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Capitolo III - IL BENE E IL MALE
Origine del bene e del male
1. Essendo Dio il principio
di tutte le cose ed essendo questo principio ogni saggezza, ogni bontà,
ogni giustizia, tutto ciò che proviene da Lui deve partecipare dei Suoi
attributi, perché quanto è infinitamente saggio, giusto e buono non può
produrre nulla di irragionevole, di malvagio e di ingiusto. Il male che
osserviamo non può dunque avere la sua origine in Lui.
2. Se il male fosse nelle
attribuzioni di un essere speciale, che si chiamasse Arimane o Satana,
delle due l'una: o questo essere sarebbe uguale a Dio e, di conseguenza,
potente come Lui ed eterno come Lui oppure Gli sarebbe inferiore.
Nel primo caso ci sarebbero due potenze rivali, che lottano senza tregua, cercando ciascuna di disfare ciò che fa l'altra, e che si osteggiano vicendevolmente. Questa ipotesi è inconciliabile con l'unità di vedute che si rivela nell'ordinamento dell'universo.
Nel secondo caso, essendo questo essere inferiore a Dio, sarebbe a Lui subordinato. Non potendo esistere da tutta l'eternità, come Dio, senza essere Suo uguale, avrebbe dovuto avere un inizio. Se è stato creato, non può esserlo stato che da Dio; Dio avrebbe così creato lo Spirito del male, la qual cosa sarebbe la negazione della bontà infinita (vedere Il Cielo e l'Inferno, cap. IX, "I demoni").
Nel primo caso ci sarebbero due potenze rivali, che lottano senza tregua, cercando ciascuna di disfare ciò che fa l'altra, e che si osteggiano vicendevolmente. Questa ipotesi è inconciliabile con l'unità di vedute che si rivela nell'ordinamento dell'universo.
Nel secondo caso, essendo questo essere inferiore a Dio, sarebbe a Lui subordinato. Non potendo esistere da tutta l'eternità, come Dio, senza essere Suo uguale, avrebbe dovuto avere un inizio. Se è stato creato, non può esserlo stato che da Dio; Dio avrebbe così creato lo Spirito del male, la qual cosa sarebbe la negazione della bontà infinita (vedere Il Cielo e l'Inferno, cap. IX, "I demoni").
3. Tuttavia il male esiste e ha una causa.
I mali di ogni specie, fisici o morali, che affliggono l'umanità, formano due categorie che è importante distinguere: vi sono i mali che l'uomo può evitare e quelli che non dipendono dalla sua volontà. Fra questi ultimi, bisogna collocare i flagelli naturali.
L'uomo, le cui facoltà sono limitate, non può penetrare né abbracciare l'insieme dei disegni del Creatore. L'uomo giudica le cose dal punto di vista della sua personalità, dagli interessi fittizi e convenzionali che si è creato, e che non sono compresi nell'ordine naturale delle cose. È per questo che spesso egli trova cattivo e ingiusto ciò che troverebbe giusto e ammirevole se ne vedesse la causa, lo scopo e il risultato finale. Cercando la ragion d'essere e l'utilità di ciascuna cosa, verificherebbe che tutto porta l'impronta della saggezza infinita, e s'inchinerebbe davanti a questa saggezza, anche riguardo alle cose che non comprende.
I mali di ogni specie, fisici o morali, che affliggono l'umanità, formano due categorie che è importante distinguere: vi sono i mali che l'uomo può evitare e quelli che non dipendono dalla sua volontà. Fra questi ultimi, bisogna collocare i flagelli naturali.
L'uomo, le cui facoltà sono limitate, non può penetrare né abbracciare l'insieme dei disegni del Creatore. L'uomo giudica le cose dal punto di vista della sua personalità, dagli interessi fittizi e convenzionali che si è creato, e che non sono compresi nell'ordine naturale delle cose. È per questo che spesso egli trova cattivo e ingiusto ciò che troverebbe giusto e ammirevole se ne vedesse la causa, lo scopo e il risultato finale. Cercando la ragion d'essere e l'utilità di ciascuna cosa, verificherebbe che tutto porta l'impronta della saggezza infinita, e s'inchinerebbe davanti a questa saggezza, anche riguardo alle cose che non comprende.
4. L'uomo ha ricevuto in
sorte una intelligenza, mediante la quale egli può scongiurare del
tutto, o almeno grandemente attenuare, gli effetti di tutti i flagelli
naturali; più acquisisce conoscenza, più avanza in civilizzazione, e
meno questi flagelli saranno disastrosi. Con una organizzazione sociale
saggiamente previdente, egli potrà anche neutralizzarne le conseguenze,
allorché essi non potranno essere interamente evitati. Così, per quegli
stessi flagelli che hanno una loro utilità nell'ordine generale della
natura, e anche per il futuro, ma che colpiscono nel presente, Dio ha
dato all'uomo, attraverso le facoltà di cui ha dotato il suo Spirito, i
mezzi per paralizzarne gli effetti.
È così che l'uomo risana le terre insalubri, che neutralizza i miasmi pestiferi, che fertilizza le terre incolte e s'ingegna a preservarle dalle inondazioni. È così che si costruisce delle abitazioni più sane e più solide, che resistano ai venti, tanto necessari alla purificazione dell'atmosfera, mettendosi in tal modo al riparo dalle intemperie. È così, infine, che a poco a poco, la necessità lo ha indotto a creare le scienze, con il cui aiuto egli migliora l'abitabilità del globo e accresce il proprio benessere.
È così che l'uomo risana le terre insalubri, che neutralizza i miasmi pestiferi, che fertilizza le terre incolte e s'ingegna a preservarle dalle inondazioni. È così che si costruisce delle abitazioni più sane e più solide, che resistano ai venti, tanto necessari alla purificazione dell'atmosfera, mettendosi in tal modo al riparo dalle intemperie. È così, infine, che a poco a poco, la necessità lo ha indotto a creare le scienze, con il cui aiuto egli migliora l'abitabilità del globo e accresce il proprio benessere.
5. Dovendo l'uomo
progredire, i mali ai quali è esposto fungono da stimolo all'esercizio
sia della sua intelligenza, sia di tutte le altre sue facoltà fisiche e
morali, incitandolo alla ricerca dei mezzi atti a sottrarsi a tali mali.
Se non avesse niente da temere, nessuna necessità lo indurrebbe alla
ricerca del meglio; il suo spirito si intorpidirebbe nella inattività;
non inventerebbe niente e niente scoprirebbe. Il dolore è il pungolo che spinge l'uomo avanti, sulla via, del progresso.
6. Ma i mali più numerosi
sono quelli che l'uomo si crea con i suoi stessi vizi, quelli che
provengono dal suo orgoglio, dal suo egoismo, dalla sua ambizione, dalla
sua cupidigia, dai suoi eccessi in tutte le cose: qui sta la causa
delle guerre e delle calamità che esse si trascinano, dei dissensi,
delle ingiustizie, dell'oppressione del debole da parte del più forte;
qui sta, infine, la causa della maggior parte delle malattie.
Dio ha stabilito leggi piene di saggezza, che non hanno altro scopo che il bene. L'uomo trova in sé stesso tutto ciò che gli occorre per seguirle; la sua strada è tracciata nella sua coscienza; la legge divina è scolpita nel suo cuore. Inoltre Dio gliela ricorda di continuo attraverso i suoi messia e i suoi profeti, attraverso tutti gli Spiriti incarnati che hanno ricevuto la missione di illuminarlo, di moralizzarlo, di migliorarlo, e, in questi ultimi tempi, attraverso la moltitudine di Spiriti disincarnati che si manifestano da tutte le parti. Se l'uomo si conformasse rigorosamente alle leggi divine, senza dubbio eviterebbe i mali più intensi e vivrebbe felice sulla Terra. Se non lo fa, ciò è a causa del suo libero arbitrio, e ne subisce le conseguenze (Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V, nn. 4-6 e ss.).
Dio ha stabilito leggi piene di saggezza, che non hanno altro scopo che il bene. L'uomo trova in sé stesso tutto ciò che gli occorre per seguirle; la sua strada è tracciata nella sua coscienza; la legge divina è scolpita nel suo cuore. Inoltre Dio gliela ricorda di continuo attraverso i suoi messia e i suoi profeti, attraverso tutti gli Spiriti incarnati che hanno ricevuto la missione di illuminarlo, di moralizzarlo, di migliorarlo, e, in questi ultimi tempi, attraverso la moltitudine di Spiriti disincarnati che si manifestano da tutte le parti. Se l'uomo si conformasse rigorosamente alle leggi divine, senza dubbio eviterebbe i mali più intensi e vivrebbe felice sulla Terra. Se non lo fa, ciò è a causa del suo libero arbitrio, e ne subisce le conseguenze (Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V, nn. 4-6 e ss.).
7. Ma Dio, pieno di bontà,
ha collocato il rimedio a fianco del male, vale a dire che dal male
stesso Egli fa nascere il bene. Arriva il momento in cui l'eccesso del
male morale diviene intollerabile e Dio fa provare all'uomo il bisogno
di cambiare strada. Questi, istruito dall'esperienza, è spinto a cercare
un rimedio nel bene, sempre per effetto del suo libero arbitrio.
Allorché imbocca una strada migliore, ciò accade in effetti di sua
volontà, perché ha riconosciuto gli inconvenienti dell'altro cammino. La
necessità lo costringe dunque a migliorarsi moralmente per essere più
felice, come questa stessa necessità l'ha costretto a migliorare le
condizioni materiali della sua esistenza (n. 5).
8. Si può dire che il male è l'assenza del bene, come il freddo è l'assenzadel
calore. Così, come il freddo non è un fluido speciale, neppure il male è
un attributo distinto; l'uno è il negativo dell'altro. Là, dove non esiste il bene, esiste per forza di cose il male; non fare il male è già l'inizio del bene. Dio
non vuole che il bene; solo dall'uomo viene il male. Se, nella
creazione, ci fosse un essere preposto al male, nessuno potrebbe
evitarlo; ma, avendo l'uomo la causa del male in SÉ STESSO, avendo nello stesso tempo il suo libero arbitrio e, come guida, le leggi divine, egli potrà evitarlo quando vorrà.
Prendiamo, come esempio, un fatto comune. Il proprietario di un campo sa che al confine delle sue terre c'è un luogo pericoloso, dove chi vi si avventurasse potrebbe morire o ferirsi. Che cosa fa questi per prevenire gli incidenti? Colloca vicino al luogo un avviso che fa divieto di andare oltre, a causa di un pericolo. Ecco la legge: essa è saggia e previdente. Se, malgrado ciò, un imprudente non ne tiene conto, passa oltre e ne esce malconcio con chi può lamentarsene se non con sé stesso?
Altrettanto accade di tutto il male; l'uomo lo eviterà se osserverà le leggi divine. Per esempio, Dio ha posto un limite alla soddisfazione dei bisogni: l'uomo ne è avvertito dalla sazietà; se oltrepassa questo limite, lo fa di sua volontà. Le malattie, le infermità e la morte, che possono esserne la conseguenza, provengono dunque dalla imprevidenza dell'uomo e non da Dio.
Prendiamo, come esempio, un fatto comune. Il proprietario di un campo sa che al confine delle sue terre c'è un luogo pericoloso, dove chi vi si avventurasse potrebbe morire o ferirsi. Che cosa fa questi per prevenire gli incidenti? Colloca vicino al luogo un avviso che fa divieto di andare oltre, a causa di un pericolo. Ecco la legge: essa è saggia e previdente. Se, malgrado ciò, un imprudente non ne tiene conto, passa oltre e ne esce malconcio con chi può lamentarsene se non con sé stesso?
Altrettanto accade di tutto il male; l'uomo lo eviterà se osserverà le leggi divine. Per esempio, Dio ha posto un limite alla soddisfazione dei bisogni: l'uomo ne è avvertito dalla sazietà; se oltrepassa questo limite, lo fa di sua volontà. Le malattie, le infermità e la morte, che possono esserne la conseguenza, provengono dunque dalla imprevidenza dell'uomo e non da Dio.
9. Essendo il male il
risultato delle imperfezioni dell'uomo, ed essendo stato l'uomo creato
da Dio, Dio — si dirà — ha pur creato, se non il male, almeno la causa
del male. Se Egli avesse creato l'uomo perfetto, il male non
esisterebbe.
Se l'uomo fosse stato creato perfetto, egli sarebbe fatalmente portato al bene. Ora, in virtù del suo libero arbitrio, egli non è fatalmente portato né al bene né al male. Dio ha voluto ch'egli fosse soggetto alla legge del progresso, e che questo progresso fosse il frutto del suo stesso lavoro, affinché ne avesse lui il merito, allo stesso modo ch'egli ha la responsabilità del male che commette di sua volontà. Il problema è, dunque, quello di sapere qual è, nell'uomo, l'origine della sua propensione al male. [10]
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[10] L'errore consiste nel pretendere che l'anima sia uscita perfetta dalle mani del Creatore, quando Egli, al contrario, ha voluto che la perfezione fosse il risultato della graduale purificazione dello Spirito e sua stessa opera. Dio ha voluto che l'anima, in virtù del suo libero arbitrio, potesse scegliere tra il bene e il male, e che arrivasse ai suoi ultimi fini attraverso una vita partecipativa e resistendo al male. Se Egli l'avesse fatta perfetta come Lui, e se, uscita dalle Sue mani, l'avesse associata alla Sua beatitudine eterna, Egli l'avrebbe fatta non a Sua immagine, ma simile a Sé stesso [Bonnamy, giudice istruttore: La raison du Spiritisme (La ragione dello Spiritismo), cap. VI].
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Se l'uomo fosse stato creato perfetto, egli sarebbe fatalmente portato al bene. Ora, in virtù del suo libero arbitrio, egli non è fatalmente portato né al bene né al male. Dio ha voluto ch'egli fosse soggetto alla legge del progresso, e che questo progresso fosse il frutto del suo stesso lavoro, affinché ne avesse lui il merito, allo stesso modo ch'egli ha la responsabilità del male che commette di sua volontà. Il problema è, dunque, quello di sapere qual è, nell'uomo, l'origine della sua propensione al male. [10]
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[10] L'errore consiste nel pretendere che l'anima sia uscita perfetta dalle mani del Creatore, quando Egli, al contrario, ha voluto che la perfezione fosse il risultato della graduale purificazione dello Spirito e sua stessa opera. Dio ha voluto che l'anima, in virtù del suo libero arbitrio, potesse scegliere tra il bene e il male, e che arrivasse ai suoi ultimi fini attraverso una vita partecipativa e resistendo al male. Se Egli l'avesse fatta perfetta come Lui, e se, uscita dalle Sue mani, l'avesse associata alla Sua beatitudine eterna, Egli l'avrebbe fatta non a Sua immagine, ma simile a Sé stesso [Bonnamy, giudice istruttore: La raison du Spiritisme (La ragione dello Spiritismo), cap. VI].
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10.
Se si studiano tutte le passioni e anche tutti i vizi, si vede che essi
hanno la loro origine nell'istinto di conservazione. Questo istinto si
trova, in tutta la sua forza, negli animali e negli esseri primitivi che
più si avvicinano all'animalità. E vi domina in modo esclusivo, perché
in loro esso non ha ancora come contrappeso il senso morale; l'essere
non è ancora nato alla vita intellettuale. L'istinto si affievolisce, al
contrario, nella misura in cui l'intelligenza si sviluppa, perché è
questa che domina la materia.
La destinazione dello Spirito è la vita spirituale; ma nelle prime fasi della sua esistenza corporale, esso non ha che dei bisogni materiali da soddisfare, e a questo scopo l'esercizio delle passioni è una necessità per la conservazione della specie e degli individui, materialmente parlando. Ma, uscito da questo periodo, lo Spirito ha altri bisogni, bisogni dapprima semi morali e semi materiali, poi esclusivamente morali. Ed è allora che lo Spirito domina la materia; se si libera dal suo giogo, esso avanza sulla sua via provvidenziale e si avvicina alla sua destinazione finale. Se, al contrario, si lascia dominare da essa, rallenta, rendendosi simile al bruto. In questa situazione, ciò che un tempo era un bene, perché era una necessità di per sé stessa naturale, diventa un male, non solo perché ciò non è più una necessità, ma perché diventa nocivo alla spiritualizzazione dell'essere. Così, ciò che è qualità nel bambino diventa difetto nell'adulto. Il male è dunque relativo, e la responsabilità è proporzionale al grado di avanzamento.
Tutte le passioni hanno dunque la loro utilità provvidenziale. Senza ciò, Dio avrebbe fatto qualcosa di inutile e di nocivo. È nell'abuso che risiede il male, e l'uomo può abusare in virtù del suo libero arbitrio. Più tardi, illuminato dal suo stesso interesse, egli sceglie liberamente tra il bene e il male.
La destinazione dello Spirito è la vita spirituale; ma nelle prime fasi della sua esistenza corporale, esso non ha che dei bisogni materiali da soddisfare, e a questo scopo l'esercizio delle passioni è una necessità per la conservazione della specie e degli individui, materialmente parlando. Ma, uscito da questo periodo, lo Spirito ha altri bisogni, bisogni dapprima semi morali e semi materiali, poi esclusivamente morali. Ed è allora che lo Spirito domina la materia; se si libera dal suo giogo, esso avanza sulla sua via provvidenziale e si avvicina alla sua destinazione finale. Se, al contrario, si lascia dominare da essa, rallenta, rendendosi simile al bruto. In questa situazione, ciò che un tempo era un bene, perché era una necessità di per sé stessa naturale, diventa un male, non solo perché ciò non è più una necessità, ma perché diventa nocivo alla spiritualizzazione dell'essere. Così, ciò che è qualità nel bambino diventa difetto nell'adulto. Il male è dunque relativo, e la responsabilità è proporzionale al grado di avanzamento.
Tutte le passioni hanno dunque la loro utilità provvidenziale. Senza ciò, Dio avrebbe fatto qualcosa di inutile e di nocivo. È nell'abuso che risiede il male, e l'uomo può abusare in virtù del suo libero arbitrio. Più tardi, illuminato dal suo stesso interesse, egli sceglie liberamente tra il bene e il male.
L'istinto e l'intelligenza
11. Quale differenza c'è tra
l'istinto e l'intelligenza? Dove finisce l'uno e dove incomincia
l'altra? L'istinto è un'intelligenza rudimentale, oppure una facoltà
distinta, un attributo esclusivo della materia?
L'istinto è la forza occulta che sollecita gli esseri organici a degli atti spontanei e involontari, in vista della loro conservazione. Negli atti istintivi, non c'è né riflessione né combinazione né premeditazione. È così che la pianta cerca l'aria, si volge verso la luce, dirige le sue radici verso l'acqua e verso la terra che la nutre; è così che il fiore si apre e si chiude alternativamente secondo il bisogno; che le piante rampicanti si avvolgono attorno al sostegno e vi si aggrappano con i loro viticci. È per istinto che gli animali avvertono ciò che è loro utile da ciò che è nocivo; che si dirigono, secondo le stagioni, verso i climi a essi più propizi; che costruiscono, senza previ insegnamenti, con più o meno arte, a seconda delle specie, morbidi giacigli, ripari per la loro prole, arnesi per prendere in trappola la preda di cui si nutrono; che usano con destrezza le armi offensive e difensive di cui sono provvisti. È per istinto, infine, che i sessi si uniscono; che la madre cova i suoi piccoli e che questi cercano il seno della madre. Nell'uomo, l'istinto domina esclusivamente all'inizio della vita. È per istinto che il bambino compie i suoi primi movimenti, prende il suo nutrimento, grida per esprimere le sue necessità, imita il suono della voce, prova a parlare e a camminare. Nell'adulto stesso, certi atti sono istintivi; tali sono i movimenti spontanei per sottrarsi a un pericolo, per evitare un rischio, per mantenere l'equilibrio. Istintivi sono anche: lo sbattere delle palpebre per mitigare il bagliore della luce, l'aprirsi meccanico della bocca per respirare ecc.
L'istinto è la forza occulta che sollecita gli esseri organici a degli atti spontanei e involontari, in vista della loro conservazione. Negli atti istintivi, non c'è né riflessione né combinazione né premeditazione. È così che la pianta cerca l'aria, si volge verso la luce, dirige le sue radici verso l'acqua e verso la terra che la nutre; è così che il fiore si apre e si chiude alternativamente secondo il bisogno; che le piante rampicanti si avvolgono attorno al sostegno e vi si aggrappano con i loro viticci. È per istinto che gli animali avvertono ciò che è loro utile da ciò che è nocivo; che si dirigono, secondo le stagioni, verso i climi a essi più propizi; che costruiscono, senza previ insegnamenti, con più o meno arte, a seconda delle specie, morbidi giacigli, ripari per la loro prole, arnesi per prendere in trappola la preda di cui si nutrono; che usano con destrezza le armi offensive e difensive di cui sono provvisti. È per istinto, infine, che i sessi si uniscono; che la madre cova i suoi piccoli e che questi cercano il seno della madre. Nell'uomo, l'istinto domina esclusivamente all'inizio della vita. È per istinto che il bambino compie i suoi primi movimenti, prende il suo nutrimento, grida per esprimere le sue necessità, imita il suono della voce, prova a parlare e a camminare. Nell'adulto stesso, certi atti sono istintivi; tali sono i movimenti spontanei per sottrarsi a un pericolo, per evitare un rischio, per mantenere l'equilibrio. Istintivi sono anche: lo sbattere delle palpebre per mitigare il bagliore della luce, l'aprirsi meccanico della bocca per respirare ecc.
12. L'intelligenza si rivela attraverso degli atti volontari, ragionati, meditati, combinati a seconda dell'opportunità delle circostanze. È incontestabilmente un attributo esclusivo dell'anima.
Ogni atto meccanico è istintivo. Quello che denota riflessione, combinazione, deliberazione è un atto intelligente. L'uno è libero, l'altro non lo è.
L'istinto è una guida sicura che non s'inganna mai; l'intelligenza, per il solo fatto di essere libera, è talvolta soggetta a errori.
Se l'atto istintivo non ha il carattere dell'atto intelligente, esso nondimeno rivela una causa intelligente, essenzialmente atta a prevedere. Se si ammette che l'istinto ha la sua origine nella materia, bisogna ammettere che la materia è intelligente, anzi sicuramente più intelligente e previdente dell'anima, poiché l'istinto non s'inganna mai, mentre l'intelligenza s'inganna.
Se si considera l'istinto come un'intelligenza rudimentale, come si spiega il fatto che esso sia, in certi casi, superiore all'intelligenza raziocinante? Che esso dia la possibilità di eseguire cose che l'intelligenza non può realizzare?
Se esso è l'attributo d'uno speciale principio spirituale, che cosa diviene questo principio? Poiché l'istinto si cancella, accadrà che questo principio si distrugga? Se gli animali non sono dotati che dell'istinto, il loro avvenire è senza via d'uscita, e le loro sofferenze non hanno ricompensa. Questo non sarebbe conforme né alla giustizia né alla bontà di Dio (cap. II, n. 19).
Ogni atto meccanico è istintivo. Quello che denota riflessione, combinazione, deliberazione è un atto intelligente. L'uno è libero, l'altro non lo è.
L'istinto è una guida sicura che non s'inganna mai; l'intelligenza, per il solo fatto di essere libera, è talvolta soggetta a errori.
Se l'atto istintivo non ha il carattere dell'atto intelligente, esso nondimeno rivela una causa intelligente, essenzialmente atta a prevedere. Se si ammette che l'istinto ha la sua origine nella materia, bisogna ammettere che la materia è intelligente, anzi sicuramente più intelligente e previdente dell'anima, poiché l'istinto non s'inganna mai, mentre l'intelligenza s'inganna.
Se si considera l'istinto come un'intelligenza rudimentale, come si spiega il fatto che esso sia, in certi casi, superiore all'intelligenza raziocinante? Che esso dia la possibilità di eseguire cose che l'intelligenza non può realizzare?
Se esso è l'attributo d'uno speciale principio spirituale, che cosa diviene questo principio? Poiché l'istinto si cancella, accadrà che questo principio si distrugga? Se gli animali non sono dotati che dell'istinto, il loro avvenire è senza via d'uscita, e le loro sofferenze non hanno ricompensa. Questo non sarebbe conforme né alla giustizia né alla bontà di Dio (cap. II, n. 19).
13. Secondo altri sistemi,
l'istinto e l'intelligenza avrebbero uno stesso e solo principio. Giunto
a un certo grado di sviluppo, questo principio, che dapprima non
avrebbe avuto che le qualità dell'istinto, subirebbe una trasformazione,
la quale gli donerebbe le qualità dell'intelligenza libera.
Se così fosse, nell'uomo intelligente che perde la ragione e che è guidato solo dall'istinto, l'intelligenza ritornerebbe al suo stato primitivo; e quando egli recupera la ragione, l'istinto ritornerebbe intelligenza, e così alternativamente a ogni accesso, la qual cosa non è ammissibile.
D'altronde, l'intelligenza e l'istinto si mostrano spesso simultaneamente nel medesimo atto. Nel camminare, per esempio, il movimento delle gambe è istintivo; l'uomo mette un piede davanti all'altro macchinalmente, senza pensarci. Ma quando vuole accelerare o rallentare il passo, sollevare un piede o deviare, per evitare un ostacolo, allora v'è calcolo e combinazione: egli agisce con deliberato proposito. L'impulso involontario del movimento è l'atto istintivo; la direzione calcolata del movimento è l'atto intelligente. L'animale carnivoro è spinto dall'istinto a nutrirsi di carne; ma le precauzioni che prende e che varia, a seconda delle circostanze, per afferrare la preda, e la sua previsione dell'eventualità sono atti dell'intelligenza.
Se così fosse, nell'uomo intelligente che perde la ragione e che è guidato solo dall'istinto, l'intelligenza ritornerebbe al suo stato primitivo; e quando egli recupera la ragione, l'istinto ritornerebbe intelligenza, e così alternativamente a ogni accesso, la qual cosa non è ammissibile.
D'altronde, l'intelligenza e l'istinto si mostrano spesso simultaneamente nel medesimo atto. Nel camminare, per esempio, il movimento delle gambe è istintivo; l'uomo mette un piede davanti all'altro macchinalmente, senza pensarci. Ma quando vuole accelerare o rallentare il passo, sollevare un piede o deviare, per evitare un ostacolo, allora v'è calcolo e combinazione: egli agisce con deliberato proposito. L'impulso involontario del movimento è l'atto istintivo; la direzione calcolata del movimento è l'atto intelligente. L'animale carnivoro è spinto dall'istinto a nutrirsi di carne; ma le precauzioni che prende e che varia, a seconda delle circostanze, per afferrare la preda, e la sua previsione dell'eventualità sono atti dell'intelligenza.
14. Un'altra ipotesi, che
del resto si lega perfettamente all'idea dell'unità di principio, nasce
dal carattere essenzialmente preveggente dell'istinto, e concorda con
quanto lo Spiritismo ci insegna, affrontando i rapporti che intercorrono
tra mondo spirituale e mondo corporale.
Sappiamo, adesso, che Spiriti disincarnati hanno per missione di vegliare sugli incarnati, di cui sono i protettori e le guide. Sappiamo, adesso, che li circondano dei loro effluvi fluidici, e che l'uomo agisce spesso in modo inconscio, sotto l'azione di questi effluvi.
Sappiamo, inoltre, che l'istinto, il quale produce lui stesso degli atti inconsci, predomina sui bambini e, in generale, sugli essere la cui ragione è debole. Orbene, secondo questa ipotesi l'istinto non sarebbe un attributo né dell'anima né della materia; non apparterrebbe propriamente all'essere vivente, ma sarebbe un effetto dell'azione diretta dei protettori invisibili, i quali supplirebbero all'imperfezione dell'intelligenza, provocando essi stessi gli atti inconsci necessari alla conservazione dell'essere. Ciò assomiglierebbe un po' all'uso delle briglie per bambini, per sostenerli quando ancora non sanno camminare. Ma, allo stesso modo con cui gradualmente si elimina l'uso delle briglie, via via che il bambino si sostiene da solo, così gli Spiriti protettori lasciano a sé stessi i loro protetti nella misura in cui questi sono in grado di lasciarsi guidare dalla loro stessa intelligenza.
Così l'istinto, lungi dall'essere il prodotto di una intelligenza rudimentale e incompleta, lo sarebbe di una intelligenza estranea nel pieno della sua forza. Si tratterebbe, cioè, di un'intelligenza protettrice, suppletiva dell'insufficienza, sia di una intelligenza più giovane — che essa spingerebbe a fare inconsciamente, per il suo stesso bene, ciò che è ancora incapace di fare da sola —, sia di una intelligenza matura, ma momentaneamente ostacolata nell'uso delle sue facoltà, come accade nell'uomo durante l'infanzia e nei casi di idiozia e di affezioni mentali.
Proverbialmente si dice che c'è un dio per i bambini, per i folli e per gli ubriachi. Tale detto è più vero di quanto non si creda; questo dio altri non è che lo Spirito protettore che veglia sull'essere incapace di proteggersi con la sua stessa ragione.
Sappiamo, adesso, che Spiriti disincarnati hanno per missione di vegliare sugli incarnati, di cui sono i protettori e le guide. Sappiamo, adesso, che li circondano dei loro effluvi fluidici, e che l'uomo agisce spesso in modo inconscio, sotto l'azione di questi effluvi.
Sappiamo, inoltre, che l'istinto, il quale produce lui stesso degli atti inconsci, predomina sui bambini e, in generale, sugli essere la cui ragione è debole. Orbene, secondo questa ipotesi l'istinto non sarebbe un attributo né dell'anima né della materia; non apparterrebbe propriamente all'essere vivente, ma sarebbe un effetto dell'azione diretta dei protettori invisibili, i quali supplirebbero all'imperfezione dell'intelligenza, provocando essi stessi gli atti inconsci necessari alla conservazione dell'essere. Ciò assomiglierebbe un po' all'uso delle briglie per bambini, per sostenerli quando ancora non sanno camminare. Ma, allo stesso modo con cui gradualmente si elimina l'uso delle briglie, via via che il bambino si sostiene da solo, così gli Spiriti protettori lasciano a sé stessi i loro protetti nella misura in cui questi sono in grado di lasciarsi guidare dalla loro stessa intelligenza.
Così l'istinto, lungi dall'essere il prodotto di una intelligenza rudimentale e incompleta, lo sarebbe di una intelligenza estranea nel pieno della sua forza. Si tratterebbe, cioè, di un'intelligenza protettrice, suppletiva dell'insufficienza, sia di una intelligenza più giovane — che essa spingerebbe a fare inconsciamente, per il suo stesso bene, ciò che è ancora incapace di fare da sola —, sia di una intelligenza matura, ma momentaneamente ostacolata nell'uso delle sue facoltà, come accade nell'uomo durante l'infanzia e nei casi di idiozia e di affezioni mentali.
Proverbialmente si dice che c'è un dio per i bambini, per i folli e per gli ubriachi. Tale detto è più vero di quanto non si creda; questo dio altri non è che lo Spirito protettore che veglia sull'essere incapace di proteggersi con la sua stessa ragione.
15. In quest'ordine di idee
si può andare anche più lontano. Ma questa teoria, per quanto razionale
possa essere, non risolve tutte le difficoltà della questione.
Se si osservano gli effetti dell'istinto, si nota innanzi tutto una unità di vedute e d'insieme, una sicurezza di risultati che non esistono più appena l'istinto è sostituito dall'intelligenza libera. Inoltre, all'adeguamento così perfetto e così costante delle facoltà istintive ai bisogni di ciascuna specie, si riconosce una profonda saggezza. Questa unità di vedute non potrebbe esistere senza l'unità di pensiero, e l'unità di pensiero è incompatibile con la diversità delle attitudini individuali. Essa soltanto poteva produrre questo insieme così perfettamente armonioso che persiste fin dall'origine dei tempi e in tutti i climi, con regolarità e precisione matematiche, senza mai venir meno. L'uniformità nel risultato delle facoltà istintive è un fatto caratteristico, che per forza di cose implica l'unità della causa. Se questa causa fosse inerente a ogni individualità, ci sarebbero tante varietà di istinti quanti sono gli individui, dalla pianta fino all'uomo. Un effetto generale, uniforme e constante deve avere una causa generale, uniforme e costante; un effetto che attesti saggezza e preveggenza deve avere una causa saggia e preveggente. Pertanto, una causa saggia e preveggente essendo necessariamente intelligente, non può essere esclusivamente materiale.
Non trovando nelle creature, incarnate o disincarnate, le qualità necessarie per produrre un tale risultato, è necessario risalire più in alto, vale a dire al Creatore stesso. Se ci si riporta alla spiegazione che è stata data circa il modo in cui si può concepire l'azione provvidenziale (cap. II, n. 24), se ci si figurano tutti gli esseri pervasi dal fluido divino, sovranamente intelligente, si comprenderà la saggezza preveggente e l'unità di vedute che presiedono a tutti i movimenti istintivi, per il bene di ciascun individuo. Questa sollecitudine è tanto più attiva, quanto meno risorse l'individuo ha in sé e nella sua stessa intelligenza. È per questo che essa, negli animali e negli esseri inferiori, si mostra più grande e più assoluta che nell'uomo.
Secondo questa teoria, si comprende come l'istinto sia una guida sempre sicura. L'istinto materno, il più nobile di tutti, che il materialismo abbassa al livello delle forze attrattive della materia, si ritrova considerato e nobilitato. In ragione delle sue conseguenze, bisognava ch'esso non fosse abbandonato alle eventualità capricciose dell'intelligenza e del libero arbitrio. Attraverso la madre, Dio stesso veglia sulle Sue creature nascenti.
Se si osservano gli effetti dell'istinto, si nota innanzi tutto una unità di vedute e d'insieme, una sicurezza di risultati che non esistono più appena l'istinto è sostituito dall'intelligenza libera. Inoltre, all'adeguamento così perfetto e così costante delle facoltà istintive ai bisogni di ciascuna specie, si riconosce una profonda saggezza. Questa unità di vedute non potrebbe esistere senza l'unità di pensiero, e l'unità di pensiero è incompatibile con la diversità delle attitudini individuali. Essa soltanto poteva produrre questo insieme così perfettamente armonioso che persiste fin dall'origine dei tempi e in tutti i climi, con regolarità e precisione matematiche, senza mai venir meno. L'uniformità nel risultato delle facoltà istintive è un fatto caratteristico, che per forza di cose implica l'unità della causa. Se questa causa fosse inerente a ogni individualità, ci sarebbero tante varietà di istinti quanti sono gli individui, dalla pianta fino all'uomo. Un effetto generale, uniforme e constante deve avere una causa generale, uniforme e costante; un effetto che attesti saggezza e preveggenza deve avere una causa saggia e preveggente. Pertanto, una causa saggia e preveggente essendo necessariamente intelligente, non può essere esclusivamente materiale.
Non trovando nelle creature, incarnate o disincarnate, le qualità necessarie per produrre un tale risultato, è necessario risalire più in alto, vale a dire al Creatore stesso. Se ci si riporta alla spiegazione che è stata data circa il modo in cui si può concepire l'azione provvidenziale (cap. II, n. 24), se ci si figurano tutti gli esseri pervasi dal fluido divino, sovranamente intelligente, si comprenderà la saggezza preveggente e l'unità di vedute che presiedono a tutti i movimenti istintivi, per il bene di ciascun individuo. Questa sollecitudine è tanto più attiva, quanto meno risorse l'individuo ha in sé e nella sua stessa intelligenza. È per questo che essa, negli animali e negli esseri inferiori, si mostra più grande e più assoluta che nell'uomo.
Secondo questa teoria, si comprende come l'istinto sia una guida sempre sicura. L'istinto materno, il più nobile di tutti, che il materialismo abbassa al livello delle forze attrattive della materia, si ritrova considerato e nobilitato. In ragione delle sue conseguenze, bisognava ch'esso non fosse abbandonato alle eventualità capricciose dell'intelligenza e del libero arbitrio. Attraverso la madre, Dio stesso veglia sulle Sue creature nascenti.
16. Questa teoria non
annulla in nessun modo il ruolo degli Spiriti protettori, il cui
concorso è un fatto acquisito e provato dall'esperienza. Ma è da notare
che l'azione di questi è essenzialmente individuale, che essa si
modifica secondo le qualità proprie del protettore e del protetto e che
in nessuna parte essa ha l'uniformità e la generalità dell'istinto. Dio,
nella Sua saggezza, conduce Lui stesso i ciechi, ma affida a delle
intelligenze libere la cura di condurre i vedenti, per lasciare a
ciascuno la responsabilità delle sue azioni. La missione degli Spiriti
protettori è un dovere ch'essi accettano volontariamente e che per loro è
un mezzo d'avanzamento a seconda del modo in cui lo compiono.
17. Tutte queste maniere di
considerare l'istinto sono necessariamente ipotetiche, né alcuna di esse
ha un sufficiente carattere di autenticità per essere data come
soluzione definitiva. La questione sarà certamente risolta un giorno,
allorché si potranno riunire gli elementi di osservazione che ancora
mancano. Fino a quel giorno, bisogna limitarsi a sottoporre le diverse
opinioni al vaglio della ragione e della logica e attendere che luce sia
fatta. La soluzione che più si avvicina alla verità sarà
necessariamente quella che meglio corrisponde agli attributi di Dio,
vale a dire alla Sua sovrana bontà e alla Sua sovrana giustizia (cap.
II, n. 19).
18. Essendo l'istinto la
guida, ed essendo le passioni le molle dell'anima nel primo periodo del
suo sviluppo, queste e quello si confondono a volte nei loro effetti. Vi
sono tuttavia tra questi due principi delle differenze che è essenziale
considerare.
L'istinto è una guida sicura, sempre buona. In un determinato momento, esso può diventare inutile, ma mai nocivo. Esso, poi, si affievolisce per il predominare dell'intelligenza.
Le passioni, nelle prime età dell'anima, hanno questo in comune con l'istinto: gli esseri vi sono sollecitati con una forza egualmente inconscia. Le passioni nascono principalmente dalle necessità del corpo e dipendono, più che dall'istinto, dall'organismo. Ciò che soprattutto le distingue dall'istinto è il fatto che esse sono individuali e non producono, come quest'ultimo, degli effetti generali e uniformi. Variano, al contrario, di intensità e di natura a seconda degli individui. Esse sono utili, come stimolanti, fino allo sbocciare del senso morale, che di un essere passivo fa un essere raziocinante. Da questo momento esse diventano non più solamente inutili, ma nocive all'avanzamento dello Spirito, di cui ritardano la smaterializzazione. S'indeboliscono con lo sviluppo della ragione.
L'istinto è una guida sicura, sempre buona. In un determinato momento, esso può diventare inutile, ma mai nocivo. Esso, poi, si affievolisce per il predominare dell'intelligenza.
Le passioni, nelle prime età dell'anima, hanno questo in comune con l'istinto: gli esseri vi sono sollecitati con una forza egualmente inconscia. Le passioni nascono principalmente dalle necessità del corpo e dipendono, più che dall'istinto, dall'organismo. Ciò che soprattutto le distingue dall'istinto è il fatto che esse sono individuali e non producono, come quest'ultimo, degli effetti generali e uniformi. Variano, al contrario, di intensità e di natura a seconda degli individui. Esse sono utili, come stimolanti, fino allo sbocciare del senso morale, che di un essere passivo fa un essere raziocinante. Da questo momento esse diventano non più solamente inutili, ma nocive all'avanzamento dello Spirito, di cui ritardano la smaterializzazione. S'indeboliscono con lo sviluppo della ragione.
19.
L'uomo che agisse costantemente solo per istinto potrebbe anche essere
molto buono, ma lascerebbe dormire la sua intelligenza. Egli sarebbe
come il bambino cui non si togliessero le briglie e che non sapesse così
servirsi delle sue gambe. Colui che non domina le sue passioni può
essere molto intelligente, ma nello stesso tempo molto malvagio. L'istinto si annulla da sé, le passioni non si domano che con lo sforzo della volontà.
Distruzione degli esseri viventi, gli uni con gli altri
20. La distruzione reciproca
degli esseri viventi è una delle leggi della natura che, di primo
acchito, sembrano meno conciliarsi con la bontà di Dio. Ci si chiede
perché Egli abbia creato in loro la necessità di distruggersi
vicendevolmente, per nutrirsi gli uni a spese degli altri.
A colui che non vede che la materia, che limita la sua visione della vita a quella presente, questa sembrerebbe in effetti un'imperfezione nell'opera divina. Il fatto è che, in generale, gli uomini giudicano la perfezione di Dio dal loro punto di vista. E, misurandone la saggezza con il giudizio che di essa hanno, pensano che Dio non potrebbe fare meglio di quanto essi stessi farebbero. Non permettendo la loro corta vista di giudicare l'insieme, essi non comprendono che un bene reale può derivare da un male apparente. La conoscenza del principio spirituale, considerato nella sua vera essenza, e della grande legge di unità, che costituisce l'armonia della creazione, è la sola che possa dare all'uomo la chiave di questo mistero e mostrargli la saggezza provvidenziale e l'armonia, esattamente là dove egli non vedeva che un'anomalia e una contraddizione.
A colui che non vede che la materia, che limita la sua visione della vita a quella presente, questa sembrerebbe in effetti un'imperfezione nell'opera divina. Il fatto è che, in generale, gli uomini giudicano la perfezione di Dio dal loro punto di vista. E, misurandone la saggezza con il giudizio che di essa hanno, pensano che Dio non potrebbe fare meglio di quanto essi stessi farebbero. Non permettendo la loro corta vista di giudicare l'insieme, essi non comprendono che un bene reale può derivare da un male apparente. La conoscenza del principio spirituale, considerato nella sua vera essenza, e della grande legge di unità, che costituisce l'armonia della creazione, è la sola che possa dare all'uomo la chiave di questo mistero e mostrargli la saggezza provvidenziale e l'armonia, esattamente là dove egli non vedeva che un'anomalia e una contraddizione.
21. La
vera vita, dell'animale come dell'uomo, non sta nell'involucro corporeo
più di quanto non stia nell'abbigliamento. Essa risiede nel principio
intelligente che preesiste e sopravvive al corpo. Questo principio
ha bisogno del corpo per svilupparsi attraverso il lavoro che deve
compiere sulla materia bruta. Il corpo si logora in questo lavoro, ma lo
Spirito non si consuma affatto. Al contrario, esso ne esce ogni volta
più forte, più lucido e più capace. Che importa dunque che lo Spirito
cambi più o meno spesso involucro? Egli non è per questo meno Spirito. È
esattamente come se un uomo cambiasse cento volte l'anno il suo
abbigliamento; non cesserebbe, per questo, di essere sempre lo stesso
uomo.
Attraverso l'incessante spettacolo della distruzione, Dio insegna agli uomini la poca importanza ch'essi devono dare all'involucro materiale e suscita in loro l'idea della vita spirituale, facendogliela desiderare come un compenso.
Dio, si dirà, non poteva arrivare al medesimo risultato con altri mezzi, senza costringere gli esseri viventi a distruggersi tra loro? Se nella Sua opera tutto è saggezza, noi dobbiamo supporre che questa saggezza non deve mancare su questo punto più che sugli altri; se non comprendiamo ciò, dobbiamo attribuirne la causa al nostro scarso progresso. Tuttavia, noi possiamo provare a cercarne la ragione, prendendo come bussola questo principio: Dio deve essere infinitamente giusto e saggio. Cerchiamo, dunque, in ogni cosa la Sua giustizia e la Sua saggezza e inchiniamoci davanti a quanto oltrepassa le nostre cognizioni.
Attraverso l'incessante spettacolo della distruzione, Dio insegna agli uomini la poca importanza ch'essi devono dare all'involucro materiale e suscita in loro l'idea della vita spirituale, facendogliela desiderare come un compenso.
Dio, si dirà, non poteva arrivare al medesimo risultato con altri mezzi, senza costringere gli esseri viventi a distruggersi tra loro? Se nella Sua opera tutto è saggezza, noi dobbiamo supporre che questa saggezza non deve mancare su questo punto più che sugli altri; se non comprendiamo ciò, dobbiamo attribuirne la causa al nostro scarso progresso. Tuttavia, noi possiamo provare a cercarne la ragione, prendendo come bussola questo principio: Dio deve essere infinitamente giusto e saggio. Cerchiamo, dunque, in ogni cosa la Sua giustizia e la Sua saggezza e inchiniamoci davanti a quanto oltrepassa le nostre cognizioni.
22. Una delle prime utilità
che si presenta, riguardo a questa distruzione, è un'utilità — è vero —
puramente fisica, ed è questa: i corpi organici si mantengono solo
mediante l'aiuto delle materie organiche, che sono le sole che
contengano gli elementi nutritivi necessari alla loro trasformazione.
Poiché i corpi, strumenti d'azione del principio intelligente, hanno
bisogno di essere incessantemente rinnovati, la Provvidenza fa sì che
servano al loro mutuo sostentamento. È per questo che gli esseri si
nutrono gli uni degli altri. Avviene, perciò, che il corpo si nutra del
corpo, ma lo Spirito non ne è né annientato né alterato. È soltanto
privato del suo involucro. [11]
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[11] Vedere Rivista Spiritista dell'agosto 1864, pag. 241, "Estinzione delle razze".
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[11] Vedere Rivista Spiritista dell'agosto 1864, pag. 241, "Estinzione delle razze".
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23. Ci sono, inoltre, delle considerazioni morali di ordine più elevato.
La lotta è necessaria allo sviluppo dello Spirito; è nella lotta ch'esso esercita le sue facoltà. Quello che attacca per avere il suo nutrimento e quello che si difende per conservare la sua vita compiono un attacco basato sull'astuzia e sull'intelligenza e aumentano così le loro forze intellettive. L'uno dei due soccombe. Ma che cosa, in realtà, il più forte o il più abile ha tolto al più debole? La sua veste di carne, niente altro. Lo Spirito, che non è morto, più tardi ne prenderà un'altra.
La lotta è necessaria allo sviluppo dello Spirito; è nella lotta ch'esso esercita le sue facoltà. Quello che attacca per avere il suo nutrimento e quello che si difende per conservare la sua vita compiono un attacco basato sull'astuzia e sull'intelligenza e aumentano così le loro forze intellettive. L'uno dei due soccombe. Ma che cosa, in realtà, il più forte o il più abile ha tolto al più debole? La sua veste di carne, niente altro. Lo Spirito, che non è morto, più tardi ne prenderà un'altra.
24. Negli esseri inferiori
della creazione, in coloro nei quali il senso morale non esiste, nei
quali l'intelligenza non ha ancora sostituito l'istinto, la lotta non
potrà avere per movente che la soddisfazione di un bisogno materiale.
Orbene, uno dei bisogni materiali più imperiosi è quello della
nutrizione; essi, dunque, lottano unicamente per vivere, vale a dire per
afferrare o difendere una preda, poiché non potrebbero essere stimolati
da un movente più elevato. È in questo periodo che l'anima si sviluppa e
si adatta alla vita.
Presso l'uomo, c'è un periodo di transizione in cui, a fatica, egli si distingue dal bruto. Nelle ere primordiali, domina in lui l'istinto animale, e la lotta ha ancora come movente la soddisfazione dei bisogni materiali; più tardi, l'istinto animale e il sentimento morale si controbilanciano. L'uomo allora lotta, non più per nutrirsi, ma per soddisfare la sua ambizione, il suo orgoglio, il suo bisogno di dominare; per questo, deve ancora distruggere. Ma, nella misura in cui il senso morale prende il sopravvento, il bisogno di distruzione diminuisce e finisce addirittura per cancellarsi. Tale bisogno diviene allora odioso all'uomo, il quale inizia ad avere in orrore il sangue.
Tuttavia, la lotta è sempre necessaria allo sviluppo dello Spirito, poiché, pur giunto a questo punto, che a noi sembra culminante, l'uomo è ben lungi dall'essere perfetto. È solo a prezzo della sua attività ch'egli acquisisce conoscenze ed esperienza e che si spoglia delle ultime tracce di animalità. Ma da questo momento, la lotta, da sanguinosa e brutale che era, diventa puramente intellettuale; l'uomo lotta contro le difficoltà e non più contro i suoi simili. [12]
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[12] Senza voler dare prematuramente giudizi sulle conseguenze che si potrebbero trarre da questo principio, noi abbiamo soltanto voluto dimostrare, con questa spiegazione, che la distruzione degli esseri viventi, gli uni verso gli altri, non inficia in nulla la saggezza divina, e che tutto si concatena nelle leggi della natura. Questa concatenazione è necessariamente infranta se si prescinde dal principio spirituale. È per questo che tanti problemi rimangono insoluti, se si considera soltanto la materia.
Le dottrine materialiste portano in sé il principio della loro distruzione. Esse hanno contro di sé non solo il loro antagonismo, con le aspirazioni dell'universalità degli uomini, non solo le loro conseguenze morali, che faranno sì ch'esse siano respinte quali disgregatrici della società, ma anche il bisogno che si prova di rendersi conto di tutto ciò che nasce dal progresso. Lo sviluppo intellettuale porta l'uomo alla ricerca delle cause; ora, per poco ch'egli rifletta, non tarderà a riconoscere l'impossibilità del materialismo a spiegare tutto. In quale Modo, dottrine che non soddisfano né il cuore né la ragione né l'intelligenza, che lasciano insolute le questioni più vitali, potrebbero mai prevalere? Il progresso delle idee ucciderà il materialismo, così come ha ucciso il fanatismo.
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Presso l'uomo, c'è un periodo di transizione in cui, a fatica, egli si distingue dal bruto. Nelle ere primordiali, domina in lui l'istinto animale, e la lotta ha ancora come movente la soddisfazione dei bisogni materiali; più tardi, l'istinto animale e il sentimento morale si controbilanciano. L'uomo allora lotta, non più per nutrirsi, ma per soddisfare la sua ambizione, il suo orgoglio, il suo bisogno di dominare; per questo, deve ancora distruggere. Ma, nella misura in cui il senso morale prende il sopravvento, il bisogno di distruzione diminuisce e finisce addirittura per cancellarsi. Tale bisogno diviene allora odioso all'uomo, il quale inizia ad avere in orrore il sangue.
Tuttavia, la lotta è sempre necessaria allo sviluppo dello Spirito, poiché, pur giunto a questo punto, che a noi sembra culminante, l'uomo è ben lungi dall'essere perfetto. È solo a prezzo della sua attività ch'egli acquisisce conoscenze ed esperienza e che si spoglia delle ultime tracce di animalità. Ma da questo momento, la lotta, da sanguinosa e brutale che era, diventa puramente intellettuale; l'uomo lotta contro le difficoltà e non più contro i suoi simili. [12]
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[12] Senza voler dare prematuramente giudizi sulle conseguenze che si potrebbero trarre da questo principio, noi abbiamo soltanto voluto dimostrare, con questa spiegazione, che la distruzione degli esseri viventi, gli uni verso gli altri, non inficia in nulla la saggezza divina, e che tutto si concatena nelle leggi della natura. Questa concatenazione è necessariamente infranta se si prescinde dal principio spirituale. È per questo che tanti problemi rimangono insoluti, se si considera soltanto la materia.
Le dottrine materialiste portano in sé il principio della loro distruzione. Esse hanno contro di sé non solo il loro antagonismo, con le aspirazioni dell'universalità degli uomini, non solo le loro conseguenze morali, che faranno sì ch'esse siano respinte quali disgregatrici della società, ma anche il bisogno che si prova di rendersi conto di tutto ciò che nasce dal progresso. Lo sviluppo intellettuale porta l'uomo alla ricerca delle cause; ora, per poco ch'egli rifletta, non tarderà a riconoscere l'impossibilità del materialismo a spiegare tutto. In quale Modo, dottrine che non soddisfano né il cuore né la ragione né l'intelligenza, che lasciano insolute le questioni più vitali, potrebbero mai prevalere? Il progresso delle idee ucciderà il materialismo, così come ha ucciso il fanatismo.
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