede di colui che prega.
Ecco perché la preghiera dell'uomo dabbene ha più merito al cospetto di
Dio ed è sempre più efficace. L'uomo peccatore e malvagio, infatti, non
può pregare con il fervore e la fiducia, che possono nascere solo dal
sentimento della vera pietà. Dal cuore dell'egoista, di colui che prega a
parole, potranno nascere solo parole, ma
non lo slancio della carità, che dà alla preghiera tutta la sua potenza.
Ciò è talmente evidente che istintivamente ci si raccomanda di
preferenza alle preghiere di coloro di cui si avverte una condotta
gradita a Dio, perché sono più ascoltati.
14. Se la preghiera esercita
una specie di azione magnetica, si potrebbe credere che sia un effetto
subordinato a una potenza fluidica. Ma non è affatto così. Gli Spiriti,
esercitando questa azione sugli uomini, integrano, quando ciò è
necessario, le carenze di colui che prega, sia agendo direttamente a suo nome, sia dandogli momentaneamente una forza eccezionale, quando viene giudicato degno di questo favore o se ciò può essergli utile.
L'uomo che non si creda abbastanza buono per esercitare un'influenza salutare non deve astenersi dal pregare per gli altri, nella convinzione di non essere degno d'essere ascoltato. La coscienza della propria inferiorità è una prova d'umiltà gradita a Dio, il quale tiene sempre conto dell'intenzione caritatevole che anima tale individuo. Il suo fervore e la sua fiducia in Dio sono un primo passo verso il ritorno al bene, che i buoni Spiriti sono felici di incoraggiare. La preghiera che viene rifiutata è quella dell'orgoglioso, che ha fedenella sua potenza e nei suoi meriti e che crede di potersi sostituire alla volontà dell'Eterno.
L'uomo che non si creda abbastanza buono per esercitare un'influenza salutare non deve astenersi dal pregare per gli altri, nella convinzione di non essere degno d'essere ascoltato. La coscienza della propria inferiorità è una prova d'umiltà gradita a Dio, il quale tiene sempre conto dell'intenzione caritatevole che anima tale individuo. Il suo fervore e la sua fiducia in Dio sono un primo passo verso il ritorno al bene, che i buoni Spiriti sono felici di incoraggiare. La preghiera che viene rifiutata è quella dell'orgoglioso, che ha fedenella sua potenza e nei suoi meriti e che crede di potersi sostituire alla volontà dell'Eterno.
15.
La potenza della preghiera si trova nel pensiero e non riguarda né le
parole né il luogo né il momento in cui si fa. Si può perciò pregare
ovunque e in qualsiasi momento, da soli o con gli altri. L'influenza del
luogo e del tempo riguarda le circostanze, che possono favorire il
raccoglimento. La preghiera collettiva ha un'azione più potente a patto, però, che tutti quelli che pregano si uniscano col cuore in uno stesso pensiero e abbiano lo stesso scopo. È
come se molti gridassero all'unisono. Ma che importanza ha essere
riuniti in molti se ognuno agisce isolatamente e per conto suo? Cento
persone riunite possono pregare come degli egoisti, mentre due o tre,
uniti da una comune aspirazione, pregheranno come veri fratelli in Dio, e
la loro preghiera avrà più potenza di quella degli altri cento (vedere
cap. XXVIII, nn. 4 e 5 di quest'opera).
Preghiere intelligibili
16.
Se quindi non comprendo il significato del linguaggio sarò uno
straniero per chi parla, e chi parla sarà uno straniero per me. (...)
Poiché se prego in altra lingua, prega lo spirito mio, ma la mia
intelligenza rimane infruttuosa. (...) Altrimenti, se tu benedici Dio
soltanto con lo spirito, colui che occupa il posto come semplice uditore
come potrà dire: Amen!» alla tua preghiera di ringraziamento, visto che
non sa quello che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel
ringraziamento; ma l'altro non è edificato. (I Corinzi 14:11, 14, 16-17)
17. La preghiera ha valore
solo per il pensiero che la anima. Ora, è impossibile animare con un
pensiero ciò che non si comprende, perché ciò che non si comprende non
può toccare il cuore. Per la stragrande maggioranza, le preghiere in una
lingua che non si comprende sono solo un insieme di parole che non
dicono niente allo spirito. Affinché la preghiera commuova, bisogna che
ogni parola risvegli un'idea. Ma, e se non la si comprende, essa non può
risvegliare niente. La si ripete come una semplice formula, che ha più o
meno valore secondo il numero di volte che viene ripetuta. Molti
pregano per dovere, alcuni persino in conformità all'abitudine. Ecco
perché si giudicano assolti quando hanno detto una preghiera un
determinato numero di volte e nel tale o talaltro ordine. Dio legge nel
fondo dei cuori, vede il pensiero e la sincerità, e significherebbe
sminuirne la grandezza qualora Lo si ritenesse più sensibile alla forma
che allo spirito (vedere cap. XXVIII, n. 2 di quest'opera).
Sulla preghiera per i morti e per gli Spiriti sofferenti
18. La preghiera viene
richiesta dagli Spiriti sofferenti. Per loro è utile perché, constatando
che si pensa a loro, si sentono meno trascurati, sono insomma meno
infelici. Ma la preghiera ha su di loro un'azione più diretta: rianima
il loro coraggio, fa leva sul loro desiderio di pentimento e di
riparazione e può distoglierli dal pensiero del male. È in questo modo
che la preghiera può non solo alleggerire, ma abbreviare le loro
sofferenze (vedere Il Cielo e l'Inferno, 2a parte: "Esempi").
19. Certe persone non
ritengono necessario pregare per i morti, perché, secondo il loro credo,
per l'anima ci sono solo due alternative: salvarsi o essere condannata
alle pene eterne, e pertanto nell'uno e nell'altro caso la preghiera è
inutile. Senza discutere il valore di questo convincimento, ammettiamo
per un istante che le pene eterne esistano, e che le nostre preghiere
siano impotenti a porvi fine. Noi domandiamo se, in questa ipotesi, è
logico, caritatevole e cristiano rifiutare la preghiera per i dannati.
Queste preghiere, per quanto nell'impossibilità di liberarli, non sono
forse per loro un segno di pietà che può alleviare le sofferenze? Sulla
Terra, quando un uomo è condannato all'ergastolo, anche se non c'è
alcuna speranza di ottenerne la grazia, è forse impedito a una persona
caritatevole di andare a sostenerne i ferri per alleggerirgli il peso?
Quando qualcuno è colpito da un male incurabile, si deve forse, dal
momento che non c'è alcuna speranza di guarigione, abbandonarlo senza
consolazione? Immaginate che fra i condannati possa trovarsi una persona
che vi è stata cara, un amico, forse un padre, una madre o un figlio.
Perché secondo voi, non potendosi sperare nella grazia, dovreste
rifiutargli un bicchiere d'acqua per sedarne la sete? Un medicamento per
curare le sue ferite? Voi non fareste per lui quello che fareste per un
forzato? Non gli dareste una testimonianza d'amore, una consolazione?
No, ciò non sarebbe cristiano. Un credo che inaridisca il cuore non può
allearsi con quello di Dio, che mette al primo posto tra i doveri
l'amore per il prossimo.
La non-eternità delle pene non implica affatto la negazione di una pena temporanea, perché Dio nella Sua giustizia non può confondere il bene con il male. Ora, negare in questo caso l'efficacia della preghiera sarebbe come negare l'efficacia della consolazione, dell'incoraggiamento e dei buoni consigli. Sarebbe negare la forza che si può trarre dall'assistere moralmente coloro che ci vogliono bene.
La non-eternità delle pene non implica affatto la negazione di una pena temporanea, perché Dio nella Sua giustizia non può confondere il bene con il male. Ora, negare in questo caso l'efficacia della preghiera sarebbe come negare l'efficacia della consolazione, dell'incoraggiamento e dei buoni consigli. Sarebbe negare la forza che si può trarre dall'assistere moralmente coloro che ci vogliono bene.
20. Altri si fondano su una
ragione più pretestuosa: l'immutabilità dei decreti divini. Dio, dicono
essi, non può mutare le Sue decisioni su richiesta delle Sue creature.
Se così fosse, niente più sarebbe stabile' nel mondo. È necessario che
l'uomo, pertanto, non chieda niente a Dio: deve solo sottomettersi a Lui
e adorarlo.
C'è in questa idea un fraintendimento circa l'immutabilità della legge divina o, meglio, una ignoranza della legge per quanto concerne il castigo futuro. Questa legge è rivelata dagli Spiriti del Signore oggi che l'uomo è maturo per comprendere ciò che nella fede è conforme o contrario agli attributi divini.
Secondo il dogma sull'eternità assoluta delle pene, non si prende in considerazione il rimorso del colpevole né il suo pentimento, e inutile è qualsiasi suo desiderio di migliorarsi. Come dire che egli è condannato a restare nel male eternamente. Se invece è condannato per un tempo determinato, la pena cesserà quando il tempo sarà esaurito. Ma chi dice che allora sarà giunto ad avere sentimenti migliori? Chi dice, sull'esempio di molti condannati della Terra alla loro uscita di prigione, che non sarà cattivo quanto prima? Nel primo caso si manterrebbe nel dolore della punizione un uomo ritornato al bene. Nel secondo, si grazierebbe chi è rimasto colpevole. La legge di Dio è più previdente. Sempre giusta, equa e misericordiosa, non fissa nessuna durata della pena, qualunque essa sia. Si riassume così:
C'è in questa idea un fraintendimento circa l'immutabilità della legge divina o, meglio, una ignoranza della legge per quanto concerne il castigo futuro. Questa legge è rivelata dagli Spiriti del Signore oggi che l'uomo è maturo per comprendere ciò che nella fede è conforme o contrario agli attributi divini.
Secondo il dogma sull'eternità assoluta delle pene, non si prende in considerazione il rimorso del colpevole né il suo pentimento, e inutile è qualsiasi suo desiderio di migliorarsi. Come dire che egli è condannato a restare nel male eternamente. Se invece è condannato per un tempo determinato, la pena cesserà quando il tempo sarà esaurito. Ma chi dice che allora sarà giunto ad avere sentimenti migliori? Chi dice, sull'esempio di molti condannati della Terra alla loro uscita di prigione, che non sarà cattivo quanto prima? Nel primo caso si manterrebbe nel dolore della punizione un uomo ritornato al bene. Nel secondo, si grazierebbe chi è rimasto colpevole. La legge di Dio è più previdente. Sempre giusta, equa e misericordiosa, non fissa nessuna durata della pena, qualunque essa sia. Si riassume così:
21. «L’uomo subisce sempre
le conseguenze delle sue colpe, e non c'è una sola infrazione alla legge
di Dio che non abbia la sua pena.»
«Ta severità del castigo è proporzionale alla gravità della colpa.»
«La durata del castigo per qualsiasi colpa è indeterminata ed è subordinata al pentimento del colpevole e al suo ritorno al bene. La pena dura quanto persiste l'ostinazione nel male: sarà eterna se l'ostinazione è eterna; sarà di breve durata se il pentimento è immediato.»
«Nel momento stesso in cui il colpevole implora misericordia, Dio lo sente e gli invia la speranza. Ma il semplice pentimento del male non basta: ci vuole la riparazione. È per questo che il colpevole viene sottoposto a nuove prove, nelle quali può, sempre di sua volontà, fare del bene in riparazione del male che ha fato.»
«L'uomo è così costantemente arbitro della sua stessa sorte, potendo abbreviare la sua pena o prolungarla indefinitamente. La sua felicità o infelicità dipende dalla sua volontà di fare il bene.»
Questa è la legge, legge immutabile e conforme alla bontà e alla giustizia di Dio.
Lo Spirito colpevole e infelice, in questo modo, può sempre salvarsi da solo; sarà la legge di Dio a indicargli a quali condizioni può farlo. Le cose che per lo più gli mancano sono la volontà, la forza e il coraggio. Se con le nostre preghiere noi gli ispiriamo questa volontà, se lo sosteniamo e lo incoraggiamo, se con i nostri consigli gli diamo i lumi che gli mancano, noi non sollecitiamo affatto Dio a derogare alla Sua legge, ma noi diventiamo gli strumenti per l'applicazione della Sua legge d'amore e di carità, alla quale Egli ci permette anche di partecipare, affinché offriamo noi stessi una prova di carità (vedere Cielo e l'Inferno, 1a parte, cap. IV, VII, VIII).
«Ta severità del castigo è proporzionale alla gravità della colpa.»
«La durata del castigo per qualsiasi colpa è indeterminata ed è subordinata al pentimento del colpevole e al suo ritorno al bene. La pena dura quanto persiste l'ostinazione nel male: sarà eterna se l'ostinazione è eterna; sarà di breve durata se il pentimento è immediato.»
«Nel momento stesso in cui il colpevole implora misericordia, Dio lo sente e gli invia la speranza. Ma il semplice pentimento del male non basta: ci vuole la riparazione. È per questo che il colpevole viene sottoposto a nuove prove, nelle quali può, sempre di sua volontà, fare del bene in riparazione del male che ha fato.»
«L'uomo è così costantemente arbitro della sua stessa sorte, potendo abbreviare la sua pena o prolungarla indefinitamente. La sua felicità o infelicità dipende dalla sua volontà di fare il bene.»
Questa è la legge, legge immutabile e conforme alla bontà e alla giustizia di Dio.
Lo Spirito colpevole e infelice, in questo modo, può sempre salvarsi da solo; sarà la legge di Dio a indicargli a quali condizioni può farlo. Le cose che per lo più gli mancano sono la volontà, la forza e il coraggio. Se con le nostre preghiere noi gli ispiriamo questa volontà, se lo sosteniamo e lo incoraggiamo, se con i nostri consigli gli diamo i lumi che gli mancano, noi non sollecitiamo affatto Dio a derogare alla Sua legge, ma noi diventiamo gli strumenti per l'applicazione della Sua legge d'amore e di carità, alla quale Egli ci permette anche di partecipare, affinché offriamo noi stessi una prova di carità (vedere Cielo e l'Inferno, 1a parte, cap. IV, VII, VIII).
Istruzioni Degli Spiriti
Modo di pregare
22.
Il primo dovere di ogni creatura umana, il primo atto che deve indicare
il ritorno alla vita attiva di ogni giorno è la preghiera. Voi pregate
quasi tutti, ma quanto pochi sanno veramente pregare! Che cosa volete
che importino al Signore quelle frasi che voi rileggete una dopo l'altra
meccanicamente, per abitudine, come un dovere da compiere e che, come
tale, vi pesa?
La preghiera del Cristiano, dello Spiritista di qualsiasi culto egli sia, dev'essere fatta al momento del risveglio. Essa deve elevarsi fino ai piedi della maestà divina con umiltà e profondità, in uno slancio riconoscente per tutti i benefici concessi fino a quel giorno; riconoscente per la notte trascorsa, durante la quale vi è stato permesso, benché a vostra insaputa, di ritornare dai vostri amici, dalle vostre guide, per trarre al loro contatto nuove forze e una maggior perseveranza. Deve levarsi umile ai piedi del Signore, per raccomandargli la vostra debolezza, domandargli il Suo appoggio, la Sua indulgenza, la Sua misericordia. Dev'essere profonda, perché è la vostra anima che deve elevarsi fino al Creatore, che deve trasfigurarsi come Gesù sul Monte Tabor e giungere candida e radiosa di speranza e d'amore.
La vostra preghiera deve contenere sì la domanda delle grazie di cui avete bisogno, ma un bisogno reale. Inutile pertanto domandare al Signore di abbreviare il tempo delle vostre prove, di darvi felicità e ricchezza. Domandategli invece di concedervi beni ben più preziosi, quelli cioè della pazienza, della rassegnazione e della fede. Non dite, come succede a molti di voi: «Non vale la pena pregare, perché Dio non esaudisce la mia preghiera». Che cosa domandate a Dio per lo più? Vi siete mai ricordati di chiedergli il vostro miglioramento morale? Solo poche volte. Voi pensate sempre a chiedergli la riuscita nelle vostre imprese terrene e sovente avete esclamato: «Dio non si occupa di noi, se se ne occupasse non ci sarebbero tante ingiustizie». Insensati! Ingrati! Se voi scendeste nel profondo della vostra coscienza, trovereste quasi sempre in voi stessi l'origine dei mali di cui vi lamentate. Domandate dunque, prima di tutto, il vostro miglioramento morale, e vedrete quale torrente di grazie e di consolazioni si riverserà su di voi (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
Voi dovete pregare incessantemente. Ma per questo non è necessario che vi ritiriate nella vostra nicchia o che vi gettiate in ginocchio sulla pubblica piazza. La preghiera quotidiana è l'adempimento stesso dei vostri doveri, dei vostri doveri senza eccezione, di qualsiasi natura essi siano. Non è forse un atto d'amore verso il Signore assistere i vostri fratelli per una qualsiasi necessità, morale o fisica? Non è forse un atto di riconoscenza elevare il vostro pensiero verso di Lui allorché qualcosa di felice vi tocca, un incidente vi viene evitato, una contrarietà vi ha semplicemente solo sfiorato? E sarà ancora un atto di gratitudine se voi direte, anche solo mentalmente: «Siate benedetto, Padre mio!» Non è forse un atto di contrizione — quando avete coscienza di aver sbagliato — quello di dire umilmente al Supremo Giudice, anche solo con un rapido pensiero: «Perdonatemi, mio Dio, perché io ho peccato (per orgoglio o per egoismo o per mancanza di carità). Ora, datemi la forza di non sbagliare più e il coraggio di riparare»?
Questo indipendentemente dalle normali preghiere del mattino e della sera e dei giorni consacrati. Ma, come voi potete notare, la preghiera può essere di tutti i momenti, senza apportare alcuna interruzione al vostro lavoro. Al contrario, detta così, lo santifica. E credete pure: uno solo di questi pensieri, che parta dal cuore, è ascoltato dal Padre vostro celeste più delle lunghe preghiere dette per abitudine, sovente senza un determinato motivo e alle quali vi chiama automaticamente l'ora convenuta.
La preghiera del Cristiano, dello Spiritista di qualsiasi culto egli sia, dev'essere fatta al momento del risveglio. Essa deve elevarsi fino ai piedi della maestà divina con umiltà e profondità, in uno slancio riconoscente per tutti i benefici concessi fino a quel giorno; riconoscente per la notte trascorsa, durante la quale vi è stato permesso, benché a vostra insaputa, di ritornare dai vostri amici, dalle vostre guide, per trarre al loro contatto nuove forze e una maggior perseveranza. Deve levarsi umile ai piedi del Signore, per raccomandargli la vostra debolezza, domandargli il Suo appoggio, la Sua indulgenza, la Sua misericordia. Dev'essere profonda, perché è la vostra anima che deve elevarsi fino al Creatore, che deve trasfigurarsi come Gesù sul Monte Tabor e giungere candida e radiosa di speranza e d'amore.
La vostra preghiera deve contenere sì la domanda delle grazie di cui avete bisogno, ma un bisogno reale. Inutile pertanto domandare al Signore di abbreviare il tempo delle vostre prove, di darvi felicità e ricchezza. Domandategli invece di concedervi beni ben più preziosi, quelli cioè della pazienza, della rassegnazione e della fede. Non dite, come succede a molti di voi: «Non vale la pena pregare, perché Dio non esaudisce la mia preghiera». Che cosa domandate a Dio per lo più? Vi siete mai ricordati di chiedergli il vostro miglioramento morale? Solo poche volte. Voi pensate sempre a chiedergli la riuscita nelle vostre imprese terrene e sovente avete esclamato: «Dio non si occupa di noi, se se ne occupasse non ci sarebbero tante ingiustizie». Insensati! Ingrati! Se voi scendeste nel profondo della vostra coscienza, trovereste quasi sempre in voi stessi l'origine dei mali di cui vi lamentate. Domandate dunque, prima di tutto, il vostro miglioramento morale, e vedrete quale torrente di grazie e di consolazioni si riverserà su di voi (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
Voi dovete pregare incessantemente. Ma per questo non è necessario che vi ritiriate nella vostra nicchia o che vi gettiate in ginocchio sulla pubblica piazza. La preghiera quotidiana è l'adempimento stesso dei vostri doveri, dei vostri doveri senza eccezione, di qualsiasi natura essi siano. Non è forse un atto d'amore verso il Signore assistere i vostri fratelli per una qualsiasi necessità, morale o fisica? Non è forse un atto di riconoscenza elevare il vostro pensiero verso di Lui allorché qualcosa di felice vi tocca, un incidente vi viene evitato, una contrarietà vi ha semplicemente solo sfiorato? E sarà ancora un atto di gratitudine se voi direte, anche solo mentalmente: «Siate benedetto, Padre mio!» Non è forse un atto di contrizione — quando avete coscienza di aver sbagliato — quello di dire umilmente al Supremo Giudice, anche solo con un rapido pensiero: «Perdonatemi, mio Dio, perché io ho peccato (per orgoglio o per egoismo o per mancanza di carità). Ora, datemi la forza di non sbagliare più e il coraggio di riparare»?
Questo indipendentemente dalle normali preghiere del mattino e della sera e dei giorni consacrati. Ma, come voi potete notare, la preghiera può essere di tutti i momenti, senza apportare alcuna interruzione al vostro lavoro. Al contrario, detta così, lo santifica. E credete pure: uno solo di questi pensieri, che parta dal cuore, è ascoltato dal Padre vostro celeste più delle lunghe preghiere dette per abitudine, sovente senza un determinato motivo e alle quali vi chiama automaticamente l'ora convenuta.
(V. Monod, Bordeaux, 1862)
Felicità della preghiera
23. Venite,
voi che volete credere: gli Spiriti celesti accorrono e vengono ad
annunciarvi grandi cose. Dio, figli miei, apre i Suoi tesori per
distribuirvi i Suoi benefici. Uomini increduli! Se voi sapeste come la
fede faccia bene al cuore e porti l'anima al pentimento e alla
preghiera! La preghiera! Ah! come sono toccanti le parole che si
pronunciano nel momento in cui si prega! La preghiera è la rugiada
divina che attenua il calore troppo intenso delle passioni. Figlia
primogenita della fede, ci porta sul sentiero che conduce a Dio. Nel
raccoglimento e nella solitudine, voi siete con Dio. Per voi, non ci
sono più misteri, perché Egli si rivela a voi. Apostoli del pensiero,
per voi si schiude la vera vita. La vostra anima si libera della materia
e viaggia in quei mondi infiniti ed eterei che i poveri umani
disconoscono.
Camminate, camminate nei sentieri della preghiera e sentirete le voci degli angeli. Quale armonia! Non si tratta più del rumore caotico e degli accenti striduli della Terra. Queste sono le lire degli arcangeli, sono le voci dolci e soavi dei serafini, più leggere della brezza del mattino quando passa tra il fogliame dei vostri grandi boschi. In quali delizie voi camminerete! Le vostre parole non potranno descrivere questa felicità, tanto essa vi pervaderà attraverso tutti i pori, tanto la fonte alla quale si beve pregando è viva e rigeneratrice! Dolci le voci e inebrianti i profumi di cui l'anima gode e s'esalta quando si lancia in queste sfere sconosciute e abitate dalla preghiera! Senza contaminazione alcuna di desideri carnali, tutte le aspirazioni sono divine. E anche voi, come Cristo, che pregava portando al Calvario la Sua croce del Golgota, pregate. Portate anche voi la vostra croce e anche voi sentirete le dolci emozioni che attraversavano la Sua anima, benché oppresso dal legno infamante. Andava a morire, ma per vivere la vita celeste nella dimora del Padre.
Camminate, camminate nei sentieri della preghiera e sentirete le voci degli angeli. Quale armonia! Non si tratta più del rumore caotico e degli accenti striduli della Terra. Queste sono le lire degli arcangeli, sono le voci dolci e soavi dei serafini, più leggere della brezza del mattino quando passa tra il fogliame dei vostri grandi boschi. In quali delizie voi camminerete! Le vostre parole non potranno descrivere questa felicità, tanto essa vi pervaderà attraverso tutti i pori, tanto la fonte alla quale si beve pregando è viva e rigeneratrice! Dolci le voci e inebrianti i profumi di cui l'anima gode e s'esalta quando si lancia in queste sfere sconosciute e abitate dalla preghiera! Senza contaminazione alcuna di desideri carnali, tutte le aspirazioni sono divine. E anche voi, come Cristo, che pregava portando al Calvario la Sua croce del Golgota, pregate. Portate anche voi la vostra croce e anche voi sentirete le dolci emozioni che attraversavano la Sua anima, benché oppresso dal legno infamante. Andava a morire, ma per vivere la vita celeste nella dimora del Padre.
(Sant'Agostino, Parigi, 1861)
Capitolo XXVIII - RACCOLTA DI PREGHIERE SPIRITISTE
Premessa
1.
Gli Spiriti hanno sempre detto: «La forma non è nulla, il pensiero è
tutto. Preghi ognuno secondo le sue convinzioni e nel modo che più gli
aggrada, poiché un pensiero buono vale più di numerose parole dove però
il cuore non c'entri per nulla».
Gli Spiriti non prescrivono alcuna formula specifica di preghiera ; quando la suggeriscono, è per fissare delle idee e soprattutto per richiamare l'attenzione su taluni principi della Dottrina Spiritista. Ma lo scopo può anche essere quello di porgere aiuto alle persone che faticano a esprimere le loro idee, poiché ci sono alcuni che credono di non aver pregato, se il loro pensiero non è stato ben formulato.
La raccolta delle preghiere contenute in questo capitolo è una scelta fatta fra quelle che sono state dettate dagli Spiriti in varie circostanze. Gli Spiriti possono averne dettate delle altre e, in altri termini, consoni a certe idee o a casi speciali, ma poco importa la forma se il pensiero di fondo è lo stesso. Lo scopo della preghiera è quello di elevare il nostro animo a Dio, quindi la diversità delle formulazioni non deve costituire nessuna differenza tra coloro che credono in Lui, e ancor meno tra i seguaci dello Spiritismo, perché Dio le accetta tutte quando sono sincere.
Non bisogna affatto considerare questa raccolta come un formulario dal valore assoluto, ma come una scelta fra le istruzioni date dagli Spiriti. È un'applicazione dei principi della morale evangelica sviluppati in questo libro, un complemento a quanto gli Spiriti hanno dettato circa i doveri verso Dio e verso il prossimo, in cui vengono richiamati tutti i principi della dottrina.
Lo Spiritismo riconosce come buone le preghiere di tutti i culti quando siano espresse col cuore e non solo a parole. Non ne impone nessuna e nessuna ne biasima. Dio è troppo grande, secondo lo Spiritismo, per rifiutare la voce che implora o che canta le Sue lodi, solo perché lo fa in un modo anziché in un altro. Chiunque lancerà l'anatema contro le preghiere che non si trovano nel suo formulario dimostrerà di non conoscere la grandezza di Dio. Credere che Dio tenga a una determinata formula significa attribuirgli la meschinità e le passioni umane.
Una delle condizioni essenziali della preghiera, secondo san Paolo (vedere cap. XXVII, n. 16 di quest'opera), è quella di essere intelligibile, al fine di poter parlare al nostro spirito. Tuttavia non basta che sia detta in una lingua comprensibile da chi prega. Ci sono preghiere in linguaggio corrente che all'animo non dicono molto di più che se fossero dette in una lingua straniera e che, appunto per questo, non vanno dritte al cuore. Le poche idee che queste preghiere contengono sono sovente soffocate dalla sovrabbondanza delle parole e dall'eccessivo misticismo del linguaggio.
La principale qualità della preghiera è la chiarezza. La preghiera dev'essere semplice e concisa, senza inutili giri di parole né sfoggio di aggettivi che altro non sono che veri e propri fronzoli. Ogni parola deve avere il suo intrinseco valore, deve risvegliare un'idea, toccare una fibra del cuore, deve insomma indurre alla riflessione. Solo a questa condizione la preghiera può raggiungere il suo scopo, altrimenti sono solo chiacchiere. Si osservi anche con che aria distratta e con quanta leggerezza le preghiere vengono per lo più proferite. Si vedono le labbra che si muovono ma, dall'espressione del volto e dal suono stesso della voce, si intuisce che è un atto meccanico, puramente esteriore di fronte al quale l'anima resta indifferente.
Le preghiere che fanno parte di questa raccolta sono divise in cinque categorie: 1º Preghiere generali; 2º Preghiere per se stessi; 3º Preghiere per i vivi; 4º Preghiere per i morti; 5º Preghiere speciali per i malati e gli ossessi.
Al fine di richiamare in particolar modo l'attenzione sul contenuto di ogni preghiera e di farne meglio comprendere il suo significato, esse sono tutte precedute da un'istruzione, una specie di esposizione dei motivi, sotto il titolo di prefazione.
Gli Spiriti non prescrivono alcuna formula specifica di preghiera ; quando la suggeriscono, è per fissare delle idee e soprattutto per richiamare l'attenzione su taluni principi della Dottrina Spiritista. Ma lo scopo può anche essere quello di porgere aiuto alle persone che faticano a esprimere le loro idee, poiché ci sono alcuni che credono di non aver pregato, se il loro pensiero non è stato ben formulato.
La raccolta delle preghiere contenute in questo capitolo è una scelta fatta fra quelle che sono state dettate dagli Spiriti in varie circostanze. Gli Spiriti possono averne dettate delle altre e, in altri termini, consoni a certe idee o a casi speciali, ma poco importa la forma se il pensiero di fondo è lo stesso. Lo scopo della preghiera è quello di elevare il nostro animo a Dio, quindi la diversità delle formulazioni non deve costituire nessuna differenza tra coloro che credono in Lui, e ancor meno tra i seguaci dello Spiritismo, perché Dio le accetta tutte quando sono sincere.
Non bisogna affatto considerare questa raccolta come un formulario dal valore assoluto, ma come una scelta fra le istruzioni date dagli Spiriti. È un'applicazione dei principi della morale evangelica sviluppati in questo libro, un complemento a quanto gli Spiriti hanno dettato circa i doveri verso Dio e verso il prossimo, in cui vengono richiamati tutti i principi della dottrina.
Lo Spiritismo riconosce come buone le preghiere di tutti i culti quando siano espresse col cuore e non solo a parole. Non ne impone nessuna e nessuna ne biasima. Dio è troppo grande, secondo lo Spiritismo, per rifiutare la voce che implora o che canta le Sue lodi, solo perché lo fa in un modo anziché in un altro. Chiunque lancerà l'anatema contro le preghiere che non si trovano nel suo formulario dimostrerà di non conoscere la grandezza di Dio. Credere che Dio tenga a una determinata formula significa attribuirgli la meschinità e le passioni umane.
Una delle condizioni essenziali della preghiera, secondo san Paolo (vedere cap. XXVII, n. 16 di quest'opera), è quella di essere intelligibile, al fine di poter parlare al nostro spirito. Tuttavia non basta che sia detta in una lingua comprensibile da chi prega. Ci sono preghiere in linguaggio corrente che all'animo non dicono molto di più che se fossero dette in una lingua straniera e che, appunto per questo, non vanno dritte al cuore. Le poche idee che queste preghiere contengono sono sovente soffocate dalla sovrabbondanza delle parole e dall'eccessivo misticismo del linguaggio.
La principale qualità della preghiera è la chiarezza. La preghiera dev'essere semplice e concisa, senza inutili giri di parole né sfoggio di aggettivi che altro non sono che veri e propri fronzoli. Ogni parola deve avere il suo intrinseco valore, deve risvegliare un'idea, toccare una fibra del cuore, deve insomma indurre alla riflessione. Solo a questa condizione la preghiera può raggiungere il suo scopo, altrimenti sono solo chiacchiere. Si osservi anche con che aria distratta e con quanta leggerezza le preghiere vengono per lo più proferite. Si vedono le labbra che si muovono ma, dall'espressione del volto e dal suono stesso della voce, si intuisce che è un atto meccanico, puramente esteriore di fronte al quale l'anima resta indifferente.
Le preghiere che fanno parte di questa raccolta sono divise in cinque categorie: 1º Preghiere generali; 2º Preghiere per se stessi; 3º Preghiere per i vivi; 4º Preghiere per i morti; 5º Preghiere speciali per i malati e gli ossessi.
Al fine di richiamare in particolar modo l'attenzione sul contenuto di ogni preghiera e di farne meglio comprendere il suo significato, esse sono tutte precedute da un'istruzione, una specie di esposizione dei motivi, sotto il titolo di prefazione.
1 — Preghiere generiche
Preghiera domenicale
2. Prefazione— Gli Spiriti hanno raccomandato di porre la Preghiera domenicale all'inizio
di questa raccolta, non solamente come preghiera, ma anche come
simbolo. Essa, fra tutte le preghiere, è quella che gli Spiriti mettono
al primo posto, sia perché viene da Gesù stesso (Matteo 6:9-13), sia
perché può sostituirle tutte a seconda del pensiero che le si
attribuisce. È il più bell'esempio di concisione, un vero capolavoro di
eccellenza nella sua semplicità. In effetti, in una forma quanto mai
essenziale, essa riesce a riassumere tutti i doveri dell'uomo verso Dio,
verso .lui stesso e verso il prossimo. Racchiude una professione di
fede, un atto di adorazione e di sottomissione, la domanda di cose
necessarie alla vita terrena, e il principio della carità. Proferirla
per conto di qualcuno è chiedere per lui ciò che si domanderebbe per se
stessi.
Ciononostante, è a causa della sua stessa brevità che il significato profondo, racchiuso nelle poche parole di cui è composta, sfugge alla maggior parte degli uomini. Questo perché generalmente viene recitata senza riflettere sul significato di ciascuna delle sue frasi. Viene pronunciata come una formula la cui efficacia è proporzionale al numero di volte che è ripetuta, che è quasi sempre uno dei numeri cabalistici tre, sette o nove, tratti dall'antica credenza superstiziosa sul potere dei numeri e in uso nelle pratiche magiche.
Per surrogare le esitazioni che la concisione di questa preghiera genera nella mente, con il consiglio e l'assistenza dei buoni Spiriti, a ogni proposizione è stato aggiunto un commento che ne sviluppa il significato e ne mostra le applicazioni. Secondo le circostanze e il tempo disponibile, si può dunque dire la Preghiera domenicale semplice o ampliata.
Ciononostante, è a causa della sua stessa brevità che il significato profondo, racchiuso nelle poche parole di cui è composta, sfugge alla maggior parte degli uomini. Questo perché generalmente viene recitata senza riflettere sul significato di ciascuna delle sue frasi. Viene pronunciata come una formula la cui efficacia è proporzionale al numero di volte che è ripetuta, che è quasi sempre uno dei numeri cabalistici tre, sette o nove, tratti dall'antica credenza superstiziosa sul potere dei numeri e in uso nelle pratiche magiche.
Per surrogare le esitazioni che la concisione di questa preghiera genera nella mente, con il consiglio e l'assistenza dei buoni Spiriti, a ogni proposizione è stato aggiunto un commento che ne sviluppa il significato e ne mostra le applicazioni. Secondo le circostanze e il tempo disponibile, si può dunque dire la Preghiera domenicale semplice o ampliata.
3. Preghiera
I. Padre nostro, che sei nei Cieli, sia santificato il Tuo nome!
Crediamo in Voi, Signore, perché tutto ci rivela la Vostra potenza e la Vostra bontà. L'armonia dell'universo testimonia una saggezza, una prudenza e una preveggenza che oltrepassano tutte le facoltà umane. Il nome di un Essere sovranamente grande e saggio è inscritto in tutte le opere della creazione, dal filo d'erba e il più piccolo insetto, fino agli astri che si muovono nello spazio. Ovunque noi vediamo la prova di una sollecitudine paterna. È cieco chi non Vi riconosce nelle Vostre opere, presuntuoso chi non Vi glorifica, ingrato chi non Vi rende grazie.
II. Venga il Tuo Regno!
Signore, Voi avete dato agli uomini leggi piene di saggezza e che farebbero la loro felicità se essi le osservassero. Con queste leggi, essi potrebbero stabilire fra loro la pace e la giustizia e aiutarsi reciprocamente, anziché nuocersi come fanno. I forti sosterrebbero i deboli invece di opprimerli. Essi eviterebbero i mali che generano abusi ed eccessi di ogni genere. Tutte le miserie di questa Terra sono provocate dalla violazione delle Vostre leggi, perché non c'è una sola infrazione che non abbia le sue fatali conseguenze.
Voi avete dato all'animale l'istinto, che gli indica i limiti delle sue necessità e a cui si conforma automaticamente. Ma all'uomo, oltre all'istinto, avete dato l'intelligenza e la ragione e anche la libertà di osservare o di infrangere quelle leggi che lo riguardano personalmente, ossia la libertà di scegliere fra il bene e il male, affinché abbia il merito e la responsabilità delle sue azioni.
Per nessuno può essere ammessa l'ignoranza delle vostre leggi perché, nella Vostra previdenza paterna, avete voluto che queste leggi fossero impresse nella coscienza di ognuno, senza distinzione di culto o di razza. Le viola chi Vi disconosce.
Giorno verrà in cui, secondo la Vostra promessa, tutti le praticheranno. Allora l'incredulità sarà scomparsa, tutti Vi riconosceranno come il sovrano Padrone di tutte le cose, e il regno delle Vostre leggi sarà il Vostro regno sulla Terra.
Degnatevi, Signore, di affrettare il suo avvento, dando agli uomini la luce necessaria per condurli sul cammino della verità.
III. Sia fatta la Tua volontà così in Cielo come in Terra!
Se la sottomissione è un dovere dei figli rispetto al padre, dell'inferiore rispetto al superiore, quanto sarà più grande quella della creatura rispetto al suo Creatore! Fare la Vostra volontà, Signore, vuol dire osservare le Vostre leggi e sottomettersi senza lamentarsi ai decreti divini. L'uomo si sottometterà quando comprenderà che siete Voi la fonte di tutta la saggezza, e che senza di Voi nulla si può. Allora l'uomo farà la Vostra volontà sulla Terra, come gli eletti in Cielo.
IV. Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Dateci il nutrimento per il mantenimento delle forze fisiche e dateci anche il nutrimento spirituale per lo sviluppo del nostro Spirito.
L'animale il suo cibo lo trova, ma l'uomo lo ottiene dalla sua attività e dalle risorse della sua intelligenza, perché Voi lo avete creato libero.
Voi gli avete detto: «Tu trarrai il tuo nutrimento dalla terra, con il sudore della tua fronte». Perciò gli avete fatto obbligo del lavoro, affinché esercitasse la sua intelligenza attraverso la ricerca dei mezzi per poter provvedere alle proprie necessità e al suo benessere, chi con il lavoro materiale, chi con il lavoro intellettuale. Senza il lavoro, egli sarebbe rimasto sempre allo stesso livello né avrebbe potuto aspirare alla felicità degli Spiriti superiori.
Voi assistete l'uomo di buona volontà che si affida a Voi per il necessario, ma non quello che si crogiola nell'ozio volendo ottenere tutto senza fatica, né quello che cerca il superfluo (vedere cap. XXV di quest'opera).
Tanti sono quelli che soccombono per le loro stesse colpe, per la loro incuria, la loro imprevidenza o la loro ambizione e per non aver voluto accontentarsi di ciò che gli avete dato! Costoro sono gli artefici della loro stessa sfortuna e non hanno il diritto di lamentarsi, perché vengono puniti secondo i loro peccati. Ma anche costoro non sono da Voi abbandonati, perché Voi siete infinitamente misericordioso e tendete loro una mano per soccorrerli quando, come il figliol prodigo, ritornano sinceramente a Voi (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
Prima di lamentarci della nostra sorte, domandiamoci se non è opera nostra; a ogni disgrazia che ci succede, domandiamoci se non sarebbe dipeso da noi evitarla. Ma diciamoci anche che Dio ci ha dato l'intelligenza per superare gli ostacoli e che dipende da noi farne buon uso.
Poiché la legge del lavoro è la condizione dell'uomo sulla Terra, dateci, Signore, il coraggio e la forza di compierlo. Dateci anche la prudenza, l'accortezza e la moderazione, affinché non ne perdiamo il frutto.
Dateci dunque, Signore, il nostro pane quotidiano, ossia i mezzi per acquistare con il lavoro il necessario per vivere, poiché nessuno ha il diritto di reclamare il superfluo.
Se non ci sarà possibile lavorare, confidiamo nella Vostra divina Provvidenza.
Se, malgrado i nostri sforzi, sarà nei Vostri disegni sottoporci alle più dure privazioni, noi le accetteremo come una giusta espiazione degli errori che abbiamo potuto commettere in questa vita o in altre vite precedenti, perché Voi siete giusto. Noi sappiamo che non esistono pene immeritate, e che Voi non castigate mai senza una causa.
Preservateci, mio Dio, dal nutrire invidia verso coloro che possiedono quello che noi non possediamo o verso coloro che hanno il superfluo, mentre noi non abbiamo neppure il necessario. Perdonate loro se dimenticano la legge di carità e d'amore verso il prossimo che Voi avete loro insegnato (vedere cap. XVI, n. 8 di quest'opera).
Allontanate anche dal nostro spirito il pensiero di negare la Vostra giustizia, allorché vediamo la prosperità del malvagio e l'infelicità che prostra a volte l'uomo dabbene. Noi sappiamo ora, grazie ai nuovi lumi che a Voi è piaciuto offrici, che la Vostra giustizia sempre si attua e che nessuno può sfuggirle. Sappiamo anche che la prosperità materiale del malvagio è effimera, come effimera è la sua esistenza fisica, e che gli procurerà terribili disgrazie, mentre la felicità riservata a chi soffre con rassegnazione sarà eterna (vedere cap. V, nn. 7, 9, 12, 18 di quest'opera).
V. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Perdona le nostre offese, come noi le perdoniamo a chi ci offende.
Ogni nostra inosservanza alle Vostre leggi, Signore, è un'offesa nei Vostri confronti, e un debito che con Voi contraiamo e che prima o poi dovremo saldare. Noi ne affidiamo la remissione alla Vostra infinita misericordia, con la promessa di impegnarci a non contrarne degli altri.
Voi avete fatto espressamente per noi una legge sulla carità. Ma la carità non consiste solamente nell'assistere il proprio simile nel bisogno, essa sta anche nel dimenticare e nel perdonare le offese. Con quale diritto reclameremmo la Vostra indulgenza, se noi stessi ne difettassimo nei confronti di quelli di cui ci lamentiamo?
Dateci, o mio Dio, la forza di soffocare nel nostro animo qualsiasi risentimento, odio o rancore. Fate che la morte non ci sorprenda con un desiderio di vendetta nell'animo. Se Voi vorrete toglierci oggi stesso da questo mondo, concedeteci di presentarci a Voi puri da ogni animosità, sull'esempio di Cristo le cui ultime parole furono di perdono per i Suoi aguzzini (vedere cap. X di quest'opera).
Le persecuzioni che i malvagi ci fanno patire fanno parte delle nostre prove terrene, e noi dobbiamo accettarle senza lamentele, come tutte le altre prove. Non dobbiamo maledire coloro che con la loro malvagità ci indicano il cammino della felicità eterna. Non avete Voi forse detto, per bocca di Gesù: «Felici quelli che soffrono per la giustizia!»? Benediciamo dunque la mano che ci colpisce e ci umilia, perché le piaghe del corpo fortificano la nostra anima, e noi saremo risollevati dalla nostra condizione di umiliazione (vedere cap. XII, n. 4 di quest'opera).
Benedetto sia il Vostro nome, Signore, per averci insegnato che la nostra sorte non è irrevocabilmente fissata dopo la morte, che noi troveremo in altre esistenze il modo di riscattare e riparare i nostri errori passati e di compiere in una nuova vita ciò che non abbiamo potuto fare in questa per il nostro avanzamento (vedere cap. IV; V, n. 5 di quest'opera).
Attraverso ciò si spiegano tutte le apparenti incongruenze della vita. Si tratta della luce gettata sul nostro passato e sul nostro futuro, il segno luminoso della Vostra sovrana giustizia e della Vostra bontà infinita.
VI. Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male [1]
Dateci, Signore, la forza di resistere alle suggestioni di cattivi Spiriti che tentassero di fuorviarci dalla via del bene, ispirandoci cattivi pensieri.
Ma noi stessi siamo Spiriti imperfetti, incarnati su questa Terra per espiare le nostre colpe e per migliorarci. La causa prima del male è in noi, e i cattivi Spiriti non fanno che approfittare delle nostre inclinazioni viziose, nelle quali ci trattengono per tentarci.
Ogni imperfezione è una porta aperta all'influenza degli Spiriti malvagi, mentre essi sono impotenti e rinunciano a qualsiasi tentativo nei confronti degli esseri perfetti. Tutto ciò che noi potremo fare per allontanarli è inutile, se non ci opporremo a loro con una volontà incrollabile nel bene e una rinuncia assoluta al male. È dunque verso noi stessi che dobbiamo dirigere i nostri sforzi. Solo così i cattivi Spiriti si allontaneranno naturalmente, perché è il male che li attira, mentre il bene li respinge (vedere in questo stesso cap. "Preghiera per gli ossessi" al n. 81).
Signore, sosteneteci nella nostra debolezza. Ispirateci, attraverso la voce dei nostri angeli custodi e dei buoni Spiriti, la volontà di correggerci delle nostre imperfezioni, al fine di chiudere agli Spiriti impuri l'accesso alle nostre anime (vedere in questo stesso cap. n. 11).
Il male non è assolutamente opera Vostra, Signore, perché dalla sorgente di ogni bene non può affatto sgorgare alcunché di malvagio. Siamo noi stessi che creiamo il male infrangendo le Vostre leggi e facendo cattivo uso della libertà che Voi ci avete dato. Quando gli uomini osserveranno le Vostre leggi, il male scomparirà dalla Terra, come è già scomparso nei mondi più avanzati.
Il male non è una fatale necessità per nessuno. Esso può sembrare irresistibile solo a chi vi si abbandoni con compiacimento. Se noi abbiamo la volontà di fare il male, possiamo avere anche quella di fare il bene. Per questo, o mio Dio, domandiamo la Vostra assistenza e quella dei buoni Spiriti, per resistere alle tentazioni.
-------------------------
Crediamo in Voi, Signore, perché tutto ci rivela la Vostra potenza e la Vostra bontà. L'armonia dell'universo testimonia una saggezza, una prudenza e una preveggenza che oltrepassano tutte le facoltà umane. Il nome di un Essere sovranamente grande e saggio è inscritto in tutte le opere della creazione, dal filo d'erba e il più piccolo insetto, fino agli astri che si muovono nello spazio. Ovunque noi vediamo la prova di una sollecitudine paterna. È cieco chi non Vi riconosce nelle Vostre opere, presuntuoso chi non Vi glorifica, ingrato chi non Vi rende grazie.
II. Venga il Tuo Regno!
Signore, Voi avete dato agli uomini leggi piene di saggezza e che farebbero la loro felicità se essi le osservassero. Con queste leggi, essi potrebbero stabilire fra loro la pace e la giustizia e aiutarsi reciprocamente, anziché nuocersi come fanno. I forti sosterrebbero i deboli invece di opprimerli. Essi eviterebbero i mali che generano abusi ed eccessi di ogni genere. Tutte le miserie di questa Terra sono provocate dalla violazione delle Vostre leggi, perché non c'è una sola infrazione che non abbia le sue fatali conseguenze.
Voi avete dato all'animale l'istinto, che gli indica i limiti delle sue necessità e a cui si conforma automaticamente. Ma all'uomo, oltre all'istinto, avete dato l'intelligenza e la ragione e anche la libertà di osservare o di infrangere quelle leggi che lo riguardano personalmente, ossia la libertà di scegliere fra il bene e il male, affinché abbia il merito e la responsabilità delle sue azioni.
Per nessuno può essere ammessa l'ignoranza delle vostre leggi perché, nella Vostra previdenza paterna, avete voluto che queste leggi fossero impresse nella coscienza di ognuno, senza distinzione di culto o di razza. Le viola chi Vi disconosce.
Giorno verrà in cui, secondo la Vostra promessa, tutti le praticheranno. Allora l'incredulità sarà scomparsa, tutti Vi riconosceranno come il sovrano Padrone di tutte le cose, e il regno delle Vostre leggi sarà il Vostro regno sulla Terra.
Degnatevi, Signore, di affrettare il suo avvento, dando agli uomini la luce necessaria per condurli sul cammino della verità.
III. Sia fatta la Tua volontà così in Cielo come in Terra!
Se la sottomissione è un dovere dei figli rispetto al padre, dell'inferiore rispetto al superiore, quanto sarà più grande quella della creatura rispetto al suo Creatore! Fare la Vostra volontà, Signore, vuol dire osservare le Vostre leggi e sottomettersi senza lamentarsi ai decreti divini. L'uomo si sottometterà quando comprenderà che siete Voi la fonte di tutta la saggezza, e che senza di Voi nulla si può. Allora l'uomo farà la Vostra volontà sulla Terra, come gli eletti in Cielo.
IV. Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Dateci il nutrimento per il mantenimento delle forze fisiche e dateci anche il nutrimento spirituale per lo sviluppo del nostro Spirito.
L'animale il suo cibo lo trova, ma l'uomo lo ottiene dalla sua attività e dalle risorse della sua intelligenza, perché Voi lo avete creato libero.
Voi gli avete detto: «Tu trarrai il tuo nutrimento dalla terra, con il sudore della tua fronte». Perciò gli avete fatto obbligo del lavoro, affinché esercitasse la sua intelligenza attraverso la ricerca dei mezzi per poter provvedere alle proprie necessità e al suo benessere, chi con il lavoro materiale, chi con il lavoro intellettuale. Senza il lavoro, egli sarebbe rimasto sempre allo stesso livello né avrebbe potuto aspirare alla felicità degli Spiriti superiori.
Voi assistete l'uomo di buona volontà che si affida a Voi per il necessario, ma non quello che si crogiola nell'ozio volendo ottenere tutto senza fatica, né quello che cerca il superfluo (vedere cap. XXV di quest'opera).
Tanti sono quelli che soccombono per le loro stesse colpe, per la loro incuria, la loro imprevidenza o la loro ambizione e per non aver voluto accontentarsi di ciò che gli avete dato! Costoro sono gli artefici della loro stessa sfortuna e non hanno il diritto di lamentarsi, perché vengono puniti secondo i loro peccati. Ma anche costoro non sono da Voi abbandonati, perché Voi siete infinitamente misericordioso e tendete loro una mano per soccorrerli quando, come il figliol prodigo, ritornano sinceramente a Voi (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
Prima di lamentarci della nostra sorte, domandiamoci se non è opera nostra; a ogni disgrazia che ci succede, domandiamoci se non sarebbe dipeso da noi evitarla. Ma diciamoci anche che Dio ci ha dato l'intelligenza per superare gli ostacoli e che dipende da noi farne buon uso.
Poiché la legge del lavoro è la condizione dell'uomo sulla Terra, dateci, Signore, il coraggio e la forza di compierlo. Dateci anche la prudenza, l'accortezza e la moderazione, affinché non ne perdiamo il frutto.
Dateci dunque, Signore, il nostro pane quotidiano, ossia i mezzi per acquistare con il lavoro il necessario per vivere, poiché nessuno ha il diritto di reclamare il superfluo.
Se non ci sarà possibile lavorare, confidiamo nella Vostra divina Provvidenza.
Se, malgrado i nostri sforzi, sarà nei Vostri disegni sottoporci alle più dure privazioni, noi le accetteremo come una giusta espiazione degli errori che abbiamo potuto commettere in questa vita o in altre vite precedenti, perché Voi siete giusto. Noi sappiamo che non esistono pene immeritate, e che Voi non castigate mai senza una causa.
Preservateci, mio Dio, dal nutrire invidia verso coloro che possiedono quello che noi non possediamo o verso coloro che hanno il superfluo, mentre noi non abbiamo neppure il necessario. Perdonate loro se dimenticano la legge di carità e d'amore verso il prossimo che Voi avete loro insegnato (vedere cap. XVI, n. 8 di quest'opera).
Allontanate anche dal nostro spirito il pensiero di negare la Vostra giustizia, allorché vediamo la prosperità del malvagio e l'infelicità che prostra a volte l'uomo dabbene. Noi sappiamo ora, grazie ai nuovi lumi che a Voi è piaciuto offrici, che la Vostra giustizia sempre si attua e che nessuno può sfuggirle. Sappiamo anche che la prosperità materiale del malvagio è effimera, come effimera è la sua esistenza fisica, e che gli procurerà terribili disgrazie, mentre la felicità riservata a chi soffre con rassegnazione sarà eterna (vedere cap. V, nn. 7, 9, 12, 18 di quest'opera).
V. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Perdona le nostre offese, come noi le perdoniamo a chi ci offende.
Ogni nostra inosservanza alle Vostre leggi, Signore, è un'offesa nei Vostri confronti, e un debito che con Voi contraiamo e che prima o poi dovremo saldare. Noi ne affidiamo la remissione alla Vostra infinita misericordia, con la promessa di impegnarci a non contrarne degli altri.
Voi avete fatto espressamente per noi una legge sulla carità. Ma la carità non consiste solamente nell'assistere il proprio simile nel bisogno, essa sta anche nel dimenticare e nel perdonare le offese. Con quale diritto reclameremmo la Vostra indulgenza, se noi stessi ne difettassimo nei confronti di quelli di cui ci lamentiamo?
Dateci, o mio Dio, la forza di soffocare nel nostro animo qualsiasi risentimento, odio o rancore. Fate che la morte non ci sorprenda con un desiderio di vendetta nell'animo. Se Voi vorrete toglierci oggi stesso da questo mondo, concedeteci di presentarci a Voi puri da ogni animosità, sull'esempio di Cristo le cui ultime parole furono di perdono per i Suoi aguzzini (vedere cap. X di quest'opera).
Le persecuzioni che i malvagi ci fanno patire fanno parte delle nostre prove terrene, e noi dobbiamo accettarle senza lamentele, come tutte le altre prove. Non dobbiamo maledire coloro che con la loro malvagità ci indicano il cammino della felicità eterna. Non avete Voi forse detto, per bocca di Gesù: «Felici quelli che soffrono per la giustizia!»? Benediciamo dunque la mano che ci colpisce e ci umilia, perché le piaghe del corpo fortificano la nostra anima, e noi saremo risollevati dalla nostra condizione di umiliazione (vedere cap. XII, n. 4 di quest'opera).
Benedetto sia il Vostro nome, Signore, per averci insegnato che la nostra sorte non è irrevocabilmente fissata dopo la morte, che noi troveremo in altre esistenze il modo di riscattare e riparare i nostri errori passati e di compiere in una nuova vita ciò che non abbiamo potuto fare in questa per il nostro avanzamento (vedere cap. IV; V, n. 5 di quest'opera).
Attraverso ciò si spiegano tutte le apparenti incongruenze della vita. Si tratta della luce gettata sul nostro passato e sul nostro futuro, il segno luminoso della Vostra sovrana giustizia e della Vostra bontà infinita.
VI. Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male [1]
Dateci, Signore, la forza di resistere alle suggestioni di cattivi Spiriti che tentassero di fuorviarci dalla via del bene, ispirandoci cattivi pensieri.
Ma noi stessi siamo Spiriti imperfetti, incarnati su questa Terra per espiare le nostre colpe e per migliorarci. La causa prima del male è in noi, e i cattivi Spiriti non fanno che approfittare delle nostre inclinazioni viziose, nelle quali ci trattengono per tentarci.
Ogni imperfezione è una porta aperta all'influenza degli Spiriti malvagi, mentre essi sono impotenti e rinunciano a qualsiasi tentativo nei confronti degli esseri perfetti. Tutto ciò che noi potremo fare per allontanarli è inutile, se non ci opporremo a loro con una volontà incrollabile nel bene e una rinuncia assoluta al male. È dunque verso noi stessi che dobbiamo dirigere i nostri sforzi. Solo così i cattivi Spiriti si allontaneranno naturalmente, perché è il male che li attira, mentre il bene li respinge (vedere in questo stesso cap. "Preghiera per gli ossessi" al n. 81).
Signore, sosteneteci nella nostra debolezza. Ispirateci, attraverso la voce dei nostri angeli custodi e dei buoni Spiriti, la volontà di correggerci delle nostre imperfezioni, al fine di chiudere agli Spiriti impuri l'accesso alle nostre anime (vedere in questo stesso cap. n. 11).
Il male non è assolutamente opera Vostra, Signore, perché dalla sorgente di ogni bene non può affatto sgorgare alcunché di malvagio. Siamo noi stessi che creiamo il male infrangendo le Vostre leggi e facendo cattivo uso della libertà che Voi ci avete dato. Quando gli uomini osserveranno le Vostre leggi, il male scomparirà dalla Terra, come è già scomparso nei mondi più avanzati.
Il male non è una fatale necessità per nessuno. Esso può sembrare irresistibile solo a chi vi si abbandoni con compiacimento. Se noi abbiamo la volontà di fare il male, possiamo avere anche quella di fare il bene. Per questo, o mio Dio, domandiamo la Vostra assistenza e quella dei buoni Spiriti, per resistere alle tentazioni.
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[1] Certe traduzioni riportano: «Nonindurci in tentazione» (et ne nos inducas in tentationem).Questa
espressione lascerebbe intendere che la tentazione viene da Dio, che
Egli spinga, cioè, volontariamente gli uomini al male. È un pensiero
blasfemo che assimilerebbe Dio a Satana, e non può essere stato quello
di Gesù. Esso è del resto conforme alla dottrina comune sul ruolo del
demonio. (Vedere Il Cielo e l'Inferno, cap. X, "I demoni")
VII. Così sia.
Vogliate, Signore, che i nostri desideri si compiano! Noi però ci inchiniamo dinanzi alla Vostra saggezza infinita. Per tutte le cose che non ci è dato comprendere, sia fatta la Vostra santa volontà e non la nostra, perché Voi volete solo il nostro bene e sapete meglio di noi ciò che ci è utile.
Vi rivolgiamo questa preghiera, o mio Dio, per noi stessi. Ve la rivolgiamo anche per tutte le anime sofferenti, incarnate o disincarnate, per i nostri amici e i nostri nemici, per tutti quelli che implorano la nostra assistenza, e in particolare per X...
Imploriamo per tutti la Vostra misericordia e la Vostra benedizione.
Nota - Si può citare qui ciò per cui si ringrazia Dio e ciò che si domanda per se stessi e per altri (vedere qui di seguito le preghiere nn. 26 e 27).
VII. Così sia.
Vogliate, Signore, che i nostri desideri si compiano! Noi però ci inchiniamo dinanzi alla Vostra saggezza infinita. Per tutte le cose che non ci è dato comprendere, sia fatta la Vostra santa volontà e non la nostra, perché Voi volete solo il nostro bene e sapete meglio di noi ciò che ci è utile.
Vi rivolgiamo questa preghiera, o mio Dio, per noi stessi. Ve la rivolgiamo anche per tutte le anime sofferenti, incarnate o disincarnate, per i nostri amici e i nostri nemici, per tutti quelli che implorano la nostra assistenza, e in particolare per X...
Imploriamo per tutti la Vostra misericordia e la Vostra benedizione.
Nota - Si può citare qui ciò per cui si ringrazia Dio e ciò che si domanda per se stessi e per altri (vedere qui di seguito le preghiere nn. 26 e 27).
Riunioni spiritiste
4. Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro. (Matteo 18:20)
5. Prefazione
— Essere riuniti nel nome di Gesù non vuol dire che è sufficiente stare
insieme fisicamente, ma che bisogna esserlo anche spiritualmente, in
comunione d'intenti e di pensiero tesi al bene. Allora sì che Gesù si
trova in mezzo all'assemblea: Lui o i puri Spiriti che lo rappresentano.
Ed è lo Spiritismo che ci fa comprendere come gli Spiriti possono
essere fra noi. Essi sono presenti con il loro corpo fluidico o
spirituale e con lo stesso aspetto che ci permetterebbe di riconoscerli
nel caso si rendessero visibili. Più sono elevati nella gerarchia,
maggiore è il loro potere di irraggiamento. È per questo che essi hanno
il dono dell'ubiquità e possono trovarsi in molti luoghi
simultaneamente, bastando a ciò un solo raggio del loro pensiero.
Con queste parole Gesù ha voluto mostrare l'effetto dell'unione e della fraternità. Non è il numero più o meno grande ad attrarLo perché invece di due o tre persone Egli avrebbe potuto dire dieci o venti. Ad attrarLo è il sentimento di carità che anima le une verso le altre. Quindi, per questo, basta che ce ne siano due. Ma, se queste due persone pregano ognuna per proprio conto, pur rivolgendosi a Gesù; se non c'è fra loro comunione di pensiero; se non sono mosse da un sentimento di mutua benevolenza; se addirittura si guardano in modo ostile, con odio, invidia e gelosia; se le correnti fluidiche dei loro pensieri si respingono, anziché attrarsi in un comune slancio di simpatia, allora esse non sono per niente riunite in nome di Gesù. Gesù è solo il pretesto della riunione e non il vero movente (vedere cap. XXVII, n. 9 di quest'opera).
Ciò non implica assolutamente che Gesù sia sordo alla voce di una sola persona. Se Egli non ha affatto detto: «Andrò da chiunque mi chiami», è perché Egli esige prima di tutto l'amore del prossimo, che si può dimostrare meglio quando si è in tanti, piuttosto che isolatamente, e che esclude ogni sentimento di carattere personale. Ne consegue che se, in un'assemblea numerosa, solamente due o tre persone sono unite nel cuore da un sentimento veramente caritatevole, mentre le altre si isolano e si concentrano in pensieri egoistici e mondani, Egli sarà con le prime due o tre e non con le altre. Non è dunque nella simultaneità delle parole, dei canti o degli atti esteriori che consiste la riunione in nome di Gesù, ma nella comunione di pensieri secondo lo spirito di carità personificato da Gesù (vedere cap. X, nn. 7 e 8; cap. XXVII, nn. 2, 3, 4 di quest'opera).
Tale deve essere il carattere delle riunioni spiritiste serie, di quelle in cui si vuole sinceramente il concorso dei buoni Spiriti.
Con queste parole Gesù ha voluto mostrare l'effetto dell'unione e della fraternità. Non è il numero più o meno grande ad attrarLo perché invece di due o tre persone Egli avrebbe potuto dire dieci o venti. Ad attrarLo è il sentimento di carità che anima le une verso le altre. Quindi, per questo, basta che ce ne siano due. Ma, se queste due persone pregano ognuna per proprio conto, pur rivolgendosi a Gesù; se non c'è fra loro comunione di pensiero; se non sono mosse da un sentimento di mutua benevolenza; se addirittura si guardano in modo ostile, con odio, invidia e gelosia; se le correnti fluidiche dei loro pensieri si respingono, anziché attrarsi in un comune slancio di simpatia, allora esse non sono per niente riunite in nome di Gesù. Gesù è solo il pretesto della riunione e non il vero movente (vedere cap. XXVII, n. 9 di quest'opera).
Ciò non implica assolutamente che Gesù sia sordo alla voce di una sola persona. Se Egli non ha affatto detto: «Andrò da chiunque mi chiami», è perché Egli esige prima di tutto l'amore del prossimo, che si può dimostrare meglio quando si è in tanti, piuttosto che isolatamente, e che esclude ogni sentimento di carattere personale. Ne consegue che se, in un'assemblea numerosa, solamente due o tre persone sono unite nel cuore da un sentimento veramente caritatevole, mentre le altre si isolano e si concentrano in pensieri egoistici e mondani, Egli sarà con le prime due o tre e non con le altre. Non è dunque nella simultaneità delle parole, dei canti o degli atti esteriori che consiste la riunione in nome di Gesù, ma nella comunione di pensieri secondo lo spirito di carità personificato da Gesù (vedere cap. X, nn. 7 e 8; cap. XXVII, nn. 2, 3, 4 di quest'opera).
Tale deve essere il carattere delle riunioni spiritiste serie, di quelle in cui si vuole sinceramente il concorso dei buoni Spiriti.
6. Preghiera (All'inizio
della riunione) — Noi preghiamo il Signore Iddio Onnipotente di mandarci
Spiriti buoni per assisterci, di allontanare quelli che potrebbero
indurci in errore e di concederci la luce necessaria per distinguere la
verità dalla menzogna.
Allontanate, Signore, anche gli Spiriti malevoli, incarnati o disincarnati, che potrebbero tentare di gettare fra noi la discordia e di distoglierci dalla carità e dall'amore per il prossimo. Se qualcuno tentasse di introdursi qui, fate che non trovi accoglimento nel cuore di nessuno di noi.
Buoni Spiriti, che vi degnate di venire a istruirci, rendeteci docili ai vostri consigli. Allontanate da noi qualsiasi pensiero d'egoismo, orgoglio, invidia e gelosia. Ispirateci l'indulgenza e la benevolenza verso i nostri simili presenti o assenti, amici o nemici. Infine fate sì che, attraverso i sentimenti da cui saremo animati, noi possiamo riconoscere la Vostra salutare influenza.
Donate ai medium, cui darete l'incarico di trasmetterci i Vostri insegnamenti, la coscienza della santità della missione che è stata loro affidata e della gravità dell'atto che essi stanno per compiere, affinché agiscano con il fervore e il raccoglimento necessari.
Se nell'assemblea si trovano persone attirate da altro intendimento che non sia il bene, aprite loro gli occhi alla luce e perdonateli, come noi li perdoneremmo se venissero con intenzioni malevole.
Noi preghiamo in particolare lo Spirito di X..., nostra guida spirituale, di assisterci e di vegliare su di noi.
Allontanate, Signore, anche gli Spiriti malevoli, incarnati o disincarnati, che potrebbero tentare di gettare fra noi la discordia e di distoglierci dalla carità e dall'amore per il prossimo. Se qualcuno tentasse di introdursi qui, fate che non trovi accoglimento nel cuore di nessuno di noi.
Buoni Spiriti, che vi degnate di venire a istruirci, rendeteci docili ai vostri consigli. Allontanate da noi qualsiasi pensiero d'egoismo, orgoglio, invidia e gelosia. Ispirateci l'indulgenza e la benevolenza verso i nostri simili presenti o assenti, amici o nemici. Infine fate sì che, attraverso i sentimenti da cui saremo animati, noi possiamo riconoscere la Vostra salutare influenza.
Donate ai medium, cui darete l'incarico di trasmetterci i Vostri insegnamenti, la coscienza della santità della missione che è stata loro affidata e della gravità dell'atto che essi stanno per compiere, affinché agiscano con il fervore e il raccoglimento necessari.
Se nell'assemblea si trovano persone attirate da altro intendimento che non sia il bene, aprite loro gli occhi alla luce e perdonateli, come noi li perdoneremmo se venissero con intenzioni malevole.
Noi preghiamo in particolare lo Spirito di X..., nostra guida spirituale, di assisterci e di vegliare su di noi.
7. (Alla fine della
riunione) — Ringraziamo gli Spiriti buoni che sono venuti qui per
comunicare con noi, li preghiamo di aiutarci a mettere in pratica le
istruzioni che ci hanno dato e di far in modo che ognuno di noi, uscendo
da qui, si senta fortificato nella pratica del bene e dell'amore verso
il prossimo.
Desideriamo pure che queste istruzioni siano di vantaggio per gli Spiriti sofferenti e per quelli ignoranti o viziosi, che hanno potuto assistere a questa riunione e sui quali noi invochiamo la misericordia di Dio.
Desideriamo pure che queste istruzioni siano di vantaggio per gli Spiriti sofferenti e per quelli ignoranti o viziosi, che hanno potuto assistere a questa riunione e sui quali noi invochiamo la misericordia di Dio.
Per i medium
8.
«Avverrà negli ultimi giorni», dice Dio, «che io spanderò il mio Spirito
sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i
vostri giovani avranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei
sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò
il mio Spirito, e profetizzeranno.» (Atti 2:17-18)
9. Prefazione — Ha voluto il
Signore che luce fosse fatta per tutti gli uomini e penetrasse ovunque
attraverso la voce degli Spiriti, affinché tutti potessero acquisire le
prove dell'immortalità. È con questo obiettivo che gli Spiriti si
manifestano oggi in tutti i punti della Terra. La medianità che si
rivela in persone di qualsiasi età e condizione, negli uomini e nelle
donne, nei bambini e nei vecchi, è uno dei segnali del compiersi dei
tempi profetizzati.
Per conoscere le cose del mondo visibile e scoprire i segreti della natura materiale Dio ha dato all'uomo la vista organica, i sensi e strumenti speciali. Con il telescopio egli spinge il suo sguardo nelle profondità dello spazio e con il microscopio scopre il mondo dell'infinitamente piccolo. Per penetrare nel mondo invisibile, Dio gli ha dato la medianità.
I medium sono gli interpreti incaricati di trasmettere agli uomini gli insegnamenti degli Spiriti o, per meglio dire, sono gli organi materiali attraverso i quali gli Spiriti si esprimono per rendersi intelligibili agli uomini. La loro missione è sacra, perché ha lo scopo di schiudere gli orizzonti della vita eterna.
Gli Spiriti vengono a istruire gli uomini sui loro destini futuri, al fine di condurli sulla via del bene e non certo per risparmiar loro il lavoro materiale che devono compiere su questa Terra per migliorarsi e non per favorire la loro ambizione e la loro cupidigia. Ecco ciò che i medium devono ben comprendere per evitare di fare un cattivo uso della loro facoltà. Coloro che comprendono la gravità del mandato di cui sono investiti lo svolgono religiosamente. La loro stessa coscienza li condannerebbe, come rei di atto sacrilego, qualora usassero, con finalità di divertimento o distrazione per sé e per gli altri, una facoltà che è stata loro concessa con scopi ben più seri e che li mette in contatto con gli esseri d'oltretomba.
Come interpreti dell'insegnamento degli Spiriti, i medium devono svolgere un ruolo importante nella trasformazione morale che è in atto. I servizi che essi possono rendere sono commisurati al buon indirizzo che essi danno alla loro facoltà. Quelli infatti che si trovano su una strada errata sono più nocivi che utili alla causa dello Spiritismo. Con le cattive impressioni che producono, essi ritardano più di una conversione. È per questo che sarà loro domandato conto dell'uso che avranno fatto di una facoltà concessa per il bene dei loro simili.
Il medium che voglia conservare l'assistenza dei buoni Spiriti deve lavorare per il suo stesso miglioramento. Chi vuole aumentare e sviluppare la sua facoltà dovrà lui stesso crescere moralmente e astenersi da tutto ciò che tendesse a distoglierlo dal suo fine provvidenziale.
Se i buoni Spiriti si servono a volte di strumenti imperfetti, è per dare ai medium buoni consigli e tentare di ricondurli al bene. Ma se trovano dei cuori insensibili, per cui i loro avvertimenti non vengono ascoltati, si ritirano. E i cattivi avranno allora campo libero (vedere cap. XXIV, nn. 11 e 12 di quest'opera).
L'esperienza dimostra che, in quelli che non mettono a profitto i consigli che ricevono dai buoni Spiriti, le comunicazioni, dopo aver avuto un breve splendore, regrediscono a poco a poco, e i medium finiscono per cadere nell'errore, nel vaniloquio e nel ridicolo, segni incontestabili dell'allontanamento dei buoni Spiriti.
Ottenere l'assistenza dei buoni Spiriti, allontanare gli Spiriti leggeri e bugiardi, tale dev'essere l'obiettivo degli sforzi costanti di tutti i medium seri. Senza ciò la medianità è una facoltà sterile, che può persino diventare un danno per chi la possiede, perché può degenerare in una pericolosa ossessione.
Il medium che comprende il suo dovere, invece di inorgoglirsi per una facoltà che non è di sua proprietà, dal momento che gli può venir tolta, attribuisce a Dio quanto di buono riesce a realizzare. Se le sue comunicazioni meritano degli elogi, non se ne fa un vanto, perché sa che esse non dipendono dai suoi meriti personali, e ringrazia Dio di aver permesso che i buoni Spiriti venissero a manifestarsi a lui. Se le sue comunicazioni danno luogo a critiche, non si offende perché sa che quelle comunicazioni non sono opera del suo Spirito. Ammette di non essere stato un buono strumento e di non possedere tutte le qualità necessarie per opporsi alle interferenze dei cattivi Spiriti. È per questo che cerca di acquisire tali qualità e domanda, con la preghiera, la forza che gli manca.
Per conoscere le cose del mondo visibile e scoprire i segreti della natura materiale Dio ha dato all'uomo la vista organica, i sensi e strumenti speciali. Con il telescopio egli spinge il suo sguardo nelle profondità dello spazio e con il microscopio scopre il mondo dell'infinitamente piccolo. Per penetrare nel mondo invisibile, Dio gli ha dato la medianità.
I medium sono gli interpreti incaricati di trasmettere agli uomini gli insegnamenti degli Spiriti o, per meglio dire, sono gli organi materiali attraverso i quali gli Spiriti si esprimono per rendersi intelligibili agli uomini. La loro missione è sacra, perché ha lo scopo di schiudere gli orizzonti della vita eterna.
Gli Spiriti vengono a istruire gli uomini sui loro destini futuri, al fine di condurli sulla via del bene e non certo per risparmiar loro il lavoro materiale che devono compiere su questa Terra per migliorarsi e non per favorire la loro ambizione e la loro cupidigia. Ecco ciò che i medium devono ben comprendere per evitare di fare un cattivo uso della loro facoltà. Coloro che comprendono la gravità del mandato di cui sono investiti lo svolgono religiosamente. La loro stessa coscienza li condannerebbe, come rei di atto sacrilego, qualora usassero, con finalità di divertimento o distrazione per sé e per gli altri, una facoltà che è stata loro concessa con scopi ben più seri e che li mette in contatto con gli esseri d'oltretomba.
Come interpreti dell'insegnamento degli Spiriti, i medium devono svolgere un ruolo importante nella trasformazione morale che è in atto. I servizi che essi possono rendere sono commisurati al buon indirizzo che essi danno alla loro facoltà. Quelli infatti che si trovano su una strada errata sono più nocivi che utili alla causa dello Spiritismo. Con le cattive impressioni che producono, essi ritardano più di una conversione. È per questo che sarà loro domandato conto dell'uso che avranno fatto di una facoltà concessa per il bene dei loro simili.
Il medium che voglia conservare l'assistenza dei buoni Spiriti deve lavorare per il suo stesso miglioramento. Chi vuole aumentare e sviluppare la sua facoltà dovrà lui stesso crescere moralmente e astenersi da tutto ciò che tendesse a distoglierlo dal suo fine provvidenziale.
Se i buoni Spiriti si servono a volte di strumenti imperfetti, è per dare ai medium buoni consigli e tentare di ricondurli al bene. Ma se trovano dei cuori insensibili, per cui i loro avvertimenti non vengono ascoltati, si ritirano. E i cattivi avranno allora campo libero (vedere cap. XXIV, nn. 11 e 12 di quest'opera).
L'esperienza dimostra che, in quelli che non mettono a profitto i consigli che ricevono dai buoni Spiriti, le comunicazioni, dopo aver avuto un breve splendore, regrediscono a poco a poco, e i medium finiscono per cadere nell'errore, nel vaniloquio e nel ridicolo, segni incontestabili dell'allontanamento dei buoni Spiriti.
Ottenere l'assistenza dei buoni Spiriti, allontanare gli Spiriti leggeri e bugiardi, tale dev'essere l'obiettivo degli sforzi costanti di tutti i medium seri. Senza ciò la medianità è una facoltà sterile, che può persino diventare un danno per chi la possiede, perché può degenerare in una pericolosa ossessione.
Il medium che comprende il suo dovere, invece di inorgoglirsi per una facoltà che non è di sua proprietà, dal momento che gli può venir tolta, attribuisce a Dio quanto di buono riesce a realizzare. Se le sue comunicazioni meritano degli elogi, non se ne fa un vanto, perché sa che esse non dipendono dai suoi meriti personali, e ringrazia Dio di aver permesso che i buoni Spiriti venissero a manifestarsi a lui. Se le sue comunicazioni danno luogo a critiche, non si offende perché sa che quelle comunicazioni non sono opera del suo Spirito. Ammette di non essere stato un buono strumento e di non possedere tutte le qualità necessarie per opporsi alle interferenze dei cattivi Spiriti. È per questo che cerca di acquisire tali qualità e domanda, con la preghiera, la forza che gli manca.
10. Preghiera — Dio
Onnipotente, permettete ai buoni Spiriti di assistermi nella
comunicazione che sono qui a chiederVi. Preservatemi dalla presunzione
di credermi al riparo dai cattivi Spiriti, dall'orgoglio che potrebbe
indurmi in errore nel valutare ciò che ottengo, da tutti i sentimenti
contrari alla carità nei confronti degli altri medium. Se venissi
indotto in errore, ispirate a qualcuno l'idea di avvertirmi, e a me
l'umiltà che mi farà accettare la critica con riconoscenza e prendere su
di me, e non trasferire sugli altri, i consigli che i buoni Spiriti
vorranno dettarmi.
Se fossi tentato di ingannare chicchessia o di vantarmi per la facoltà che Vi è piaciuto accordarmi, Vi prego di togliermela piuttosto di permettere che essa venga fuorviata dal suo scopo provvidenziale, che è il bene di tutti e il mio stesso avanzamento morale.
Se fossi tentato di ingannare chicchessia o di vantarmi per la facoltà che Vi è piaciuto accordarmi, Vi prego di togliermela piuttosto di permettere che essa venga fuorviata dal suo scopo provvidenziale, che è il bene di tutti e il mio stesso avanzamento morale.
2 — Preghiere per se stesso
Agli Angeli Custodi e agli Spiriti protettori
11. Prefazione — Noi tutti
abbiamo uno Spirito buono, legato a noi fin dalla nascita e che ci ha
preso sotto la sua protezione. Egli svolge nei nostri confronti la
missione di un padre nei confronti del proprio figlio, quella di
condurci sulla via del bene e dell'avanzamento, attraverso le prove
della vita. È felice quando noi rispondiamo con sollecitudine, soffre
quando ci vede soccombere.
Il suo nome importa poco, perché potrebbe averne uno non conosciuto sulla Terra. Noi lo invochiamo allora come il nostro Angelo Custode, come il nostro Angelo buono, ma possiamo invocarlo anche con il nome di un qualsiasi Spirito superiore per il quale nutriamo una simpatia speciale.
Oltre al nostro Angelo Custode, che è sempre uno Spirito superiore, abbiamo degli Spiriti Protettori che, per quanto siano meno elevati, non sono per questo meno buoni e meno benevoli. Essi sono o dei parenti o degli amici o delle persone che non abbiamo neppure conosciuto in questa esistenza. Ci assistono con i loro consigli e sovente, con il loro intervento, nelle azioni della nostra vita.
Gli Spiriti simpatici sono quelli che si legano a noi per una certa affinità di gusti e di tendenze. Possono essere buoni o cattivi, secondo la natura delle inclinazioni che li attira verso di noi.
Gli Spiriti seduttori si sforzano di distoglierci dalla via del bene, suggerendoci cattivi pensieri. Approfittano di tutte le nostre debolezze come di altrettante porte aperte, che consentono loro l'accesso alla nostra anima. Tra questi ci sono quelli che si accaniscono contro di noi come contro una preda, ma si allontanano appena riconoscono la loro impotenza a lottare contro la nostra volontà.
Dio ci ha dato una guida principale e superiore nel nostro Angelo Custode e delle guide secondarie nei nostri Spiriti Protettori e Familiari. Ma sarebbe un errore credere che noi abbiamo obbligatoriamente un cattivo angelo accanto a noi per controbilanciare le buone influenze. I cattivi Spiriti vengono di loro volontà, qualora trovino buona presa su di noi a causa della nostra debolezza o della nostra negligenza nel seguire le ispirazioni dei buoni Spiriti. Siamo dunque noi che li attiriamo. Ne consegue che non si viene mai privati dell'assistenza dei buoni Spiriti e che dipende da noi scartare i cattivi. A causa delle sue imperfezioni l'uomo è lui stesso la causa prima delle miserie che sopporta e, nella maggior parte dei casi, è lui stesso il suo cattivo Spirito (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
La preghiera agli Angeli Custodi e agli Spiriti Protettori deve avere come scopo quello di sollecitare la loro intercessione presso Dio e di domandar loro la forza, per resistere ai cattivi suggerimenti, e la loro assistenza nelle necessità della vita.
Il suo nome importa poco, perché potrebbe averne uno non conosciuto sulla Terra. Noi lo invochiamo allora come il nostro Angelo Custode, come il nostro Angelo buono, ma possiamo invocarlo anche con il nome di un qualsiasi Spirito superiore per il quale nutriamo una simpatia speciale.
Oltre al nostro Angelo Custode, che è sempre uno Spirito superiore, abbiamo degli Spiriti Protettori che, per quanto siano meno elevati, non sono per questo meno buoni e meno benevoli. Essi sono o dei parenti o degli amici o delle persone che non abbiamo neppure conosciuto in questa esistenza. Ci assistono con i loro consigli e sovente, con il loro intervento, nelle azioni della nostra vita.
Gli Spiriti simpatici sono quelli che si legano a noi per una certa affinità di gusti e di tendenze. Possono essere buoni o cattivi, secondo la natura delle inclinazioni che li attira verso di noi.
Gli Spiriti seduttori si sforzano di distoglierci dalla via del bene, suggerendoci cattivi pensieri. Approfittano di tutte le nostre debolezze come di altrettante porte aperte, che consentono loro l'accesso alla nostra anima. Tra questi ci sono quelli che si accaniscono contro di noi come contro una preda, ma si allontanano appena riconoscono la loro impotenza a lottare contro la nostra volontà.
Dio ci ha dato una guida principale e superiore nel nostro Angelo Custode e delle guide secondarie nei nostri Spiriti Protettori e Familiari. Ma sarebbe un errore credere che noi abbiamo obbligatoriamente un cattivo angelo accanto a noi per controbilanciare le buone influenze. I cattivi Spiriti vengono di loro volontà, qualora trovino buona presa su di noi a causa della nostra debolezza o della nostra negligenza nel seguire le ispirazioni dei buoni Spiriti. Siamo dunque noi che li attiriamo. Ne consegue che non si viene mai privati dell'assistenza dei buoni Spiriti e che dipende da noi scartare i cattivi. A causa delle sue imperfezioni l'uomo è lui stesso la causa prima delle miserie che sopporta e, nella maggior parte dei casi, è lui stesso il suo cattivo Spirito (vedere cap. V, n. 4 di quest'opera).
La preghiera agli Angeli Custodi e agli Spiriti Protettori deve avere come scopo quello di sollecitare la loro intercessione presso Dio e di domandar loro la forza, per resistere ai cattivi suggerimenti, e la loro assistenza nelle necessità della vita.
12. Preghiera — Spiriti
saggi e benevoli, messaggeri di Dio, con la missione di assistere gli
uomini e condurli sulla buona via, sostenetemi nelle prove di questa
vita; datemi la forza di subirle senza lamentarmi; allontanate da me i
cattivi pensieri e fate che io non permetta l'accesso a nessuno dei
cattivi Spiriti che tentassero di indurmi al male. Illuminate la mia
coscienza riguardo ai miei difetti e strappate dai miei occhi il velo
dell'orgoglio, che potrebbe impedirmi di scorgerli e di confessarli a me
stesso.
Soprattutto tu, X..., mio Angelo Custode, che vegli in particolare su di me, e voi tutti, Spiriti Protettori che vi interessate a me, fate che mi renda degno della Vostra benevolenza. Voi conoscete le mie necessità. Siano esse soddisfatte secondo la volontà di Dio.
Soprattutto tu, X..., mio Angelo Custode, che vegli in particolare su di me, e voi tutti, Spiriti Protettori che vi interessate a me, fate che mi renda degno della Vostra benevolenza. Voi conoscete le mie necessità. Siano esse soddisfatte secondo la volontà di Dio.
13. Altra preghiera — Mio
Dio, permettete ai buoni Spiriti che mi circondano di venire in mio
aiuto, quando mi trovo in difficoltà, e di sostenermi se vacillo. Fate,
Signore, che Essi mi ispirino la fede, la speranza e la carità; che
siano per me un sostegno, una speranza e una prova della Vostra
misericordia. Fate, infine, che trovi presso di loro la forza che mi
manca nelle prove della vita e, per resistere alle suggestioni del male,
la fede che salva e l'amore che consola.
14. Altra preghiera — Spiriti benamati,
Angeli Custodi, voi a cui Dio, nella Sua infinita misericordia,
permette di vegliare sugli uomini, siate i nostri protettori nelle prove
della nostra vita terrena. Dateci la forza, il coraggio e la
rassegnazione; ispirateci tutto ciò che è buono e tratteneteci sulla
china del male. Che la vostra dolce influenza penetri nelle nostre
anime. Fate sì che noi sentiamo che un amico devoto è là, vicino a noi,
che vede le nostre sofferenze e condivide le nostre gioie.
E tu, mio Angelo Custode, non abbandonarmi, perché io ho bisogno di tutta la tua protezione per sopportare con fede e amore le prove che a Dio piacerà inviarmi.
E tu, mio Angelo Custode, non abbandonarmi, perché io ho bisogno di tutta la tua protezione per sopportare con fede e amore le prove che a Dio piacerà inviarmi.
Per allontanare i cattivi Spiriti
15.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pulite l'esterno del
bicchiere e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e
d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere e
del piatto, affinché anche l'esterno diventi pulito. Guai a voi, scribi e
farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che
appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d'ossa di morti e d'ogni
immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma
dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. (Matteo 23:25 28)
16. Prefazione — I cattivi
Spiriti vanno solo dove trovano da soddisfare la loro perversità. Per
allontanarli non basta chiederglielo e neanche ordinarglielo: si deve
strappar via da sé ciò che li attira. I cattivi Spiriti fiutano le
piaghe dell'anima, come le mosche avvertono le piaghe del corpo. Come vi
tenete puliti per evitare i parassiti, così ripulite anche l'anima
delle sue impurità per evitare i cattivi Spiriti. Poiché viviamo in un
mondo in cui pullulano i cattivi Spiriti, le buone qualità non sempre ci
mettono al riparo dai loro attacchi, però ci danno la forza per
resistervi.
17. Preghiera — In nome di Dio Onnipotente, che i cattivi Spiriti si allontanino da me e che i buoni mi servano di difesa contro di loro!
Spiriti maligni che ispirate agli uomini cattivi pensieri, Spiriti subdoli e falsi che li ingannate, Spiriti malandrini che vi fate gioco della loro credulità, io vi respingo con tutte le forze del mio animo e chiudo l'udito alle vostre suggestioni. Ma invoco su di voi la misericordia di Dio.
Buoni Spiriti che vi degnate di assistermi, datemi la forza di resistere all'influenza dei cattivi Spiriti e la luce necessaria per non essere vittima della loro falsità. Preservatemi dall'orgoglio e dalla presunzione. Allontanate dal mio cuore la gelosia, l'odio, la malevolenza e tutti i sentimenti contrari alla carità, che sono altrettante porte aperte allo Spirito del male.
Spiriti maligni che ispirate agli uomini cattivi pensieri, Spiriti subdoli e falsi che li ingannate, Spiriti malandrini che vi fate gioco della loro credulità, io vi respingo con tutte le forze del mio animo e chiudo l'udito alle vostre suggestioni. Ma invoco su di voi la misericordia di Dio.
Buoni Spiriti che vi degnate di assistermi, datemi la forza di resistere all'influenza dei cattivi Spiriti e la luce necessaria per non essere vittima della loro falsità. Preservatemi dall'orgoglio e dalla presunzione. Allontanate dal mio cuore la gelosia, l'odio, la malevolenza e tutti i sentimenti contrari alla carità, che sono altrettante porte aperte allo Spirito del male.
Per chiedere di correggersi da un difetto
18. Prefazione
— I nostri cattivi istinti sono il risultato dell'imperfezione del
nostro stesso Spirito e non della nostra struttura fisica, altrimenti
l'uomo si sottrarrebbe a qualsiasi tipo di responsabilità. Il nostro
miglioramento dipende da noi, perché ogni uomo in possesso delle sue
facoltà ha, per tutte le cose, la libertà di fare o di non fare. E per
fare il bene, gli manca solo la volontà (vedere cap. XV, n. 10; cap.
XIX, n. 12 di quest'opera).
19. Preghiera— Voi mi avete
dato, mio Dio, l'intelligenza necessaria per distinguere ciò che è bene
da ciò che è male. Ora, nel momento in cui riconosco che una cosa è
male, sono io colpevole se non cerco di resistervi.
Preservatemi dall'orgoglio, che potrebbe impedirmi di accorgermi dei difetti, e dai cattivi Spiriti che potrebbero indurmi a persistervi.
Fra i miei difetti riconosco di essere particolarmente incline a... E se io non resisto a questa forza, è a causa dell'abitudine che ho contratto di cedervi.
Voi, poiché siete giusto, non mi avete creato colpevole, ma con uguale attitudine sia al bene sia al male. Se ho seguito la via errata è a causa del mio libero arbitrio. Ma se io ho la libertà di fare il male, ho anche quella di fare il bene e, di conseguenza, quella di mutare rotta.
I miei difetti attuali sono un residuo delle imperfezioni che ho conservato dalle mie precedenti esistenze. Essi sono dovuti al mio peccato originale, di cui però posso liberarmi per mezzo della mia volontà e con l'assistenza dei buoni Spiriti.
Buoni Spiriti che mi proteggete e soprattutto tu, mio Angelo Custode, datemi la forza di resistere ai cattivi consigli e di uscire vittorioso dalla lotta.
I difetti sono barriere che ci separano da Dio, e ogni difetto dominato è un passo fatto sulla via del progresso che deve avvicinarmi a Lui.
Il Signore, nella Sua infinita misericordia, si è degnato di concedermi l'attuale esistenza perché io la usassi per il mio avanzamento. Buoni Spiriti, aiutatemi a metterla a profitto, affinché non sia per me perduta e affinché, quando piacerà a Dio togliermela, io ne esca migliore di quando vi sono entrato (vedere cap. V, n. 5; cap. XVII, n. 3 di quest'opera).
Preservatemi dall'orgoglio, che potrebbe impedirmi di accorgermi dei difetti, e dai cattivi Spiriti che potrebbero indurmi a persistervi.
Fra i miei difetti riconosco di essere particolarmente incline a... E se io non resisto a questa forza, è a causa dell'abitudine che ho contratto di cedervi.
Voi, poiché siete giusto, non mi avete creato colpevole, ma con uguale attitudine sia al bene sia al male. Se ho seguito la via errata è a causa del mio libero arbitrio. Ma se io ho la libertà di fare il male, ho anche quella di fare il bene e, di conseguenza, quella di mutare rotta.
I miei difetti attuali sono un residuo delle imperfezioni che ho conservato dalle mie precedenti esistenze. Essi sono dovuti al mio peccato originale, di cui però posso liberarmi per mezzo della mia volontà e con l'assistenza dei buoni Spiriti.
Buoni Spiriti che mi proteggete e soprattutto tu, mio Angelo Custode, datemi la forza di resistere ai cattivi consigli e di uscire vittorioso dalla lotta.
I difetti sono barriere che ci separano da Dio, e ogni difetto dominato è un passo fatto sulla via del progresso che deve avvicinarmi a Lui.
Il Signore, nella Sua infinita misericordia, si è degnato di concedermi l'attuale esistenza perché io la usassi per il mio avanzamento. Buoni Spiriti, aiutatemi a metterla a profitto, affinché non sia per me perduta e affinché, quando piacerà a Dio togliermela, io ne esca migliore di quando vi sono entrato (vedere cap. V, n. 5; cap. XVII, n. 3 di quest'opera).
Per chiedere di resistere a una tentazione
20. Prefazione — Ogni
cattivo pensiero può avere due origini: l'imperfezione stessa della
nostra anima oppure un'influenza funesta che agisca su di lei.
Quest'ultimo caso è sempre indice di una debolezza che ci rende inclini a
ricevere questa influenza e, di conseguenza, di un'anima imperfetta.
Cosicché chi sbaglia non potrà addurre a sua discolpa l'influenza di uno
Spirito estraneo, poiché questo Spirito non sarebbe riuscito a sollecitarlo ad agire male se l'avesse giudicato inaccessibile alla corruzione.
Quando un cattivo pensiero sorge in noi, possiamo dunque immaginare uno Spirito malevolo che ci sollecita ad agire male e al quale tutti siamo liberi di cedere o di resistere, proprio come se si trattasse della sollecitazione di un vivente. Allo stesso tempo dobbiamo volgere il pensiero al nostro Angelo Custode, o Spirito Protettore, che dal canto suo combatte in noi le cattive influenze e attende ansioso la decisione che stiamo per prendere. Il nostro esitare nel commettere il male è la voce del buono Spirito che si fa intendere attraverso la coscienza.
Si riconosce che un pensiero è cattivo quando si allontana dalla carità, che sta alla base di ogni vera morale; quando ha per principio l'orgoglio, la vanità o l'egoismo; quando la sua messa in atto può causare un qualsiasi danno agli altri; quando infine ci sollecita a fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi (vedere cap. XXVIII, n. 15; cap. XV, n. 10 di quest'opera).
Quando un cattivo pensiero sorge in noi, possiamo dunque immaginare uno Spirito malevolo che ci sollecita ad agire male e al quale tutti siamo liberi di cedere o di resistere, proprio come se si trattasse della sollecitazione di un vivente. Allo stesso tempo dobbiamo volgere il pensiero al nostro Angelo Custode, o Spirito Protettore, che dal canto suo combatte in noi le cattive influenze e attende ansioso la decisione che stiamo per prendere. Il nostro esitare nel commettere il male è la voce del buono Spirito che si fa intendere attraverso la coscienza.
Si riconosce che un pensiero è cattivo quando si allontana dalla carità, che sta alla base di ogni vera morale; quando ha per principio l'orgoglio, la vanità o l'egoismo; quando la sua messa in atto può causare un qualsiasi danno agli altri; quando infine ci sollecita a fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi (vedere cap. XXVIII, n. 15; cap. XV, n. 10 di quest'opera).
21. Preghiera — Dio
Onnipotente, non lasciate che io soccomba alla tentazione che mi porta a
peccare. Spiriti benevoli proteggetemi, allontanate da me questo
cattivo pensiero e datemi la forza di resistere alla tentazione del
male. Se io soccombo, merito l'espiazione del mio errore in questa e in
un'altra vita, perché sono libero di scegliere.
Atto di ringraziamento per una vittoria ottenuta su una tentazione
22. Prefazione — Chi ha
resistito a una tentazione lo deve all'assistenza dei buoni Spiriti,
alla cui voce egli ha dato retta. Deve perciò ringraziare Dio e il suo
Angelo Custode.
23. Preghiera — Mio Dio, Vi
ringrazio per avermi fatto uscire vittorioso dalla lotta che ho appena
sostenuto contro il male. Fate che questa vittoria possa darmi la forza
di resistere alle nuove tentazioni.
E ringrazio te, mio Angelo Custode, per l'assistenza che mi hai dato. Possa il mio rispetto per i tuoi consigli farmi meritare di nuovo la tua protezione!
E ringrazio te, mio Angelo Custode, per l'assistenza che mi hai dato. Possa il mio rispetto per i tuoi consigli farmi meritare di nuovo la tua protezione!
Per chiedere un consiglio
24. Prefazione — Quando siamo indecisi se fare o non fare una cosa, prima di tutto dobbiamo porci le seguenti domande:
1º. La cosa che esito a fare può portare un qualsiasi danno a qualcuno?
2º. Può essere utile a qualcuno?
3º. Se qualcuno facesse ciò nei miei riguardi, ne sarei contento?
Se la cosa riguarda solo noi stessi, è permesso mettere sulla bilancia la somma dei vantaggi e degli svantaggi personali che ne possono derivare.
Se riguarda anche gli altri e, se facendo del bene a uno si può far del male a un altro, bisogna ugualmente soppesare vantaggi e svantaggi prima di decidere sul da farsi.
Infine, anche per la cosa migliore, bisogna considerare se sia più o meno opportuno attuarla, prendendo in considerazione le varie circostanze in cui bisogna agire, perché una cosa buona in se stessa può dare dei cattivi risultati in mani inesperte e se non è condotta con prudenza e ponderazione. Prima di intraprendere qualsiasi cosa conviene esaminare le proprie forze e i mezzi di cui si dispone per la sua attuazione.
In ogni caso, si può sempre chiedere l'assistenza dei propri Spiriti Protettori, ricordandosi di questa massima: «Nel dubbio, astieniti» (vedere cap. XXVIII, n. 38 di quest'opera).
1º. La cosa che esito a fare può portare un qualsiasi danno a qualcuno?
2º. Può essere utile a qualcuno?
3º. Se qualcuno facesse ciò nei miei riguardi, ne sarei contento?
Se la cosa riguarda solo noi stessi, è permesso mettere sulla bilancia la somma dei vantaggi e degli svantaggi personali che ne possono derivare.
Se riguarda anche gli altri e, se facendo del bene a uno si può far del male a un altro, bisogna ugualmente soppesare vantaggi e svantaggi prima di decidere sul da farsi.
Infine, anche per la cosa migliore, bisogna considerare se sia più o meno opportuno attuarla, prendendo in considerazione le varie circostanze in cui bisogna agire, perché una cosa buona in se stessa può dare dei cattivi risultati in mani inesperte e se non è condotta con prudenza e ponderazione. Prima di intraprendere qualsiasi cosa conviene esaminare le proprie forze e i mezzi di cui si dispone per la sua attuazione.
In ogni caso, si può sempre chiedere l'assistenza dei propri Spiriti Protettori, ricordandosi di questa massima: «Nel dubbio, astieniti» (vedere cap. XXVIII, n. 38 di quest'opera).
25. Preghiera — In nome di
Dio Onnipotente, Spiriti buoni che mi proteggete, ispiratemi la
risoluzione migliore da prendere, nell'incertezza in cui mi trovo.
Orientate il mio pensiero verso il bene e allontanate da me l'influenza
di chi tentasse di fuorviarmi.
Nelle afflizioni della vita
26. Prefazione — Noi
possiamo domandare a Dio dei favori terreni, ed Egli può accordarceli
quando essi hanno uno scopo utile e serio. Ma siccome noi giudichiamo
l'utilità delle cose dal nostro punto di vista, e poiché la nostra vista
è limitata al presente non sempre vediamo il lato negativo di ciò che
desideriamo. Dio, che vede molto meglio di noi e vuole solo il nostro
bene, può dunque non accordarceli, come un padre rifiuta a suo figlio
ciò che potrebbe nuocergli. Se ciò che domandiamo non ci viene
accordato, non dobbiamo scoraggiarci. Bisogna pensare, invece, che
l'essere privati di ciò che desideriamo ci viene imposto come prova o
come espiazione e che la nostra ricompensa sarà proporzionale alla
rassegnazione con la quale l'abbiamo sopportata (vedere cap. II, nn. 5,
6, 7; cap. XXVII, n. 6 di quest'opera).
27. Preghiera — Dio
Onnipotente, che vedete le nostre miserie, degnatevi di ascoltare
favorevolmente la richiesta che io Vi rivolgo in questo momento. Se la
mia domanda è fuori luogo, perdonatemi. Se ai Vostri occhi essa viene
giudicata giusta e utile, che i buoni Spiriti, i quali ascoltano le
Vostre volontà, mi vengano in aiuto per il suo compimento.
Comunque sia, mio Dio, sia fatta la Vostra volontà. Se i miei desideri non verranno esauditi, significa che è nei Vostri disegni provarmi e io mi sottoporrò a essi senza lamentarmi. Fate che io non mi scoraggi, e che né la mia fede né la mia rassegnazione ne siano scosse.
(Formulare la propria richiesta)
Comunque sia, mio Dio, sia fatta la Vostra volontà. Se i miei desideri non verranno esauditi, significa che è nei Vostri disegni provarmi e io mi sottoporrò a essi senza lamentarmi. Fate che io non mi scoraggi, e che né la mia fede né la mia rassegnazione ne siano scosse.
(Formulare la propria richiesta)
Atto di ringraziamento per un favore ottenuto
28. Prefazione — Non si
devono considerare come eventi felici solo le cose di grande importanza.
Quelle apparentemente più piccole sono sovente quelle che maggiormente
influiscono sul nostro destino. L'uomo facilmente dimentica il bene e
più spesso ricorda ciò che lo affligge. Se noi registrassimo
quotidianamente i benefici che riceviamo senza averli chiesti, non di
rado ci meraviglieremmo di averne ricevuti tanti da averli cancellati
dalla memoria e ci sentiremmo umiliati per la nostra ingratitudine.
Ogni sera, elevando la nostra anima a Dio, dobbiamo ricordare a noi stessi i favori che Egli ci ha accordato durante la giornata e ringraziarLo. È soprattutto nel momento stesso in cui sperimentiamo i benefici della Sua bontà e della Sua protezione che, con un moto spontaneo, dobbiamo testimoniarGli la nostra gratitudine. Per questo può bastare un pensiero riconoscente per il beneficio ricevuto, senza necessità di interrompere il proprio lavoro.
I favori di Dio non consistono solamente in benefici materiali. Dobbiamo anche ringraziarLo per le buone idee e per le ispirazioni felici che ci vengono suggerite. Mentre l'orgoglioso se ne fa un merito, il miscredente le attribuisce al caso e chi ha fede ne rende grazie a Dio e ai buoni Spiriti. Per questo, le lunghe frasi sono inutili: «Grazie, mio Dio, dei buoni pensieri che mi vengono ispirati», dice più di tante parole. Lo slancio spontaneo che ci fa attribuire a Dio ciò che di buono ci succede, testimonia una consuetudine alla riconoscenza e all'umiltà, la qual cosa ci accorda la simpatia dei buoni Spiriti (vedere cap. XXVII, nn. 7 e 8 di quest'opera).
Ogni sera, elevando la nostra anima a Dio, dobbiamo ricordare a noi stessi i favori che Egli ci ha accordato durante la giornata e ringraziarLo. È soprattutto nel momento stesso in cui sperimentiamo i benefici della Sua bontà e della Sua protezione che, con un moto spontaneo, dobbiamo testimoniarGli la nostra gratitudine. Per questo può bastare un pensiero riconoscente per il beneficio ricevuto, senza necessità di interrompere il proprio lavoro.
I favori di Dio non consistono solamente in benefici materiali. Dobbiamo anche ringraziarLo per le buone idee e per le ispirazioni felici che ci vengono suggerite. Mentre l'orgoglioso se ne fa un merito, il miscredente le attribuisce al caso e chi ha fede ne rende grazie a Dio e ai buoni Spiriti. Per questo, le lunghe frasi sono inutili: «Grazie, mio Dio, dei buoni pensieri che mi vengono ispirati», dice più di tante parole. Lo slancio spontaneo che ci fa attribuire a Dio ciò che di buono ci succede, testimonia una consuetudine alla riconoscenza e all'umiltà, la qual cosa ci accorda la simpatia dei buoni Spiriti (vedere cap. XXVII, nn. 7 e 8 di quest'opera).
29. Preghiera
— Dio infinitamente buono, sia benedetto il Vostro nome per le grazie
che mi avete accordato. Ne sarei indegno se le attribuissi al caso o al
mio stesso merito.
Buoni Spiriti che siete stati gli esecutori della volontà di Dio e soprattutto tu, mio Angelo Custode, io vi ringrazio. Allontanate da me il pensiero di inorgoglirmi e di usare ciò che ho ricevuto in modo non finalizzato al bene.
Vi ringrazio in particolare per...
Buoni Spiriti che siete stati gli esecutori della volontà di Dio e soprattutto tu, mio Angelo Custode, io vi ringrazio. Allontanate da me il pensiero di inorgoglirmi e di usare ciò che ho ricevuto in modo non finalizzato al bene.
Vi ringrazio in particolare per...
Atto di sottomissione e di rassegnazione
30. Prefazione — Quando ci
colpisce un'afflizione, se ne cerchiamo la causa, sovente constatiamo
che è la conseguenza di una nostra imprudenza, di una nostra
imprevidenza o di un'azione precedente. In questo caso, è chiaro,
dobbiamo prendercela con noi stessi. Se la causa di una disgrazia non
dipende dal nostro comportamento, si tratta, allora, o di una prova per
questa vita, o dell'espiazione per la colpa di un'esistenza passata. In
quest'ultimo caso, attraverso la natura dell'espiazione possiamo
conoscere la natura dell'errore, perché la nostra punizione è sempre in
relazione al peccato che abbiamo commesso (vedere cap. V, nn. 4, 6 e
segg. di quest'opera).
In ciò che ci affligge, in generale, vediamo solo il male presente e non le successive favorevoli conseguenze che ne possono derivare. Il bene è sovente la conseguenza di un male passeggero, come la guarigione di un malato è il risultato dei mezzi dolorosi che sono stati impiegati per ottenerla. In tutti i casi, dobbiamo sottometterci alla volontà di Dio, sopportare le tribolazioni della vita con coraggio se vogliamo che se ne tenga conto, e che queste parole di Cristo possano applicarsi anche a noi: «Felici quelli che soffrono» (vedere cap. V, n. 18 di quest'opera).
In ciò che ci affligge, in generale, vediamo solo il male presente e non le successive favorevoli conseguenze che ne possono derivare. Il bene è sovente la conseguenza di un male passeggero, come la guarigione di un malato è il risultato dei mezzi dolorosi che sono stati impiegati per ottenerla. In tutti i casi, dobbiamo sottometterci alla volontà di Dio, sopportare le tribolazioni della vita con coraggio se vogliamo che se ne tenga conto, e che queste parole di Cristo possano applicarsi anche a noi: «Felici quelli che soffrono» (vedere cap. V, n. 18 di quest'opera).
31. Preghiera — Mio Dio, Voi
siete sovranamente giusto: qualsiasi sofferenza su questa Terra deve
dunque avere la sua causa e la sua utilità. Accetto l'afflizione che sto
provando come un'espiazione dei miei errori passati e come prova per
l'avvenire.
Buoni Spiriti che mi proteggete, datemi la forza di sopportare questa sofferenza senza lamentarmi, fate che ciò sia per me un avvertimento salutare, che accresca la mia esperienza, che combatta in me l'orgoglio, l'ambizione, la sciocca vanità e l'egoismo e che contribuisca così al mio avanzamento.
Buoni Spiriti che mi proteggete, datemi la forza di sopportare questa sofferenza senza lamentarmi, fate che ciò sia per me un avvertimento salutare, che accresca la mia esperienza, che combatta in me l'orgoglio, l'ambizione, la sciocca vanità e l'egoismo e che contribuisca così al mio avanzamento.
32. Altra preghiera— O mio
Dio, sento la necessità di pregarVi affinché mi diate la forza di
sopportare le prove che Vi siete compiaciuto di inviarmi. Permettete che
la luce si faccia sufficientemente viva nel mio spirito, affinché io
possa apprezzare tutta la vastità di un amore che mi affligge, per
volermi salvare. Io mi sottometto con rassegnazione, mio Dio. Ma, ahimè,
la creatura è così debole che, se Voi non mi sosterrete, temo di
soccombere. Non abbandonatemi, Signore, perché senza di Voi io nulla
posso.
33. Altra preghiera
— Ho alzato gli occhi verso di Voi, o Eterno, e mi sono sentito
fortificato. Voi che siete la mia forza, non abbandonatemi. O Dio! Io
sono schiacciato sotto il peso delle mie iniquità! Aiutatemi! Voi che
conoscete la debolezza della mia carne non distogliete il Vostro sguardo
da me!
Sono tormentato da una sete ardente. Fate scaturire acqua viva dalla sorgente, e io ne sarò dissetato. Non si apra la mia bocca se non per cantare le Vostre lodi e giammai per lamentarmi delle afflizioni della vita. Io sono debole, Signore, ma il Vostro amore mi sosterrà.
O Eterno! Voi solo siete grande, Voi solo siete il fine e lo scopo della mia vita. Il Vostro nome sia benedetto, se mi colpirete, perché Voi siete il padrone e io il servitore infedele. Abbasserò la mia fronte senza lamentarmi, perché Voi solo siete grande, Voi solo siete la meta.
Sono tormentato da una sete ardente. Fate scaturire acqua viva dalla sorgente, e io ne sarò dissetato. Non si apra la mia bocca se non per cantare le Vostre lodi e giammai per lamentarmi delle afflizioni della vita. Io sono debole, Signore, ma il Vostro amore mi sosterrà.
O Eterno! Voi solo siete grande, Voi solo siete il fine e lo scopo della mia vita. Il Vostro nome sia benedetto, se mi colpirete, perché Voi siete il padrone e io il servitore infedele. Abbasserò la mia fronte senza lamentarmi, perché Voi solo siete grande, Voi solo siete la meta.
In un pericolo imminente
34. Prefazione — Attraverso i
pericoli che corriamo, Dio ci ricorda la nostra debolezza e la
fragilità della nostra esistenza. Ci mostra che la nostra vita è nelle
Sue mani, attaccata a un filo che può spezzarsi quando meno ce lo
aspettiamo. In questo senso, non ci sono privilegi per nessuno, perché
il grande e il piccolo sono sottoposti alle stesse condizioni.
Qualora si esaminassero natura e conseguenze del pericolo, si vedrebbe che, per lo più, queste conseguenze, se giunte a compimento, sarebbero state la punizione per un errore commesso o per un dovere trascurato.
Qualora si esaminassero natura e conseguenze del pericolo, si vedrebbe che, per lo più, queste conseguenze, se giunte a compimento, sarebbero state la punizione per un errore commesso o per un dovere trascurato.
35. Preghiera — Dio
onnipotente, e tu, mio Angelo Custode, soccorretemi! Se devo soccombere,
sia fatta la volontà di Dio. Se mi salverò, possa io, per il resto
della mia vita, riparare il male che ho potuto fare e di cui mi pento.
Atto di ringraziamento per essere sfuggiti a un pericolo
36. Prefazione — Attraverso
il pericolo che abbiamo corso, Dio ci dimostra che noi possiamo, da un
momento all'altro, venir chiamati a render conto dell'impiego che
abbiamo fatto della vita. Egli ci invita così a riflettere su noi stessi
e a fare ammenda.
37. Preghiera
— Mio Dio, e tu mio Angelo Custode, grazie per il soccorso che mi avete
mandato nel momento in cui il pericolo mi ha minacciato. Che questo
pericolo sia per me un avvertimento e mi illumini sugli errori che hanno
potuto attirarlo su di me. Io comprendo, Signore, che la mia vita è
nelle Vostre mani, e che potete togliermela quando Vi piacerà.
Ispiratemi, per mezzo dei buoni Spiriti che mi assistono, il modo di
impiegare utilmente il tempo che ancora mi accordate su questa Terra.
Mio Angelo Custode, sostienimi nella decisione che devo prendere per riparare ai miei torti e per fare tutto il bene che sarà nelle mie possibilità, così da arrivare nel mondo degli Spiriti, quando a Dio piacerà chiamarmi, con il minor carico possibile di imperfezioni.
Mio Angelo Custode, sostienimi nella decisione che devo prendere per riparare ai miei torti e per fare tutto il bene che sarà nelle mie possibilità, così da arrivare nel mondo degli Spiriti, quando a Dio piacerà chiamarmi, con il minor carico possibile di imperfezioni.
Al momento di addormentarsi
38. Prefazione — Il sonno è
il riposo del corpo, ma lo Spirito non ha bisogno di questo riposo.
Mentre i sensi sono intorpiditi, l'anima si libera in parte della
materia e fruisce delle sue facoltà di Spirito. Il sonno è stato dato
all'uomo per il recupero delle forze fisiche e delle forze morali.
Mentre il corpo recupera le forze che ha perso da sveglio, lo Spirito si
ritempra fra gli altri Spiriti. Da ciò che vede, da ciò che sente e dai
consigli che gli vengono dati, attinge quelle idee che ritroverà poi al
risveglio allo stato di intuizioni. È il ritorno temporaneo
dell'esiliato nella sua vera patria, è la libertà momentaneamente
concessa al prigioniero.
Ma succede, come nel caso del prigioniero perverso, che lo Spirito non sempre metta a profitto questo momento di libertà per il suo avanzamento. Se mantiene i suoi cattivi istinti, invece di cercare la compagnia dei buoni Spiriti, cercherà quella di coloro che gli assomigliano e andrà in quei luoghi dove possa dare libero corso alle sue cattive inclinazioni.
Colui che ha compreso questa verità, si libri in alto con il pensiero, nel momento in cui sente il sonno avvicinarsi. Faccia appello ai consigli dei buoni Spiriti e a quanti la cui memoria gli è cara, affinché vengano a unirsi a lui nel breve intervallo che gli è accordato. E al risveglio si sentirà più forte contro il male, più coraggioso contro le avversità.
Ma succede, come nel caso del prigioniero perverso, che lo Spirito non sempre metta a profitto questo momento di libertà per il suo avanzamento. Se mantiene i suoi cattivi istinti, invece di cercare la compagnia dei buoni Spiriti, cercherà quella di coloro che gli assomigliano e andrà in quei luoghi dove possa dare libero corso alle sue cattive inclinazioni.
Colui che ha compreso questa verità, si libri in alto con il pensiero, nel momento in cui sente il sonno avvicinarsi. Faccia appello ai consigli dei buoni Spiriti e a quanti la cui memoria gli è cara, affinché vengano a unirsi a lui nel breve intervallo che gli è accordato. E al risveglio si sentirà più forte contro il male, più coraggioso contro le avversità.
39. Preghiera— La mia anima
si trova per un istante con gli altri Spiriti. Vengano coloro che sono
buoni ad aiutarmi con i loro consigli. Mio Angelo Custode, fa che al mio
risveglio io conservi un'impressione durevole e benefica di questo
incontro!
Prevedendo prossima la morte
40. Prefazione — La fede
nell'avvenire e l'elevazione del pensiero, nel corso della vita, verso
la sorte futura sono di aiuto per una più rapida liberazione dello
Spirito, allentando i legami che lo trattengono al corpo. Sovente la
vita fisica non è ancora del tutto spenta che l'anima, impaziente, ha
già spiccato il volo verso l'immensità. Invece nell'uomo che concentri
tutti i suoi pensieri sulle cose materiali, questi legami sono più
tenaci, la separazione è penosa e dolorosa, e il risveglio nell'oltretomba è pieno di turbamento e di ansietà.
41. Preghiera — Mio Dio,
credo in Voi e nella Vostra bontà infinita. È per questo che non posso
credere che abbiate dato all'uomo l'intelligenza per conoscervi e
l'aspirazione verso il futuro, per sprofondarlo poi nel nulla.
Credo che il mio corpo sia solo l'involucro deperibile della mia anima e che, quando esso avrà cessato di vivere, io mi risveglierò nel mondo degli Spiriti.
Dio Onnipotente, io sento spezzarsi i legami che uniscono la mia anima al mio corpo e presto dovrò rendere conto dell'impiego che ho fatto della vita che lascio.
Subirò le conseguenze del bene e del male che ho compiuto. Là, non ci saranno più illusioni né saranno possibili i sotterfugi. Tutto il mio passato scorrerà davanti a me, e io sarò giudicato secondo le mie opere.
Non porterò niente dei beni terreni. Onori, ricchezze, soddisfazioni della vanità e dell'orgoglio, tutto ciò che attiene al corpo alla fine resterà su questa Terra. Neppure la minima particella mi seguirà, e niente di tutto ciò mi sarà di sostegno nel mondo degli Spiriti. Porterò con me solo ciò che attiene all'anima, ossia le buone e le cattive qualità, che verranno pesate sulla bilancia di una rigorosa giustizia. E sarò giudicato con una severità tanto maggiore quanto, grazie alla mia posizione sulla Terra, più numerose saranno state per me le occasioni di fare quel bene che non ho fatto (vedere cap. XVI, n. 9 di quest'opera).
Dio misericordioso, che il mio pentimento arrivi fino a Voi! DegnateVi di stendere su di me la Vostra indulgenza.
Se Vi piacerà prolungare la mia esistenza, che io impieghi il resto del tempo a riparare, per quanto è nelle mie possibilità, il male che ho fatto. Se la mia ora è suonata senza ritorno, porterò dentro di me il pensiero consolante che mi sarà permesso riscattarmi con nuove prove, per meritarmi un giorno la felicità degli eletti.
Se non mi è dato fruire immediatamente di questa felicità pura, accordata solo al giusto per eccellenza, so che lo sperare non mi è vietato per sempre, e che prima o poi, a seconda degli sforzi che farò, arriverò alla meta.
So che i buoni Spiriti e il mio Angelo Custode sono vicini a me, pronti a ricevermi. Fra poco io li vedrò come ora essi vedono me. So che ritroverò quelli che ho amato sulla Terra, se l'avrò meritato. E so che quelli che qui lascio verranno a ricongiungersi a me per essere tutti e per sempre riuniti, e so che nel frattempo io posso venire a trovarli.
So anche che ritroverò quelli che ho offeso. Possano essi perdonarmi per quanto possono avere da rimproverarmi: il mio orgoglio, la mia insensibilità, la mia ingiustizia. E possa io non coprirmi di vergogna in loro presenza!
Perdonerò quelli che mi hanno fatto o voluto fare del male sulla Terra; non porto nessun risentimento nei loro confronti e prego Dio di perdonarli.
Signore, datemi la forza di lasciare senza rimpianti le gioie materiali di questo mondo che nulla sono a confronto delle gioie pure del mondo in cui sto per entrare. Là, per il giusto, non ci sono più né tormenti né sofferenze né miserie. Solo il colpevole soffre, ma gli rimane la speranza.
Buoni Spiriti, e tu mio Angelo Custode, fate che io non fallisca in questo momento supremo. Fate brillare davanti ai miei occhi la luce divina, al fine di rianimare la mia fede se essa venisse a mancare.
Nota — Vedere al par. 5 di questo cap.: "Preghiere per i malati e gli ossessi".
Credo che il mio corpo sia solo l'involucro deperibile della mia anima e che, quando esso avrà cessato di vivere, io mi risveglierò nel mondo degli Spiriti.
Dio Onnipotente, io sento spezzarsi i legami che uniscono la mia anima al mio corpo e presto dovrò rendere conto dell'impiego che ho fatto della vita che lascio.
Subirò le conseguenze del bene e del male che ho compiuto. Là, non ci saranno più illusioni né saranno possibili i sotterfugi. Tutto il mio passato scorrerà davanti a me, e io sarò giudicato secondo le mie opere.
Non porterò niente dei beni terreni. Onori, ricchezze, soddisfazioni della vanità e dell'orgoglio, tutto ciò che attiene al corpo alla fine resterà su questa Terra. Neppure la minima particella mi seguirà, e niente di tutto ciò mi sarà di sostegno nel mondo degli Spiriti. Porterò con me solo ciò che attiene all'anima, ossia le buone e le cattive qualità, che verranno pesate sulla bilancia di una rigorosa giustizia. E sarò giudicato con una severità tanto maggiore quanto, grazie alla mia posizione sulla Terra, più numerose saranno state per me le occasioni di fare quel bene che non ho fatto (vedere cap. XVI, n. 9 di quest'opera).
Dio misericordioso, che il mio pentimento arrivi fino a Voi! DegnateVi di stendere su di me la Vostra indulgenza.
Se Vi piacerà prolungare la mia esistenza, che io impieghi il resto del tempo a riparare, per quanto è nelle mie possibilità, il male che ho fatto. Se la mia ora è suonata senza ritorno, porterò dentro di me il pensiero consolante che mi sarà permesso riscattarmi con nuove prove, per meritarmi un giorno la felicità degli eletti.
Se non mi è dato fruire immediatamente di questa felicità pura, accordata solo al giusto per eccellenza, so che lo sperare non mi è vietato per sempre, e che prima o poi, a seconda degli sforzi che farò, arriverò alla meta.
So che i buoni Spiriti e il mio Angelo Custode sono vicini a me, pronti a ricevermi. Fra poco io li vedrò come ora essi vedono me. So che ritroverò quelli che ho amato sulla Terra, se l'avrò meritato. E so che quelli che qui lascio verranno a ricongiungersi a me per essere tutti e per sempre riuniti, e so che nel frattempo io posso venire a trovarli.
So anche che ritroverò quelli che ho offeso. Possano essi perdonarmi per quanto possono avere da rimproverarmi: il mio orgoglio, la mia insensibilità, la mia ingiustizia. E possa io non coprirmi di vergogna in loro presenza!
Perdonerò quelli che mi hanno fatto o voluto fare del male sulla Terra; non porto nessun risentimento nei loro confronti e prego Dio di perdonarli.
Signore, datemi la forza di lasciare senza rimpianti le gioie materiali di questo mondo che nulla sono a confronto delle gioie pure del mondo in cui sto per entrare. Là, per il giusto, non ci sono più né tormenti né sofferenze né miserie. Solo il colpevole soffre, ma gli rimane la speranza.
Buoni Spiriti, e tu mio Angelo Custode, fate che io non fallisca in questo momento supremo. Fate brillare davanti ai miei occhi la luce divina, al fine di rianimare la mia fede se essa venisse a mancare.
Nota — Vedere al par. 5 di questo cap.: "Preghiere per i malati e gli ossessi".
3 — Preghiere per gli altri
Per qualcuno che è nelle afflizioni
42. Prefazione — Se è
nell'interesse dell'afflitto che la sua prova prosegua, essa non verrà
abbreviata dalla nostra implorazione. Ma sarebbe impietoso se lo
scoraggiassimo perché la domanda non è stata accolta. D'altra parte, in
mancanza della cessazione della prova, si può ottenere qualche altra
consolazione che ne mitighi la sofferenza. Cose veramente utili per chi è
provato da una pena sono la fermezza e la rassegnazione, senza le quali
ciò che sopporta è senza profitto per lui, perché sarebbe obbligato a
ricominciare la prova. È dunque a questo fine che si devono soprattutto
indirizzare i propri sforzi, sia chiedendo aiuto ai buoni Spiriti, sia
sollevando noi stessi il morale dell'afflitto con consigli e
incoraggiamenti, sia infine assistendolo materialmente, se possibile. La
preghiera, in questo caso, può inoltre avere un effetto diretto,
inviando sulla persona una corrente fluidica allo scopo di fortificarne
il morale (vedere cap. V, nn. 5 e 27; cap. XXVII, nn. 6 e 10 di
quest'opera).
43. Preghiera — Mio Dio dalla bontà infinita, degnateVi di alleviare la triste situazione di X..., se tale può essere la Vostra volontà.
Buoni Spiriti, in nome di Dio Onnipotente, vi supplico di assisterlo nell'afflizione. Se, nel suo interesse, non può venirgli risparmiata, fategli comprendere che essa è necessaria per il suo avanzamento. Infondetegli quella fiducia in Dio e nel futuro, che gliela renderanno meno amara. Dategli anche la forza di non soccombere alla. disperazione, cosa che gli farebbe perdere i benefici della prova e renderebbe la sua posizione futura ancora più penosa. Indirizzate il mio pensiero verso di lui in modo da aiutarlo a mantenere il suo coraggio.
Buoni Spiriti, in nome di Dio Onnipotente, vi supplico di assisterlo nell'afflizione. Se, nel suo interesse, non può venirgli risparmiata, fategli comprendere che essa è necessaria per il suo avanzamento. Infondetegli quella fiducia in Dio e nel futuro, che gliela renderanno meno amara. Dategli anche la forza di non soccombere alla. disperazione, cosa che gli farebbe perdere i benefici della prova e renderebbe la sua posizione futura ancora più penosa. Indirizzate il mio pensiero verso di lui in modo da aiutarlo a mantenere il suo coraggio.
Atto di ringraziamento per un beneficio accordato ad altri
44. Prefazione — Chi non si
lascia dominare dall'egoismo si rallegra per il bene concesso al
prossimo, anche qualora non l'avesse sollecitato con la preghiera.
45. Preghiera— Mio Dio, siate benedetto per la felicità toccata a X...
Buoni Spiriti, fate che egli veda in ciò un effetto della bontà di Dio. Se il bene che riceve è una prova, ispirategli il pensiero cli farne un buon uso. Che non diventi questo beneficio un'occasione per vantarsene, affinché non si ritorca contro di lui in danno futuro.
Tu, mio Angelo buono che mi proteggi e desideri la mia felicità, allontana da me ogni sentimento di invidia e di gelosia.
Buoni Spiriti, fate che egli veda in ciò un effetto della bontà di Dio. Se il bene che riceve è una prova, ispirategli il pensiero cli farne un buon uso. Che non diventi questo beneficio un'occasione per vantarsene, affinché non si ritorca contro di lui in danno futuro.
Tu, mio Angelo buono che mi proteggi e desideri la mia felicità, allontana da me ogni sentimento di invidia e di gelosia.
Per i nostri nemici e per coloro che ci vogliono male
46. Prefazione — Gesù ha detto: «Amate anche i vostri nemici». Questa
massima è quanto di più eccelso possa esserci presso la carità
cristiana. Ma con ciò Gesù non intende affatto che dobbiamo avere per i
nostri nemici la tenerezza che nutriamo per i nostri amici. Con queste
parole ci insegna a dimenticare le loro offese, a perdonare loro il male
che ci fanno, a rendere bene per male. Oltre al merito che ce ne
deriverà agli occhi di Dio, ci sarà anche quello di mostrare agli occhi
degli uomini la vera superiorità (vedere cap. XII, nn. 3 e 4 di
quest'opera).
47. Preghiera — Mio Dio,
perdono a X... il male che mi ha fatto e quello che pretendeva farmi,
così come desidero che Voi mi perdoniate e che egli stesso mi perdoni i
torti che io posso avere commesso nei suoi confronti. Se Voi l'avete
messo sulla mia strada come una prova, sia fatta la Vostra volontà.
Allontanate da me, mio Dio, l'idea di maledirlo e qualsiasi tentazione di malanimo contro di lui. Fate che io non provi la minima soddisfazione per il male che potrebbe capitargli, né alcun rammarico per il bene che potrebbe essergli accordato, e ciò al fine di non macchiare il mio animo con pensieri indegni di un Cristiano.
Possa la bontà Vostra, Signore, estendersi su di lui e ricondurlo a sentimenti migliori verso di me!
Buoni Spiriti, ispiratemi l'oblio del male e il ricordo del bene, affinché né l'odio né il rancore né il desiderio di ripagarlo con il male penetrino nel mio cuore, poiché l'odio e la vendetta appartengono solo ai cattivi Spiriti incarnati e disincarnati! Che io sia sempre pronto, al contrario, a tendergli una mano fraterna, a rendergli bene per male e ad aiutarlo, se ciò è nelle mie possibilità!
Io desidero, per provare la sincerità delle mie parole, che mi sia offerta l'occasione di essergli utile. Ma soprattutto, mio Dio, preservatemi dal farlo per orgoglio od ostentazione, imponendogli una generosità umiliante. Questo annullerebbe il merito del mio atto, perché in questo caso meriterei che mi venissero applicate queste parole di Cristo: «Haigià ricevuto la tua ricompensa» (vedere cap. XIII, n. 1 e segg. di quest'opera).
Allontanate da me, mio Dio, l'idea di maledirlo e qualsiasi tentazione di malanimo contro di lui. Fate che io non provi la minima soddisfazione per il male che potrebbe capitargli, né alcun rammarico per il bene che potrebbe essergli accordato, e ciò al fine di non macchiare il mio animo con pensieri indegni di un Cristiano.
Possa la bontà Vostra, Signore, estendersi su di lui e ricondurlo a sentimenti migliori verso di me!
Buoni Spiriti, ispiratemi l'oblio del male e il ricordo del bene, affinché né l'odio né il rancore né il desiderio di ripagarlo con il male penetrino nel mio cuore, poiché l'odio e la vendetta appartengono solo ai cattivi Spiriti incarnati e disincarnati! Che io sia sempre pronto, al contrario, a tendergli una mano fraterna, a rendergli bene per male e ad aiutarlo, se ciò è nelle mie possibilità!
Io desidero, per provare la sincerità delle mie parole, che mi sia offerta l'occasione di essergli utile. Ma soprattutto, mio Dio, preservatemi dal farlo per orgoglio od ostentazione, imponendogli una generosità umiliante. Questo annullerebbe il merito del mio atto, perché in questo caso meriterei che mi venissero applicate queste parole di Cristo: «Haigià ricevuto la tua ricompensa» (vedere cap. XIII, n. 1 e segg. di quest'opera).
Atto di ringraziamento per un beneficio accordato a un nostro nemico
48. Prefazione — Non
augurare mai il male ai propri nemici significa essere caritatevoli solo
a metà. La vera carità significa augurare loro il bene ed essere noi
felici del bene che loro capita (vedere cap. XII, nn. 7 e 8 di
quest'opera).
49. Preghiera — Mio Dio,
nella Vostra giustizia, avete creduto di dover rallegrare il cuore di
X... Io Ve ne ringrazio per lui, malgrado il male che mi ha fatto o che
ha cercato di farmi. Se di questo beneficio egli approfittasse per
umiliarmi, io accetterei ciò come una prova per la mia carità.
Buoni Spiriti che mi proteggete, non permettete che io concepisca per questo alcun risentimento. Allontanate da me l'invidia e la gelosia che rendono gretti. Ispiratemi, invece, la generosità che eleva. L'umiliazione nasce dal male e non dal bene, e noi sappiamo che prima o poi giustizia sarà resa a ognuno, secondo le proprie opere.
Buoni Spiriti che mi proteggete, non permettete che io concepisca per questo alcun risentimento. Allontanate da me l'invidia e la gelosia che rendono gretti. Ispiratemi, invece, la generosità che eleva. L'umiliazione nasce dal male e non dal bene, e noi sappiamo che prima o poi giustizia sarà resa a ognuno, secondo le proprie opere.
Per i nemici dello Spiritismo
50.
Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno
saziati. (...) Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di
loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi insulteranno e vi
perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male
per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è
grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono
stati prima di voi. (Matteo 5:6, 10-12)
E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il colpo nella geenna. (Matteo 10:28)
E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il colpo nella geenna. (Matteo 10:28)
51. Prefazione
— Di tutte le libertà, la più inviolabile è quella del pensiero, che
comprende anche la libertà di coscienza. Gettare l'anatema contro coloro
che non la pensano come noi è reclamare questa libertà per sé e
rifiutarla agli altri, vuol dire violare il primo comandamento di Gesù:
la carità e l'amore verso il prossimo. Perseguitarli per il loro credo
vuol dire attentare al diritto più sacro di ogni uomo: quello di credere
in ciò che gli conviene e di adorare Dio come ognuno lo concepisce.
Costringerlo a manifestazioni esteriori simili alle nostre è mostrare
che si tiene più alla forma che alla sostanza, più alle apparenze che
alle convinzioni. L'abiura forzata non ha mai generato la fede, può
generare solo degli ipocriti. È un abuso della forza materiale che non
prova la verità, perché la verità è sicura di se stessa; convince e non perseguita, perché non ne ha necessità.
Lo Spiritismo è un modo di pensare, una credenza. Fosse anche una religione, perché non dovrebbe avere la libertà di dirsi spiritista, come ce l'hanno quelle cattolica, ebrea o protestante, il seguace della tale o talaltra dottrina filosofica, del tale o talaltro sistema economico? Questa credenza può essere falsa o vera. Se è falsa cadrà da se stessa, perché l'errore non può prevalere sulla verità, quando si fa luce nelle intelligenze; se è vera, non sarà la persecuzione a renderla falsa.
La persecuzione è il battesimo di tutte le idee nuove, grandi e giuste. Cresce con la grandezza e l'importanza dell'idea stessa. Il furore e la collera degli avversari dell'idea sono proporzionali ai timori che essa può loro ispirare. È per questa ragione che il Cristianesimo è stato perseguitato nell'antichità e che lo Spiritismo lo è oggi. Con la differenza, tuttavia, che il Cristianesimo lo fu dai Pagani, mentre lo Spiritismo lo è dai Cristiani. Il tempo delle persecuzioni sanguinose è passato, è vero, ma se non si uccide fisicamente, si tortura l'anima. La attaccano persino nei suoi sentimenti più intimi, nei suoi affetti più cari. Si dividono le famiglie, incitando la madre contro la figlia, la moglie contro il marito. Né manca l'aggressione fisica, attaccando il corpo nelle sue necessità materiali, col sottrarre alle persone il proprio guadagno, per ridurle alla fame (vedere cap. XXIII, n. 9 e segg. di quest'opera).
Spiritisti, non affliggetevi per i colpi che dovrete sopportare, perché ciò dimostra che siete nella verità, se non lo foste vi lascerebbero tranquilli, e non sareste colpiti. È una prova per la vostra fede, perché è dal vostro coraggio, dalla vostra rassegnazione, dalla vostra perseveranza che Dio vi riconoscerà fra i Suoi fedeli servitori, di cui Egli sta facendo oggi il censimento, per dare a ognuno la parte che gli spetta secondo le proprie opere.
Sull'esempio dei primi Cristiani, siate dunque fieri di portare la vostra croce. Credete nella parola di Cristo, che ha detto: «Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il Regno dei Cieli. E non temete coloro che uccidono il colpo, ma non possono uccidere l'anima». Egli ha anche detto:«Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano». Dimostrate che voi siete i veri discepoli e che la vostra dottrina è buona, facendo ciò che Egli ha detto e ciò che Lui stesso ha fatto.
La persecuzione avrà un tempo limitato. Attendete dunque pazientemente l'aurora, perché già la stella del mattino si mostra all'orizzonte (vedere cap. XXIV, n. 13 e segg. di quest'opera).
Lo Spiritismo è un modo di pensare, una credenza. Fosse anche una religione, perché non dovrebbe avere la libertà di dirsi spiritista, come ce l'hanno quelle cattolica, ebrea o protestante, il seguace della tale o talaltra dottrina filosofica, del tale o talaltro sistema economico? Questa credenza può essere falsa o vera. Se è falsa cadrà da se stessa, perché l'errore non può prevalere sulla verità, quando si fa luce nelle intelligenze; se è vera, non sarà la persecuzione a renderla falsa.
La persecuzione è il battesimo di tutte le idee nuove, grandi e giuste. Cresce con la grandezza e l'importanza dell'idea stessa. Il furore e la collera degli avversari dell'idea sono proporzionali ai timori che essa può loro ispirare. È per questa ragione che il Cristianesimo è stato perseguitato nell'antichità e che lo Spiritismo lo è oggi. Con la differenza, tuttavia, che il Cristianesimo lo fu dai Pagani, mentre lo Spiritismo lo è dai Cristiani. Il tempo delle persecuzioni sanguinose è passato, è vero, ma se non si uccide fisicamente, si tortura l'anima. La attaccano persino nei suoi sentimenti più intimi, nei suoi affetti più cari. Si dividono le famiglie, incitando la madre contro la figlia, la moglie contro il marito. Né manca l'aggressione fisica, attaccando il corpo nelle sue necessità materiali, col sottrarre alle persone il proprio guadagno, per ridurle alla fame (vedere cap. XXIII, n. 9 e segg. di quest'opera).
Spiritisti, non affliggetevi per i colpi che dovrete sopportare, perché ciò dimostra che siete nella verità, se non lo foste vi lascerebbero tranquilli, e non sareste colpiti. È una prova per la vostra fede, perché è dal vostro coraggio, dalla vostra rassegnazione, dalla vostra perseveranza che Dio vi riconoscerà fra i Suoi fedeli servitori, di cui Egli sta facendo oggi il censimento, per dare a ognuno la parte che gli spetta secondo le proprie opere.
Sull'esempio dei primi Cristiani, siate dunque fieri di portare la vostra croce. Credete nella parola di Cristo, che ha detto: «Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il Regno dei Cieli. E non temete coloro che uccidono il colpo, ma non possono uccidere l'anima». Egli ha anche detto:«Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano». Dimostrate che voi siete i veri discepoli e che la vostra dottrina è buona, facendo ciò che Egli ha detto e ciò che Lui stesso ha fatto.
La persecuzione avrà un tempo limitato. Attendete dunque pazientemente l'aurora, perché già la stella del mattino si mostra all'orizzonte (vedere cap. XXIV, n. 13 e segg. di quest'opera).
52. Preghiera — Signore, Voi ci avete mandato a dire da Gesù, Vostro Messia: «Beati
i perseguitati per motivo di giustizia che soffrono persecuzioni per
amore della giustizia; perdonate i vostri nemici e pregate per quelli
che vi perseguitano». E Lui stesso ci ha indicato il cammino, pregando per i suoi aguzzini.
Sul Suo esempio, mio Dio, invochiamo la Vostra misericordia su coloro che disconoscono i Vostri divini precetti, i soli che possono realmente assicurare la pace in questo mondo e nell'altro. Come Cristo, Vi diciamo: «Perdonateli, Padre nostro, perché non sanno quello che fanno».
Dateci la forza di sopportare con pazienza e rassegnazione, come prove per la nostra fede e la nostra umiltà, il loro dileggio, le loro ingiurie, le loro calunnie e le loro persecuzioni. Allontanate da noi qualsiasi pensiero di rivalsa, perché l'ora della Vostra giustizia suonerà per tutti, e noi l'aspettiamo sottomettendoci alla Vostra santa volontà.
Sul Suo esempio, mio Dio, invochiamo la Vostra misericordia su coloro che disconoscono i Vostri divini precetti, i soli che possono realmente assicurare la pace in questo mondo e nell'altro. Come Cristo, Vi diciamo: «Perdonateli, Padre nostro, perché non sanno quello che fanno».
Dateci la forza di sopportare con pazienza e rassegnazione, come prove per la nostra fede e la nostra umiltà, il loro dileggio, le loro ingiurie, le loro calunnie e le loro persecuzioni. Allontanate da noi qualsiasi pensiero di rivalsa, perché l'ora della Vostra giustizia suonerà per tutti, e noi l'aspettiamo sottomettendoci alla Vostra santa volontà.
Preghiera per un neonato
53. Prefazione — Gli Spiriti
giungono alla perfezione solo dopo essere passati attraverso le prove
della vita fisica. Coloro che stanno errando, attendono che Dio permetta
loro di riprendere un'esistenza che dovrà fornire loro i mezzi di
avanzamento, sia attraverso l'espiazione delle loro colpe passate
mediante vicissitudini alle quali sono sottoposti, sia assolvendo una
missione utile all'umanità. Il loro avanzamento e la loro felicità
futura saranno proporzionali al modo in cui avranno impiegato il tempo
che devono passare sulla Terra. L'incarico di guidare i loro primi passi
e di orientarli verso il bene è affidato ai genitori, che risponderanno
davanti a Dio del modo in cui avranno compiuto il loro mandato. E per
facilitare loro il compito, Dio ha fatto dell'amore paterno e dell'amore
filiale una legge di natura, legge che non verrà mai violata
impunemente.
54. Preghiera (Per i
genitori) — Spirito che ti sei incarnato nel corpo del nostro bambino,
sia tu il benvenuto fra noi. Dio Onnipotente che l'avete mandato, siate
benedetto.
È un pegno che ci viene affidato e di cui dovremo un giorno rendere conto. Se appartiene alla nuova generazione dei buoni Spiriti che devono popolare la Terra, grazie, o mio Dio, di questo favore! Se è un'anima imperfetta, è nostro dovere aiutarlo a progredire sulla via del bene con i nostri consigli e il nostro buon esempio. Se cade nel male per colpa nostra, ne risponderemo davanti a Voi, perché noi non avremo compiuto la nostra missione nei suoi confronti.
Signore, sosteneteci nel nostro compito e dateci la forza e la volontà di adempierlo. Se questo bambino deve essere un'occasione di prova per noi, sia fatta la Vostra volontà.
Buoni Spiriti che siete venuti a presiedere alla sua nascita e che dovete accompagnarlo nella vita, non abbandonatelo. Allontanate da lui i cattivi Spiriti che tenteranno di indurlo al male. Dategli la forza di resistere alle loro tentazioni e il coraggio di subire con pazienza e rassegnazione le prove che l'attendono sulla Terra (vedere cap. XIV, n. 9 di quest'opera).
È un pegno che ci viene affidato e di cui dovremo un giorno rendere conto. Se appartiene alla nuova generazione dei buoni Spiriti che devono popolare la Terra, grazie, o mio Dio, di questo favore! Se è un'anima imperfetta, è nostro dovere aiutarlo a progredire sulla via del bene con i nostri consigli e il nostro buon esempio. Se cade nel male per colpa nostra, ne risponderemo davanti a Voi, perché noi non avremo compiuto la nostra missione nei suoi confronti.
Signore, sosteneteci nel nostro compito e dateci la forza e la volontà di adempierlo. Se questo bambino deve essere un'occasione di prova per noi, sia fatta la Vostra volontà.
Buoni Spiriti che siete venuti a presiedere alla sua nascita e che dovete accompagnarlo nella vita, non abbandonatelo. Allontanate da lui i cattivi Spiriti che tenteranno di indurlo al male. Dategli la forza di resistere alle loro tentazioni e il coraggio di subire con pazienza e rassegnazione le prove che l'attendono sulla Terra (vedere cap. XIV, n. 9 di quest'opera).
55. Altra preghiera — Mio
Dio, mi avete affidato la sorte di uno dei Vostri Spiriti; fate,
Signore, che sia degno del compito che mi è stato dato; concedetemi la
Vostra protezione; illuminate la mia intelligenza affinché io possa
discernere subito le inclinazioni di questo Spirito che devo preparare a
entrare nella Vostra pace.
56. Altra preghiera
— Dio di infinita bontà, poiché Vi è piaciuto permettere allo Spirito
di questo bambino di venire nuovamente a subire le prove terrene
destinate a farlo progredire, concedetegli la luce, affinché impari a
conoscerVi, ad amarVi e ad adorarVi. Fate che, attraverso la Vostra
onnipotenza, quest'anima si rigeneri alla fonte dei Vostri divini
insegnamenti. Fate che, sotto la protezione del suo Angelo Custode, la
sua intelligenza cresca, si sviluppi e gli faccia desiderare di
avvicinarsi sempre più a Voi. Fate che la scienza dello Spiritismo sia
la brillante luce che lo guiderà attraverso gli ostacoli della vita.
Fate, infine, ch'egli sappia apprezzare tutta la grandezza del Vostro
amore, che ci mette alla prova per purificarci.
Signore, gettate il Vostro sguardo paterno sulla famiglia alla quale avete affidato questa anima. Possa essa comprendere l'importanza della sua missione e far germogliare in questo bambino le buone sementi fino al giorno in cui egli potrà, attraverso le sue aspirazioni, elevarsi da solo verso di Voi.
Degnatevi, o mio Dio, di esaudire questa umile preghiera in nome e per i meriti di Colui che disse: «lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro».
Signore, gettate il Vostro sguardo paterno sulla famiglia alla quale avete affidato questa anima. Possa essa comprendere l'importanza della sua missione e far germogliare in questo bambino le buone sementi fino al giorno in cui egli potrà, attraverso le sue aspirazioni, elevarsi da solo verso di Voi.
Degnatevi, o mio Dio, di esaudire questa umile preghiera in nome e per i meriti di Colui che disse: «lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro».
Per un agonizzante
57. Prefazione — L'agonia è
il preludio della separazione dell'anima dal corpo. Si può dire che
l'uomo in questo momento ha un piede in questo mondo che già l'altro è
nell'altro. Questo passaggio è a volte penoso per quelli che sono
attaccati alle cose materiali e hanno vissuto più per i beni di questo
mondo che per quelli dell'altro, e la cui coscienza è agitata a causa
dei rimpianti e dei rimorsi. Invece, per coloro che hanno elevato i loro
pensieri verso l'infinito e si sono staccati dalla materia, i legami
sono meno difficili da rompere, e gli ultimi momenti non hanno niente di
doloroso. In tal caso, l'anima è attaccata al corpo solo da un filo,
mentre nell'altro caso essa è vincolata al corpo da profonde radici. In
ogni caso la preghiera esercita un'azione potente sul processo della
separazione (vedere qui di seguito: "Preghiere per i malati" — Il Cielo e l'Inferno, 2a parte, cap. I, "Il passaggio").
58. Preghiera— Dio potente e
misericordioso, ecco un'anima che lascia il suo involucro terreno per
ritornare nel mondo degli Spiriti, la sua vera patria. Possa essa
rientrarvi in pace, e possa la Vostra misericordia estendersi su di
essa.
Buoni Spiriti che l'avete accompagnata sulla Terra, non abbandonatela in questo momento supremo. Datele la forza di affrontare le ultime sofferenze che deve sopportare su questa Terra per il suo avanzamento futuro. Ispiratela affinché consacri al pentimento delle sue colpe gli ultimi lampi d'intelligenza che le restano, o quelli che potrebbero tornarle momentaneamente.
Fate che il mio pensiero possa agire in maniera da renderle meno penoso il processo della separazione, e che essa porti con sé, nel momento di lasciare la Terra, le consolazioni della speranza.
Buoni Spiriti che l'avete accompagnata sulla Terra, non abbandonatela in questo momento supremo. Datele la forza di affrontare le ultime sofferenze che deve sopportare su questa Terra per il suo avanzamento futuro. Ispiratela affinché consacri al pentimento delle sue colpe gli ultimi lampi d'intelligenza che le restano, o quelli che potrebbero tornarle momentaneamente.
Fate che il mio pensiero possa agire in maniera da renderle meno penoso il processo della separazione, e che essa porti con sé, nel momento di lasciare la Terra, le consolazioni della speranza.
4 — Preghiere per coloro che non sono più sulla Terra
Per qualcuno che è appena deceduto
59. Prefazione — Le
preghiere per gli Spiriti che hanno appena lasciato la Terra hanno lo
scopo non solo di dar loro una testimonianza di simpatia, ma anche
quello di aiutarli a liberarsi dei legami terreni, abbreviando il
travaglio che sempre segue la separazione, e rendendo il risveglio più
sereno. Ma anche in questa, come in tutte le altre circostanze,
l'efficacia sta nella sincerità del pensiero, e non nel numero di parole
dette con maggiore o minore enfasi, e nelle quali, per la maggior parte
dei casi, il cuore non ha nessuna parte.
Le preghiere che partono dal cuore risuonano intorno allo Spirito, le cui idee sono ancora confuse, come voci amiche che vengano a svegliarlo dal sonno (vedere cap. XXVII, n. 10 di quest'opera).
Le preghiere che partono dal cuore risuonano intorno allo Spirito, le cui idee sono ancora confuse, come voci amiche che vengano a svegliarlo dal sonno (vedere cap. XXVII, n. 10 di quest'opera).
60. Preghiera — Dio
Onnipotente, scenda la Vostra misericordia sull'anima di X..., che avete
appena richiamata a Voi. Possano le prove che lui ha subito sulla Terra
essergli tenute in conto. E possano le nostre preghiere addolcire e
accorciare le pene che dovrà ancora patire come Spirito!
Buoni Spiriti che siete venuti a riceverlo, e soprattutto tu, che sei il suo Angelo Custode, assistitelo, per aiutarlo a spogliarsi della materia. Dategli la luce e la coscienza di se stesso, al fine di toglierlo dai perturbamenti che accompagnano il passaggio dalla vita fisica a quella spirituale. Ispirategli il pentimento degli errori che ha potuto commettere, e la speranza che gli sarà permesso di ripararvi per affrettare il suo avanzamento verso la beata vita eterna.
X..., sei appena rientrato nel mondo degli Spiriti e, malgrado ciò, sei presente qui con noi; ci vedi e ci senti, perché fra te e noi c'è solo il corpo deperibile che hai appena lasciato e che presto sarà ridotto in polvere.
Hai lasciato il grossolano involucro, soggetto alle vicissitudini e alla morte, e hai conservato solo l'involucro etereo, imperituro e inaccessibile alle sofferenze. Se non vivi più in quanto corpo, tu vivi la vita degli Spiriti, e questa vita è esente da quelle miserie che affliggono l'umanità.
Non hai più il velo che nasconde ai nostri occhi lo splendore della vita futura. Tu puoi ormai contemplare nuove meraviglie, mentre noi siamo ancora immersi nelle tenebre.
Tu vai a percorrere lo spazio e a visitare i mondi in tutta libertà, mentre noi arranchiamo penosamente sulla Terra dove ci trattiene il nostro corpo materiale simile, per noi, a un pesante fardello.
L'orizzonte dell'infinito si va dispiegando davanti ai tuoi occhi, e in presenza di tanta grandezza tu comprendi la vacuità dei nostri desideri terreni, delle nostre ambizioni mondane e delle gioie futili che fanno la delizia degli uomini.
La morte non è che una separazione di pochi istanti fra gli uomini. Dal luogo d'esilio dove ancora ci trattiene la volontà di Dio, così come i doveri che ancora dobbiamo assolvere su questa Terra, noi ti seguiremo con il pensiero fino al momento in cui ci sarà permesso di ricongiungerci a te, come tu ti sei ricongiunto a coloro che ti hanno preceduto.
Se noi non possiamo seguirti, tu invece puoi seguirci. Vieni dunque fra coloro che ti amano e che tu hai amato; sostienili nelle prove della vita; veglia Su quelli che ti sono cari; proteggili secondo le tue possibilità e addolcisci i loro rimpianti con il pensiero che ora tu sei più felice, e con la consolante certezza che un giorno tutti si ricongiungeranno a te in un mondo migliore.
Nel mondo in cui ti trovi, tutti i risentimenti terreni devono spegnersi. Possa tu, per la tua felicità futura, essere ormai a loro inaccessibile! Perdona dunque coloro che hanno potuto commettere dei torti nei tuoi confronti, come ti perdonano coloro che possono averne ricevuti da te.
Nota — Si possono aggiungere a questa preghiera, che si adatta a tutti, parole speciali, secondo le circostanze particolari di famiglia o di relazione e secondo la posizione sociale del defunto.
Quando si tratta di un bambino sappiamo, secondo lo Spiritismo, che non ci troviamo di fronte a uno Spirito di recente creazione, ma a uno Spirito che ha già vissuto altre vite e che può essere già molto progredito. Se la sua ultima esistenza è stata breve, è perché aveva bisogno solo di un supplemento di prova, o doveva essere una prova per i suoi genitori (vedere cap. V, n. 21 di quest'opera).
Buoni Spiriti che siete venuti a riceverlo, e soprattutto tu, che sei il suo Angelo Custode, assistitelo, per aiutarlo a spogliarsi della materia. Dategli la luce e la coscienza di se stesso, al fine di toglierlo dai perturbamenti che accompagnano il passaggio dalla vita fisica a quella spirituale. Ispirategli il pentimento degli errori che ha potuto commettere, e la speranza che gli sarà permesso di ripararvi per affrettare il suo avanzamento verso la beata vita eterna.
X..., sei appena rientrato nel mondo degli Spiriti e, malgrado ciò, sei presente qui con noi; ci vedi e ci senti, perché fra te e noi c'è solo il corpo deperibile che hai appena lasciato e che presto sarà ridotto in polvere.
Hai lasciato il grossolano involucro, soggetto alle vicissitudini e alla morte, e hai conservato solo l'involucro etereo, imperituro e inaccessibile alle sofferenze. Se non vivi più in quanto corpo, tu vivi la vita degli Spiriti, e questa vita è esente da quelle miserie che affliggono l'umanità.
Non hai più il velo che nasconde ai nostri occhi lo splendore della vita futura. Tu puoi ormai contemplare nuove meraviglie, mentre noi siamo ancora immersi nelle tenebre.
Tu vai a percorrere lo spazio e a visitare i mondi in tutta libertà, mentre noi arranchiamo penosamente sulla Terra dove ci trattiene il nostro corpo materiale simile, per noi, a un pesante fardello.
L'orizzonte dell'infinito si va dispiegando davanti ai tuoi occhi, e in presenza di tanta grandezza tu comprendi la vacuità dei nostri desideri terreni, delle nostre ambizioni mondane e delle gioie futili che fanno la delizia degli uomini.
La morte non è che una separazione di pochi istanti fra gli uomini. Dal luogo d'esilio dove ancora ci trattiene la volontà di Dio, così come i doveri che ancora dobbiamo assolvere su questa Terra, noi ti seguiremo con il pensiero fino al momento in cui ci sarà permesso di ricongiungerci a te, come tu ti sei ricongiunto a coloro che ti hanno preceduto.
Se noi non possiamo seguirti, tu invece puoi seguirci. Vieni dunque fra coloro che ti amano e che tu hai amato; sostienili nelle prove della vita; veglia Su quelli che ti sono cari; proteggili secondo le tue possibilità e addolcisci i loro rimpianti con il pensiero che ora tu sei più felice, e con la consolante certezza che un giorno tutti si ricongiungeranno a te in un mondo migliore.
Nel mondo in cui ti trovi, tutti i risentimenti terreni devono spegnersi. Possa tu, per la tua felicità futura, essere ormai a loro inaccessibile! Perdona dunque coloro che hanno potuto commettere dei torti nei tuoi confronti, come ti perdonano coloro che possono averne ricevuti da te.
Nota — Si possono aggiungere a questa preghiera, che si adatta a tutti, parole speciali, secondo le circostanze particolari di famiglia o di relazione e secondo la posizione sociale del defunto.
Quando si tratta di un bambino sappiamo, secondo lo Spiritismo, che non ci troviamo di fronte a uno Spirito di recente creazione, ma a uno Spirito che ha già vissuto altre vite e che può essere già molto progredito. Se la sua ultima esistenza è stata breve, è perché aveva bisogno solo di un supplemento di prova, o doveva essere una prova per i suoi genitori (vedere cap. V, n. 21 di quest'opera).
61. Altra preghiera
[2] — Signore Onnipotente, che la Vostra misericordia si stenda sui
nostri fratelli che hanno appena lasciato la Terra! Che la Vostra luce
brilli davanti ai loro occhi! Fateli uscire dalle tenebre; aprite loro
gli occhi e le orecchie! Che i Vostri buoni Spiriti li circondino e
facciano loro sentire parole di pace e di speranza!
Signore, per quanto indegni possiamo essere, abbiamo l'ardire di implorare la Vostra misericordiosa indulgenza a favore di questo nostro fratello che voi avete appena richiamato dall'esilio. Fate che il suo ritorno sia quello del figliol prodigo. Dimenticate, mio Dio, gli errori che ha potuto commettere per ricordarvi solo del bene che ha potuto fare. La Vostra giustizia è immutabile, ben lo sappiamo, ma immenso è il Vostro amore. Noi Vi supplichiamo di mitigare la Vostra giustizia alla fonte di bontà che da Voi discende.
Che la luce si faccia per te, fratello mio, che hai appena lasciato la Terra! Che i buoni Spiriti del Signore discendano su di te, ti circondino e ti aiutino a scuotere le tue catene terrene! Comprendi e osserva la grandezza del nostro Maestro. Sottomettiti, senza lamentarti, alla Sua giustizia, ma non disperare mai della Sua misericordia. Fratello! Che un serio ritorno al tuo passato ti apra le porte dell'avvenire, facendoti comprendere gli errori che lasci dietro di te, e il lavoro che ti rimane da fare per ripararli! Che Dio ti perdoni, e che i Suoi buoni Spiriti ti sostengano e ti incoraggino! Pregheranno per te i tuoi fratelli della Terra, che a te domandano di pregare per loro.
Signore, per quanto indegni possiamo essere, abbiamo l'ardire di implorare la Vostra misericordiosa indulgenza a favore di questo nostro fratello che voi avete appena richiamato dall'esilio. Fate che il suo ritorno sia quello del figliol prodigo. Dimenticate, mio Dio, gli errori che ha potuto commettere per ricordarvi solo del bene che ha potuto fare. La Vostra giustizia è immutabile, ben lo sappiamo, ma immenso è il Vostro amore. Noi Vi supplichiamo di mitigare la Vostra giustizia alla fonte di bontà che da Voi discende.
Che la luce si faccia per te, fratello mio, che hai appena lasciato la Terra! Che i buoni Spiriti del Signore discendano su di te, ti circondino e ti aiutino a scuotere le tue catene terrene! Comprendi e osserva la grandezza del nostro Maestro. Sottomettiti, senza lamentarti, alla Sua giustizia, ma non disperare mai della Sua misericordia. Fratello! Che un serio ritorno al tuo passato ti apra le porte dell'avvenire, facendoti comprendere gli errori che lasci dietro di te, e il lavoro che ti rimane da fare per ripararli! Che Dio ti perdoni, e che i Suoi buoni Spiriti ti sostengano e ti incoraggino! Pregheranno per te i tuoi fratelli della Terra, che a te domandano di pregare per loro.
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[2] Questa preghiera è stata dettata a un medium di Bordeaux, mentre
passava sotto le sue finestre il carro funebre di uno sconosciuto.
Per le persone che abbiamo amato
62. Prefazione — Com'è
orribile l'idea del niente! Come sono da compiangere coloro i quali
credono che la voce di un amico che pianga il suo amico si perda nel
vuoto e non trovi il più piccolo segnale di risposta! Non hanno mai
conosciuto i puri e santi affetti quanti pensano che tutto muoia con il
corpo; che il genio che ha gettato luce sul mondo con la sua vasta
intelligenza sia un semplice gioco di forze materiali che si estingua
per sempre come un vento; che dell'essere più caro, un padre, una madre o
un figlio adorato, resti solo un po' di polvere che il tempo dissolve
senza ritorno!
Come può un uomo di cuore restare insensibile a questo pensiero? Come può l'idea di un annientamento assoluto non raggelarlo per lo sgomento e non fargli per lo meno desiderare che non sia così? Se, fino a questo momento, la sua ragione non è bastata a togliergli i dubbi, ecco che lo Spiritismo viene a dissipare ogni incertezza sull'avvenire, con le prove tangibili che esso dà circa la sopravvivenza dell'anima e l'esistenza degli esseri d'oltretomba. Ovunque, pertanto, queste prove sono accolte con gioia. La fiducia rinasce, perché ormai l'uomo sa che la vita terrena è solo un breve passaggio che conduce a una vita migliore. Sa che le sue azioni su questa Terra non sono state inutili per lui e che gli affetti più santi non vengono spezzati senza speranza (vedere cap. 1V, n. 18; cap. V, n. 21 di quest'opera).
Come può un uomo di cuore restare insensibile a questo pensiero? Come può l'idea di un annientamento assoluto non raggelarlo per lo sgomento e non fargli per lo meno desiderare che non sia così? Se, fino a questo momento, la sua ragione non è bastata a togliergli i dubbi, ecco che lo Spiritismo viene a dissipare ogni incertezza sull'avvenire, con le prove tangibili che esso dà circa la sopravvivenza dell'anima e l'esistenza degli esseri d'oltretomba. Ovunque, pertanto, queste prove sono accolte con gioia. La fiducia rinasce, perché ormai l'uomo sa che la vita terrena è solo un breve passaggio che conduce a una vita migliore. Sa che le sue azioni su questa Terra non sono state inutili per lui e che gli affetti più santi non vengono spezzati senza speranza (vedere cap. 1V, n. 18; cap. V, n. 21 di quest'opera).
63. Preghiera — Degnatevi,
mio Dio, di accogliere favorevolmente la preghiera che Vi rivolgo per lo
Spirito di X... Fate ch'egli intraveda la Vostra luce divina.
Rendetegli facile il cammino verso la felicità eterna. Permettete che i
buoni Spiriti gli portino le mie parole e il mio pensiero.
E tu, che mi eri caro in questo mondo, ascolta la mia voce, che ti chiama per darti un nuovo pegno del mio affetto. Dio ha permesso che, tra noi due, tu fossi liberato per primo: non potrei lamentarmene senza con ciò essere egoista, perché questo equivarrebbe a desiderare, da parte mia, che continuassero per te le pene e le sofferenze della vita. Attendo dunque con rassegnazione il momento della nostra riunione in quel mondo più felice nel quale tu sei approdato prima di me.
So che la nostra separazione è solo momentanea e che, per quanto lunga essa possa sembrarmi, la sua durata si dissolve a confronto dell'eternità di gioia che Dio promette ai Suoi eletti. Che la Sua bontà mi preservi dal fare una qualsiasi cosa Che possa ritardare questo desiderato istante, risparmiandomi così il dolore di non ritrovarti nell'uscire dalla mia cattività terrena.
Oh, com'è dolce e consolante la certezza che fra di noi c'è solo un velo materiale che ti nasconde alla mia vista, e che tu puoi essere qui, al mio fianco, e vedermi e udirmi come una volta, e ancor meglio di una volta! Possa tu non dimenticarti di me, come io non mi dimentico di te! Che i nostri pensieri non cessino di incrociarsi e che il tuo mi segua e mi sostenga sempre.
Che la pace del Signore sia con te.
E tu, che mi eri caro in questo mondo, ascolta la mia voce, che ti chiama per darti un nuovo pegno del mio affetto. Dio ha permesso che, tra noi due, tu fossi liberato per primo: non potrei lamentarmene senza con ciò essere egoista, perché questo equivarrebbe a desiderare, da parte mia, che continuassero per te le pene e le sofferenze della vita. Attendo dunque con rassegnazione il momento della nostra riunione in quel mondo più felice nel quale tu sei approdato prima di me.
So che la nostra separazione è solo momentanea e che, per quanto lunga essa possa sembrarmi, la sua durata si dissolve a confronto dell'eternità di gioia che Dio promette ai Suoi eletti. Che la Sua bontà mi preservi dal fare una qualsiasi cosa Che possa ritardare questo desiderato istante, risparmiandomi così il dolore di non ritrovarti nell'uscire dalla mia cattività terrena.
Oh, com'è dolce e consolante la certezza che fra di noi c'è solo un velo materiale che ti nasconde alla mia vista, e che tu puoi essere qui, al mio fianco, e vedermi e udirmi come una volta, e ancor meglio di una volta! Possa tu non dimenticarti di me, come io non mi dimentico di te! Che i nostri pensieri non cessino di incrociarsi e che il tuo mi segua e mi sostenga sempre.
Che la pace del Signore sia con te.
Per le anime sofferenti che domandano preghiere
64. Prefazione — Per
comprendere il sollievo che la preghiera può offrire agli Spiriti
sofferenti, bisogna riferirsi al suo modo di agire, precedentemente
spiegato (vedere cap. XXVII, nn. 9, 18 e segg. di quest'opera). Chi si è
compenetrato in questa verità prega con maggior fervore, avendo la
certezza di non pregare invano.
65. Preghiera — Dio clemente
e misericordioso, che la Vostra bontà si diffonda su tutti gli Spiriti
che si raccomandano alle nostre preghiere, e in particolare sull'anima
di X...
Buoni Spiriti, che vi impegnate solo nel bene, intercedete insieme a me in loro favore. Fate brillare nei loro occhi un raggio di speranza e fate che la divina luce li illumini riguardo alle imperfezioni che li tengono lontani dalla dimora dei beati. Aprite il loro cuore al pentimento e al desiderio di purificarsi per affrettare il loro avanzamento. Fate loro comprendere che, con i propri sforzi, possono abbreviare il tempo delle loro prove.
Che Dio, nella Sua bontà, dia loro la forza di perseverare nelle buone risoluzioni!
Possano queste parole benevole alleviare le loro pene, mostrando loro che sulla Terra ci sono esseri che sanno compatirli e che desiderano solo la loro felicità!
Buoni Spiriti, che vi impegnate solo nel bene, intercedete insieme a me in loro favore. Fate brillare nei loro occhi un raggio di speranza e fate che la divina luce li illumini riguardo alle imperfezioni che li tengono lontani dalla dimora dei beati. Aprite il loro cuore al pentimento e al desiderio di purificarsi per affrettare il loro avanzamento. Fate loro comprendere che, con i propri sforzi, possono abbreviare il tempo delle loro prove.
Che Dio, nella Sua bontà, dia loro la forza di perseverare nelle buone risoluzioni!
Possano queste parole benevole alleviare le loro pene, mostrando loro che sulla Terra ci sono esseri che sanno compatirli e che desiderano solo la loro felicità!
66. Altra preghiera
— Noi vi preghiamo, o Signore, di diffondere su tutti quelli che
soffrono, sia nello spazio come Spiriti erranti, sia fra noi come
Spiriti incarnati, la grazia del Vostro amore e della Vostra
misericordia. Abbiate pietà della nostra debolezza. Ci avete creato
deboli, ma ci avete anche dato la forza per resistere al male e per
vincerlo. Si estenda la Vostra misericordia a tutti quelli che non hanno
potuto resistere alle loro cattive inclinazioni e ancora si trascinano
sulla via del male. Che i Vostri buoni Spiriti li circondino. Che la
Vostra luce risplenda nei loro occhi e che, attirati dal suo calore
vivifico, essi vengano umili, pentiti e sottomessi, a prostrarsi ai
Vostri piedi.
Vi preghiamo anche, Padre misericordioso, per quei nostri fratelli che non hanno avuto la forza di sopportare le loro prove terrene. Voi ci avete dato un fardello da portare, Signore, e noi dobbiamo soltanto deporlo ai Vostri piedi. Ma la nostra debolezza è grande, e qualche volta lungo il cammino ci viene a mancare il coraggio. Abbiate pietà di questi servitori indolenti che hanno abbandonato il lavoro prima del tempo. Che la Vostra giustizia li risparmi e permetta ai Vostri buoni Spiriti di portar loro sollievo, consolazione e speranza nell'avvenire! La prospettiva del perdono è fortificante per l'anima! Mostratela, Signore, ai colpevoli che disperano. Sorretti da questa speranza, essi attingeranno forze nella intensità stessa dei loro errori e delle loro sofferenze, così da riscattare il loro passato e prepararsi a conquistare l'avvenire.
Vi preghiamo anche, Padre misericordioso, per quei nostri fratelli che non hanno avuto la forza di sopportare le loro prove terrene. Voi ci avete dato un fardello da portare, Signore, e noi dobbiamo soltanto deporlo ai Vostri piedi. Ma la nostra debolezza è grande, e qualche volta lungo il cammino ci viene a mancare il coraggio. Abbiate pietà di questi servitori indolenti che hanno abbandonato il lavoro prima del tempo. Che la Vostra giustizia li risparmi e permetta ai Vostri buoni Spiriti di portar loro sollievo, consolazione e speranza nell'avvenire! La prospettiva del perdono è fortificante per l'anima! Mostratela, Signore, ai colpevoli che disperano. Sorretti da questa speranza, essi attingeranno forze nella intensità stessa dei loro errori e delle loro sofferenze, così da riscattare il loro passato e prepararsi a conquistare l'avvenire.
Per un nemico deceduto
67. Prefazione — La carità
verso i nostri nemici deve seguirli oltre la tomba. Si deve riflettere
sul fatto che il male che essi ci hanno procurato è stato per noi una
prova, che ha potuto essere utile al nostro avanzamento, sempre che noi
abbiamo saputo trarne profitto. Essa ha potuto essere ancora più
proficua delle afflizioni materiali, per il fatto che al coraggio e alla
rassegnazione ci ha permesso di aggiungere la carità e l'oblio delle
offese (vedere cap. X, n. 6; cap. XII, nn. 5 e 6 di quest'opera).
68. Preghiera—
Signore, Vi siete compiaciuto di chiamare prima di me l'anima di X...
Gli perdono il male che mi ha fatto e le sue cattive intenzioni nei miei
confronti. Possa egli pentirsene, ora che non ha più le illusioni di
questo mondo.
Che la Vostra misericordia, mio Dio, si irradi su di lui e allontani da me il pensiero di rallegrarmi per la sua morte. Se ho commesso dei torti nei suoi confronti, ch'egli possa perdonarmeli, come io dimentico quelli che lui ha commesso verso di me.
Che la Vostra misericordia, mio Dio, si irradi su di lui e allontani da me il pensiero di rallegrarmi per la sua morte. Se ho commesso dei torti nei suoi confronti, ch'egli possa perdonarmeli, come io dimentico quelli che lui ha commesso verso di me.
Per un criminale
69. Prefazione — Se
l'efficacia delle preghiere fosse in ragione della loro lunghezza, le
più lunghe dovrebbero essere riservate ai più colpevoli, perché ne hanno
un bisogno maggiore di quelli che sono vissuti santamente. Rifiutarle
ai criminali, significa mancare di carità e misconoscere la misericordia
di Dio. Pensare che siano inutili, perché un uomo ha commesso colpe
molto gravi, sarebbe voler giudicare la giustizia dell'Altissimo (vedere
cap. XI, n. 14 di quest'opera).
70. Preghiera — Signore, Dio
misericordioso, non ripudiate questo criminale che ha appena lasciato
la Terra. La giustizia degli uomini può averlo condannato, ma ciò non lo
affranca dalla Vostra giustizia, se il suo cuore non è stato toccato
dai rimorsi.
Togliete dai suoi occhi la benda che gli nasconde la gravità delle sue colpe. Possa il suo pentimento meritare la Vostra grazia e alleviare le sofferenze della sua anima! Possano anche le nostre preghiere e l'intercessione dei buoni Spiriti portargli speranza e consolazione, ispirargli il desiderio di riparare alle sue cattive azioni in una nuova esistenza e dargli la forza di non soccombere nelle nuove lotte che dovrà affrontare!
Signore, abbiate pietà di lui!
Togliete dai suoi occhi la benda che gli nasconde la gravità delle sue colpe. Possa il suo pentimento meritare la Vostra grazia e alleviare le sofferenze della sua anima! Possano anche le nostre preghiere e l'intercessione dei buoni Spiriti portargli speranza e consolazione, ispirargli il desiderio di riparare alle sue cattive azioni in una nuova esistenza e dargli la forza di non soccombere nelle nuove lotte che dovrà affrontare!
Signore, abbiate pietà di lui!
Per un suicida
71. Prefazione — All'uomo
non spetta mai il diritto di disporre della propria vita, perché solo a
Dio spetta liberarlo dalla prigione terrena, quando lo riterrà
opportuno. Tuttavia la giustizia divina può limitare il suo rigore in
virtù di certe circostanze, ma riserva tutta la sua severità per colui
che ha voluto sottrarsi alle prove della vita. Il suicida è simile al
prigioniero che evade dalla prigione prima di aver espiato la pena e
che, quando viene ripreso, è trattato più severamente. Così accade al
suicida, il quale crede di sfuggire alle miserie presenti e invece
s'immerge in infelicità maggiori (vedere cap. V, n. 14 e segg. di
quest'opera).
72. Preghiera
— Noi conosciamo, o mio Dio, la sorte riservata a coloro che violano la
Vostra legge abbreviando volontariamente i loro giorni. Ma sappiamo
anche che la Vostra misericordia è infinita. Degnatevi di estenderla
all'anima di X... Possano le nostre preghiere e la Vostra commiserazione
alleviare l'amarezza delle sofferenze che egli sopporta per non aver
avuto il coraggio di attendere la fine delle sue prove!
Buoni Spiriti, la cui missione è quella di assistere gli infelici, prendetelo sotto la vostra protezione e ispirategli il rimorso per la sua colpa. Che la vostra assistenza gli dia la forza di sopportare con maggiore rassegnazione le nuove prove che dovrà subire per ripararla. Allontanate da lui i cattivi Spiriti che potrebbero condurlo di nuovo verso il male e prolungargli così le sue sofferenze, facendogli perdere il frutto delle sue prove future.
A te, la cui infelicità è l'oggetto delle nostre preghiere, possa la nostra pietà addolcirne l'amarezza e far nascere nel tuo cuore la speranza di un avvenire migliore! Questo avvenire è nelle tue stesse mani. Abbi fiducia nella bontà di Dio, le cui braccia sono sempre aperte a tutti i pentiti, e rimangono chiuse solo per i cuori insensibili.
Buoni Spiriti, la cui missione è quella di assistere gli infelici, prendetelo sotto la vostra protezione e ispirategli il rimorso per la sua colpa. Che la vostra assistenza gli dia la forza di sopportare con maggiore rassegnazione le nuove prove che dovrà subire per ripararla. Allontanate da lui i cattivi Spiriti che potrebbero condurlo di nuovo verso il male e prolungargli così le sue sofferenze, facendogli perdere il frutto delle sue prove future.
A te, la cui infelicità è l'oggetto delle nostre preghiere, possa la nostra pietà addolcirne l'amarezza e far nascere nel tuo cuore la speranza di un avvenire migliore! Questo avvenire è nelle tue stesse mani. Abbi fiducia nella bontà di Dio, le cui braccia sono sempre aperte a tutti i pentiti, e rimangono chiuse solo per i cuori insensibili.
Per gli Spiriti pentiti
73. Prefazione — Sarebbe
ingiusto annoverare nella categoria degli Spiriti cattivi gli Spiriti
sofferenti e pentiti, che chiedono preghiere. Costoro possono pur essere
stati cattivi, ma non lo sono più dal momento che riconoscono le loro
colpe, di cui hanno rimorso. Sono solo degli infelici. Alcuni cominciano
perfino a godere di una relativa felicità.
74. Preghiera — Dio
misericordioso, che accettate il pentimento sincerodel peccatore,
incarnato o disincarnato, ecco uno Spirito che si compromise commettendo
il male, ma che riconosce i suoi errori e s'inoltra nel buon cammino.
DegnateVi, o mio Dio, di riceverlo come un figliol prodigo e di
perdonarlo.
Buoni Spiriti, dei quali egli ha disconosciuto la voce, ora vuole ascoltarla. Permettetegli di intravedere la felicità degli eletti del Signore, affinché persista nel desiderio di purificarsi per raggiungerla. Sostenetelo nelle sue buone risoluzioni e dategli la forza di resistere ai suoi cattivi istinti.
Spirito di X..., ci felicitiamo per il tuo cambiamento e ringraziamo i buoni Spiriti che ti hanno aiutato!
Se un tempo ti sei compiaciuto nel commettere il male, è perché non sapevi come è dolce il piacere di fare il bene e anche perché ti sentivi troppo in basso per sperare di raggiungerlo. Ma, dal momento in cui ti sei messo sulla buona strada, una nuova luce si è diffusa per te. Hai cominciato a godere di una felicità sconosciuta, e la speranza è entrata nel tuo cuore. È che Dio ascolta sempre la preghiera del peccatore pentito e non manda mai via nessuno di coloro che Lo cercano.
Per tornare completamente nella grazia del Signore, impegnati d'ora in poi non solamente a non commettere più il male, ma a fare il bene e soprattutto a riparare il male fatto. Allora avrai soddisfatto la giustizia divina, e ogni buona azione cancellerà una delle tue colpe passate.
Il primo passo è fatto. Ora, più avanzerai e più il cammino ti sembrerà facile e gradevole. Persevera dunque e un giorno avrai la gloria di essere annoverato fra i buoni Spiriti e gli Spiriti beati.
Buoni Spiriti, dei quali egli ha disconosciuto la voce, ora vuole ascoltarla. Permettetegli di intravedere la felicità degli eletti del Signore, affinché persista nel desiderio di purificarsi per raggiungerla. Sostenetelo nelle sue buone risoluzioni e dategli la forza di resistere ai suoi cattivi istinti.
Spirito di X..., ci felicitiamo per il tuo cambiamento e ringraziamo i buoni Spiriti che ti hanno aiutato!
Se un tempo ti sei compiaciuto nel commettere il male, è perché non sapevi come è dolce il piacere di fare il bene e anche perché ti sentivi troppo in basso per sperare di raggiungerlo. Ma, dal momento in cui ti sei messo sulla buona strada, una nuova luce si è diffusa per te. Hai cominciato a godere di una felicità sconosciuta, e la speranza è entrata nel tuo cuore. È che Dio ascolta sempre la preghiera del peccatore pentito e non manda mai via nessuno di coloro che Lo cercano.
Per tornare completamente nella grazia del Signore, impegnati d'ora in poi non solamente a non commettere più il male, ma a fare il bene e soprattutto a riparare il male fatto. Allora avrai soddisfatto la giustizia divina, e ogni buona azione cancellerà una delle tue colpe passate.
Il primo passo è fatto. Ora, più avanzerai e più il cammino ti sembrerà facile e gradevole. Persevera dunque e un giorno avrai la gloria di essere annoverato fra i buoni Spiriti e gli Spiriti beati.
Per gli Spiriti insensibili
75. Prefazione — I cattivi
Spiriti sono quelli che non sono ancora stati toccati dal pentimento,
che si compiacciono del male e che non hanno ancora concepito alcun
rimorso. Sono insensibili ai rimproveri, respingono la preghiera e
sovente bestemmiano il nome di Dio. Sono queste anime indurite che, dopo
la morte, si vendicano sugli uomini delle sofferenze che sopportarono e
perseguitano con il loro odio, sia attraverso l'ossessione, sia
attraverso una qualsiasi influenza negativa, quelli che hanno detestato
in vita (vedere cap. X, n. 6; cap. XII, nn. 5 e 6 di quest'opera).
Fra gli spiriti perversi, si distinguono due categorie: quella di coloro che sono decisamente cattivi e quella degli ipocriti. I primi sono molto più facilmente riconducibili al bene dei secondi. Essi sono per lo più di natura bruta e volgare, come se ne trovano fra gli uomini che fanno il male più per istinto che per calcolo, e non cercano di apparire migliori di quanto in realtà siano. Ma latente esiste in loro un germe che si deve far germogliare, cosa che si ottiene quasi sempre con la perseveranza, la fermezza unita alla benevolenza, i consigli, i ragionamenti e la preghiera. Nelle comunicazioni medianiche, la difficoltà che essi hanno nello scrivere il nome di Dio è indice di una paura istintiva, di una recriminazione della coscienza che li accusa di indegnità. Chi è in questa situazione si trova sulla soglia della conversione e si può sperare tutto da lui: basta trovarne il punto vulnerabile del cuore.
Gli Spiriti ipocriti sono quasi sempre molto intelligenti, ma non hanno nel cuore nessuna corda sensibile: nulla li tocca. Essi simulano tutti i buoni sentimenti per catturare la fiducia e sono felici quando trovano delle vittime che li accettano come Spiriti santi e che essi possono dominare a loro piacimento. Il nome di Dio, lungi dall'ispirare in loro il minimo timore, serve da maschera per coprire la loro turpitudine. Nel mondo invisibile, come in quello visibile, gli ipocriti sono gli esseri più dannosi, perché agiscono nell'ombra, cosicché di loro non si dubita. Hanno solo le apparenze della fede, ma non della fede sincera.
Fra gli spiriti perversi, si distinguono due categorie: quella di coloro che sono decisamente cattivi e quella degli ipocriti. I primi sono molto più facilmente riconducibili al bene dei secondi. Essi sono per lo più di natura bruta e volgare, come se ne trovano fra gli uomini che fanno il male più per istinto che per calcolo, e non cercano di apparire migliori di quanto in realtà siano. Ma latente esiste in loro un germe che si deve far germogliare, cosa che si ottiene quasi sempre con la perseveranza, la fermezza unita alla benevolenza, i consigli, i ragionamenti e la preghiera. Nelle comunicazioni medianiche, la difficoltà che essi hanno nello scrivere il nome di Dio è indice di una paura istintiva, di una recriminazione della coscienza che li accusa di indegnità. Chi è in questa situazione si trova sulla soglia della conversione e si può sperare tutto da lui: basta trovarne il punto vulnerabile del cuore.
Gli Spiriti ipocriti sono quasi sempre molto intelligenti, ma non hanno nel cuore nessuna corda sensibile: nulla li tocca. Essi simulano tutti i buoni sentimenti per catturare la fiducia e sono felici quando trovano delle vittime che li accettano come Spiriti santi e che essi possono dominare a loro piacimento. Il nome di Dio, lungi dall'ispirare in loro il minimo timore, serve da maschera per coprire la loro turpitudine. Nel mondo invisibile, come in quello visibile, gli ipocriti sono gli esseri più dannosi, perché agiscono nell'ombra, cosicché di loro non si dubita. Hanno solo le apparenze della fede, ma non della fede sincera.
76. Preghiera — Signore,
degnateVi di gettare uno sguardo di bontà sugli Spiriti imperfetti che
sono ancora nelle tenebre dell'ignoranza e Vi disconoscono; in
particolare, sullo Spirito di X...
Buoni Spiriti, aiutateci a fargli comprendere che inducendo gli uomini al male, ossessionandoli e tormentandoli, egli prolunga le sue stesse sofferenze. Fate che l'esempio della felicità di cui voi godete sia per lui un incoraggiamento.
Spirito che ancora ti compiaci del male, hai appena udito la preghiera che noi abbiamo a te elevato; essa vuole dimostrarti che desideriamo farti del bene, qualunque male tu abbia fatto.
Tu sei infelice, perché è impossibile essere felici facendo del male. Perché dunque rimanere nella pena quando dipende da te uscirne? Guarda i buoni Spiriti che ti circondano. Vedi come sono felici? Non sarebbe molto meglio per te gioire della stessa felicità?
Tu dirai che ciò ti è impossibile. Ma niente è impossibile a colui che vuole, perché Dio ti ha dato, come a tutte le sue creature, la libertà di scegliere fra il bene e il male, ossia fra la felicità e l'infelicità, e nessuno è condannato a fare il male. Se tu hai la volontà di farlo, hai anche quella di fare il bene e di essere felice.
Volgi il tuo sguardo a Dio. Elevati per un solo istante con il pensiero a Lui, e un raggio della Sua divina luce verrà a illuminarti. Di' con noi queste semplici parole: Mio Dio, mi pento, perdonatemi. Prova a pentirti e a fare il bene in luogo del male e vedrai che presto la Sua misericordia scenderà su di te e che un benessere sconosciuto verrà a sostituire le angosce che hanno indurito il tuo cuore. Una volta che avrai fatto un passo sulla buona strada, il resto del cammino ti sembrerà facile. Comprenderai allora quanto tempo hai sottratto, per tua stessa colpa, alla tua felicità. Ma un avvenire radioso e pieno di speranza si aprirà davanti a te e ti farà dimenticare il tuo miserabile passato, pieno di tribolazioni e tormenti morali che saranno per te l'inferno se dovessero durare eternamente. Verrà giorno in cui questi tormenti saranno tali che vorrai farli cessare a qualsiasi prezzo. Ma più aspetterai più ciò sarà difficile.
Non credere di rimanere sempre nello stato in cui ti trovi: ciò non è possibile. Hai di fronte a te due prospettive: una di soffrire molto più di quanto non ti succeda oggi; l'altra di essere felice come i buoni Spiriti che ti circondano. La prima è inevitabile se persisti nella tua ostinazione. Un semplice sforzo della tua volontà è sufficiente per toglierti dal male in cui ti trovi. Affrettati dunque, perché ogni giorno di ritardo è un giorno di felicità che hai perduto.
Buoni Spiriti, fate che queste parole trovino accesso in quest'anima ancora arretrata, affinché esse l'aiutino ad avvicinarsi a Dio. Noi vi preghiamo in nome di Gesù Cristo, che ha avuto un così grande potere sugli Spiriti cattivi.
Buoni Spiriti, aiutateci a fargli comprendere che inducendo gli uomini al male, ossessionandoli e tormentandoli, egli prolunga le sue stesse sofferenze. Fate che l'esempio della felicità di cui voi godete sia per lui un incoraggiamento.
Spirito che ancora ti compiaci del male, hai appena udito la preghiera che noi abbiamo a te elevato; essa vuole dimostrarti che desideriamo farti del bene, qualunque male tu abbia fatto.
Tu sei infelice, perché è impossibile essere felici facendo del male. Perché dunque rimanere nella pena quando dipende da te uscirne? Guarda i buoni Spiriti che ti circondano. Vedi come sono felici? Non sarebbe molto meglio per te gioire della stessa felicità?
Tu dirai che ciò ti è impossibile. Ma niente è impossibile a colui che vuole, perché Dio ti ha dato, come a tutte le sue creature, la libertà di scegliere fra il bene e il male, ossia fra la felicità e l'infelicità, e nessuno è condannato a fare il male. Se tu hai la volontà di farlo, hai anche quella di fare il bene e di essere felice.
Volgi il tuo sguardo a Dio. Elevati per un solo istante con il pensiero a Lui, e un raggio della Sua divina luce verrà a illuminarti. Di' con noi queste semplici parole: Mio Dio, mi pento, perdonatemi. Prova a pentirti e a fare il bene in luogo del male e vedrai che presto la Sua misericordia scenderà su di te e che un benessere sconosciuto verrà a sostituire le angosce che hanno indurito il tuo cuore. Una volta che avrai fatto un passo sulla buona strada, il resto del cammino ti sembrerà facile. Comprenderai allora quanto tempo hai sottratto, per tua stessa colpa, alla tua felicità. Ma un avvenire radioso e pieno di speranza si aprirà davanti a te e ti farà dimenticare il tuo miserabile passato, pieno di tribolazioni e tormenti morali che saranno per te l'inferno se dovessero durare eternamente. Verrà giorno in cui questi tormenti saranno tali che vorrai farli cessare a qualsiasi prezzo. Ma più aspetterai più ciò sarà difficile.
Non credere di rimanere sempre nello stato in cui ti trovi: ciò non è possibile. Hai di fronte a te due prospettive: una di soffrire molto più di quanto non ti succeda oggi; l'altra di essere felice come i buoni Spiriti che ti circondano. La prima è inevitabile se persisti nella tua ostinazione. Un semplice sforzo della tua volontà è sufficiente per toglierti dal male in cui ti trovi. Affrettati dunque, perché ogni giorno di ritardo è un giorno di felicità che hai perduto.
Buoni Spiriti, fate che queste parole trovino accesso in quest'anima ancora arretrata, affinché esse l'aiutino ad avvicinarsi a Dio. Noi vi preghiamo in nome di Gesù Cristo, che ha avuto un così grande potere sugli Spiriti cattivi.
5 — Preghiere per i malati e gli ossessi
Per i malati
77. Prefazione — Le malattie
fanno parte delle prove e delle vicissitudini della vita terrena. Sono
inerenti alla grossolanità della nostra natura fisica e al basso livello
del mondo che abitiamo. Le passioni e gli eccessi di ogni specie
generano in noi germi malsani, sovente ereditari. Nei mondi fisicamente o
moralmente più avanzati, l'organismo umano, più puro e meno materiale,
non è soggetto alle stesse infermità del nostro, e il corpo non è
segretamente minato dalla devastazione delle passioni (vedere cap. III,
n. 9 di quest'opera). Bisogna dunque che ci si rassegni a subire le
conseguenze dell'ambiente in cui ci colloca la nostra inferiorità,
finché non diventiamo degni di un trasferimento. Nell'attesa, ciò non
deve impedirci di fare quel che dipende da noi per migliorare la nostra
posizione attuale. Ma se, malgrado i nostri sforzi, non ci riusciamo, lo
Spiritismo ci insegna a sopportare con rassegnazione i nostri mali
transitori.
Se Dio non avesse voluto che, in certi casi, le nostre sofferenze fisiche fossero superate o alleviate, non avrebbe messo a nostra disposizione dei mezzi per curarci. La Sua previdente sollecitudine a questo riguardo, in accordo con il nostro istinto di conservazione, sta a indicare che è nostro dovere ricercarli e applicarli.
Accanto alla comune medicina elaborata dalla scienza, il magnetismo ci ha fatto conoscere la potenza dell'azione fluidica. In seguito lo Spiritismo è venuto a rivelarci un'altra forza nella medianità guaritrice e l'influenza della preghiera (vedere nel capitolo XXVI e di seguito, al n. 81, le note sulla Medianità guaritrice).
Se Dio non avesse voluto che, in certi casi, le nostre sofferenze fisiche fossero superate o alleviate, non avrebbe messo a nostra disposizione dei mezzi per curarci. La Sua previdente sollecitudine a questo riguardo, in accordo con il nostro istinto di conservazione, sta a indicare che è nostro dovere ricercarli e applicarli.
Accanto alla comune medicina elaborata dalla scienza, il magnetismo ci ha fatto conoscere la potenza dell'azione fluidica. In seguito lo Spiritismo è venuto a rivelarci un'altra forza nella medianità guaritrice e l'influenza della preghiera (vedere nel capitolo XXVI e di seguito, al n. 81, le note sulla Medianità guaritrice).
78. Preghiera (Del malato) —
Signore, Voi siete tutto giustizia. La malattia, che avete voluto
inviarmi, devo averla meritata perché Voi non affliggete mai senza
giusta causa. Io mi rimetto, per la mia guarigione, alla Vostra infinita
misericordia. Se a Voi piacerà ridarmi la salute, sia benedetto il
Vostro santo nome; se invece devo soffrire ancora, sia lo stesso
benedetto. Io mi sottometto senza lamentarmi ai Vostri divini decreti
perché tutto ciò che fate può avere come scopo solo il bene delle Vostre
creature.
Fate, o mio Dio, che questa malattia sia per me un benefico avvertimento e mi faccia riflettere su me stesso. Io l'accetto come un'espiazione del passato e come una prova per la mia fede e la mia sottomissione alla Vostra santa volontà (vedere la preghiera n. 40).
Fate, o mio Dio, che questa malattia sia per me un benefico avvertimento e mi faccia riflettere su me stesso. Io l'accetto come un'espiazione del passato e come una prova per la mia fede e la mia sottomissione alla Vostra santa volontà (vedere la preghiera n. 40).
79. Preghiera (Per il
malato) — Mio Dio, i Vostri disegni sono impenetrabili, e nella Vostra
saggezza avete creduto di dover affliggere X... con la malattia.
Gettate, Vi supplico, uno sguardo di compassione sulle sue sofferenze e
degnateVi di porvi un termine.
Buoni Spiriti, ministri dell'Onnipotente, assecondate, vi prego, il mio desiderio di confortarlo. Orientate il mio pensiero affinché possa vel sai e un balsamo salutare sul suo corpo e la consolazione nella sua anima.
Ispirategli la pazienza e la sottomissione alla volontà di Dio. Dategli la forza di sopportare i suoi dolori con rassegnazione cristiana, affinché non perda il frutto di questa prova (vedere la preghiera n. 57).
Buoni Spiriti, ministri dell'Onnipotente, assecondate, vi prego, il mio desiderio di confortarlo. Orientate il mio pensiero affinché possa vel sai e un balsamo salutare sul suo corpo e la consolazione nella sua anima.
Ispirategli la pazienza e la sottomissione alla volontà di Dio. Dategli la forza di sopportare i suoi dolori con rassegnazione cristiana, affinché non perda il frutto di questa prova (vedere la preghiera n. 57).
80. Preghiera
(Del medium guaritore) — Mio Dio, se Vi degnate di servirVi di me,
indegno come sono, io posso guarire questa sofferenza, se tale è la
Vostra volontà, perché io ho fede in Voi. Ma senza di Voi nulla io
posso. Permettete ai buoni Spiriti di impregnarmi del loro fluido
salutare, affinché io possa trasmetterloa questo malato. Allontanate da
me qualsiasi pensiero d'orgoglio e di egoismo che potrebbe alterarne la
purezza.
Per gli ossessi
81. Prefazione —
L'ossessione è l'azione persistente che uno Spirito malvagio esercita su
un individuo. Essa presenta caratteri molti diversi: dalla semplice
influenza morale, senza segni esteriori sensibili, fino al turbamento
completo dell'organismo e delle facoltà mentali. Essa annienta tutte le
facoltà medianiche. Nella medianità, con la scrittura automatica, essa
si traduce con l'ostinazione di uno Spirito a volersi manifestare in
modo esclusivo, non permettendo che altri lo facciano.
I cattivi Spiriti pullulano intorno alla Terra, a causa dell'inferiorità morale dei suoi abitanti. Le loro azioni malefiche fanno parte dei flagelli ai quali l'umanità è esposta in questo mondo. L'ossessione, come le malattie e tutte le tribolazioni della vita, deve dunque essere considerata una prova o un'espiazione, e come tale venire accettata.
Allo stesso modo che le malattie sono la conseguenza delle imperfezioni fisiche, che rendono il corpo accessibile alle perniciose influenze esterne, così l'ossessione è sempre la conseguenza di un'imperfezione morale che offre libero accesso a uno Spirito cattivo. A una causa fisica si deve opporre una forza fisica, a una causa morale si deve opporre una forza morale. Per preservarsi dalle malattie, si fortifica il corpo; per garantirsi dall'ossessione, bisogna fortificare l'anima. Da questo deriva per l'ossesso la necessità di lavorare al suo stesso miglioramento, cosa che basta, nella maggioranza dei casi, per sbarazzarsi dell'ossessore senza dover ricorrere all'intervento di estranei. Questo ricorso diventa necessario quando l'ossessione degenera in soggiogazione e possessione, perché il paziente perde a volte la sua volontà e il suo libero arbitrio.
L'ossessione è quasi sempre l'azione vendicativa esercitata da uno Spirito e per lo più ha la sua origine nei rapporti che l'ossesso ha avuto con lui in un'esistenza precedente (vedere cap. X, n. 6; cap. XII, nn. 5 e 6 di quest'opera).
Nei casi di ossessione grave, l'ossesso è come avvolto e impregnato dì un fluido pernicioso che neutralizza l'azione dei fluidi salutari allontanandoli. È di questo fluido, dunque, che bisogna sbarazzarsi, poiché un cattivo fluido non può essere espulso da un altro cattivo fluido. Attraverso un'azione identica a quella del medium guaritore nei casi di malattia, bisogna espellere il fluido cattivo con l'aiuto di un fluido migliore, che produca in qualche modo l'effetto di um reagente. Questa è quella che possiamo denominare azione meccanica, che comunque non è sufficiente. Infatti, si deve, anche e soprattutto, agire sull'essere intelligente al quale si deve avere il diritto di parlare con autorità. E questa autorità è data solo dalla superiorità morale. Quanto più essa sarà grande, tanto maggiore sarà l'autorità.
E non è ancora tutto: per assicurare l'affrancamento, bisogna indurre lo Spirito malvagio a rinunciare ai suoi perversi disegni. Bisogna far nascere in lui il pentimento e il desiderio di bene, attraverso istruzioni abilmente indirizzate, con l'aiuto di evocazioni particolari, fatte in considerazione della sua educazione morale. Allora si può avere la doppia soddisfazione di liberare un incarnato e di convertire uno Spirito imperfetto.
Il compito diventa più facile quando l'ossesso, comprendendo la sua situazione, offre il concorso della sua volontà e della sua preghiera. Non è così quando l'ossesso, sedotto dallo Spirito ingannatore, si fa illusioni circa le qualità di colui che lo domina, si compiace dell'errore in cui quest'ultimo lo sprofonda e, lungi dall'assecondare, rifiuta qualsiasi assistenza. È il caso della fascinazione sempre infinitamente più ribelle della più violenta suggestione (vedere Il Libro dei Medium, cap. XXIII).
In tutti i casi di ossessione, la preghiera è il più potente aiuto per agire contro lo Spirito ossessore.
I cattivi Spiriti pullulano intorno alla Terra, a causa dell'inferiorità morale dei suoi abitanti. Le loro azioni malefiche fanno parte dei flagelli ai quali l'umanità è esposta in questo mondo. L'ossessione, come le malattie e tutte le tribolazioni della vita, deve dunque essere considerata una prova o un'espiazione, e come tale venire accettata.
Allo stesso modo che le malattie sono la conseguenza delle imperfezioni fisiche, che rendono il corpo accessibile alle perniciose influenze esterne, così l'ossessione è sempre la conseguenza di un'imperfezione morale che offre libero accesso a uno Spirito cattivo. A una causa fisica si deve opporre una forza fisica, a una causa morale si deve opporre una forza morale. Per preservarsi dalle malattie, si fortifica il corpo; per garantirsi dall'ossessione, bisogna fortificare l'anima. Da questo deriva per l'ossesso la necessità di lavorare al suo stesso miglioramento, cosa che basta, nella maggioranza dei casi, per sbarazzarsi dell'ossessore senza dover ricorrere all'intervento di estranei. Questo ricorso diventa necessario quando l'ossessione degenera in soggiogazione e possessione, perché il paziente perde a volte la sua volontà e il suo libero arbitrio.
L'ossessione è quasi sempre l'azione vendicativa esercitata da uno Spirito e per lo più ha la sua origine nei rapporti che l'ossesso ha avuto con lui in un'esistenza precedente (vedere cap. X, n. 6; cap. XII, nn. 5 e 6 di quest'opera).
Nei casi di ossessione grave, l'ossesso è come avvolto e impregnato dì un fluido pernicioso che neutralizza l'azione dei fluidi salutari allontanandoli. È di questo fluido, dunque, che bisogna sbarazzarsi, poiché un cattivo fluido non può essere espulso da un altro cattivo fluido. Attraverso un'azione identica a quella del medium guaritore nei casi di malattia, bisogna espellere il fluido cattivo con l'aiuto di un fluido migliore, che produca in qualche modo l'effetto di um reagente. Questa è quella che possiamo denominare azione meccanica, che comunque non è sufficiente. Infatti, si deve, anche e soprattutto, agire sull'essere intelligente al quale si deve avere il diritto di parlare con autorità. E questa autorità è data solo dalla superiorità morale. Quanto più essa sarà grande, tanto maggiore sarà l'autorità.
E non è ancora tutto: per assicurare l'affrancamento, bisogna indurre lo Spirito malvagio a rinunciare ai suoi perversi disegni. Bisogna far nascere in lui il pentimento e il desiderio di bene, attraverso istruzioni abilmente indirizzate, con l'aiuto di evocazioni particolari, fatte in considerazione della sua educazione morale. Allora si può avere la doppia soddisfazione di liberare un incarnato e di convertire uno Spirito imperfetto.
Il compito diventa più facile quando l'ossesso, comprendendo la sua situazione, offre il concorso della sua volontà e della sua preghiera. Non è così quando l'ossesso, sedotto dallo Spirito ingannatore, si fa illusioni circa le qualità di colui che lo domina, si compiace dell'errore in cui quest'ultimo lo sprofonda e, lungi dall'assecondare, rifiuta qualsiasi assistenza. È il caso della fascinazione sempre infinitamente più ribelle della più violenta suggestione (vedere Il Libro dei Medium, cap. XXIII).
In tutti i casi di ossessione, la preghiera è il più potente aiuto per agire contro lo Spirito ossessore.
82. Preghiera (Dell'ossesso)
— Mio Dio, permettete ai buoni Spiriti di liberarmi dello Spirito
malvagio che si è attaccato a me. Se si tratta di una vendetta che egli
esercita per dei torti che io ho commesso nei suoi confronti,
permetteteglielo, mio Dio, per mia punizione ed io subirò le conseguenze
della mia colpa. Possa il mio pentimento farmi meritare il Vostro
perdono e la mia liberazione! Ma, qualunque sia il motivo, io invoco su
di lui la Vostra misericordia. DegnateVi perciò di facilitargli la via
del progresso, il che lo distoglierà dal pensiero di farmi del male.
Possa io, dal canto mio, rendergli bene per male e condurlo a migliori
sentimenti.
Ma io so anche, o mio Dio, che sono le mie imperfezioni a rendermi accessibile alle influenze degli Spiriti imperfetti. Donatemi la luce necessaria per riconoscerli e liberatemi soprattutto del mio orgoglio, che mi rende cieco riguardo ai miei difetti.
Come grande dev'essere la mia indegnità, se un essere malefico può martirizzarmi!
Fate, o mio Dio, che questo colpo inferto alla mia vacuità mi serva di lezione per l'avvenire; che mi fortifichi nella risoluzione che io prendo di purificarmi con la pratica del bene, della carità e dell'umiltà, al fine di opporre d'ora in poi una barriera alle cattive influenze.
Signore, datemi la forza di sopportare questa prova con pazienza e rassegnazione! Io comprendo che, come tutte le altre prove, essa deve contribuire al mio miglioramento, se io non ne vanificherò il frutto lamentandomi. Essa mi offre l'opportunità di mostrare la mia sottomissione e di esercitare la carità verso un fratello sfortunato, perdonandogli il male che mi fa (vedere cap. XII, nn. 5 e 6; cap. XXVIII nn. 15 e segg., e 46, 47 di quest'opera).
Ma io so anche, o mio Dio, che sono le mie imperfezioni a rendermi accessibile alle influenze degli Spiriti imperfetti. Donatemi la luce necessaria per riconoscerli e liberatemi soprattutto del mio orgoglio, che mi rende cieco riguardo ai miei difetti.
Come grande dev'essere la mia indegnità, se un essere malefico può martirizzarmi!
Fate, o mio Dio, che questo colpo inferto alla mia vacuità mi serva di lezione per l'avvenire; che mi fortifichi nella risoluzione che io prendo di purificarmi con la pratica del bene, della carità e dell'umiltà, al fine di opporre d'ora in poi una barriera alle cattive influenze.
Signore, datemi la forza di sopportare questa prova con pazienza e rassegnazione! Io comprendo che, come tutte le altre prove, essa deve contribuire al mio miglioramento, se io non ne vanificherò il frutto lamentandomi. Essa mi offre l'opportunità di mostrare la mia sottomissione e di esercitare la carità verso un fratello sfortunato, perdonandogli il male che mi fa (vedere cap. XII, nn. 5 e 6; cap. XXVIII nn. 15 e segg., e 46, 47 di quest'opera).
83. Preghiera (Per
l'ossesso) — Dio Onnipotente, degnateVi di darmi il potere di liberare
X... dallo Spirito che lo ossessiona. Se è nei Vostri disegni mettere un
termine a questa prova, accordatemi la grazia di parlare a questo
Spirito con autorevolezza.
Buoni Spiriti che mi assistite, e tu, Angelo Custode di X..., prestatemi il vostro soccorso; aiutatemi a liberarlo del fluido impuro da cui è avvolto.
In nome di Dio Onnipotente, io scongiuro lo Spirito malefico che lo tormenta di ritirarsi.
Buoni Spiriti che mi assistite, e tu, Angelo Custode di X..., prestatemi il vostro soccorso; aiutatemi a liberarlo del fluido impuro da cui è avvolto.
In nome di Dio Onnipotente, io scongiuro lo Spirito malefico che lo tormenta di ritirarsi.
84. Preghiera (Per
lo Spirito ossessore) — Dio infinitamente buono, invoco la Vostra
misericordia per lo Spirito che ossessiona X... Fategli intravedere la
luce divina, affinché egli si accorga della falsa strada in cui si è
imbattuto. Buoni Spiriti, aiutatemi a fargli comprendere che ha tutto da
perdere facendo il male, e tutto da guadagnare facendo il bene.
Spirito che ti compiaci di tormentare X.... ascoltami, perché io ti parlo in nome di Dio.
Se tu volessi riflettere, comprenderesti che il male non può avere la meglio sul bene e che tu non puoi essere più forte di Dio e dei buoni Spiriti.
Essi avrebbero potuto preservare X... da qualsiasi assalto da parte tua. Se non l'hanno fatto, vuol dire che egli doveva subire una prova. Ma quando questa prova sarà finita, Dio e i buoni Spiriti ti priveranno di qualsiasi influenza su di lui. Il male che gli avrai fatto, anziché nuocergli, sarà servito al suo avanzamento, ed egli ne sarà più felice. Così la tua malvagità sarà stata una pura perdita per te e ti si ritorcerà contro.
Dio, che è onnipotente, e gli Spiriti superiori Suoi delegati, che sono più potenti di te, potranno dunque mettere termine a questa ossessione quando lo vorranno, e la tua tenacia si sbriciolerà di fronte a questa autorità superiore. Ma, per il fatto che Dio è buono vuole perfino lasciare il merito di distruggere questa tua malvagità alla tua stessa volontà. È una concessione quella che Egli ti accorda; se non ne approfitti, ne subirai spiacevoli conseguenze. Grandi castighi e crudeli sofferenze ti attendono. Sarai obbligato a implorare la pietà e le preghiere delle tue vittime, che già ti perdonano e pregano per te — cosa che è un grande merito agli occhi di Dio — e affretterà la loro liberazione.
Rifletti dunque finché hai ancora tempo, perché la giustizia di Dio peserà su di te come su tutti gli Spiriti ribelli. Pensa che il male che fai in questo momento avrà forzatamente un termine, mentre, se tu insisti nella tua crudeltà, le tue sofferenze aumenteranno senza fine.
Quando tu eri sulla Terra, non trovavi sciocco sacrificare un grande bene per una piccola soddisfazione del momento? Lo stesso avviene ora che sei Spirito. Che te ne viene da ciò che fai? Il triste piacere di tormentare qualcuno non ti impedisce di essere infelice, qualunque cosa tu possa dirne, e ti renderà più infelice ancora.
A confronto di ciò, guarda che cosa perdi. Guarda i buoni Spiriti che ti circondano e osserva se la loro sorte non è preferibile alla tua. La felicità di cui essi godono sarà con te condivisa quando lo vorrai. Che cosa ci vuole per questo? Implora Dio e fa il bene invece del male. So che non puoi cambiare tutto d'un colpo, ma Dio non domanda l'impossibile. Ciò che Egli vuole è la buona volontà. Prova dunque, e noi ti aiuteremo. Fa che presto noi possiamo dire per te la preghiera per gli Spiriti pentiti (n. 73), e non annoverarti più fra gli Spiriti cattivi, in attesa che tu possa essere annoverato fra quelli buoni (vedere anche n. 75, "La preghiera per gli Spiriti insensibili").
Osservazione — La cura delle ossessioni gravi richiede grande pazienza, perseveranza e dedizione. Essa esige anche tatto e abilità, per portare al bene Spiriti sovente molto perversi, induriti e astuti, dal momento che ci sono Spiriti ribelli all'ultimo stadio. Nella maggior parte dei casi, bisogna orientarsi secondo le circostanze. Ma, qualunque sia il carattere dello Spirito, un fatto è certo: non si ottiene niente con le costrizioni e le minacce; tutta l'influenza sta nell'autorevolezza morale. Un'altra verità, confermata sia dall'esperienza sia dalla logica, è la completa inefficacia di esorcismi, formule, parole sacramentali, amuleti, talismani, pratiche esteriori o segni materiali di qualunque tipo.
L'ossessione molto prolungata può dar luogo a disordini patologici e richiede a volte un trattamento simultaneo o consecutivo sia magnetico, sia medico, per riequilibrare l'organismo. Eliminata la causa, rimangono da combattere gli effetti (vedere Il libro dei Medium, cap. XXIII, "Dell'ossessione". Si veda anche Rivista Spiritista, febbraio e marzo 1864, aprile 1865: "Exemples de cures d'obsessions")
Spirito che ti compiaci di tormentare X.... ascoltami, perché io ti parlo in nome di Dio.
Se tu volessi riflettere, comprenderesti che il male non può avere la meglio sul bene e che tu non puoi essere più forte di Dio e dei buoni Spiriti.
Essi avrebbero potuto preservare X... da qualsiasi assalto da parte tua. Se non l'hanno fatto, vuol dire che egli doveva subire una prova. Ma quando questa prova sarà finita, Dio e i buoni Spiriti ti priveranno di qualsiasi influenza su di lui. Il male che gli avrai fatto, anziché nuocergli, sarà servito al suo avanzamento, ed egli ne sarà più felice. Così la tua malvagità sarà stata una pura perdita per te e ti si ritorcerà contro.
Dio, che è onnipotente, e gli Spiriti superiori Suoi delegati, che sono più potenti di te, potranno dunque mettere termine a questa ossessione quando lo vorranno, e la tua tenacia si sbriciolerà di fronte a questa autorità superiore. Ma, per il fatto che Dio è buono vuole perfino lasciare il merito di distruggere questa tua malvagità alla tua stessa volontà. È una concessione quella che Egli ti accorda; se non ne approfitti, ne subirai spiacevoli conseguenze. Grandi castighi e crudeli sofferenze ti attendono. Sarai obbligato a implorare la pietà e le preghiere delle tue vittime, che già ti perdonano e pregano per te — cosa che è un grande merito agli occhi di Dio — e affretterà la loro liberazione.
Rifletti dunque finché hai ancora tempo, perché la giustizia di Dio peserà su di te come su tutti gli Spiriti ribelli. Pensa che il male che fai in questo momento avrà forzatamente un termine, mentre, se tu insisti nella tua crudeltà, le tue sofferenze aumenteranno senza fine.
Quando tu eri sulla Terra, non trovavi sciocco sacrificare un grande bene per una piccola soddisfazione del momento? Lo stesso avviene ora che sei Spirito. Che te ne viene da ciò che fai? Il triste piacere di tormentare qualcuno non ti impedisce di essere infelice, qualunque cosa tu possa dirne, e ti renderà più infelice ancora.
A confronto di ciò, guarda che cosa perdi. Guarda i buoni Spiriti che ti circondano e osserva se la loro sorte non è preferibile alla tua. La felicità di cui essi godono sarà con te condivisa quando lo vorrai. Che cosa ci vuole per questo? Implora Dio e fa il bene invece del male. So che non puoi cambiare tutto d'un colpo, ma Dio non domanda l'impossibile. Ciò che Egli vuole è la buona volontà. Prova dunque, e noi ti aiuteremo. Fa che presto noi possiamo dire per te la preghiera per gli Spiriti pentiti (n. 73), e non annoverarti più fra gli Spiriti cattivi, in attesa che tu possa essere annoverato fra quelli buoni (vedere anche n. 75, "La preghiera per gli Spiriti insensibili").
Osservazione — La cura delle ossessioni gravi richiede grande pazienza, perseveranza e dedizione. Essa esige anche tatto e abilità, per portare al bene Spiriti sovente molto perversi, induriti e astuti, dal momento che ci sono Spiriti ribelli all'ultimo stadio. Nella maggior parte dei casi, bisogna orientarsi secondo le circostanze. Ma, qualunque sia il carattere dello Spirito, un fatto è certo: non si ottiene niente con le costrizioni e le minacce; tutta l'influenza sta nell'autorevolezza morale. Un'altra verità, confermata sia dall'esperienza sia dalla logica, è la completa inefficacia di esorcismi, formule, parole sacramentali, amuleti, talismani, pratiche esteriori o segni materiali di qualunque tipo.
L'ossessione molto prolungata può dar luogo a disordini patologici e richiede a volte un trattamento simultaneo o consecutivo sia magnetico, sia medico, per riequilibrare l'organismo. Eliminata la causa, rimangono da combattere gli effetti (vedere Il libro dei Medium, cap. XXIII, "Dell'ossessione". Si veda anche Rivista Spiritista, febbraio e marzo 1864, aprile 1865: "Exemples de cures d'obsessions")